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1 Beato Armando da Ziertkzee (8 giugno)
Originario dell'isola di Schouwen nello Zeeland (Olanda), Armando nacque verso la metà del sec. XV. Entrato nell'Ordine francescano, attese per lunghi decenni all'insegnamento della Sacra Scrittura, valendosi della sua buona conoscenza della lingua greca, ebraica e caldea. Frutto delle sue lezioni furono alcuni commenti a diversi libri della Bibbia, rirnasti inediti, mentre tre opere furono stampate ad Anversa nel 1534: Chronica compendiosissima ab exordio mundi ad annum 1534; De septuaginta hebdomadibus Danielis; De Sophi rege Persarum, hoste Turcarum. Il suo insegnamento, ancor prima di ogni pubblicazione, dovette avere una vasta eco, poiché il benedettino Butzbach così descrive il nostro beato: “Profondo nella Sacra Scrittura, non ignaro della filosofia secolare, di sottile ingegno, buon parlatore, di vita devota, inferiore solo al Tritemio”. Armando fu uno di quei religiosi ferventi che sperò di riformare l'Ordine francescano, senza ricorrere a divisioni. Fu questo l'ideale che informò la sua azione nel triennio in cui resse la provincia di Colonia come ministro. Ma trovò tale opposizione, che nel 1506 dovette rinunciare alla carica e, disilluso, si recò tra i Colettani di Lovanio passando con loro all'Osservanza. Già famoso per diversi titoli, Armando stupiva per il suo attaccamento all'umile vita comune, che lo portava a rifiutare persino i privilegi concessi comunemente ai “lettori”. Negli ultimi anni della sua vita, Armando fu afflitto dalla podagra e dalla chiragra, e fu pertanto costretto a dettare penosamente le ultime sue opere a uno scriba. Morì nel convento di Lovanio, nel 1524 secondo l'epitaffio, nel 1534 secondo alcuni autori che fondano le asserzioni sul titolo della sua cronaca. É ricordato, come beato, l'8 giugno nel Martirologio Francescano. (Autore: Cesare Cenci -
2 San Clodolfo (Clodulfo) di Metz -
m. 660 circa
Martirologio Romano: A Metz in Austrasia, ora in Francia, San Clodolfo, vescovo, figlio di Sant’ Arnolfo e consigliere del re.
Clodolfo (Clou o Cloud) e il fratello Ansegio erano figli di Sant' Arnolfo, vescovo di Metz, e di Doda, che divenne suora quando il marito si fece prete.
I due fratelli, come già in precedenza il padre, avevano un alto incarico alla corte dei re di Austrasia. Ansegio sposò Begga, figlia di Pipino di Landen, diventando avo dei re carolingi di Francia.
Quando morì il successore Arnolfo sulla sede episcopale di Metz, Clodolfo, che era laico e conduceva una vita devota e santa, fu eletto al suo posto. Come vescovo governò la diocesi saggiamente per quarant'anni, facendo grandi elemosine e godendo di molto rispetto. Si pensa che abbia scritto una biografia del padre Arnolfo, e abbia raggiunto i novantun anni di età. In Francia è conosciuto come Cloud per distinguerlo da S. Clodoaldo e Clou (7 settembre). (Autore: Luca Pellegrini -
3 San Fortunato di Fano -
sec. VI ex.
Martirologio Romano: A Fano nelle Marche, San Fortunato, vescovo, che si impegnò assiduamente per il riscatto dei prigionieri. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
4 Beato Giacomo Berthieu -
Monlogis, 26 novembre 1838 -
Nacque in Francia a Polminhac il 26 novembre 1838 e morì martire ad Ambiatibé (Madagascar) l'8 giugno 1896. Dopo aver studiato nei seminari di Pleaux e di Saint-
I decreti emanati nel 1880 dal governo francese costrinsero nel 1881 Berthieu a lasciare la sua missione. Si recò prima a Tamatova e poi a Tananarive, da dove venne inviato nella missione di Ambohimandroso, presso i Betsileo. Ma lo scoppio della prima guerra franco-
Allo scoppio, nel 1894, della seconda guerra dei malgasci contro la Francia si trovava ad Andrainarivo. Fu catturato dagli insorti mentre accompagnava i suoi cristiani evacuati dai villaggi.
Invitato varie volte ad abbandonare la fede, egli si rifiutò e i pagani, irritati dai suoi rifiuti lo uccisero ad Ambiatibé l'8 giugno 1896 e gettarono il suo cadavere nel fiume Mananara. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Ad Ambiatibes in Madagascar, Beato Giacomo Berthieu, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che in pace come in guerra si adoperò con dedizione per il Vangelo e, scacciato per tre volte dalle missioni, preso a calci e ripetutamente invitato invano all’apostasia, fu infine ucciso in odio alla fede.
Nacque a Monlogis, nella parrocchia di Polminhac (diocesi di Saint-
Dopo aver studiato nei seminari di Pleaux e di Saint-
Gesuita, fu a Pau nel 1873; nel 1875, in qualità di missionario nel Madagascar, gli fu assegnato quale primo campo di lavoro l'isola di Santa Maria, abitata dai Betsimisaraka, dove egli esercitò il suo apostolato per sei anni.
Gli odiosi decreti settari emanati nel 1880 dal governo francese costrinsero nel 1881 il Berthieu a lasciare la sua missione; egli si recò prima a Tamatova e poi a Tananarive, da dove i superiori lo inviarono nella lontana missione di Ambohimandroso, presso i Betsileo.
Ma lo scoppio della prima guerra franco-
Questo fu l'ultimo campo delle sue lotte e delle sue vittorie sui pagani feticisti e sugli aderenti al protestantesimo.
Scoppiata, infatti, nel 1894 la seconda guerra dei malgasci contro la Francia, il Berthieu fu catturato dagli insorti mentre accompagnava i suoi cristiani evacuati dai villaggi.
Invitato varie volte ad abbandonare la fede, egli si rifiutò sempre e i feticisti, irritati dalle sue ripulse, lo sottoposero a morte crudele ad Ambiatibé l'8 giugno 1896 e gettarono il suo cadavere nel fiume Mananara.
