Mondo degli Animali
*Accontentarsi *Chi ci pensa? *Come si catturano le scimmie *Due passerotti *Due teste *Gli animali indignati *I bruchi *I figli del ragno *Il cane allo specchio *Il falco pigro *Il falenino e la stella *Il filo del ragno *Il gallo e il diamante *Il giudizio universale *Il grillo del signor Fabre *Il lupo di Betlemme *Il passero di Natale *Il pinguino colorato *Il ranocchio vincitore *Il topo *Il topolino sagace *Il topolino *La farfalla *La pecora *La tartaruga sciocca *L'avventura dei ricci *Le cavallette nella zuppa *Le due caprette *Le stelle marine *Lo scoiattolo Bernardo *Lo Spaventapasseri *Lo stagno e le oche *Lo struzzo Oliver *Meno di Niente *Mi ami *Rapporto all'aquila *Un cucciolo
Alla fine si era abituato. Dopo qualche mese trovò di suo gradimento anche il mangime dei polli. Si accontentò di razzolare. Così non si accorse che le piogge autunnali e la neve dell'inverno avevano fatto marcire la corda che lo legava a terra.
Sarebbe bastato un ultimo modesto strattone e il falco sarebbe tornato in libertà, padrone del cielo.
Ma non lo diede più.
Il nostro corpo fatica anche solo a salire una rampa di scale. Ma la nostra anima ha le ali e il cielo è nostro.
Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro. Nuotando pigramente in tondo avevano anche troppo da filosofare. Un giorno un pesce chiese all’altro: “Tu credi in Dio?”. “Certo!”. “E come fai a saperlo?”. “Chi credi che ci cambi l’acqua, tutti i giorni?”.
La vita scorre dentro di noi come un fiume tranquillo ed è un miracolo. Ma facciamo l’abitudine anche ai miracoli. Ogni giorno è un dono tutto nuovo, una pagina bianca da scrivere. Dio ci cambia l’acqua tutti i giorni.
I cacciatori di scimmie hanno escogitato un me geniale e infallibile per catturarle. Quando han scoperto la zona della foresta in cui più spesso si radunano, affondano nel terreno dei vasi con il collo lungo e stretto. Con molta attenzione coprono di terra i vasi, lasciando libera solo l'apertura a pelo d'erba. Poi mettono nel vaso una manciata di riso e bacche di cui le scimmie sono molto ghiotte.
Quando i cacciatori si sono allontanati, le scimmie ritornano. Curiose per natura, esaminano i vasi e, quando si accorgono delle ghiottonerie che con infilano le mani dentro e abbrancano un grossa manata di cibo, la più grossa possibile. Ma il collo dei vasi è molto stretto. Una mano vuota vi scivola dentro, quando è piena non può assolutamente venire fuori. Allora le scimmie tirano, tirano.
È il momento che i cacciatori, nascosti nei paraggi, aspettano. Si precipitano sulle scimmie e le cattura facilmente. Perché esse si dibattono violentemente, ma non le sfiora neppure per un attimo il pensiero di aprire la mano e abbandonare ciò che stringono in pugno.
Quanta gente perde la vita per la paura di allentare i pugni con cui stringe ciò che crede indispensabile ed è inutile.
Eleganti e sorridenti, i cacciatori sono sempre in azione: nascondono le loro trappole sulle riviste poi nei teleschermi e agli angoli delle strade. Nasce così un popolo dai pugni perennemente chiusi e il cuore spento.
Non dimenticare quanto ha detto Gesù: «Non ab paura, piccolo gregge, perché il Padre vostro ha voluto darvi il suo regno. Vendete quello che possedete e il denaro datelo ai poveri: procuratevi ricchezze che non si consumano, un tesoro sicuro in cielo Là, i ladri non possono arrivare e la ruggine non lo può distruggere. Perché dove sono le vostre ricchezze là c'è anche il vostro cuore» (Luca 12,32-34).
*Due passerotti
Due passerotti se ne stavano beatamente a prendere il fresco sulla stessa pianta, che era un salice. Uno si era appollaiato sulla cima del salice, l’altro in basso su una biforcazione dei rami.
Dopo un po’, il passerotto che stava in alto, tanto per rompere il ghiaccio, dopo la siesta, disse: “Oh, come sono belle queste foglie verdi!”. Il passerotto che stava in basso la prese come una provocazione. Gli rispose in modo seccato: “Ma sei orbo? Non vedi che sono bianche?!”.
E quello di sopra, indispettito: “Sei orbo tu! Sono verdi!”. E l’altro dal basso con il becco in su: “Ci scommetto le piume della coda che sono bianche. Tu non capisci nulla. Sei matto!”. Il passerotto della cima si sentì bollire il sangue e senza pensarci due volte si precipitò sul suo avversario per dargli una lezione. L’altro non si mosse.
Quando furono vicini, uno di fronte all’altro, con le piume del collo arruffate per l’ira, prima di cominciare il duello ebbero la lealtà di guardare nella stessa direzione, verso l’alto. Il passerotto che veniva dall’alto, emise un “Oh” di meraviglia: “Guarda un po’ che sono bianche”. Disse però al suo amico: “Prova un po’ a venire lassù dove stavo prima”. Volarono sul più alto ramo del salice e questa volta dissero in coro: “Guarda un po’ che sono verdi”.
Non giudicare nessuno se prima non hai camminato un’ora nelle sue scarpe.
Sulle sponde di un lago nell' India del Nord, c'era una volta uno strano uccello che ave due teste, una a destra e una a sinistra. Due teste ma un corpo solo.
Un giorno, mentre gironzolava in cerca di cibo, con gli occhi della testa di destra vide un favo di miele selvatico, e subito vi si buttò sopra. La testa di sinistra disse: «Dammene anche a me».
Ma la testa di destra non diede ascolto, e se lo beccò tutto in pochi istanti. Allora la testa di sinistra giurò vendetta; e mentre l'uccello vagava per un bosco, ecco a sinistra certe bacche amarissime. La testa di sinistra le scorse per prima e, pur sapendo che non erano buone e avrebbero fatto male allo stomaco, ne beccò quante poté.
E nel frattempo pensava: «Poi avremo mal di pancia; ma gli sta bene, a quell'egoista dell'altra parte; così impara la solidarietà».
Poco dopo, l'uccello si sentì colto da atroci dolori: le bacche erano velenose, e in breve tempo gli causarono la morte.
Morirono ugualmente le due teste, quella di destra e quella di sinistra, perché nessuna delle due aveva avuto cervello.
Così muoiono tante famiglie. Per paura di amare.
