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1 Santi Abdon e Sennen -
† Roma, III secolo
Abdon e Sennen sono originari della Persia.
Convertiti al cristianesimo, furono imprigionati durante la persecuzione voluta dall'imperatore Decio (III secolo) e legati insieme in catene furono condotti a Roma, dove furono prima bastonati e quindi subirono il martirio uccisi con la spada probabilmente al Colosseo.
Le loro reliquie sono conservate nella basilica di S. Marco Evangelista al Campidoglio dove furono portate da Papa Gregorio IV dal cimitero di Ponziano.
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Ponziano sulla via Portuense, Santi Abdon e Sennen, martiri.
Abdon e Sennen sono due martiri certamente esistiti nel III secolo, che subirono il martirio a Roma; le notizie che riguardano la loro vita sono leggendarie, ma un fondo di verità ci deve essere senz’altro.
Per prima cosa essi sono ricordati da un gran numero di testi ufficiali e martirologi, come il “Depositio Martyrum”, il “Martirologio Geronimiano”, il “Calendario marmoreo di Napoli”, nei “Sacramentari Gelasiano e Gregoriano”.
Questi testi citano la deposizione delle reliquie, nel Cimitero di Ponziano dei Santi martiri di Roma ‘Abdos et Sennes’; questo cimitero era sulla via Portuense, presso l’attuale via Alessandro Poerio e citano alcuni come il "Martirologio Geronimiano", la celebrazione al 30 luglio, data che poi è passata nel ‘Martirologio Romano’, testo ufficiale in vigore nella Chiesa Cattolica.
Ancora celebri testi medioevali, ricordano che tanti pellegrini giunti a Roma, visitavano la via Portuense, entrando nella basilica dove riposavano i loro corpi, questa chiesa era abbastanza grande e nel ‘Liber Pontificalis’ si dice che fu restaurata dai Papi Adriano I (772-
L’ignoto autore della ‘passio’ dei due Santi, forse indotto dai loro nomi esotici, li classifica come due principi persiani, che nella loro condizione di schiavi o di liberti a Roma, si prodigavano a seppellire i martiri.
Questo loro impegno li fa accusare presso l’imperatore Decio (200-
Giacché rifiutarono, secondo la prassi, di sacrificare agli idoli, vennero condannati a morte e condotti nell’anfiteatro dove sorgeva il Colosso di Nerone, fra l’Anfiteatro Flavio e il tempio di Venere, per essere divorati dalle belve feroci.
Ma essi miracolosamente ammansirono gli animali, che li evitarono, allora Abdon e Sennen vennero decapitati dai gladiatori.
I loro corpi vennero gettati davanti alla statua del Sole, dove rimasero tre giorni, finché il diacono Quirino li raccolse nascondendoli nella sua casa, dove restarono per lunghissimo tempo.
In seguito, grazie ad una rivelazione (fenomeno che compare in molte vite di Santi), vennero ritrovati e portati nel Cimitero di Ponziano.
In questo cimitero vi è un affresco del VI secolo che li raffigura con barba, vestiti di tunica, con il berretto frigio, sopra l’affresco una iscrizione latina li nomina senza equivoci; nell’affresco Abdon appare più maturo con barba corta e rotonda, mentre Sennen ha la barba a punta e senz’altro più giovane; ancora nello stesso cimitero fu ritrovata una lampada di terracotta del V secolo, con l’immagine di un personaggio in preghiera, coperto da un ricco mantello persiano con barba breve e rotonda, in cui si è voluto identificare Abdon.
Le loro reliquie furono poi “depositate” nella basilica di S. Marco papa, al tempo di papa Sisto IV (1471-
Nel Medioevo una parte delle reliquie furono trasferite ad Arles-
I due Santi sono stati oggetto privilegiato di molte opere artistiche in varie chiese e cattedrali, in Italia ed in Europa; oltre la ricchezza delle vesti per indicarne l’origine persiana, spesso portano un diadema regale come quello attribuito a volte ai Re Magi che appunto erano orientali; ma la presenza costante è la spada con cui vennero decapitati. Nella basilica di San Marco di Roma c’è un altare con le reliquie ed a loro dedicato. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
2 Sant' Angelina -
+ 1516
Figlia di Giorgio Arianita e cognata del principe Ivan-Quando il 21 gennaio 1458 Lazaro morì senza discendenti maschi, Stefano divenne despota di Serbia, ma nel 1467 fu costretto a fuggire con la famiglia per sottrarsi alla pressione turca e si recò in Italia, dove, dieci anni dopo, nel 1477, si spegneva.
Angelina si stabilì a Kupinovo (Srem), dove fece traslare il corpo del marito, e, riavuto il titolo di despota alla morte di Zmaj Vuk (1485 o 1486), coniò monete d’argento e d’oro che recavano su una faccia la sua immagine e sull’altra quella dei figli Djurdje e Ivan.
Costruì un monastero femminile a Krusedol (Srem) e morì nel 1516.
Fu sepolta a Krusedol insieme con il marito e i figli.
La Chiesa serba la venera con il nome di “Majka Angelina” il 30 luglio, mentre Stefano il Cieco è celebrato l’11 ottobre, Ivan il 10 dicembre e Djurdje, che si era fatto monaco prendendo il nome di Massimo, il 18 gennaio.
(Autore: Augusto Moreschini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
3 Beato Arnaldo Amalrico -
Emblema: Bastone pastorale
Arnaldo Amalrico, arcivescovo di Narbona, Beato. Monaco a Citeaux, abate di Poblet in Catalogna, poi di Grandselve e di Citeaux, Arnaldo fu energico campione dell'ortodossia contro gli eretici e gli infedeli.
Nel 1204, legato apostolico di Innocenzo III, rafforzò la missione di Pietro di Castelnau contro gli Albigesi, proseguendola dopo l'assassinio di questo (1208).
Predicatore della grande crociata antieretica, guidò l'esercito all'assedio e al massacro di Béziers (luglio 1209) e fu l'animatore delle azioni belliche di Carcassonne e Lavour.
Ottenne, con implacabile intransigenza, e forzando le lunghe resistenze dello stesso pontefice, la scomunica di Raimondo VI di Tolosa (1211), la deposizione e le dimissioni di vari vescovi, fra i quali Berengario di Narbona.
Eletto a quella sede il 12 marzo 1212, partecipò lo stesso anno, con truppe crociate, alla "Reconquista" contro i Mori e alla vittoria di Las Navas de Tolosa (16 luglio). Rivendicò vigorosamente, anche contro le pretese di Simone di Montfort (che egli giunse a scomunicare nel febbraio 1216), i diritti feudali della diocesi.