La causa di beatificazione è stata introdotta a Roma il 26 giugno 1940. (Autore: Celestino Testore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
5 San Gildardo di Rouen -
m. 511/3 circa
Martirologio Romano: A Rouen in Francia, San Gildardo, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
6 Beato Giorgio Porta -XV secolo
Famosissimo commendatore del convento mercedario di San Lazzaro in Saragozza (Spagna), il Beato Giorgio Porta, fu anche redentore di schiavi e con grande misericordia ne liberò molti nella città di Granada.
Nel 1481, assieme al commendatore di El Puig, Venerabile Luigi Ruiz, realizzò una redenzione ad Algeri in Africa, riscattando 56 schiavi; imbarcati per far ritorno in patria, furono costretti ad approdare a Maiorca per non morire in mare a causa di una furiosa tempesta, finché ripreso il viaggio giunsero felicemente a Barcellona.
Il Beato Giorgio morì santamente nel suo convento di Saragozza.
L'Ordine lo festeggia l'8 giugno.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
7 Beato Giovanni Davy -
Scheda del gruppo a cui appartiene: “Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia” Beatificati nel 1886-
Martirologio Romano: A Londra sempre in Inghilterra, Beato Giovanni Davy, diacono della Certosa di questa città e martire, che sotto il re Enrico VIII per la sua fedeltà alla Chiesa e al Romano Pontefice fu sottoposto in carcere a crudeli torture e vi morì consunto dalla fame. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
8 San Guglielmo di York (8 giugno)
Etimologia: Guglielmo = la volontà lo protegge, dal tedesco
Martirologio Romano: A York in Inghilterra, San Guglielmo Fitzherbert, vescovo, che, uomo amabile e mansueto, deposto ingiustamente dalla sua sede, si ritirò tra i monaci di Winchester e, una volta restituito alla sua sede, perdonò i suoi nemici e favorì la pace tra i cittadini.
Figlio del conte Erberto di Winchester e di Emma, sorellastra del re Stefano d'Inghilterra, Guglielmo Fitzherbert, conosciuto anche come Guglielmo di Thwayt, abbracciò ben presto lo stato ecclesiastico, divenendo verso il 1130 canonico di York e tesoriere di quel capitolo cattedrale.
Andata a vuoto, dopo la morte dell'arcivescovo Turstano (6 febbraio 1140), l'elezione alla sede di York di Enrico di Sully, abate di Fécamp, il quale non volle lasciare la sua abbazia per il vescovato, fu posto sulla cattedra episcopale nel gennaio del 1141 Guglielmo, assai stimato per la profonda pietà che lo animava ed amato inoltre per la sua bontà e santità di vita. La sua elezione fu tuttavia fortemente contrastata dall'arcidiacono Walter di Londra e da alcuni altri, che sostenevano invece la candidatura, a quanto pare, del cistercense Enrico Murdac, rimasto comunque in minoranza.
Dall'arcivescovo Teobaldo di Canterbury, presso cui gliioppositori di Guglielmo avevano fatto ricorso avanzando contro di lui accuse di simonia e di intrusione regia, l'affare venne rimesso al giudizio della Sede apostolica; ma Innocenzo II riconobbe la piena validità dell'elezione di Guglielmo il 6 settembre 1143.
La morte di Innocenzo II e i due successivi brevi pontificati di Celestino II e di Lucio II riuscirono però fatali a Guglielmo. Immerso nelle cure della sua diocesi, aveva sempre procrastinato la richiesta del pallio, e non poté piú averlo anche se gli era già stato accordato, perché il legato pontificio Imaro di Tuscolo, inviato appositamente in Inghilterra, se lo era riportato indietro avendo dovuto far ritorno a Roma per la sopraggiunta morte del Papa.
L'esaltazione al pontificato di Eugenio III, il 15 febbraio 1145, rianimò le speranze di Enrico Murdac, il quale ricorse immediatamente al nuovo Papa, giovandosi non solo del fatto di essere anch'egli cistercense, ma soprattutto della protezione di Bernardo di Chiaravalle, ascoltatissimo maestro di Eugenio III.
Il Papa non esitò infatti ad accogliere le proteste del Murdac e le istanze di Bernardo: sospeso in un primo tempo Guglielmo dalle sue funzioni episcopali, finì poi col deporlo e col sanzionare la nuova elezione dell'abate di Fountaine' a cui conferì egli stesso la consacrazione arcivescovile, il 7 dicembre 1147, dandogli anche il pallio.
Privato in tal modo della sua diocesi, Guglielmo si recò dapprima per qualche tempo alla corte di Ruggero, re di Sicilia e suo parente, quindi, tornato in Inghilterra, si ritirò presso lo zio vescovo, Enrico di Blois, a Winchester, dove rimase sino al 1153, allorché, morti a breve distanza l'uno dall'altro Eugenio III (8 luglio), San Bernardo (20 agosto) e l'arcivescovo Enrico Murdac (14 ottobre), si affrettò a recarsi a Roma per far valere le sue buone ragioni presso il nuovo pontefice Anastasio IV, che si dichiarò senz'altro in suo favore.
Avuti finalmente riconosciuti i suoi diritti e ricevuto in pari tempo anche il pallio, Guglielmo poté rientrare nella sua antica sede di York, ai primi di maggio del 1154, trionfalmente accolto da tutta la popolazione. Il crollo di un ponte di legno sul fiume Ouse, rovinato improvvisamente sotto il peso eccessivo della folla che vi si era ammassata, senza tuttavia che si avessero a lamentare vittime, accrebbe la popolarità di Guglielmo, che cominciò anche ad essere oggetto di particolare venerazione perché si volle attribuire alle sue preghiere la miracolosa incolumità di quanti erano stati trascinati nel crollo del ponte.
Per pochissimo tempo, nondimeno, poté egli governare la sua ricuperata diocesi, perché un mese dopo il suo trionfale ingresso a York venne colto da un subitaneo e grave malore mentre, di domenica, stava celebrando la Messa, morendo qualche giorno dopo, l'8 giugno 1154. In base all'accusa fatta in tale occasione da Sinforiano, uno dei cappellani del defunto arcivescovo, e mai provata del resto, fu avanzato il sospetto che gli fosse stato versato del veleno nel calice dall'arcidiacono Osbert.