«I legami profondi mi hanno sempre spaventato» ammette uno studente, «perché hanno tutta l'aria di imporre delle grosse realtà. Ho sempre temuto di non po adempire alle molte esigenze e richieste che un impegno del genere trascina con sé. Per questo mi sono sorpreso a constatare, quando alla fine ho trovato il coraggio di avviare un rapporto affettivo approfondito e stabile, che mi sentivo più forte di prima. Da quel momento ho avuto l'impressione di disporre di due cervelli e non di uno; e così pure di quattro mani di quattro braccia, di quattro gambe e di un altro mondo. La mia capacità di realizzarmi e di evolvermi è parsa raddoppiare, come si sono raddoppiate le alternative a mia disposizione. Adesso amare gli altri mi riesce assai più facile. Mi sento molto più forte, non ho più paura».
Un giorno gli animali decisero una grande dimostrazione di protesta. Il loro lungo e chiassoso corteo marciò abbastanza ordinatamente. Solo qualche scimmia “black block” disturbò i passanti, un orangutan spaccò una vetrina e le pecore si rifiutarono di sfilare vicino ai lupi per ovvi motivi.
Quando arrivarono in Piazza San Giovanni, i rappresentanti di ogni categoria salirono sul palco ed esposero le loro lagnanze contro gli uomini che li sfruttavano e portavano via con la forza i loro prodotti.
“Si prendono il mio latte!” muggì la mucca.
“Portano via le mie uova!”, starnazzò la gallina.
“Divorano la mia carne”, grugnì il maiale.
“Mi uccidono per l’olio”, si lamentò la balena.
E così l’ape, il coccodrillo, la capra e molti altri.
Ultima, secondo logica, si presentò la lumaca.
“Io ho qualcosa che agli uomini piacerebbe tanto avere, più di ogni altra cosa. Qualcosa che mi porterebbero sicuramente via, se potessero. Io ho tempo…”.
“E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?” (Matteo 6,27).
Molti uomini del nostro tempo pensano e vivono come i bruchi.
Mangiano, bevono e si divertono più che possono: dopotutto non si vive una volta sola? Nulla di male, sia ben chiaro. Ma la loro vita è tutta qui. Per loro, la parola risurrezione non significa nulla.
Eppure non sono felici...
*I figli del ragno
Appena arrivati nella casa di montagna, la mamma di Marco, 4 anni, comincia a dar la caccia ai ragni che hanno fatto ragnatele dappertutto. Marco allora interviene: “I ragnini piccoli non ammazzarli”. E la mamma: “Ma non vedi come sono brutti?”. E lui: “Ma per le loro mamme sono tanto carini”.
“Dio è un papà che vuol bene come una mamma, ha detto una bambina al catechismo”. Forse non trovi in te stesso tante cose che ti piacciono. Ma per Dio sei la creatura più bella dell’Universo.
Vagabondando qua e là, un grosso cane finì in una stanza in cui le pareti erano dei grandi specchi.
Così si vide improvvisamente circondato da cani. Si infuriò, cominciò a digrignare i denti e a ringhiare. Tutti i cani delle pareti, naturalmente, fecero altrettanto, scoprendo le loro minacciose zanne.
Il cane cominciò a girare vorticosamente su se stesso per difendersi contro gli attaccanti, poi abbaiando rabbiosamente si scagliò contro uno dei suoi presunti assalitori.
Finì a terra tramortito e sanguinante per il tremendo urto contro lo specchio.
Avesse scodinzolato in modo amichevole una sola volta, tutti i cani degli specchi l'avrebbero ricambiato. E sarebbe stato un incontro festoso.
Si trova sempre ciò che si aspetta di trovare.
C'era una volta un uomo seduto ai bordi di un'oasi all'entrata di una città del Medio Oriente. Un giovane si avvicinò e gli domandò: "Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?".
Il vecchio gli rispose con una domanda: "Com'erano gli abitanti della città da cui vieni?".
"Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là".
"Così sono gli abitanti di questa città", gli rispose il vecchio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda: "Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?".
L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda: "Com'erano gli abitanti della città da cui vieni?".
"Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli".
"Anche gli abitanti di questa città sono così", rispose il vecchio.
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero: "Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?".
"Figlio mio", rispose il vecchio, "ciascuno porta il suo universo nel cuore. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici nell'altra città troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perché, vedi, le persone sono ciò che noi troviamo in loro".
Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato. "E l'altro?" chiese il re.
"Mi dispiace, sire, ma l'altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell'albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo".
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno poté schiodare il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull'albero, giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. "Portatemi l'autore di questo miracolo", ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. "Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?" gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò: "Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare".
Talvolta, Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo a cui siamo tenacemente attaccati, affinché ci rendiamo conto di avere le ali.
Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella. Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour. “Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro”, gli spiegò. “Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro”. “Almeno lì approdi a qualcosa”, disse il padre. “Andando dietro alle stelle non approdi a niente”. Ma il balenino non diede ascolto né all’uno né all’altra. Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica. Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: “Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura! Un balenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!”. Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada né intorno alle lampade di casa: continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo. Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.
La stella della speranza è un segno distintivo. Ogni giorno dovresti chiedere la fede per osare l’impossibile. Chi desidera operare con Cristo e, di conseguenza, trasformare il mondo, rifiuterà di adeguarsi a leggi ed ordinamenti precostituiti. Sarà disobbediente, quando altri obbediranno, eseguirà quando altri troveranno insensato l’ordine impartito. Il mondo gli apparirà una prigione, quando altri parleranno di libertà, ed esso sarà trasparente agli occhi della sua fede, quando altri saranno disperati, sentendosi prigionieri. Fare cose impossibili è il realismo di coloro che conoscono la voce del Signore. Se c’è una stella nel cielo della tua vita, non perdere tempo a scottarti a qualche lampadina.
Un povero gallo sconvolto e affamato andava disperatamente alla ricerca di qualcosa da mangiare. Becchettava ovunque, sotto fasci di legna, tra le foglie, intorno alle pietre e anche dietro ogni sassolino che poteva trovare. All’improvviso il gallo si fermò.
Lì, davanti a lui, c’era una pietra diversa dalle altre che brillava in modo particolare. Il gallo cominciò a fissarla perplesso. Poi, di colpo, capì. Quella non era una pietra comune. La sua forma, il suo sfavillio e la sua dimensione lo dimostravano bene. “Gli uomini ti chiamerebbero diamante”, borbottò il gallo affamato, “ma, speciale o no, per me tu non vali più di un grano di riso”, concluse e si voltò per continuare a becchettare.
Morale: coloro che sono preoccupati solo di “beccare”, passano accanto ai valori più preziosi, e neanche se ne accorgono. Per scoprire ciò che conta veramente, bisogna volerlo cercare. “Non date ai cani ciò che è santo, perché non si rivoltino contro di voi per sbranarvi. Non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino con le zampe”, dice Gesù (Vangelo di Matteo 7,6).