Fu accusato di eccessi, ma ebbe fama di vita integra e di ardente zelo apostolico. Innocenzo III gli inviò il Libro dei Sermoni, una raccolta di discorsi dello stesso pontefice, come attesta la lettera premessa come prologo alla collezione. Arnaldo, che desiderava avere i sermoni di Innocenzo, gli aveva fatto pervenire la sua richiesta tramite il cappellano papale Niccolò. Arnaldo morì nell'abbazia di Fontfroid il 26 o il 29 settembre 1225.
A Citeaux, dove il suo corpo fu trasportato, gli fu eretto un mausoleo. É ricordato il 30 luglio nei Menologi di Henriquez e Bucelino. (Autore: Alfonso M. Zimmermann – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
4 Beati Braulio Maria (Paolo) Corres Díaz de Cerio e 14 Compagni -
Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Fatebenefratelli”
"Martiri della Guerra di Spagna" -
Durante la guerra civile spagnola, fu effettuata una delle più grandi persecuzioni religiose della storia della Chiesa; la guerra fra i rivoltosi rossi al governo e la destra del Generale Franco, procurò centinaia di migliaia di morti, e giacché si vedeva nella Chiesa un nemico dei marxisti rivoluzionari, si passò ad uccidere indiscriminatamente chiunque fosse un religioso o un sacerdote, uomo o donna, parroco o contemplativo.
Fra Braulio e fra Federico e gli altri confratelli martiri, appartengono tutti all’Ordine di San Giovanni di Dio cioè dei Fatebenefratelli, tutti dediti alla cura degli ammalati e dei feriti negli ospedali, rimasti al loro posto nonostante la bufera che si avvicinava e che non avrebbe rispettato nemmeno il bene che professavano. Sono stati beatificati da papa Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992.
Martirologio Romano: In località Calafell vicino a Tarragona sulla costa spagnola, Beati martiri Braulio Maria (Paolo) Corres Díaz de Cerio, sacerdote, e quattordici compagni dell’Ordine di San Giovanni di Dio, che, catturati durante la persecuzione contro i religiosi, meritarono la beatissima corona del martirio perdonando i loro nemici.
Il 14 maggio 1991 Giovanni Paolo II ha riconosciuto il martirio di 76 religiosi dell'Ordine Ospedaliere di San Giovanni di Dio o Fatebenefratelli, uccisi in odio alla fede all'inizio della guerra civile spagnuola (1936-
Di essa si ebbero i prodromi quando fu proclamata la repubblica (14 aprile 1931) senza nessuna opposizione da parte della Chiesa. Ciò nonostante vennero bruciate 200 chiese, espulsi alcuni vescovi, sottomesse allo stato tutte le confessioni religiose, laicizzata la nuova costituzione, approvata la legge contro gli Ordini e le Congregazioni religiose. Il 16 febbraio 1936 fu sciolto il parlamento, si tennero nuove elezioni e il Fronte Popolare trionfò.
Presidente della Repubblica fu nominato l'anticlericale Manuel Azana (+1940).
Sotto la spinta di Associazioni, Federazioni e Leghe di estremisti si ebbero fino al 18 luglio 1936 13 scioperi generali e 218 parziali e, in vari convegni, fu proibita qualsiasi forma di culto esterno. Il 6 giugno dello stesso anno alle cellule comuniste fu imposto l'ordine di eliminare i generali dell'esercito. Il 16 giugno il deputato monarchico Calvo Sotelo, alle Cortes riunite, rivelò che erano stati incendiati 284 edifici, distrutte 171 chiese e assassinate numerose persone. Il 13 luglio egli stesso fu ucciso.
Il 18 dello stesso mese, per riparare a tanto sfacelo, alcuni generali, tra cui Francisco Franco Bahamonde ( 1892-
Pio XI, da Castelgandolfo, il 14 settembre 1936 ne denunciò vigorosamente i soprusi di fronte a un folto gruppo di profughi spagnuoli. Tra l'altro disse: "Tutto venne assalito, manomesso, distrutto nei più villani e barbari modi, nello sfrenamento tumultuoso, non più visto, di forze selvagge e crudeli tanto da crederle impossibili, non diciamo con l'umana dignità, ma con la stessa natura umana, anche la più miserabile e più in basso caduta".
Tra i 76 Fatebenefratelli martiri figurano anche 15 religiosi che appartenevano al Sanatorio Marittimo di Calateli (Tarragona), destinato a 60 fanciulli rachitici e scrofolosi, che i Fratelli mantenevano andando ogni giorno alla questua. Quattro giorni dopo l'insurrezione, nella tarda serata, i miliziani trasportarono tutti i mobili della chiesa di Calateli sulla piazza e diedero loro fuoco.
Malgrado i tristi segni premonitori, i Fatebenefratelli avevano sperato che la loro comunità sarebbe stata preservata dalla devastazione se non altro per la carità da essa esercitata verso i poveri infelici.
Il loro superiore generale, il 4 aprile 1936, aveva difatti disposto con lettera ai Provinciali di Spagna: "I nostri religiosi non abbandonino l'assistenza degli infermi fino a quando le autorità non se ne assumono l'incarico. Vestano da secolari, se così viene consigliato dalla prudenza, ma stiano al capezzale degli infermi fino a quando forza maggiore non imponga di abbandonarli.
Questo, in alcuni casi, dato lo stato di anarchia dominante, sarà eroico, ma così c'impone un sacro dovere".
Un delegato del governo regionale della Catalogna rassicurò i Fratelli che non sarebbe accaduto loro nulla di male. Il Sanatorio, però, fu occupato, perquisito e spogliato di tutte le sacre immagini. I miliziani impedirono ai religiosi di fare recitare ai bambini le solite preghiere. Facendosene beffe, dissero ai piccoli infelici che, quando i Fratelli se ne sarebbero andati, avrebbero dato ad essi da mangiare pollo tutti i giorni, che tutte le domeniche nella chiesa li avrebbero rallegrati con rappresentazioni cinematografiche e che, la mattina, sarebbero stati svegliati al grido di "Dio non esiste". Conducendoli disordinatamente a spasso per gli orti e per le vigne, insegnavano loro ad alzare il pugno chiuso al canto di inni rivoluzionari.
In una ispezione fatta al noviziato la sera del 24 luglio, i miliziani ingiunsero agli aspiranti alla vita religiosa di uscire dalle loro celle con le mani alzate, e promisero loro che, prima avrebbero rotto e bruciato tutto ciò che si trovava in chiesa, e poi che li avrebbero fucilati. L'anarchico, che montava la guardia all'ingresso del noviziato, li apostrofò: "Parassiti!, che mangiate senza lavorare. Ah, banditi! Ora sì che siete sistemati!". Il 30 luglio, giorno del martirio, i sei professi e i 19 novizi dei Fatebenefratelli del Sanatorio dopo pranzo furono ammassati in portineria, spogliati degli oggetti religiosi che possedevano e forniti di 10 pesetas.