Sepolto in una cappella della sua cattedrale, sulla sua tomba non tardarono a verificarsi frequenti miracoli, che ne favorirono la canonizzazione nel 1227 per opera di Onorio III, come risulta dal Martirologio Romano, in cui sotto la data dell'8 giugno si può leggere infatti: "Ab Honorio Papa tertio in Sanctorum canonem relatus est".
Nel 1284 il corpo di San Guglielmo venne trasferito dal suo primitivo sepolcro nella navata centrale del tempio, alla presenza del re Edoardo I e della regina Eleonora, ma i preziosi resti, che pur non ebbero a soffrire danno per tutto il tempo della Riforma, scomparvero durante il sec. XVIII. La festa del Santo si celebra l'8 giugno, mentre il 9 gennaio viene commemorata la traslazione delle sue reliquie. (Autore: Niccolò Del Re – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
9 Beata Maddalena della Concezione Vergine -
Soprannominata la Minore, la Beata Maddalena della Concezione, era monaca nel monastero mercedario dell'Assunzione in Siviglia (Spagna).
Per tutta la vita manifestò grande carità e devozione verso le anime del purgatorio con un'ammirevole costanza nella preghiera.
Nell'ora della sua morte fu rallegrata dalla Madonna e con tanti meriti raggiunse la felicità eterna.
L'Ordine la festeggia l'8 giugno.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
10 Beata Maria del Divino Cuore di Gesù (Droste Zu Vischering) (8 giugno)
Münster, Westfalia, 8 settembre 1863 -
Martirologio Romano:
La Beata Maria Droste Zu Vischering nacque l’8 settembre 1863 a Münster, da una delle più antiche famiglie dell’aristocrazia della Westfalia insieme con il fratello Max.
Il cammino ascetico della Beata, iniziato con la Prima Comunione, ebbe il suo culmine nei favori mistici ossia i “carismi” che la rendono apostolo della devozione del Cuore di Gesù.
Questo è il messaggio della Beata alla Chiesa, che ha le sue radici nel 1883 quando, ventenne, ebbe più perfetta conoscenza del culto del Sacro Cuore, al quale in quell’anno l’intera famiglia si era consacrata.
Dopo una breve esperienza tra le Suore di San Giuseppe di Chambery e alcuni anni di volontario ritiro nel castello di Darfeld, entra, nel 1888, tra le Suore del Buon Pastore.
Morirà a Oporto nel 1899, nella comunità dove era superiora da quattro anni.
La memoria liturgica è l’8 giugno.
Ecco le parole del Santo Padre nell’omelia della celebrazione eucaristica di beatificazione:
"La Chiesa ancora una volta esulta per cinque suoi eroici figli. In questo Anno Santo rifulge in modo particolare la nota della santità della Chiesa: “l’universale vocazione alla santità”, posta in luce dal Concilio Vaticano II (Lumen Gentium 39-
Il genere umano viene da essi nobilitato e abbellito, perché continua ad esprimere dal suo grembo campioni di umanità completa e fedele alla grazia, i quali ci dicono che, nonostante tutto, il bene c’è, il bene lavora, il bene si diffonde, sia pure silenzioso, e supera in definitiva con i suoi benefici... il male. [...] Il messaggio che ci fanno giungere i nuovi Beati è quello comune a tutti coloro che hanno preso sul serio il Vangelo: amore a Dio..., e amore al prossimo, come e più di se stessi. È la via regale della santità, fuori della quale non si costruisce nulla di valido per il Regno di Dio". (Autore: Don Marco Grenci -
11 Beata Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan -
Puthenchira, Provincia di Trichur, Kerala, 26 aprile 1876 -
Nata nel 1876 nello Stato indiano del Kerala, Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan si impegnò sin da giovane in parrocchia a servizio degli ultimi.
Dopo avere cercato di vivere tra le Carmelitane scalze, fondò le Suore della Sacra Famiglia, dedite alle giovani e ai bisognosi.
Morì 50enne ed è beata dal 2000, seconda religiosa del suo Paese a essere elevata agli onori degli altari. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel villaggio di Kuzhikkattussery nello Stato del Kerala in India, Beata Maria Teresa Chiramel Mankidiyan, vergine, che, insigne per la vita eremitica e l’austerità delle sue penitenze, cercò Cristo nei più poveri e nei più emarginati e fondò la Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia.
La Beata Mariam Thresia Mankidijan è stata la seconda religiosa indiana elevata agli onori degli altari da Papa Giovanni Paolo II il 9 aprile 2000, dopo la beata Alfonsa dell’Immacolata Concezione.
Nacque nello Stato del Kerala in India a Putenchira, il 26 aprile 1876 in una nobile famiglia decaduta, fu educata cristianamente dalla madre, che le morì quando aveva 12 anni, già giovanissima si dedicò alla cura dei malati e dei moribondi, consacrando la sua vita al Signore.
Non riuscendo a farsi monaca né eremita, con tre amiche si mise al servizio della chiesa parrocchiale, visitando e confortando i più bisognosi, gli orfani e gli ammalati gravi, anche di vaiolo e lebbra. Non fu compresa subito né dall’Autorità ecclesiastica, né dagli abitanti del suo villaggio che non approvavano, che contrariamente all’usanza che le ragazze non dovevano uscire da sole, lei invece contravveniva a ciò.
Fu gratificata da esperienze mistiche, visioni e fenomeni straordinari, l’esperienza dei dolori della crocifissione e stimmate; tutto ciò specie nei primi tempi suscitò intorno a sé, malintesi, derisioni, sospetti.
Il suo direttore spirituale padre Giuseppe Vithayathil, la consigliò molto nell’attuazione di fondare una famiglia religiosa e dopo un tentativo di vita comunitaria presso le Carmelitane Scalze, ebbe l’autorizzazione del vescovo di istituire la Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia. Scopi principali erano l’educazione cristiana della gioventù femminile, l’assistenza ai malati specie i più gravi e moribondi, l’aiuto ai più bisognosi, oltre naturalmente la preghiera e la meditazione.