Dopo una vita semplice e serena, una donna morì e si trovò subito a far parte di una lunga e ordina processione di persone che avanzavano lenti verso il Giudice Supremo. Man mano che si avvicinava alla mèta, udiva sempre più distinta le parole del Signore.
Udì così che il Signore diceva ad uno: «Tu mi hai soccorso quando ero ferito sull'autostrada e mi hai portato all'ospedale, entra nel mio Paradiso». Poi ad un altro: «Tu hai fatto un prestito senza interessi ad una vedova, vieni a ricevere il premio eterno». E ancora: «Tu hai fatto gratuitamente operazioni chirurgica molto difficili, aiutandomi a ridare la speranza a molti, entra nel mio Regno». E così via.
La povera donna venne presa dallo sgomento però, per quanto si sforzasse, non ricordava di aver fatto in vita sua niente di eccezionale. Cercò di lascia la fila per avere il tempo di pensare, ma non le fu assolutamente possibile: un angelo sorridente ma de non le permise di abbandonare la lunga coda.
Col cuore che le batteva forte, e tanto timore, arò davanti al Signore. Subito si sentì avvolta dal suo sorriso.
«Tu hai stirato tutte le mie camicie... Entra nella mia felicità».
A volte è così difficile immaginare quanto sia straordinario l'ordinario.
Siamo a Londra. In una vasta e tumultuosa via alberata di Londra. Strepito di cavalli e di carrozze, vociare di mercanti e di strilloni. Trambusto di uomini e di mezzi. Chi corre perché ha fretta. Chi passeggia. Un po' di tutto. Un via vai continuo. Ma ecco... quel signore che si è fermato. Pare in ascolto. Ma di che? Trattiene per un braccio l'amico e gli sussurra: "Senti? C'è un grillo!". L'amico lo guarda stralunato: com'è possibile sentire il cri-cri di un grillo in quel mondo di rumori? "Ma cosa dice, professore? Un grillo?!". E il signore, che si è fermato, come guidato da un radar, si accosta lentamente a un minuscolo ciuffo d'erba ai piedi di un albero. Con delicatezza sposta steli e dice: "Eccolo!". L'amico si curva. É davvero un piccolo grillo. Stupore per il fatto del grillo a Londra. Ma doppio stupore per averlo sentito. D'accordo. Per avvertire certe "voci", occorre grande capacità d'ascolto. E quel signore ce l'aveva.
Era il grande etmologo francese Jean Henry Fabre. E la sua grande capacità di ascolto era rivolta in modo specifico al mondo degli insetti.
"Ma come ha fatto a sentire il grillo in tutto questo chiasso?" domanda l'amico al signor Fabre, mentre riprendono il cammino.
"Perché voglio bene a quelle piccole creature. Tutti sentono le voci che amano, anche se sono debolissime. Vuoi che proviamo?".
Il signor Fabre si ferma. Estrae dal borsellino una sterlina d'oro e la lascia cadere a terra. É un piccolo denaro, ma una decina di persone che camminano sul marciapiede si voltano di scatto a fissare la moneta.
"Hai visto" dice il signor Fabre, "Queste persone amano il denaro e ne percepiscono il suono, anche tra lo strepito più chiassoso".
Per avvertire certe "voci" occorre una grande capacità di ascolto. E la capacità di ascolto di certe "voci" c'è, se tu quelle "voci" le ami. Il signor Fabre è stato un grande nel mondo degli insetti per la sua capacità di ascolto, scaturitagli dal suo amore verso quelle piccole creature.
Chi vuol diventare "grande" - in qualunque campo, soprattutto nel "campo" di Dio" - deve avere una grande capacità di ascolto.
Quando mise fuori la testa dall'uovo, fu accolto dalla felicità di tutti.
La comunità dei pinguini dell'Isola Azzurra si strinse intorno a Priscilla e Dagoberto, i suoi genitori, che avevano gli occhi luccicanti e non stavano più nel frac per l'orgoglio.
Perché Filippo era davvero un bel neonato di pinguino.
Aprì il becco ed emise un robusto vagito. Tutti i pinguini presenti applaudirono.
"È un ottimo segno!" disse lo zio Fortebecco.
"È impaziente di affrontare la vita".
Filippo, in effetti, partì alla carica della vita con una gran dose di energia.
Appena le sue zampette furono abbastanza robuste, si allontanò dallo sguardo premuroso dei genitori per infilarsi fra i più discoli dei piccoli pinguini della comunità.
Erano tutti più anziani di lui, ma nessuno lo batteva in coraggio e temerarietà.
Fu Filippo il primo piccolo di pinguino che osò scivolare dalla punta del grande iceberg fino al mare, anche se poi non poté sedersi per due settimane a causa del bruciore sotto la coda.
Fu sempre Filippo, il coraggioso piccolo pinguino, che portò via la colazione all'enorme e spaventoso tricheco Baffodiferro.
Nella banda dei "pinguini irsuti", chiamati così perché si rifiutavano sistematicamente di lasciarsi pettinare le piume del capo dalle loro mamme, Filippo divenne l'incontrastato boss.
"Perché sei sempre così agitato, Filippo mio?", gli chiedeva la mamma, un po' in ansia per quel figlio che cresceva così scapestrato.
Con gli amici, Dagoberto era sinceramente preoccupato:
"Quel monello ha bisogno di una bella strigliata!"
Così spesso, alla sera, Dagoberto, Priscilla e Filippo rappresentavano, senza volerlo, la versione pinguinesca del processo di Norimberga.
"É tutta colpa tua!".
"No, tua!".
"É colpa di Filippo!".
La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava:
"Non ne posso più!".
I colori della vita
Un giorno il pinguino Filippo se ne stava sdraiato su una roccia a picco sul mare ed osservava annoiato il formicolio dei pinguini della comunità.
Sembravano tutti felici; lui, invece si sentiva pieno di amarezza.
"Che barba! Un posto tutto bianco, grigio e nero. Dove nessuno si fa i fatti suoi... Deve pur esserci un paese colorato. Pieno di gente colorata. Potrei diventare anch'io pieno di colori... Non ne posso più di questa camicia bianca e di questo ridicolo frac!"
E, impulsivo com'era, si lasciò scivolare giù dalla roccia, si tuffò tra le onde e nuotò via dall'Isola Azzurra.
Approdò alla Terraferma
Gli avevano sempre raccomandato di evitare il litorale. I pinguini si tenevano prudentemente alla larga dagli anfratti in ombra degli scogli, dove le onde infrangevano con violenza rabbiosa, e foche, piccoli cetacei e altri predatori si acquattavano per far strage degli imprudenti.
"Adesso sono libero e faccio come mi pare", si disse Filippo.
Si arrampicò a fatica e si incamminò sulla spiaggia.