Per assistere e curare i bambini di cui i "rossi" erano incapaci, in seguito al suggerimento dei superiori, rimasero 4 religiosi e 4 novizi.
In mattinata, prestissimo, i Fratelli, presentendo che sarebbero stati fucilati, benché i miliziani avessero dato loro a intendere che avrebbero loro permesso di partire in treno per Barcellona, nella cappella del noviziato avevano preso parte alla Messa e si erano comunicati sotto forma di Viatico dopo che il B. Braulio Maria Corres, maestro dei novizi, nato nel 1897 a Torralba del Rio (Navarra), aveva rivolto loro una fervorosa esortazione a subire il martirio. "O amatissimi fratelli! Quale fortuna la nostra, se il Signore ci concedesse tanta felicità! E chi vorrà rifiutarla, se in questi momenti pare che ci conducano come in trionfo a un epilogo così glorioso? Animo e avanti, fino al martirio, se sarà necessario".
I Fratelli si divisero in due gruppi: quello che stava alle dipendenze del B. Fra Giuliano Carrasquer, Priore, nato nel 1881 a Sueca (Valenza), si diresse alla stazione di San Vicente, un paese a 4 chilometri di distanza; quello che stava alle dipendenze del P. Maestro si diresse alla stazione di Calateli. Entrambi i gruppi erano seguiti da miliziani armati.
A Calafell, non essendoci treni in partenza fino alle 15, i religiosi ebbero modo di recitare passeggiando, il rosario e il Vespro della B. Vergine. Poi, mentre stavano per recarsi alla stazione, furono affrontati da due miliziani che chiesero loro conto del B. Fra Costanza Roca, nato nel 1895 a San Sadurnì de Noya (Barcellona). Il ricercato si fece avanti dicendo: "Sono io.
Desiderano qualche cosa da me?". I miliziani esclamarono: "Buona pezza è costui: non per niente voleva fuggire". Gli ordinarono di mettersi in cammino davanti a loro. Giunti a un ponte che si ergeva sopra una rotaia lo fucilarono alle spalle. Il martire cadde a terra. Essendo rimasto soltanto ferito, fino a sera gemette in attesa che qualcuno gli portasse un sorso d'acqua. Fu soccorso proprio da alcuni fanciulli del Sanatorio che passavano da quelle parti, e lo udirono perdonare i suoi nemici e pregare per la loro conversione. I miliziani, appena seppero che era rimasto vivo, si recarono sul posto e lo finirono.
Verso le ore 16 giunse a Calafell un camion con uomini armati i quali imposero ai religiosi di non muoversi dalla stazione. Poco tempo dopo dissero loro: "Dato che non avete salvacondotto perché vi si possa dare il biglietto per recarvi a Barcellona, è necessario che veniate a San Vicente, dove lo riceverete". Colà giunti, furono caricati con gli altri confratelli sopra un camion e portati via. Giunti sulla piazza di Vendrell, paese a pochi chilometri da Calateli, furono fatti scendere tra gente scalmanata.
Il B. Fra Benedetto Labre Manoso, nato nel 1879 a Lomoviejo (Valladolid), appena si accorse che la chiesa era stata profanata, gridò: "Viva Gesù Sacramentato!". La folla urlò: "Chi è questa canaglia?". Fra Benedetto le andò incontro con il cappello in mano e a capo chino, ma il popolaccio infuriato gli vomitò contro una montagna di insulti. Diverse persone gli puntarono sul petto fucili e pistole urlando: "Lasciatelo qui costui, sulla strada".
I miliziani fecero salire i Fatebenefratelli sopra una camionetta dando loro ad intendere che li avrebbero condotti a Barcellona. A un certo momento la camionetta rallentò la corsa. Fu allora che il P. Braulio esclamò: "Figli miei, preparatevi! Ora ci uccidono". E diede loro l'assoluzione. Arrivati a Calateli, i miliziani imboccarono la strada provinciale.
Subito andò loro incontro un'automobile con uomini armati. Costoro fecero fermare la camionetta, costrinsero i religiosi a scendere a terra con la minaccia: "Adesso, grandissimi bricconi, le pagherete tutte!". Separarono quindi dal gruppo un argentino e quattro novizietti dicendo: "Voi, creature, non temete nulla. Sappiamo bene che siete schiavi di queste canaglie. Venite, perché noi vi porteremo a casa dei vostri genitori".
Poco distante, a un declivio, vicino a una piccola fabbrica di mattoni, i miliziani ordinarono ai Fratelli di scendere uno per volta nel fossato di uno degli scavi. Di mano in mano che scendevano, venivano fucilati sotto lo sguardo atterrito dei novizi risparmiati. Erano circa le diciassette. Il primo a scendere sorridente fu il Priore, Fra Giuliano. Nel momento in cui stavano per essere immolati, il P. Braulio stese le braccia nel gesto di tenere allineati i suoi compagni, ed esclamò: "Padre, perdona loro. Non sanno quello che fanno!".
Il B. Fra Tommaso Urdànoz, nato nel 1903 a Echarri (Pamplona), gridò: "Viva Cristo Re!"; il B. Fra Eusebio Forcades, nato nel 1875 a Reus (Tarragona), incrociò le mani sul petto; altri fecero professione della loro fede. L'ultimo a cadere ucciso fu Fra Giuseppe Benedetto Labre.
I miliziani, alla sua vista, gridarono: "Dalli a costui! Dalli a costui che ha gridato Viva Gesù Sacramentato!" L'ultima vittima della comunità di Calateli fu il B. Fra Mattia Morin, nato nel 1913 a Salvatierra di Tormes, in diocesi e provincia di Salamanca.
Nel luglio del 1937 venne chiamato alle armi ed assegnato come portaferiti alla sanità nella 30a Brigata dell'esercito repubblicano, che operava sul fronte di Guadarrama.
Non potendo egli sopportare l'atmosfera di irreligiosità dominante in quell'ambiente, dopo pochi giorni tentò di passare nella zona nazionale scavalcando la trincea con l'armadietto sanitario di cui era dotato. Fu scoperto, arrestato, processato, condannato a morte e fucilato a El Cerro di Salamanca. Non volle che gli fossero bendati gli occhi. Morì al grido di: Viva Cristo Re!