Guidò la nuova Congregazione per dodici anni, formando con grande cura le novizie, fondando tre nuovi conventi, due scuole, due convitti, una casa di studio e un orfanotrofio, in pochi e difficili anni, mentre nel mondo infuriava la Prima Guerra Mondiale.
In seguito ad una ferita divenuta gangrenosa morì a 50 anni a Kuzhikkattusseny l’8 giugno 1926. La sua Opera si è diffusa in tante parti del mondo e nell’anno 2000 contava 1592 suore e 119 novizie. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
12 San Massimino di Aix -
Martirologio Romano: Ad Aix-
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
13 San Medardo -
Vermandois (Francia)? -
Suo padre è uno dei Franchi conquistatori della Gallia. Sua madre è di famiglia gallo-
Intorno al 545 è vescovo dell'attuale Saint-
E un giorno arriva nell'episcopio di Medardo Radegonda, figlia del re di Turingia, arrivata alla corte di Clotario I come "bottino di guerra", e infine sua moglie ma continuamente tradita e offesa da Clotario.
Medardo l'accoglie, la consacra diaconessa: Radegonda fonderà poi un monastero e un ospedale a Poitiers. Quando muore Medardo, nel 560, il re Clotario I ordina che il corpo venga portato a Soissons. Qui sopra la sua tomba si costruirà poi la chiesa dell'abbazia di San Medardo. (Avvenire)
Etimologia: Medardo = onorato e ardito, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Soissons sempre in Francia, San Medardo, vescovo di Saint-
Suo padre è uno dei Franchi conquistatori della Gallia con re Clodoveo. Sua madre è di famiglia gallo-
Sicché lui, Medardo, fa parte della prima generazione “francese”, nata dalla fusione delle due stirpi.
Dopo gli studi a Viromandensium (attuale Saint-
Un giorno, la sua preghiera ha reso “muta” la campanella che segnalava il furto di una mucca; un’altra volta, ha placato e dirottato uno sciame di api, inferocite contro un uomo che rubava l’arnia col miele.
Miracoli a favore dei ladri, insomma. Ma quei ladri stavano derubando lui: sua era la mucca, suo il miele; sua anche una vigna depredata da uno che lui ha aiutato a fuggire. Narrazioni ingenue, probabilmente leggendarie: ma sono importanti come testimonianze della fama di generosità che lo ha circondato anche da semplice prete.
Nel romanzo ottocentesco I miserabili, di Victor Hugo, troviamo la figura del vescovo Benvenuto Myriel, di Digne, che non solo perdona chi ha rubato la sua argenteria da tavola, ma gli regala ancora due candelabri preziosi.
Forse Hugo, creando questo personaggio, si è ispirato ai racconti sulla generosità di Medardo.
Intorno al 545 lo troviamo vescovo dell’attuale Saint-
Più tardi, morti i fratelli, Clotario I regnerà da solo sui Franchi.
E un giorno arriva nell’episcopio di Medardo in Saint-
È Radegonda, figlia del re di Turingia, arrivata alla corte di Clotario I come “bottino di guerra”, e infine sua moglie: ma sfortunatissima moglie, continuamente tradita e offesa da Clotario, che poi fa uccidere uno dei suoi fratelli.
La donna non ne può più del re, della corte, vuole lasciare tutto e farsi monaca. Medardo l’accoglie, la consacra diaconessa e l’avvia verso la nuova vita: Radegonda fonderà poi un monastero e un ospedale a Poitiers.
Questo è l’avvenimento più importante che le cronache tramandano sull’episcopato di Medardo, che dura quindici anni.
Quando muore, il re Clotario I ordina che il corpo venga portato a Soissons (all’epoca è la sua capitale).
Qui lo si depone in una tomba, sopra la quale si costruirà poi la chiesa dell’abbazia di San Medardo. E dove sarà seppellito anche re Clotario I, morto nel 561.
Così, il culto per il vescovo incomincia subito, si divulga per voce popolare, finché il suo nome sarà iscritto nel Martirologio Geronimiano e poi in quello Romano.
Una biografia dell’XI secolo lo indica erroneamente come vescovo di Noyon.
Alcune raffigurazioni di San Medardo lo mostrano con la bocca aperta e sorridente, perché dopo la morte si cominciò a invocare la sua protezione contro il mal di denti.
Per secoli, il suo nome è stato poi associato anche alla meteorologia, secondo un detto popolare: «Se piove nel giorno di San Medardo (8 giugno), pioverà ancora per altri quaranta giorni». (Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
14 Beato Nicola da Gesturi (Giovanni Medda) -
Gèsturi, Cagliari, 5 agosto 1882 -
L'umile figura di un questuante. Elevato alla gloria degli altari da Giovanni Paolo II. É la storia di fra' Nicola da Gesturi, al secolo Giovanni Medda (1882-
La sua fu quella che oggi definiremmo una vocazione «adulta»: rimasto orfano giovanissimo, aveva vissuto in maniera molto semplice, lavorando da contadino. Sempre più attratto da una vita interamente donata al Signore bussò alla porta dei cappuccini a 29 anni, assai maturo dunque per l'epoca. Vestito il saio, per 34 anni svolse l'umile incarico di questuante. Senza alcun risalto esteriore, ma aiutando spiritualmente un gran numero di persone. Con il suo esempio di virtù e di bontà incoraggiò infatti molti alla carità verso i poveri. Morì nel 1958 a 76 anni. Papa Wojtyla l'ha beatificato il 3 ottobre 1999. (Avvenire)
È l’ultima figura francescana, in ordine di tempo e vissuta a Cagliari, a raggiungere la gloria degli altari, dopo San Salvatore da Horta (1520-
Nello stesso convento di Cagliari e con lo stesso compito della questua di s. Ignazio, visse santamente il cappuccino fra’ Nicola da Gesturi, beatificato il 3 ottobre 1999 da Papa Giovanni Paolo II.
Il suo nome da laico era Giovanni Medda, nacque il 5 agosto 1882 a Gesturi (Cagliari) archidiocesi di Oristano, sesto dei sette figli di Giovanni Medda e Priama Cogoni Zedda, di umili condizioni sociali ma onesti e religiosi.
A quattro anni nel 1886, secondo le usanze del tempo, ricevette la Cresima; nella famiglia entrò ben presto il lutto e la miseria, Giovanni aveva appena cinque anni quando morì il padre e tredici anni quando morì la madre.