Un forte sbattere d'ali alle sue spalle lo mise in guardia. Un giovane cormorano aveva deciso di attaccarlo.
Ma Filippo era robusto e dotato di un becco forte e tagliente.
Lottarono per un po', facendo volare piume da tutte le parti.
Filippo ci mise tutta la sua rabbia. Il cormorano cominciò a perdere sangue da una ferita alla gola e si spaventò. Si ritirò dal combattimento e volò via lamentandosi e imprecando.
"Aah!", fece Filippo, gonfiando il petto con soddisfazione.
Alcune gocce di sangue del cormorano erano finite sulle sue piume bianche. Il pinguino guardò le macchie rosse e disse:
"Bene! Comincio ad essere colorato".
Ondeggiando, ma più che mai risoluto a continuare la sua esplorazione, Filippo si inoltrò tra le rocce.
"Ehi, amico!!", Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Era pronto di nuovo a combattere, ma di fronte si trovò solo un gabbiano giovane e inoffensivo.
"Ti ho visto sistemare il cormorano", disse il gabbiano. "Sei un duro, tu".
"Certo", rispose Filippo.
"Ti invito a pranzo", insinuò furbescamente il gabbiano.
"Che cosa vuoi dire?".
"Andiamo a rubare le uova dai nidi delle rondini di mare, che ne dici? In due non oseranno farci niente".
Fecero una scorpacciata di uova.
Le povere rondini di mare tentarono invano di difendere i loro nidi. I due briganti mulinavano ali e becchi.
Alla fine, Filippo si guardò il petto: era tutto macchiato dal giallo e arancione dei tuorli d'uovo.
"Altri colori!", si disse. "Questa è vita".
Dietro di lui, si sentiva solo il disperato pigolare delle rondini di mare, che piangevano i nidi e le uova distrutti.
Il grande salto
Si installò in una grotta di ghiaccio azzurra, e ne fece il suo covo.
Un gruppetto di gabbiani e perfino un'otaria con un occhio solo lo riconobbero come capo banda.
Le scorribande del gruppetto furono ben presto temute da tutti.
Filippo veniva chiamato semplicemente "Il pinguino colorato". Infatti la sua elegante livrea bianca e nera era sparita sotto i segni delle imprese che aveva affrontato.
Oltre il rosso del sangue e il giallo delle uova rubate, c'erano tracce verdi, azzurre e anche ciuffi di pelo argentato, che gli erano rimasti attaccati dopo un' epica lotta contro un Husky randagio.
Ma che serviva essere diventato davvero il primo pinguino a colori, se non poteva farsi ammirare dai suoi vecchi amici e dalla sua famiglia?
Il pensiero dell'Isola Azzurra prese a torturarlo.
Anche se non voleva ammettere, sentiva un bel po' di nostalgia dell'allegra comunità dei pinguini.
"Avere una vita colorata non è proprio come me la immaginavo", si diceva sempre più spesso.
Quella esistenza di fughe, attacchi, lotte e brigantaggio non gli piaceva più tanto.
Un mattino riprese la via del mare e tornò a casa
I primi pinguini dell'Isola Azzurra che incontrò erano dei piccoli che giocavano sulle lastre di ghiaccio galleggianti.
Appena lo videro si misero a strillare e scapparono gridando:
"Un mostro! Un mostro!".
Gli adulti fecero largo al suo passaggio, ma non per fargli onore. Lo guardavano tutti con una sorta di ribrezzo.
"Ma perché? Idioti, sono io, non mi riconoscete?", brontolava Filippo.
"Filippo, figliuolo, lo sapevo che saresti tornato". La mamma naturalmente lo riconobbe, ma non osò abbracciarlo.
"Ma in che stato sei...".
"Bentornato, Filippo", gli disse anche il papà. Ma non lo toccò.
Le comari tutt'intorno borbottavano: "Che disgrazia! Poveri genitori...".
Per la prima volta nella sua vita, a Filippo venne voglia di piangere.
Improvvisamente comprese che i suoi colori continuavano a tenerlo lontano; lo rendevano straniero alla comunità dell'Isola Azzurra.
Mentre lui, solo adesso, si accorgeva che soltanto lì poteva essere veramente felice.
Ma come si fa a tornare indietro?
"Papà", chiese.
"Vorrei cancellare questi colori e ricominciare, se è possibile".
Dragoberto esitò, poi guardò Filippo negli occhi e disse:
"C'è un mezzo solo: devi tuffarti dalla Grande Cascata. Laggiù l'acqua è così violenta e rapida che nessun colore può resistere. Ma è tremendamente rischioso. Ci vorrà il tuo coraggio. Te la senti di farlo?".
"Si, papà".
La voce si sparse in un attimo.
Nel giro di pochi minuti c'erano tutti, grandi e piccoli, intorno alla grande cascata.
Non riuscirono a trattenere un "Oh!" sincero quando in alto, dove il fiume precipitava in mare con un fragoroso boato, apparve Filippo. Sembrava così piccolo lassù.
Rimase un attimo fermo a concentrarsi, poi spiccò il salto.
Un salto stupendo, come se improvvisamente gli fossero spuntate le ali.
La corrente lo ghermì come un fuscello e lo scagliò violentemente nel mare ribollente e schiumante.
Il pinguino sparì nel vortice. Tutti trattennero il fiato.
Poi ad un tratto Filippo riemerse.
La forza stessa dell'acqua lo proiettò in alto e tutti videro che le sue piume erano diventate immacolate e che i colori erano scomparsi.
Allora esplosero in un festoso: "Urrà!", che coprì perfino il tuonare dell'acqua.
L'esperienza nascosta nel racconto:
Il pinguino Filippo è annoiato dalla vita di tutti i giorni che è soltanto "bianca, grigia e nera". Sono molti i ragazzi di oggi che considerano noioso ciò che è normale.
La cultura in cui sono immersi è sempre alla ricerca di eccitanti per i sensi, per la mente, per lo spirito.
Questa ricerca travolge limiti e regole. Filippo cerca i colori, li trova diventando ingiusto, ladro, cattivo.
Soltanto quando è davvero diventato colorato si accorge del prezzo da pagare: l'insoddisfazione personale e soprattutto l'allontanamento dalla sua famiglia e dalla comunità. È il prezzo del male, del peccato: essere tagliati fuori, perdere l'identità.
Ma nella comunità dell'Isola Azzurra c'è il modo di cancellare tutto, di ricominciare. É quello che succede nella Chiesa: Dio ci dà la possibilità di cancellare tutti i colori sbagliati.
Bisogna solo avere il coraggio di buttarsi nella Grande Cascata dell'Amore infinito di Dio che è il Sacramento della Riconciliazione.