La gloriosa schiera dei 76 Fatebenefratelli spagnuoli vittime dell'odio comunista fu beatificata da Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992. (Autore: Guido Pettinati -
5 Beati Edoardo Powell, Riccardo Fetherston e Tommaso Abel -
Scheda del gruppo a cui appartengono: “Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia Beatificati nel 1886-
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
6 Santa Giulitta di Cesarea -
Martirologio Romano: A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, Santa Giulitta, martire, data al rogo per avere rigettato con fermezza l’ordine del giudice di offrire incenso agli idoli.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
7 Beati Giuseppe Maria Muro Sanmiguel, Gioacchino Prats Baltuena e Zosimo Izquierdo Gil -
Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Domenicani d'Aragona” -
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001” -
“Martiri della Guerra di Spagna”
Martirologio Romano: Nella cittadina di Castelserás vicino a Teruel sempre in Spagna, Meati martiri Giuseppe Maria Muro Sanmiguel, sacerdote, Gioacchino Prats Baltueña, religioso, dell’Ordine dei Predicatori, e Zosimo Izquierdo Gil, sacerdote, che conseguirono per Cristo il premio glorioso durante la stessa persecuzione contro la fede.
Questo gruppo si compone di questi martiri:
Sacerdote domenicano, nato a Tarazona (Spagna) il 26 ottobre 1905;
Novizio domenicano, nato a Zaragoza (Spagna) il 5 marzo 1915;
Sacerdote diocesano, nato a Villahermosa del Campo (Spagna) il 17 dicembre 1895, morto a Castelseras (Teruel), Spagna, il 30 luglio 1936.
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(Fonte; Enciclopedia dei Santi)
8 San Giuseppe Yuan Gengyin -
Martirologio Romano: Nel villaggio di Daying vicino a Zaoqiang nella provincia dello Hebei in Cina, San Giuseppe Yuan Gengyin, martire, che, venditore nei mercati locali, fu ucciso per il nome di Cristo durante la persecuzione dei Boxer.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
9 Santa Godeleva -
Boulogne, Francia, 1050 circa – Ghistelles, Belgio, 6/30 luglio 1070 circa
Santa Godeleva nacque da nobili genitori verso il 1050 nei pressi di Boulogne, in Francia.
A diciotto anni sposò un signore fiammingo, Bertulfo di Ghistelles, che in seguito la abbandonò affermando che il matrimonio non era stato consumato.
Godeleva fu affidata all'ex suocera, che la trattò con notevole crudeltà, così lei preferì tornare a casa dai genitori.
Questi si appellarono al vescovo locale, affinché persuadesse Bertulfo a tornare sui suoi passi vivendo con la moglie.
Per un certo periodo il marito accettò, ma nel frattempo organizzò il suo assassinio: due servi strangolarono Godeleva e il suo corpo fu gettato in un pozzo.
Ciò avvenne tra il 6 ed il 30 luglio dell'anno 1070.
L'incertezza dell'anniversario di tale avvenimento ha prodotto nel corso dei secoli il variare della data della festa di questa Santa, oggi collocata al 30 luglio dal nuovo «Martyrologium Romanum».
Bertulfo poi si risposò, ma sopraffatto dai rimorsi per il crimine commesso decise di terminare i suoi giorni recluso in un monastero. (Avvenire)
Patronato: Mal di gola
Emblema: Corone, Pozzo
Martirologio Romano: A Gistel nelle Fiandre, nel territorio dell’odierno Belgio, Santa Godeleva, martire, che, sposata con il signore del luogo, patì molto da parte del marito e di sua suocera, prima di finire strangolata da due domestici.
Santa Godeleva nacque da nobili genitori verso l’anno 1050 nei pressi di Boulogne, nella Francia settentrionale.
All’età di soli diciotto anni andò in sposa ad un signore fiammingo, Bertulfo di Ghistelles, che in seguito preferì abbandonarla affermando che il matrimonio non era stato consumato.
Godeleva fu affidata allora alla ex suocera, che la trattò però con notevole crudeltà, ed ella preferì dunque fare ritorno a casa dei propri genitori.
Questi si appellarono al vescovo locale, affinché persuadesse Bertulfo a tornare sui suoi passi vivendo con la moglie.
Per un certo periodo il marito accettò, ma nel frattempo approfittò per organizzare il suo assassinio: per mano di due servi Godeleva venne infatti strangolata ed il suo corpo gettato in un pozzo.
Ciò avvenne in una data compresa all’incirca tra il 6 ed il 30 luglio dell’anno 1070.
L’incertezza dell’anniversario di tale avvenimento ha prodotto nel corso dei secoli il variare della data della festa di questa santa, oggi collocata al 30 luglio dal nuovo Martyrologium Romanum.
Bertulfo poi si risposò, ma sopraffatto dai rimorsi per il crimine commesso decise di terminare i suoi giorni recluso in un monastero.
Tradizionalmente Godeleva è da sempre stata considerata “martire”, anche se è storicamente difficile individuarne il motivo, in quanto non risulta abbia affrontato la morte a testimonianza della propria fede o di qualche altra peculiare virtù cristiana.
L’unica possibilità in tal senso è data dal fatto che la sua bontà soprannaturale abbia potuto provocare il marito, spingendolo alla violenza nei suoi confronti.
Il luogo del suo martirio, fuori delle mura del castello di Ghistelles, divenne subito meta di pellegrinaggi per la gente del circondario e su di essa si verificarono non pochi miracoli, tra i quali la guarigione dalla cecità di una figlia di Bertulfo nata dal secondo matrimonio.
Nel 1084 i resti della Santa furono oggetto di ricognizione e poi traslati nella chiesa.
I pellegrini erano soliti bere l’acqua di un pozzo, che assunse il nome di Godeleva, in prevenzione al mal di gola, rifacendosi alla leggenda secondo la quale la Santa sarebbe morta strangolata. Il suo culto è assai popolare intorno a Boulogne e nelle Fiandre.
Santa Godeleva possiede inoltre un’iconografia assai abbondante per essere una Santa venerata esclusivamente a livello locale. (Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
10 San Leopoldo Mandic (30 luglio e 12 maggio)
Castelnovo di Cattaro (Croazia), 12 maggio 1866 -
Nato il 12 maggio 1866 a Castelnuovo, nella Dalmazia meridionale, a sedici anni entra tra i Cappuccini di Venezia.
Piccolo di statura, curvo e malfermo di salute, è uno dei santi più recenti della Chiesa cattolica.
Entrato tra i Cappuccini, collabora alla riunificazione con la Chiesa ortodossa.
Questo suo desiderio però non si realizza, perché nei monasteri dove viene assegnato gli vengono affidati altri incarichi.