Il ragazzo allora venne affidato al suocero di sua sorella Rita, il benestante padrone lo tenne come servo, senza paga alcuna e ricevendo solo alloggio e sostentamento, Giovanni trascorreva le sue giornate tra il lavoro dei campi e il custodire il bestiame.
Morto il suo padrone, passò stabilmente in casa della sorella, sempre come servitore puntuale ed onesto; dopo le prime classi elementari iniziò la vita del contadino.
A 14 anni, il 18 dicembre 1896 Giovanni Medda ricevette la Prima Comunione e da allora prese a vivere tutto teso verso la virtù e la santificazione.
Anche dal cognato per il quale lavorava, non volle ricompensa in denaro, accontentandosi del poco vitto e dell’alloggio in un bugigattolo.
La mortificazione in cui viveva fu lo stimolo ad aspirare alla vita sacerdotale, ma la povertà era un ostacolo insormontabile.
Trascorsero così altri anni, lavorando e coltivando in sé la vocazione che avvertiva sempre più forte; Giovanni Medda aveva 29 anni quando nel marzo 1911, presentato da un’ottima relazione del parroco di Gesturi, entrò nel convento cappuccino di S. Antonio a Cagliari, come Terziario oblato.
Dopo due anni, il 30 ottobre 1913 vestì l’abito cappuccino prendendo il nome di fra’ Nicola; qualche mese dopo fu trasferito al convento di Sanluri, dove fece l’anno di noviziato ed emise la prima professione solenne, fu altalenante fra il convento cappuccino di Sanluri (CA), quelli di Sassari, Oristano, Cagliari, di nuovo a Sanluri; era sempre addetto alla cucina, anche se non suscitava la soddisfazione dei confratelli.
Infatti su segnalazione di un frate, fu esonerato dalla cucina e nel 1924 trasferito a Cagliari, con l’incarico della questua in città.
E per 34 anni svolse questo delicato compito con tenacia e pazienza; sempre percorrendo a piedi con ogni tempo, pioggia, freddo, caldo, chilometri e chilometri; chiedendo la carità in nome di San Francesco, sempre con le stesse parole, ricevendo l’offerta per i bisogni del convento e per la carità francescana, ma anche offese, ingiurie e prese in giro, da chi vedeva nel questuante un fannullone e un buono a nulla.
Dopo i primi tempi, fra Nicola da Gesturi non chiese più nulla, perché i cagliaritani avevano compreso che quel silenzioso umile frate era una persona eccezionale e le offerte in denaro o in natura, venivano date spontaneamente.
Man mano che gli anni passavano la sua figura divenne sempre più popolare per Cagliari e paesi vicini; molti lo avvicinavano per chiedere consigli, domandavano preghiere, lo invitavano ad entrare in casa e negli ospedali, per dare conforto agli ammalati; si verificarono guarigioni improvvise e aumentò così la sua fama.
Era diventato l’amico e il confidente di tutti e fermato in continuazione, per cui non riusciva più a coprire l’intero territorio, che di solito prima percorreva in un giorno.
La sua era diventata ormai una “presenza” indispensabile; ascoltava tutti ma i privilegiati erano i poveri che visitava anche nelle loro misere case.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la città di Cagliari divenne una delle più bombardate d’Italia, tutti quelli che potevano se ne allontanavano, anche i frati del convento di S. Antonio furono trasferiti altrove, meno quattro fra i quali il Superiore e frate Nicola che non volle allontanarsi.
Tolta la clausura al convento, furono accolti sfollati e persone rimaste sole, curate e sfamate e frate Nicola da Gesturi si faceva in quattro per aiutare e consolare tutti.
Ma la sua benemerita opera non fu circoscritta al convento, andò a soccorrere la folla di miserabili e cenciosi che si erano rifugiati nelle tante grotte sparse per la città; come dopo ogni bombardamento egli accorreva sui luoghi disastrati per portare aiuto ai feriti, consolare i danneggiati, seppellire i morti, per i cittadini di Cagliari egli assunse la figura silenziosa di una visione.
Il silenzio fu la sua costante caratteristica, sia quando riceveva che quando dava, l’interrompeva soltanto per ricordare la volontà di Dio. Il 1° giugno 1958, stremato nel fisico, si presentò al Padre Guardiano e gli disse: “Padre non ne posso più” e chiese di essere esonerato dalla questua.
Il Superiore intuì subito che frate Nicola si avvicinava alla fine; il giorno dopo fu ricoverato in clinica e operato d’urgenza.
Ma tutto fu inutile, dopo quattro giorni, dopo aver ricevuto l’unzione degli infermi e il Viatico, si spense serenamente l’8 giugno 1958 a 76 anni.
La fama della sua santità era grande e i funerali videro l’imponente partecipazione del popolo; decine di migliaia di persone di ogni ceto sociale, resero omaggio alla sua salma e i funerali del giorno 10 furono un’apoteosi.
Dal 1966 al 1971 si ebbe il primo processo per la sua beatificazione avvenuta nel 1999; il 6 giugno 1980 i suoi resti furono traslati e tumulati nella Cappella dell’Immacolata della Chiesa di Sant' Antonio del Convento dei Cappuccini a Cagliari.
La sua celebrazione liturgica è l’8 giugno. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
15 Pentecoste (celebrazione mobile)
Solennità
Martirologio Romano: Giorno di Pentecoste, in cui si conclude il tempo sacro dei cinquanta giorni di Pasqua e, con l’effusione dello Spirito Santo sui discepoli a Gerusalemme, si fa memoria dei primordi della Chiesa e dell’inizio della missione degli Apostoli fra tutte le tribù, lingue, popoli e nazioni.
Per gli Ebrei è la festa che ricorda il giorno in cui sul Monte Sinai, Dio diede a Mosè le tavole della Legge – Per la Chiesa Cattolica è la festa che ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli.
Origini della festa
Presso gli Ebrei la festa era inizialmente denominata “festa della mietitura” e “festa dei primi frutti”; si celebrava il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica e segnava l’inizio della mietitura del grano; nei testi biblici è sempre una gioiosa festa agricola.