Per il dialogo:
L'educatore deve aiutare i ragazzi a percepire il significato simbolico della storia del pinguino Filippo e a riflettere contemporaneamente sulla realtà che anche loro stanno vivendo. Lo può fare con alcune domande:
- Perché il pinguino Filippo decide di partire dalla sua isola?
- Vi è mai venuta la voglia di "mollare tutto"? Quando? Perché?
- Secondo voi, che cosa sono i colori che Filippo cerca?
- Di che tipo sono i colori che Filippo trova? Vi ricordano qualcosa?
- Ci sono certe cose che i ragazzi di oggi desiderano ma che, secondo voi, sono un male? Ne sapete ricordare qualcuna?
- Perché Filippo non viene riconosciuto e accettato nella sua comunità?
- Nella nostra comunità parrocchiale c'è qualche modo particolare per riconoscere di aver sbagliato e per riaccettare quelli che riconoscono di aver commesso il male?
Per l'attività:
I ragazzi possono fare l'esame di coscienza con un cartellone sul quale si trovano i "colori sbagliati": (il rosso dell'ira, il giallo dell'invidia, il viola delle parolacce, il rosa della pigrizia, ecc...)
Anche la Bibbia racconta...
L'evangelista Giovanni (13, 21-30), racconta il tradimento di Giuda e lo conclude con queste parole: "Egli subito uscì. Ed era notte". Il peccato è uscire dalla luce della comunità degli amici di Gesù ed entrare nella notte.
*Il ranocchio vincitore
C'era una volta una gara ... di ranocchi. L'obiettivo era arrivare in cima a una gran torre. Richiamata dall'insolito spettacolo, si radunò molta gente per vedere e fare il tifo. Cominciò la gara, ma in realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi del tipo: "Ma che pena!!! Non ce la faranno mai!" E così alcuni ranocchi, che percepirono questi commenti, cominciarono a desistere, sfiduciati, tranne uno, che continuava a cercare di raggiungere la cima. Ma la gente continuava:
"... Che pena!!! Non ce la faranno mai!..."
Sennonché molti ranocchi si diedero per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere. Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio testardo, che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine, la cima.
Quindi, com'è naturale che fosse, gli altri vollero sapere come avesse fatto e uno degli altri ranocchi più curiosi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere quella difficile prova. Non ottenne risposta. E cosi si scoprì che quel ranocchio vincitore... era sordo!
Morale: non ascoltare le persone con la pessima abitudine di essere negative... derubano le migliori speranze del tuo cuore! Ricorda sempre il potere che hanno le parole che ascolti o leggi. Per cui, preoccupati di essere sempre positivo! Riassumendo: Sii sempre sordo quando qualcuno ti dice che non puoi realizzare i tuoi sogni. E ricorda: l'ottimismo è la concezione filosofica secondo la quale il mondo è ordinato positivamente e il bene deve necessariamente prevalere sul male.
Un topo, un nobile gentile e di bell'aspetto topo domestico, durante una delle sue disperate corse per sfuggire al gatto, si trovò un bel giorno nella cantina di una ricca villa. Là, a causa del buio, finì dentro una strana pozzanghera. Era una pozzanghera di ottimo brandy, sfuggito dallo spinotto difettoso di una botticella di pregiato rovere.
Il buon topo dapprima diede qualche timida leccata a quel liquido curioso. Il sapore gli piacque. Aveva un gusto forte e deciso, scendeva in gola con il fuoco.
Quando ebbe «bevuto» la pozzanghera, il topo si raddrizzò, picchiò i pugni sul petto, fece la faccia felice e gridò: «Dov'è il gatto?».
Troppa gente, in questo nostro tempo, ha solo il coraggio del topo.
Un topolino che si apprestava a uscire dal suo buco intravide un gatto appostato là fuori. Tornò in fondo al buco e invitò un amico a fare una capatina insieme ad un certo sacco di grano.
“Sarei andato anche solo”, disse “ma non posso negarmi il piacere di una compagnia così distinta”. “Benissimo”, disse l’amico “verrò con te. Fai strada”. “Io?”, esclamò l’altro. “Io precedere un topo illustre e famoso come te?
Non sia mai. Seguo piuttosto vostra signoria…”. Lusingato del grande sfoggio di deferenza, l’amico andò per primo e, uscendo dal buco, venne catturato dal gatto, che trotterellò via con la sua preda. L’altro uscì indisturbato.
C’è gente che ti butta sulla testa un vaso di fiori dal quinto piano e poi dice: ”Ecco, ti regalo delle rose”.
*La farfalla
A Elena piaceva moltissimo passeggiare nel bosco. Era una ragazzina dolce e un po’ svagata e il bosco dietro il paese era diventato il suo rifugio preferito.
Un giorno, mentre camminava, vide una farfalla impigliata in un rovo.
Con molta cura, facendo attenzione a non rovinarle le splendide ali, la liberò.
La farfalla volò via per un tratto, poi improvvisamente tornò indietro e si trasformò in una splendida fata. Elena rimase a bocca aperta, perché fino a quel momento le fate le aveva viste solo nei libri per bambini.
“Per ringraziarti della tua gentilezza d’animo”, disse la fata, “esaudirò il tuo più grande desiderio”. Proprio come dicono le fate nei libri…
La ragazzina rifletté un istante e poi rispose: “Voglio essere felice”.
Allora la fata si piegò su di lei, le mormorò qualcosa all’orecchio e scomparve.
Elena divenne donna e nessuno in tutto il paese era più felice di lei. Quando le chiedevano il segreto della sua gioia, si limitava a sorridere e diceva: “Ho seguito il consiglio della buona fata”.
Gli anni passarono, Elena divenne vecchia, ma era sempre la più dolce e felice vecchina del paese. I vicini e anche i suoi nipoti temevano che il favoloso segreto potesse morire con lei.
“Rivelaci che cosa ti ha detto la fatina”, la scongiuravano.
Finalmente la deliziosa vecchina, sorridendo, disse: “Mi ha rivelato che, anche se appaiono sicuri, tutti hanno bisogno di me!”.
Che cosa sarei io, senza di te che mi sei venuta incontro?
Che cosa sarei io, senza di te, se non un cuore addormentato nel bosco?
Se non un’ora ferma sul quadrante dell’orologio?
Che cosa sarei io senza di te, se non questo balbettare? (Aragon)
"Due robuste corna, che ne dici?".
Non è la nostra durezza a darci il tepore la notte, ma la tenerezza, che fa desiderare agli altri di scaldarci. La vera forza dell'uomo è la sua tenerezza.
Un giorno, in una valle lontana, cominciò a piovere, e piovve tanto che tutta la campagna fu inondata. Ancora un po’ e solo le montagne sarebbero spuntate dall’acqua, che saliva, saliva sempre… A un tratto si udì qualcuno che piangeva.