Si dedica soprattutto al ministero della Confessione e in particolare a confessare altri sacerdoti.
Dal 1906 svolge questo compito a Padova. È apprezzato per la sua straordinaria mitezza.
La sua salute man mano si deteriora, ma fino a quando gli è possibile non cessa di assolvere in nome di Dio e di indirizzare parole di incoraggiamento a quanti lo accostano. Muore il 30 luglio 1942.
La sua tomba, aperta dopo ventiquattro anni, ne rivela il corpo completamente intatto.
Paolo VI lo ha beatificato nel 1976.
Giovanni Paolo II, infine, lo ha canonizzato nel 1983. (Avvenire)
Etimologia: Leopoldo = che si distingue, dal tedesco
Martirologio Romano: A Padova, San Leopoldo (Bogdano) da Castronuovo Mandic, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che arse di zelo per l’unità dei cristiani e dedicò tutta la vita al ministero della riconciliazione.
Alto un metro e quaranta, artrite alle mani, difficoltà nel parlare, occhi arrossati: davvero un poveretto da compatire.
Ma il medico Enrico Rubartelli, suo amico, lo vede come un capo, "assediato, seguito e invocato da folle di tutti i ceti" a Padova.
A più di 50 anni dalla morte, altri lo invocano nel suo santuario padovano con la tomba. E gli scrivono, come a un vivo: i loro messaggi riempiono ormai centinaia di migliaia di pagine.
É nato alle Bocche di Cattaro, terra dalmata sotto gli Asburgo.
Battezzato col nome di Bogdan, entra sedicenne nel seminario cappuccino di Udine, poi è novizio a Bassano diventando fra Leopoldo, pronuncia i voti e nel 1890 è sacerdote, con un sogno preciso: spendere la vita per riconciliare con Roma i cristiani orientali separati.
Il più piccolo frate dell’intero Ordine cappuccino cammina tra i primissimi sul sentiero dell’ecumenismo.
Vuole andare in Oriente, e per due volte crede di fare il primo passo, quando lo mandano a Zara e a Capodistria.
Ma nella guerra del 1915-
Confessore a Padova, comincerà presto a essere “assediato”, ma nel 1923 lo destinano a Fiume, come confessore dei cattolici slavi.
E la missione in Oriente sembra farsi realtà.
Ma interviene il vescovo di Padova, il grande Elia Dalla Costa, e dice ai Cappuccini: "La partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto".
Insomma, i padovani non ci stanno.
E riescono a recuperare il piccolo confessore, che passa giorni e anni in una celletta ascoltando ogni fallimento e riaccendendo ogni speranza.
E anche lui capisce: "Il mio Oriente è qui, è Padova".
Il gigante della confessione. E anche il martire, perché vi brucia tutte le sue energie, ricco di compassione per tanta gente che impara da lui a conoscersi e a riprendere fiducia.
Lui però non è un tipo bonario per naturale tranquillità.
Al contrario, è bellicoso e capace d’infiammarsi in scatti aspri e inattesi, come il suo compatriota San Gerolamo.
E, come lui, infatti, chiede al Signore il dono della calma: "Abbi pietà di me che sono dàlmata!".
Sembra impossibile che resista, sempre più fragile, a questo genere di vita, inasprito da preghiere, penitenze, digiuni.
Ed è anche vecchio: "Ma la verità non invecchia", usa ripetere; e quando nel 1942 lo portano in ospedale trova modo di confessare anche lì.
Gli riscontrano però un tumore all’esofago.
Torna allora in convento e muore il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di vestirsi per la Messa.
E via via, come ha detto Paolo VI beatificandolo nel 1976, "la vox populi sulle sue virtù, invece che placarsi col passare del tempo, si è fatta più insistente, più documentata e più sicura".
E Giovanni Paolo II, nel 1983, ha collocato padre Leopoldo tra i Santi.
Il Martirologio Romano mette la festa il 30 luglio.
Normalmente il Santo o il Beato si ricorda nel giorno della morte a meno che per motivi liturgici o pastorali segnalati da chi ha la responsabilità e valutati dal Maestro delle Cerimonie liturgiche prima della beatificazione o canonizzazione non stabilisca diversamente.
Nel caso di San Leopoldo è stato chiesto, dopo la canonizzazione, la festa nel giorno non della morte ma della nascita (12 maggio). (Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
11 Beato Mannes (Manno) Guzman -
1170 c. -
Fratello del Santo Padre Domenico, fu uno dei suoi primi discepoli, ricevendo dalle sue mani l'abito nel 1215.
Fu suo instancabile collaboratore nella diffusione dell'Ordine e uno dei fondatori del convento di San Giacomo a Parigi nel 1217.
Nel 1219 San Domenico gli affidò la direzione spirituale del monastero di Madrid.
Fu predicatore ardente, dolce umile e gioviale. Morì a Gumiel d'Izàn, nella cui chiesa di s. Pietro se ne venera il corpo.
Martirologio Romano: A Caleruega nella Castiglia in Spagna, commemorazione del Beato Manno Guzmán, sacerdote, che fu fratello di San Domenico, suo collaboratore nel propagare l’Ordine dei Predicatori e saggio consigliere delle monache.
Il Beato Mannes fu fratello del glorioso Patriarca Domenico. Anima di grande candore, inclinata al silenzio e al raccoglimento, fu chiamato “il contemplativo”. Lavorò dapprima col suo santo e illustre fratello nelle contrade di Linguadoca per riportare gli eretici albigesi alla vera fede.
Alle fatiche e ai sudori, sull’esempio di San Domenico, aggiunse preghiere e penitenze note solo a Dio.
Appena fondato l’Ordine dei Predicatori fu uno dei primi a ricevere il Sacro Abito dalle mani di suo fratello, nel 1215, che imitò fedelmente nello spirito e nelle opere.
Fu da lui inviato, nel 1217, a Parigi nel convento di Prouille, divenendo uno dei fondatori del celebre Convento di S. Giacomo.
A Parigi predicò con molto frutto, ma poi, in seguito, il santo Patriarca lo destinò a Madrid per la direzione delle Monache dell’Ordine, che da poco avevano iniziato la vita regolare.
Il suo amore alla vita contemplativa, e l’esperienza delle vie di Dio, lo resero particolarmente atto a guidare quelle ferventi claustrali nelle vie della perfezione, secondo lo spirito dell’Ordine.