È chiamata anche “festa delle Settimane”, per la sua ricorrenza di sette settimane dopo la Pasqua; nel greco ‘Pentecoste’ significa 50ª giornata. Il termine Pentecoste, riferendosi alla “festa delle Settimane”, è citato in Tobia 2,1 e 2 Maccabei, 12, 31-
Quindi lo scopo primitivo di questa festa, era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, cui si aggiunse più tardi, il ricordo del più grande dono fatto da Dio al popolo ebraico, cioè la promulgazione della Legge mosaica sul Monte Sinai.
Secondo il rituale ebraico, la festa comportava il pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra e particolari sacrifici; ed era una delle tre feste di pellegrinaggio (Pasqua, Capanne, Pentecoste), che ogni devoto ebreo era invitato a celebrare a Gerusalemme.
La discesa dello Spirito Santo
L’episodio della discesa dello Spirito Santo è narrato negli Atti degli Apostoli, cap. 2; gli apostoli insieme a Maria, la madre di Gesù, erano riuniti a Gerusalemme nel Cenacolo, probabilmente della casa della vedova Maria, madre del giovane Marco, il futuro evangelista, dove presero poi a radunarsi abitualmente quando erano in città; e come da tradizione, erano affluiti a Gerusalemme gli ebrei in gran numero, per festeggiare la Pentecoste con il prescritto pellegrinaggio.
“Mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano.
Apparvero loro lingue di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi.
Si trovavano allora in Gerusalemme giudei osservanti, di ogni Nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita, perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua.
Erano stupefatti e, fuori di sé per lo stupore, dicevano: ‘Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?…”.
Il passo degli Atti degli Apostoli, scritti dall’evangelista Luca in un greco accurato, prosegue con la prima predicazione dell’apostolo Pietro, che unitamente a Paolo, narrato nei capitoli successivi, aprono il cristianesimo all’orizzonte universale, sottolineando l’unità e la cattolicità della fede cristiana, dono dello Spirito Santo.
È il nome della terza persona della SS. Trinità, principio di santificazione dei fedeli, di unificazione della Chiesa, di ispirazione negli autori della Sacra Scrittura. È colui che assiste il magistero della Chiesa e tutti i fedeli nella conoscenza della verità (è detto anche ‘Paraclito’, cioè ‘Consolatore’).
L’Antico Testamento, non contiene una vera e propria indicazione sullo Spirito Santo come persona divina. Lo “spirito di Dio”, vi appare come forza divina che produce la vita naturale cosmica, i doni profetici e gli altri carismi, la capacità morale di obbedire ai comandamenti.
Nel Nuovo Testamento, lo Spirito appare talora ancora come forza impersonale carismatica. Insieme però, avviene la rivelazione della ‘personalità’ e della ‘divinità’ dello Spirito Santo, specialmente nel Vangelo di san Giovanni, dove Gesù afferma di pregare il Padre perché mandi il Paraclito, che rimanga sempre con i suoi discepoli e li ammaestri nella verità (Giov. 14-
Il magistero della Chiesa insegna che la terza Persona procede dalla prima e dalla seconda, come da un solo principio e come loro reciproco amore; che lo Spirito Santo è inviato per via di ‘missione’ nel mondo, e che esso ‘inabita’ nell’anima di chi possiede la Grazia santificante.
Concesso a tutti i battezzati (1 Corinzi, 12, 13), lo Spirito fonda l’uguale dignità di tutti i credenti. Ma nello stesso tempo, in quanto conferisce carismi e ministeri diversi, l’unico Spirito, costruisce la Chiesa con l’apporto di una molteplicità di doni.
L’insegnamento tradizionale, seguendo un testo di Isaia (11, 1 sgg.) enumera sette doni particolari, sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio. Essi sono donati inizialmente con la grazia del Battesimo e confermati dal Sacramento della Cresima.
Lo Spirito Santo, rarissimamente è stato rappresentato sotto forma umana; mentre nell’Annunciazione e nel Battesimo di Gesù è sotto forma di colomba, e nella Trasfigurazione è come una nube luminosa.
Ma nel Nuovo Testamento, lo Spirito divino è esplicitamente indicato, come lingue di fuoco nella Pentecoste e come soffio nel Vangelo di Giovanni (20, 22); “Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
Lo Spirito Santo, più volte preannunciato nei Vangeli da Gesù, è stato soprattutto assimilato al fuoco che come l’acqua è simbolo paradossale di vita e di morte.
In tutte le religiosità, il fuoco ha un posto fondamentale nel culto ed è spesso simbolo della divinità e come tale adorato. Il dio sumerico del fuoco, Gibil, era considerato portatore di luce e di purificazione; a Roma c’era una fiamma sempre accesa custodita dalle Vestali, simbolo di vita e di forza.
Nell’Antico Testamento, Dio si rivela a Mosè sotto forma di fuoco nel roveto ardente che non si consuma; nella colonna di fuoco Dio Illumina e guida il popolo ebraico nelle notti dell’Esodo; durante la consegna delle Tavole della Legge a Mosè, per la presenza di Dio il Monte Sinai era tutto avvolto da fuoco.
Nelle visioni profetiche dell’Antico Testamento, il fuoco è sempre presente e Dio apparirà alla fine dei tempi con il fuoco e farà giustizia su tutta la terra; anche nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista annuncia Gesù come colui che battezza in Spirito Santo e fuoco (Matteo, 3, 11).
La Pentecoste nel cristianesimo
I cristiani inizialmente chiamarono Pentecoste, il periodo di cinquanta giorni dopo la Pasqua. A quanto sembra, fu Tertulliano, apologista cristiano (155-
Le costituzioni apostoliche testimoniano l’Ottava di Pentecoste per l’Oriente, mentre in Occidente compare in età carolingia. L’Ottava liturgica si conservò fino al 1969; mentre i giorni festivi di Pentecoste furono invece ridotti nel 1094, ai primi tre giorni della settimana; ridotti a due dalle riforme del Settecento.
All’inizio del XX secolo, fu eliminato anche il lunedì di Pentecoste, che tuttavia è conservato come festa in Francia e nei Paesi protestanti.