Era una tartaruga: la più lenta, la più sciocca del mondo. “Perché piangi?”, gracchiò un’oca che volava sopra di lei. “Affogherò!”, singhiozzò la tartaruga. “Per te è facile, tu puoi volare. Ma le mie gambe son così corte, che mi ci vorrà un mese per arrivare sulle montagne!”. “Quante storie!”, tagliò corto l’oca. “Vado a chiamare mia sorella e ti porteremo noi sulle montagne!”. Quando le due oche tornarono, l’acqua arrivava già al collo della tartaruga.
Si abbassarono, portando nel becco un ramo. La tartaruga vi si afferrò con la bocca e le oche la sollevarono con un gran sbattere d’ali. Volarono così sopra le acque, in direzione delle montagne, dove la tribù delle tartarughe si era già radunata. Infatti, le altre tartarughe, meno sciocche, si erano subito dirette sui monti non appena avevano visto l’acqua salire.
Ma erano comunque molto felici nel vedere i due uccelli portare in salvo la più lenta, la più sciocca tra loro. Lanciarono alte grida di evviva e cantarono in coro per festeggiare i due volatili. “Viva viva e poi urra. Su cantiamo tutte in coro. Per le oche salvatrici…”.
Ma mentre era ancora in volo, la più lenta, la più sciocca delle tartarughe non potè fare a meno di unirsi al coro. Aprì la bocca e cantò: “… Hip hip hip e poi urrà… AAAAAAAH!!!”.
Imparare a controllare la propria bocca non è cosa da poco. Alla tartaruga sciocca costò la vita. “Ciò che esce dalla bocca viene dal cuore dell’uomo e per questo può renderlo impuro”, dice Gesù (Matteo, 1,18).
Un'estate, una famiglia di ricci venne ad abitare nella foresta. Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi. Fol nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mo per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane. Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno. Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po' più fredde, dormivano, sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo. Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie. I ricci trema tutto il giorno, e la notte non potevano chiude occhio, tanto avevano freddo.
Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all'altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe. Timidamente, si av ancora, ma di nuovo si punsero il muso. E tutte le volte che uno correva verso l'altro, capita là stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini: gli uccelli si tenevano caldo uno con l'al così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.
Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accosta l'uno all'altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.
Dovrebbe esistere anche un «Decalogo della te». Potrebbe essere, più o meno, così:
1. Poiché la tenerezza è possibile, non c'è nessuna ragione per starne senza.
2. Parlatevi un po' ogni giorno.
3. Crescete insieme, continuamente.
4. Stimati. Gli unici che apprezzano uno zerbino sono quelli che hanno le scarpe sporche.
5. Sii compassionevole.
6. Sii gentile. L'amore non ammette le cattive maniere.
7. Scopri il lato buono e bello delle persone, anche quando fanno di tutto per nasconderlo.
8. Non temere i dissapori e i litigi: solo i morti e gli indifferenti non litigano mai.
9. Non farti coinvolgere dalle piccole irritazioni e meschinità quotidiane.
10 Continua a ridere. Tiene in esercizio il cuo e protegge da disturbi cardiaci.
Un giorno, su uno stretto ponticello che attraversava un tumultuoso e profondo torrente si trovarono, testa contro testa, due caprette, provenienti dalla riva opposta. Entrambe volevano attraversare.
- Togliti di mezzo! -, gridò la prima.
- Sei diventata matta? -, replicò l'altra.
- Sono arrivata prima io sul ponte! -.
- Questa è proprio una stupidaggine. Non ti accorgi che io sono più anziana di te? Cedimi il passo!-.
- Se è solo per questo, io sono molto più forte! -.
Nessuna delle due intendeva cedere. Continuarono con insulti sempre più offensivi. Le corna si sfiorarono minacciose, poi violenta scoppiò la lotta. Le due caprette arretravano di qualche passo, prendevano la rincorsa e poi cozzavano una contro l'altra con tutta la forza.
Al terzo irruente scontro le due caprette persero l'equilibrio e precipitarono entrambe nelle schiumose e travolgenti acque del torrente.
Una tempesta terribile si abbatté sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l'acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d'acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l'acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell'agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.
Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche delle troupe televisive per filmare lo strano fenomeno. Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo.
Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c'era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.
All'improvviso, il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre piccole stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell'acqua. Poi tornò indietro e ripeté l'operazione.
Dalla balaustrata di cemento, un uomo lo chiamò.
"Ma che fai, ragazzino?".
"Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia" rispose il bambino senza smettere di correre.
"Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!" gridò l'uomo.
"E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!".
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un'altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: "Ho cambiato le cose per questa qui".
L'uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine nell'acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell'acqua.
Così furono salvate tutte.
Per cambiare il mondo basterebbe che qualcuno, anche piccolo, avesse il coraggio di incominciare.
C'era una volta, nel parco di un vecchio castello, ormai diroccato, una grande, antica e generosa quercia. Proprio nella quercia, alla biforcazione di due rami, cinque allegri scoiattoli striati avevano costruito la loro casa.
La casa degli scoiattoli aveva sette capaci magazzini, spalancati come bocche di uccellini sempre affamati. Per tutta l'estate, gli scoiattoli non facevano che correre, giorno e notte, per riempirli di cibarie. Sapevano che l'inverno era lungo e crudele e dovevano affrontarlo con la dispensa piena, se volevano arrivare a vedere la primavera. Gli scoiattoli non si riposavano mai: si davano da fare freneticamente per raccogliere ed ammassare grano e noci, ghiande e bacche. Lavoravano tutti. Tutti, tranne Bernardo.
Bernardo era uno scoiattolo dal musetto intelligente, le orecchie da filosofo, il pelame lucente e una bella coda folta. Ma mentre i suoi compagni correvano avanti e indietro trafelati con le zampine cariche di provviste, se ne stava assorto con il muso all'aria e gli occhi chiusi. «Bernardo, perché non lavori?», chiesero gli scoiattoli.
«Come, non lavoro», rispose Bernardo un po' offeso. «Sto raccogliendo i raggi del sole per i gelidi giorni d'inverno».
E quando videro Bernardo seduto su una grossa pietra, gli occhi fissi sul prato, domandarono: «E ora, Bernardo, che fai?».
«Raccolgo i colori» rispose Bernardo con semplicità. «L'inverno è così grigio».
Quattro scoiattolini correvano e correvano, sempre più affannati. I magazzini si riempivano di nocciole e bacche e squisitezze. Bernardo, invece, se ne stava accoccolato all'ombra di una pianta.
«Stai sognando, Bernardo?», gli chiesero con tono di rimprovero.
Bernardo rispose: «Oh, no! Raccolgo parole. Le giornate d'inverno sono tante e sono lunghe. Rimarremo senza nulla da dirci».