Trovandosi nel 1236 nella nativa Calaroga, a Gumiel d’Izan, a predicarvi la divina parola, si addormentò nel Signore, ricco di virtù e di meriti. Fu sepolto a S. Pietro di Gumiel, presso i Cistercensi, con sommo onore, e la sua tomba fu illustre per miracoli. Papa Gregorio XVI il 2 giugno 1834 ha confermato il culto. (Autore: Franco Mariani -
12 Santa Maria de Jesus Sacramentado (Venegas de la Torre) -
Zapotlanejo, Messico, 8 settembre 1868 -
Nasce l'8 settembre 1868 a Zapotianejo in Messico. Il suo nome è Maria Navidadad Venegas de la Torre. L'8 dicembre 1898 entra a far parte dell'Associazione delle Figlie di Maria. Nel 1905 entra a far parte di una piccola comunità di donne dedite alla cura degli infermi nell'ospedale del Sacro Cuore di Gudalajara.
Spese come infermiera buona parte della sua vita a favore dei malati. Fonderà l'istituto delle figlie del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1921 viene eletta superiora generale della sua congregazione. Nel 1930 prende il nome di Maria di Gesù Sacramentato.
Muore il 30 luglio 1959. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nello stesso luogo, Beata Maria di Gesù Sacramentato Venegas de la Torre, vergine, che per cinquantaquattro anni si dedicò alla cura degli infermi in un piccolo ospedale per i poveri, nel quale fondò la Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù.
“I vecchi sono viaggiatori che se ne vanno e bisogna accompagnarli con la maggior tenerezza possibile”: una frase così può solo stare sulle labbra di una persona sensibilissima ed attenta, premurosa e delicata, talmente innamorata di Cristo da vederlo in ogni persona anziana e sofferente.
Ed è così delineata la figura e la personalità di Maria di Gesù Sacramentato Venegas de la Torre, la prima donna messicana proclamata Santa.
Suo papà è un cattolico, tanto fervente e convinto da rinunciare agli studi universitari in giurisprudenza nel momento in cui si accorge che stanno minando la sua fede. Ed è questa testimonianza di cristiano coerente e coraggioso che riesce a trasmettere ai suoi dodici figli, che lo seguono nei suoi vari spostamenti in terra messicana, ma dovunque vanno a stabilirsi per prima cosa imparano a riconoscere nella parrocchia il loro punto di riferimento.
Maria Natividad (così battezzata proprio perché nata l’8 settembre dell’anno 1868) cresce fervorosamente devota e cristianamente convinta, formandosi spiritualmente tra le Figlie di Maria e lasciandosi guidare dai vari parroci che incontra sul suo cammino. A 16 anni è orfana di mamma, a 19 le muore anche il papà e va così a vivere da una zia, mentre in lei comincia a farsi strada l’idea di consacrarsi completamente a Cristo in un ordine religioso: una decisione che medita fino ai 37 anni, quando un corso di esercizio spirituali le chiarisce le idee.
Si consacrerà a Dio ma non, come le consigliano gli altri, in una congregazione di vita contemplativa. Preferisce fare di testa sua e sceglie di aggregarsi alla “Figlie del Sacro Cuore”, una comunità di pie donne che da più di vent’anni gestisce a Guadalajara un piccolo ospedale per i poveri.
Non si tratta di una vera e propria congregazione religiosa, ma di un’associazione laicale riconosciuta dalla Chiesa, che sta aspettando il suo leader. Maria Natividad si tuffa per 16 anni nell’assistenza dei poveri e dei malati, accettando i vari incarichi che le vengono assegnati fino a quello di Superiora. Qualche mese dopo l’elezione è lo stesso vescovo diocesano a suggerirle di scrivere le Costituzioni per un’autentica comunità religiosa che poi possa essere approvata come Congregazione.
Forse nessuno poteva essere più inadeguato di lei per simile incarico eppure in tre anni riesce a far prendere forma alla Congregazione Religiosa delle Figlie del Sacro Cuore, che ancora oggi, nello spirito della fondatrice, si prende cura di anziani poveri e malati: in Messico, in Guatemala, nell’Honduras e, più recentemente, anche in Africa.
Lei, sorridente e semplice, guida la nuova Congregazione fino al 1954, quando passa la mano alla nuova superiora tornando nell’ombra. Trascorre gli ultimi anni in mezzo a grandi sofferenze fisiche, spirando serenamente ultranovantenne il 30 luglio 1959. Giovanni Paolo II la beatifica il 22 novembre 1992 e la proclama Santa il 21 maggio 2000. (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
13 Beata Maria Vicenta di S. Dorotea Chávez Orozco -
Cotija, Michoacán (Messico), 6 febbraio 1867 -
Martirologio Romano: A Guadalajara in Messico, Beata Maria Vincenza di Santa Dorotea Chávez Orozco, vergine, che fondò l’Istituto delle Serve dei Poveri e, confidando solo nell’aiuto di Dio e della Provvidenza, diede testimonianza di umanità e premura per gli afflitti e i poveri.
Il 9 novembre del 1997 papa Giovanni Paolo II, ha beatificata madre Maria Vicenta (Vicentita) di Santa Dorotea Chávez Orozco, degna figlia del cattolico Messico, suora esemplare e fondatrice delle “Serve della SS. Trinità e dei Poveri”.
Ella nacque il 6 febbraio 1867 a Cotija, Michoacán (Messico) da Luis Chávez e da Benigna de Jesus Orozco, ultima di quattro figli, al battesimo ebbe il nome di Dorotea (“dono di Dio”). La famiglia umile ma povera, poté comunque darle un’educazione cristiana e compì i suoi primi studi con il fratello Eligio che era maestro.
Crebbe la sua infanzia e fanciullezza con una spiccata devozione a Gesù Bambino, invitando anche i suoi amichetti a pregare con lei; in questo periodo, ricevé la Prima Comunione nella sua Parrocchia.
Verso i nove anni, dovette seguire la famiglia che si trasferiva a Guadalajara in un quartiere abitato da famiglie povere; dove condusse una vita timorata di Dio. Sui 24-una grave malattia ai polmoni, per cui dovette ricoverarsi nel piccolo ospedale della Parrocchia di Mexicaltzingo e affidarsi alle cure delle Dame della Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli; l’amorevole assistenza ricevuta, convinse Dorotea Chávez Orozco, che quella era la sua strada, consacrata a Dio e dedita alla cura dei “poveri malati”.
Trascorsa la convalescenza a casa per ristabilirsi, il 19 luglio 1892 ritornò nel medesimo ospedale stabilmente, dove non solo aiutò le Dame della Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli, assistendo gli ammalati, ma consacrata a Dio, venne chiamata Vicentita (Vicenta), fino a che nel 1905 costituì una Famiglia religiosa che si occupasse dell’ospedale.