La Chiesa, nella festa di Pentecoste, vede il suo vero atto di nascita d’inizio missionario, considerandola insieme alla Pasqua, la festa più solenne di tutto il calendario cristiano.
Il tema della Pentecoste, ha una vasta iconografia, particolarmente nell’arte medioevale, che fissò l’uso di raffigurare lo Spirito Santo che discende sulla Vergine e sugli apostoli nel Cenacolo, sotto la forma simbolica di lingue di fuoco e non di colomba.
Lo schema compositivo richiama spesso quello dell’Ultima Cena, trovandosi nello stesso luogo, cioè il Cenacolo, e lo stesso gruppo di persone: Gesù è sostituito da Maria e il posto lasciato vuoto da Giuda viene occupato da Mattia.
Viene così a comunicarsi il valore dell’unità dell’aggregazione e successione apostolica, oltre che la sua disposizione a raggiungere i confini del mondo.
Nella Liturgia
Lo Spirito Santo viene invocato nel conferimento dei Sacramenti e da vero protagonista nel Battesimo e nella Cresima e con liturgia solenne nell’Ordine Sacro; e in ogni cerimonia liturgica, ove s’implora l’aiuto divino, con il magnifico e suggestivo inno del “Veni Creator”, il cui testo in latino è incomparabile.
Nella solennità di Pentecoste si recita la Sequenza, il cui testo della più alta innologia liturgica, si riporta a conclusione di questa scheda come preghiera, meditazione, invocazione allo Spirito Santo.
Veni creator
Veni, creator Spiritus, mentes tuorum visita, imple superna gratia quae tu creasti pecora.
Qui diceris Paraclitus, donum Dei altissimi, fons vivus, ignis, caritas et spiritalis unctio.
Tu semptiformis munere, dextrae Dei tu digitus, tu rite promissum Patris sermone ditans guttura.
Accende lumen sensibus, infunde amorem cordibus, infirma nostri corporis virtute firmans perpeti.
Hostem repellas longius pacemque dones protinus; ductore sic te praevio vitemus omne noxium.
Per te sciamus da Patrem, noscamus atque Filium, te utriusque Spiritum redamus omni tempore.
Amen.
Vieni Santo Spirito (Sequenza)
Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce. Vieni padre dei poveri,
vieni datore dei doni, vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo, nel pianto conforto.
O luce beatissima, invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido, sana ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano
i tuoi santi doni. Dona virtù e premio,
dona morte santa, dona gioia eterna.
Amen.
Pentecoste
Con la solennità della Pentecoste la Chiesa celebra lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti.
La Pentecoste è l’ultimo momento del mistero pasquale che ora abita in noi, ricorda l’Ospite dolce dell’anima, la luce beatissima che invade il nostro cuore.
La Pentecoste è la celebrazione del Consolatore, promesso da Gesù, di colui che insegna le cose che contano e che danno senso e sapore alla quotidianità, che indirizzano al servizio della verità. Lo Spirito Santo è Verità.
Con la discesa dello Spirito santo nasce la Chiesa che diventa missione per l’avvento del regno di Dio, madre amorosa da ascoltare e vivere.
Lo Spirito Santo, ci sollecita a conformare la nostra vita a questa realtà, a questo mistero. Siamo tabernacoli, custodi di una presenza divina: “Vi porterò con me perché siate dove sono io”.
Tempio ambulante dello Spirito Santo che si serve di noi e della nostra vita. Con la Pentecoste non siamo più soli.
La storia della Chiesa, come la storia delle anime, è lo sviluppo dello Spirito santo che abita in noi. Aveva detto Gesù: “ Ě meglio per voi che me ne vada, perché se non me ne vado il Consolatore non verrà”.
Ě venuto il Consolatore: ora avvolge e divora la paura e ci riveste della forza dell’amore.
Con la discesa dello Spirito Santo inizia il tempo della comunione e della fraternità: il tempo della Chiesa e del suo cammino nella storia.
Lo Spirito Santo ci rende deiformi: ci pone in sintonia con il modo di pensare e di amare di Dio, ci aiuta a riprodurre nella vita Gesù; ci rende sensibili alle miserie umane: allarga il cuore alla carità e i poveri che bussano li sentiamo presenza di Dio.
Se noi, per lo Spirito Santo, siamo l’amore di Dio, dobbiamo essere una risposta della sua carità.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
16 San Pietro de Amer -Cavaliere laico, San Pietro de Amer, fu eletto Maestro Generale dell'Ordine Mercedario nel 1271, fu il primo legislatore e autore delle prime Costituzioni dell'Ordine e fu uno fra i più importanti Maestri Generali.
Fu anche redentore ed incrementò la fondazione di nuovi conventi in Spagna e Francia che in quel periodo fu notevole, si possono citare: Minorca (Santa Maria de Esteron), Ciudadella (Minorca), Burgos, Valladolid, Medina del Campo, Aurignac (Francia), Sanguesa (Navarra), Groin (Calahorra), Fuendedena, Beja (Portogallo), Soria, Toro, Elche, Oribuela, Almazan e Logrono.
Egli governò con ammirevole prudenza e moderazione, quando in quel fine XIII° secolo, i chierici mercedari cominciavano a protestare per cambiare il regime dell'Ordine volendo come Maestro Generale un frate chierico e non più laico.
Pieno di meriti morì nel convento di El Puig l'8 giugno 1301.
L'Ordine lo festeggia l'8 giugno.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
17 Beato Stefano (Istvan) Sandor -
+ Ungheria, 8 giugno 1953
È nato nella terra gloriosa degli Ungari, magiaro egli stesso, con il medesimo nome del duca István cui papa Silvestro verso il 1000 conferì il titolo di re d’Ungheria, dopo che si fu convertito al cristianesimo.
Figlio di un popolo fiero, che mai s’è piegato del tutto alle prepotenze degli invasori: né agli ottomani, né agli Asburgo, né ai nazisti e nemmeno ai comunisti di Josif Vissarionovich Dzugasvili, detto Stalin (che significa “uomo d’acciaio”).