Venne l'inverno e quando cadde la prima neve, i cinque scoiattolini si rifugiarono nella loro tana dentro la grande quercia. I primi giorni furono pieni di felicità. Gli scoiattolini facevano una gran baldoria, mentre fuori fischiava il vento gelido. Suonavano le nacchere con i gusci di noce, cantavano e ballavano. E prima di dormire con il pancino ben pieno si divertivano a raccontare storielle divertenti sugli allocchi allocchiti e sulle volpi rimbambite. Ma, a poco a poco, consumarono gran parte delle provviste. I magazzini si vuotarono uno dopo l'altro, finirono le nocciole, poi le ghiande (anche quelle amare), poi le bacche. Rimasero solo le radici meno tenere. Nella tana si gelava e nessuno aveva più voglia di chiacchierare.
Improvvisamente si ricordarono dello strano raccolto di Bernardo. Del sole, dei colori, delle parole.
«E le tue provviste, Bernardo?», chiesero.
Bernardo si arrampicò su un grosso sasso e cominciò a parlare: «Chiudete gli occhi. Ora sentite i caldi, dorati raggi del sole che si posano sulla vostra pelliccia; sono lucenti, giocano con le foglie, sono colate d'oro...». E mentre Bernardo parlava, i quattro scoiattolini cominciarono a sentirsi più caldi. Che magia era mai quella?
«E i colori, Bernardo?», chiesero ansiosamente. «Chiudete gli occhi». E quando parlò dell'azzurro dei fiordalisi, dei papaveri rossi nel frumento giallo, delle foglioline verdi dell'edera, videro i colori come se avessero tanti piccoli campicelli in testa.
«E le parole, Bernardo?». Bernardo si schiarì la gola, aspettò un attimo, e poi, come da un palcoscenico, disse: «Nascosto nella corteccia di un albero, nel bel mezzo di una foresta meravigliosa, vive uno scoiattolo dal pelo rosso, lo sguardo brillante e la coda a pennacchio. Questo straordinario scoiattoletto porta sul capo una corona di noci. È un genio: possiede certi poteri e conosce molti segreti.
Quando un coniglietto è ferito da un cacciatore, è il genio scoiattolo che dice qual è la pianta utile per guarire la ferita.
Quando un uccellino si rompe un'ala è il genio scoiattolo che gli applica un supporto di sottili aghi di pino perché possa volare ancora.
Ma la cosa che gli riesce meglio è guarire i cuori malati di tristezza e di paura. «Ci vogliono tante coccole, per vivere», dice il genio scoiattolo, «e tanta tenerezza, perché tutte le creature del bosco sono come i fiorellini che appassiscono se non sono baciati dai raggi di sole. Quando un animaletto è triste, io faccio il raggio di sole e lui riapre i petali del suo cuore».
Quando Bernardo tacque, i quattro scoiattolini applaudirono e gridarono: «Bernardo, sei un poeta».
Bernardo arrossì, si inchinò e disse modestamente: «Lo so, cari musetti».
Una volta un cardellino fu ferito a un'ala da un cacciatore. Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra. Poi, terribile e gelido, arrivò l'inverno.
Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari. Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi. "Che ti capita, cardellino?", chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre. "Va male - sospirò il cardellino - Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio. Per non parlare del cibo. Penso che non rivedrò la primavera". "Non aver paura. Rifugiati qui sotto la giacca. La mia paglia è asciutta e calda". Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri. Restava il problema del cibo. Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi. Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino. "Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais". "Ma tu resterai senza bocca". "Sembrerò molto più saggio". Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse. E gli sorrideva con gli occhi di noce. Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota. "Mangialo. É ricco di vitamine", diceva lo spaventapasseri al cardellino. Toccò poi alle noci che servivano da occhi. "Mi basteranno i tuoi racconti", diceva lui. Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa. Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c'era più. Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.
"Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo" (Matteo 26,26).
*Lo stagno e le oche
C'era una volta, in un angolo di campagna verde ed incontaminato, un laghetto di acqua verde e limpidissima. Era un laghetto minuscolo, quasi uno stagno, ma il cielo si specchiava dentro la sua acqua pura e lo trasformava in un gioiello incastonato nel morbido tappeto dei prati.
Il sole di giorno, la luna e le stelle di notte si davano appuntamento nel limpido specchio d'acqua. I salici della riva, le margherite e l'erba delle colline tremavano di gioia per quel riflesso di cielo caduto a terra, che trasformava quel remoto angolo di mondo in un piccolo paradiso.
Ma un giorno, schiamazzando e starnazzando, arrivò sulle sponde dello stagno uno stormo di grasse e prepotenti oche. I loro imperiosi "qua, qua" e i loro robusti becchi sconvolsero il silenzio e la pace dello specchio del cielo.
Le oche erano creature pratiche, non badavano certo al sussurro del vento e ai riflessi dell'acqua limpida. Si tuffarono a decine nello stagno e cominciarono ad andare in fondo alla caccia di cibo. "Mangiare e ingrassare" era il loro motto. Sguazzavano, sporcavano, strepitavano.
Piume e spruzzi volavano da tutte le parti. Granchi, pesciolini e tutti gli animaletti che vivevano nel laghetto in un battibaleno sparirono nel vorace gozzo delle insaziabili oche. La polvere finissima depositata sul fondo, sconvolta e smossa, invase l'acqua.
La sera, quando il silenzio ritornò tra le colline, la prima stella cercò invano la sua casa sulla terra, e la luna non poté specchiare il suo volto d'argento sulla terra. Lo stagno era solo una distesa di fanghiglia maleodorante e senza vita. Lo stagno era morto.
Il vento portò notizia alle nubi e le nubi alle stelle, alla luna e al sole. Tra le foglie dei salici piangevano i pettirossi e le allodole. In quell'angolo di campagna il cielo non si sarebbe specchiato mai più.
Uno struzzo austero e autorevole teneva lezione ai giovani struzzi sulla superiorità della loro specie su tutte le altre. «Siamo gli uccelli più grandi e però i migliori».
Tutti i presenti esclamarono: «Certo! Certo!» tranne uno struzzo pensieroso, un certo Oliver. «Noi non voliamo all'indietro come il colibrì» disse a voce alta. «Il colibrì perde terreno» replicò lo struzzo anziano. «Noi progrediamo, andiamo avanti». «Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi, tranne Oliver.
«Facciamo le uova più grandi e perciò le migliori» continuò l'anziano maestro. «Le uova del pettirosso sono più belle» disse Oliver. «Dalle uova di pettirosso escono solo pettirossi» replicò l'anziano struzzo. «I pettirossi si dedicano solo al vermi dei prati e basta!».
«Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi tranne Oliver.
«Noi camminiamo su quattro dita mentre all'uomo ne occorrono dieci» rammentò l'anziano struzzo ai suoi allievi.