Con la direzione spirituale del canonico Miguel Cano e con il motto di San Paolo “la carità di Cristo ci anima”, madre Vicentita di S. Dorotea, fondò la Congregazione delle Serve della SS. Trinità e dei Poveri.
Il servire i poveri ammalati per lei, era un modo per glorificare Dio, nell’esercizio della più disinteressata carità. La sua vita era tutta un esempio che si manifestava allo sguardo delle persone esterne, ma anche a quello delle consorelle, come un costante olocausto, sacrificio, immolazione, di perpetua abnegazione, sollecitudine e zelo, di dimenticanza totale di sé e delle proprie comodità, di pura e costante pazienza, di ardente carità e di tenerissima compassione per quanti erano in sofferenza, di mansuetudine e umiltà ai piedi di Gesù.
A tutto questo bisogna aggiungere un fecondo zelo e apostolato per la salvezza delle anime, una unione intima con Dio fatta di grande devozione e ardenti lagrime. Madre Vicenta fu nominata Superiora Generale e lo rimase per 30 anni, sempre con amabilità e dolcezza; l’Istituto fu benedetto da Dio, le vocazioni affluirono abbondanti, tale che in pochi anni, sorsero 22 fondazioni nel Messico fra ospedali, cliniche, ospizi, tutte sotto l’amministrazione di madre Vicentita.
Anche per questa fiorente Istituzione venne l’ora della prova; nel 1914 le truppe rivoluzionarie di Don Venusiano Carranza, nell’ambito della persecuzione contro la Chiesa Cattolica e della Guerre civili di quell’epoca, occuparono anche Guadalajara e le Suore vissero momenti terribili, ma quando nel 1926 l’ospedale di S. Vincenzo de’ Paoli a Zapotlánel Grande fu occupato dai militari feriti, le suore l’assistettero con immutata carità, senza tener conto che erano nemici e persecutori della Chiesa.
Agli ammalati e sofferenti madre Vicentita diceva sempre: “Continuate con animo generoso lungo il cammino della Croce: ricevetelo tutti come segno della Volontà Divina”. Con pazienza e umiltà riuscì a controllare sempre il suo temperamento piuttosto collerico. Il 29 luglio 1949 ebbe un attacco cardiaco, suscitando allarme nell’intera Comunità, il 30 ricoverata all’ospedale della SS. Trinità di Guadalajara si aggravò, ricevé l’Estrema Unzione, venne l’arcivescovo della città per confessarla e celebrare la S. Messa e all’elevazione dell’Ostia, madre Vicentita, concluse la sua vita terrena. (Autore: Antonio Borrelli -
14 Santa Massima, Donatilla e Seconda -
Etimologia: Donatella (come Donato) = dato in dono, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Taburba nell’odierna Tunisia, Sante Massima, Donatilla e Seconda, vergini e martiri, delle quali le prime due, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, respinsero senza timore l’ordine del cesare di sacrificare agli idoli e, per sentenza del proconsole Anulino, furono dapprima esposte alle fiere insieme alla piccola Seconda e poi sgozzate con la spada.
Le tre Sante martiri erano ragazze di giovane età, per certo si sa che Massima aveva 14 anni, Seconda 12 anni ma di Donatilla non si sa, ma doveva essere anch’essa giovanissima. Il racconto della loro “passio” scritta nei primi secoli, inizia con le due fanciulle Massima e Donatilla che erano due vergini abitanti nei pressi di Tiburbo in Africa in un dominio imperiale.
Nel 303 il proconsole Anulino promulgò gli editti imperiali di Diocleziano, che prescrivevano a tutti gli abitanti di compiere un atto di culto agli dei, pena severissime punizioni per chi si astenesse.
L’intera popolazione del dominio obbedì, solo le due ragazze rifiutarono perché cristiane, denunciate da una donna del luogo, furono arrestate e trasferite a Tuburbo per essere giudicate da Anulino.
Al passaggio delle due vergini, si associò un’altra ragazza, Seconda anch’essa cristiana e votata alla verginità. Dopo aver subito vari interrogatori con lo scopo di farle apostatare, Anulino visto i loro rifiuti le condannò alla decapitazione; alcuni studiosi pensano che la terza ragazza sia stata martirizzata insieme alle prime due, ma che fosse una vergine di Tuburbo arrestata isolatamente, perché nell’interrogatorio non viene citata, come se non fosse presente.
Il “Martirologio Roman”’ come il “Calendario Cartaginese” pone la celebrazione delle tre martiri africane al 30 luglio.
Il nome Donatella è una diretta derivazione del nome latino Donatilla che è il nome di una martire in Africa; una lapide scoperta nel 1889 in Africa porta scritto: “Sanctae tres Maxima Donatilla et Secunda bona puella”. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
15 Sant' Olav di Svezia -+ Stoccolma, Svezia, 950 circa
La Chiesa scandinava venera due Santi omonimi, di nome Olav, entrambi sovrani e martiri, ma di due paesi diversi, spesso oggetto di confusione.
Al 29 luglio è celebrato Sant’Olav II di Norvegia, patrono di tale nazione, mentre il giorno seguente è la festa di Sant’Olav di Svezia.
Quest’ultimo intorno al 950 fu assassinato dai suoi sudditi pagani in rivolta poiché egli aveva rifiutato di sacrificare agli idoli presso l’attuale Stoccolma.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
16 Sant' Orso di Auxerre -
Martirologio Romano: Ad Auxerre nella Gallia lugdunense, in Francia, Sant’Orso, vescovo. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
17 San Pietro Crisologo -
Imola, ca. 380 -
Nel 433 venne consacrato vescovo di Ravenna, dal Papa in persona, Sisto III. Il soprannome di Pietro è «Crisologo», che significa «dalle parole d'oro».
La sua identità di uomo e di vescovo viene fuori chiaramente dai documenti che possediamo, circa 180 sermoni.
É lì che troviamo veramente lui, con una cultura apprezzabile in quei tempi e tra quelle vicende, e soprattutto col suo calore umano e con lo schietto vigore della sua fede. Ravenna ai tempi di Pietro è una città crocevia di problemi e di incontri.
Dall'Oriente lo consulta l' archimandrita Eutiche, in conflitto dottrinale col patriarca di Costantinopoli e con gran parte del clero circa le due nature in Gesù Cristo.
Il vescovo di Ravenna gli risponde rimandandolo alla decisione del Papa (che ora è Leone I) «per mezzo del quale il Beato Pietro continua a insegnare, a coloro che la cercano, la verità della fede». Una rigorosa indicazione, espressa sempre con linguaggio amico, con voce cordiale. (Avvenire)
Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Pietro, detto Crisologo, vescovo di Ravenna e dottore della Chiesa, che, munito del nome del Beato Apostolo, ne svolse lo stesso ministero con tale maestria, da attirare alla fede le folle con la rete della sua celeste dottrina, saziandole con la dolcezza del suo divino eloquio. Il suo transito avvenne il 31 luglio a Imola in Romagna.