Ha sempre brigato o lottato apertamente per la propria indipendenza, contro tutto e contro tutti. Sandór aveva il sangue dei suoi avi: visse in anni difficili quando i rivolgimenti, gli attacchi improvvisi dei nemici, i voltafaccia dei governanti, le alleanze sbagliate, le guerre fredde e combattute, gli attentati, i capovolgimenti di fronte erano all’ordine del giorno. István nacque da un ferroviere e una casalinga di solidissimi principi morali, praticanti un cristianesimo non di facciata ma profondamente sentito e vissuto. Stefano (il padre) e Maria Fechete (la madre) allevarono tre figli: Stefano, Giovanni e Ladislao.
La scuola, i giochi, lo studio fecero loro trascorrere una giovinezza serena e normalissima corroborata, per Stefano (István in ungherese), da un carattere felice e altruista che lo spingeva ad aiutare i compagni in difficoltà, a trattenerli con giochi, racconti, piccole recite, passeggiate, ecc. Un mènage quotidiano che a coloro che hanno iniziato a raccoglierne le memorie richiamava quello di Giovannino Bosco.
Fu chierichetto e paggetto del Sacro Cuore con i padri francescani di Szolnok, suo paese natale. Furono proprio loro, notando le sorprendenti attitudini del ragazzo, a consigliargli di entrare a far parte dei salesiani: la sua irresistibile voglia di dedicarsi ai giovani, di radunarli, di intrattenerli con recite canti e racconti, di farli giocare, insomma di educarli, convinse i bravi frati francescani a dirottare quella vocazione “sicura” verso i salesiani di Don Bosco.
István li prese sul serio quei consigli perché era un giovane serio. E volle informarsi bene sulle persone che avrebbero potuto costituire la sua futura famiglia. Non trovò di meglio che il Bollettino Salesiano.
Lo leggeva tutto, con interesse sempre maggiore. Da quella rivista apprese di Don Bosco e delle sue incredibili imprese, tanto quanto di quelle dei suoi figli; poté apprezzare il suo metodo, sorprendersi del suo impegno costante e totale per la salvezza dei giovani, meravigliarsi del suo donarsi con gioia sacrificata ai più poveri e bisognosi.
Capì che non era il suo ideale continuare a fare l’operaio delle ferrovie, come suo padre, ciò che da qualche tempo aveva iniziato a fare. Don Bosco era una calamita… lo attirava sempre di più e sempre più invincibilmente finché riuscì a strappare il permesso ai genitori, dando così una sterzata ad U alla sua vita: nel febbraio del 1936 entrava per il periodo di aspirantato nella scuola tipografica del municipio di Rácospalota, e i salesiani se ne entusiasmarono subito: era un giovane-
Ma… fecero i conti senza l’oste, come si dice. István fu ripetutamente chiamato sotto le armi fino al 1941. S’annunciavano tempi bui per la sua patria. Riuscì a fare il noviziato ma subito dopo dovette vestire la divisa del soldato, suo malgrado. Fu anche per qualche tempo prigioniero degli americani in Germania, i quali nel 1945 lo rimandarono a casa.
L’esperienza militare non aveva scosso le sue convinzioni, queste se mai, erano riuscite rafforzate: Stefano aveva fatto il salesiano anche sotto le armi: amico sincero dei suoi commilitoni, pronto al servizio, disponibile al colloquio, soprattutto spirituale: da allora la trincea divenne il suo oratorio.
Ebbe anche parecchie decorazioni al valore. Quando tornò a Rácospalota, divenne maestro di tipografia, capo del piccolo clero nel santuario del Sacro Cuore, e assistente all’oratorio fino alla forzata nazionalizzazione delle scuole.
Quando lo Stato nel 1949, sotto Mátyás Rákosi, incamerò i beni ecclesiastici, Sandór cercò di salvare il salvabile, almeno qualche macchina tipografica e qualcosa dell’arredamento che tanti sacrifici era costato.
Di colpo i religiosi si ritrovarono senza più nulla, tutto era diventato dello Stato: l’occhio del Grande Fratello sorvegliava e dirigeva ogni cosa. Addio libertà. Lo stalinismo di Rákosi continuò ad accanirsi: i religiosi vennero dispersi.
Senza più casa, lavoro, comunità, molti si ridussero allo stato di clandestini. Travestiti e trasformati, si adattarono a fare di tutto: spazzini, contadini, manovali, facchini, servitori… Anche István dovette “sparire”, lasciando la sua tipografia che era diventata famosa.
Colto sul fatto (stava cercando di salvare delle macchine tipografiche), dovette fuggire in fretta e rimanere nascosto per alcuni mesi, poi, sotto altro nome, riuscì a farsi assumere in una fabbrica di detergenti della capitale, ma continuò impavido e clandestinamente il suo apostolato, pur sapendo che era attività rigorosamente proibita.
Un brutto giorno di metà luglio la polizia politica lo prelevò nella fabbrica dove lavorava. Lo trasferirono in prigione, e nessuno lo vide più.
Esiste solo un documento ufficiale che parla di un processo e della sua condanna a morte. István venne impiccato la sera dell’8 giugno 1953. Solo dopo il 1990 hanno comunicato la sua esecuzione ma il luogo della sepoltura nessuno lo conosce. (Fonte: www.sdb.org)
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18 San Vittorino -
La vita di San Vittorino è strettamente legata a quella del fratello San Severino.
Come lui, infatti, per essere perfetto seguì l'invito di Cristo e vendette tutto ciò che possedeva per distribuire il ricavato ai poveri.
Per darsi completamente a Dio ed isolarsi maggiormente dal mondo, lasciò dopo qualche anno il fratello e si rifugiò alle grotte di Sant'Eustachio, dove poi sorgerà un eremo benedettino, quindi sui monti di Pioraco (MC).
Vittima di forti tentazioni, si impose una dura e dolorosa penitenza: fece penzolare il suo corpo ad un albero con le mani strette fra due rami finché il fratello non andò a liberarlo.
Quando morì, nel 538, gli abitanti di Pioraco raccolsero con grande venerazione le sue spoglie, gli dedicarono la loro chiesa e lo elessero a patrono della loro città.
La sua immagine che fregiava lo stemma di quel comune, nel 1878 venne sostituita da un gambero rampante.
La sua festa cade l'8 giugno. (Autore: Elisabetta Nardi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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