«Ma l'uomo può volare stando seduto e noi non voliamo affatto» commentò Oliver.
L'anziano struzzo lo squadrò con occhi severi. «L'uomo vola troppo in fretta per un mondo che è rotondo. Presto raggiungerà se stesso con un gran cozzo posteriore, e l'uomo non saprà mai che ciò che l'ha colpito da dietro è stato l'uomo». «Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi tranne Oliver.
«Poi, in momenti di pericolo, possiamo renderci invisibili cacciando la testa nella sabbia» declinò il maestro. «Nessun altro lo sa fare».
«Come facciamo a sapere che non ci vedono se non vediamo?» chiese Oliver.
«Cavilli!» esclamò l'anziano struzzo, e tutti gli altri struzzi, tranne Oliver, esclamarono: «Cavilli!» senza sapere che cosa significasse.
Proprio in quel momento, maestro e allievi udirono uno strano rombo minaccioso, come un tuono che si avvicinava sempre più. Non era un tuono del cielo ma il rombo di un'immensa orda di rozzi elefanti in piena carica che, spaventati da nulla, fuggivano alla cieca. L'anziano struzzo e tutti gli altri, tranne Oliver, cacciarono immediatamente la testa nella sabbia. Oliver andò invece a ripararsi dietro una gran roccia poco distante e lì rimase, finché quella tempesta di animali fu passata. Quando venne fuori vide davanti a sé una distesa di sabbia, ossa e piume: tutto quanto restava dell'anziano maestro e dei suoi allievi. Tanto per essere sicuro, Oliver fece l'appello ma non ebbe risposta fino al proprio nome.
«Oliver» chiamò.
«Presente!» si rispose. E fu l'unico suono nel deserto.
Una nave urtò contro gli scogli. I passeggeri furono imbarcati su una grossa scialuppa di salvataggio. Con loro si imbarcarono anche alcuni ufficiali e il pilota della nave. Prima che la scialuppa lasciasse la fiancata della nave arenata, il comandante diede loro un 'ultima raccomandazione: «Ascoltate il pilota lui sa come si manovra una scialuppa!».
Una vecchietta mormorò: «Non saprei... Ci ha appena mandati a sbattere contro gli scogli!». Non subaffittate il cervello a nessuno. Non è l'ampiezza dell’ «audience» a fare intelligente un'idea.
"Dimmi quanto pesa un fiocco di neve?", chiese la cinciallegra alla colomba. "Meno di niente", rispose la colomba. La cinciallegra raccontò allora alla colomba una storia:
"Riposavo su un ramo di un pino quando incominciò a nevicare. Non una bufera, no, una di quelle nevicate lievi lievi, come un sogno. Siccome non avevo niente di meglio da fare, cominciai a contare i fiocchi di neve che cadevano sul mio ramo.
Ne caddero 3.751.952. Quando, piano piano, lentamente sfarfallò giù, 3.751.753 esimo - meno di niente, come hai detto tu - il ramo si ruppe...". Detto questo, la cinciallegra volò via. La colomba, un'autorità in materia di pace dall'epoca di un certo Noè, rifletté un momento e poi disse: "Manca forse una sola persona perché il mondo piombi nella pace?".
Forse manchi solo tu.
L'aquila, regina degli uccelli, sentiva da tempo magnificare le grandi qualità dell'usignolo. Da brava sovrana, volle rendersi conto se quanto si diceva era vero e, per sincerarsene, mandò a controllare due dei suoi funzionari: il pavone e l'allodola. Avrebbe dovuto valutare la bellezza e il canto dell'usignolo.
I due adempirono la loro missione e tornarono dal
Il pavone riferì per primo: «L'usignolo ha una li così modesta da rasentare il ridicolo: questo fatto mi ha talmente infastidito, che non ho prestato la minima attenzione al suo canto».
L'allodola disse: «La voce dell'usignolo mi ha let incantato, tanto che mi sono completamente scordato di badare al suo vestito».
«Non si seziona un uccello per trovare l'origine del suo canto. Quel che si deve sezionare è il proprio orecchio» (Joseph Brodsky).
Il sacerdote seguì il giovane con un lungo ed elo sguardo di disapprovazione.
Il giovane si sedette e cominciò a leggere il suo giornale. Dopo un po' alzò la testa e chiese: «Scusi, reverendo, che cos'è la dispepsia?».
«Ecco una buona occasione per fargli un po' di predica», pensò il sacerdote e ad alta voce proseguì: «La dispepsia è una malattia terribile che prende quel che vivono male, senza orari e senza ideali, con tutti i vizi e gli stravizi, che non si ricordi che Qualcuno ci vede e ci giudicherà!».
Il giovane seguiva il discorso con curiosità e anche un po' di apprensione.
«Ah», disse alla fine, «perché qui c'è scritto che il Papa ha la dispepsia».
Ciascuno nota negli altri, ciò che vuol vedere o sentire. Si è così presi talora dai propri pensieri che non si ascolta veramente il prossimo.
*Un cucciolo
Sul cancello di una casa di periferia circondata da un ampio frutteto, era appeso un cartello che diceva: “Si vendono cuccioli di cane di razza”.
Un ragazzino suonò il campanello e al padrone che era venuto ad aprire disse, mettendosi una mano in tasca: “Qui ho due euro e 37 centesimi, posso guardare i cagnolini, per favore?”.
L’uomo fece un fischio e da una cuccia che portava la scritta “Lady”, uscì un cane femmina magnifico ed elegante seguito da cinque bellissimi cuccioli. Solo uno zoppicava leggermente. “Che cos’ha?”, chiese il ragazzo indicandolo.
“Il veterinario sostiene che ha una deformazione della zampa. Probabilmente zoppicherà per sempre”.
“Vorrei comprarlo io, se non le dispiace”, disse il ragazzo.
“Ma perché vuoi comprare un cane malato? Non potrà mai correre con te o seguirti in montagna!”.
Il ragazzo si chinò, si rimboccò la gamba dei pantaloni e mostrò la sua gamba. Era malformata e ingabbiata in un tutore metallico.
Poi disse: “Anch’io non corro bene. Il cucciolo avrà bisogno di qualcuno che lo capisca”.
Il vincitore del concorso per “Il bambino più buono dell’anno” è stato un ragazzino vicino di casa di un signore di oltre ottant’anni che era appena rimasto vedovo.
Quando vide il vecchio piangere, seduto nel suo giardino, il bambino scavalcò la recinzione, si sedette sulle ginocchia dell’uomo e rimase così a lungo.
Quando tornò a casa, sua madre gli chiese che cosa aveva detto al povero vecchio.
“Niente”, aveva detto il bambino. “Ha perso la moglie e questo gli ha fatto male. Io mi sono solo seduto con lui e l’ho aiutato a piangere”.