(31 luglio: A Imola in Romagna, transito di San Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna la cui memoria ricorre il giorno precedente questo).
Nella sua vita c’è un momento ovviamente importantissimo per lui: quello della consacrazione a vescovo di Ravenna, intorno al 433. Ma è importante pure tutto ciò che circonda l’evento.
Innanzitutto c’è il papa in persona a consacrarlo: Sisto III, cioè l’uomo della pace religiosa dopo dissidi, scontri e iniziative scismatiche, ispirate alle dottrine di Nestorio. Segno perenne di questa pace, il rifacimento della Basilica liberiana sull’Esquilino, dedicata alla Madre di Dio (Santa Maria Maggiore).
Quando Pietro tiene il suo primo discorso da vescovo, ad ascoltarlo col papa c’è anche Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, sorella dell’imperatore Onorio e ora madre e tutrice dell’imperatore Valentiniano III.
Una donna che è stata padrona della reggia, poi ostaggio dei Goti invasori e moglie per forza di un goto, assassinato poco dopo in una congiura. L’assassino ha poi scacciato lei, costringendola a camminare a piedi per dodici miglia in catene, prima di essere rimandata ai suoi. E poi c’è Ravenna, intorno al vescovo.
Ravenna, che ora è la capitale dell’impero, cerniera tra Oriente e Occidente. Ravenna, che manda e riceve corrieri da ogni parte, e quasi sempre con notizie tristi, perché l’impero è giunto alle sue ultime convulsioni.
In questa capitale e in questo clima governa la sua Chiesa il vescovo Pietro, al quale la voce pubblica dà il soprannome di “Crisologo”, che significa “dalle parole d’oro”. E sono queste, le sue parole, che meglio conosciamo, nei circa 180 sermoni suoi che ci sono pervenuti.
Nella sua vita le date certe sono assai poche, ma la sua identità di uomo e di vescovo viene fuori chiaramente dai documenti che possediamo.
É lì che troviamo veramente lui, con una cultura apprezzabile in quei tempi e tra quelle vicende, e soprattutto col suo calore umano e con lo schietto vigore della sua fede; con le sue “parole d’oro”, appunto.
Inoltre, "la sua attività di predicatore ci ha lasciato soprattutto una documentazione inestimabile sulla liturgia di Ravenna e sulla cultura di questa città" (B. Studer).
Una città che è formicolante crocevia di problemi e di incontri. A trovare Pietro viene uno dei vescovi più illustri del tempo, Germano di Auxerre, che poi muore proprio a Ravenna nel 448, assistito da lui.
Dall’Oriente lo consulta l’influente e discusso archimandrita Eutiche, in conflitto dottrinale col patriarca di Costantinopoli e con gran parte del clero circa le due nature in Gesù Cristo.
Il vescovo di Ravenna gli risponde rimandandolo alla decisione del Papa (che ora è Leone I) "per mezzo del quale il beato Pietro continua a insegnare, a coloro che la cercano, la verità della fede". Una rigorosa indicazione circa i comportamenti. Ma espressa sempre con linguaggio amico, con voce cordiale. Con le “parole d’oro” che l’hanno reso popolare a Ravenna e in tutta la Chiesa. (Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria -
18 Beato Sergio Cid Pazo -
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” -
“Martiri della Guerra di Spagna”
Allariz, Spagna, 24 aprile 1884 – Barcellona, Spagna, 30 luglio 1936
Martirologio Romano: A Barcellona sempre in Spagna, Beato Sergio Cid Pazo, sacerdote della Società Salesiana e martire, che, sempre nella medesima persecuzione, morì per la sua coraggiosa testimonianza di fede.
Nato ad Allariz (Orense) il 24 aprile 1884.
Da piccolo s'intuiva quale sarebbe stata la sua vocazione. Fece i suoi studi seminaristici a Sarria (Barcellona), professando nel 1905.
La sua fu una vita esemplare.
Tutti parlavano di lui con grande rispetto e quasi venerazione per la sua bontà che traspariva in ogni cosa che faceva.
Lavoratore Instancabile, trascorse quasi tutta la sua vita come incaricato della pastorale a Sarria.
Fu obbligato a lasciare il suo collegio di Sama il 22 luglio 1936 e mentre cercava rifugio fu riconosciuto e denunciato.
Fermato, non negò la sua condizione: "Sì, sono sacerdote salesiano".
Fu fucilato il 30 luglio. (Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria -
19 San Terenzio di Imola -
Diacono della carità, la figura di Terenzio è legata alla carità verso i poveri e gli ammalati e alla preghiera vissuta nella vita eremitica nelle campagne attorno a Faenza.
Nato ad Imola, trascorre la sua infanzia presso la Cattedrale dove riceve l'istruzione e l'ordinazione al diaconato. Per divina ispirazione si reca poi a Faenza presso l'ospedale e la Chiesa di Santa Croce, tutto dedito al servizio dei poveri e al culto divino.
Ma il miracolo che opera guarendo un cieco di Imola, mandato a lui da un angelo, lo circonda di tanta ammirazione che, turbato nella sua umiltà, si ritira eremita nella foresta infestata da lupi di San Pietro in Laguna, poche miglia a nord di Faenza.
Anche qui compie numerose guarigioni. Infine, avvertito da un angelo della sua prossima morte, si prepara santamente all'incontro con il Signore, convoca gli eremiti della zona, dando alcune raccomandazioni e si addormenta santamente.
Il suo corpo è sepolto inizialmente nella vicina chiesa della Celletta, 'con grande concorso di popolo, che allora corrispondeva ad una vera e propria canonizzazione', come sostiene l'agiografo Lucchesi.
Il più antico ed importante monumento i culto a san Terenzio fu la chiesa a lui dedicata presso la Cattedrale (11 novembre 1153).
Nella splendida arca quattrocentesca che conserva le reliquie del Santo, quando viene portata in Cattedrale nel 1810, viene trovata una lamina plumbea, recante tra altro 2 date: la prima (18 agosto 1252) dovrebbe corrispondere alla prima traslazione da San Pier Laguna, mentre la seconda (4 gennaio 1461) è la data della reposizione delle reliquie nell'arca.
Questo monumento, tuttora conservato nella Basilica Cattedrale di Faenza, è sormontato da un angelo, che originariamente era opera di Della Robbia, ma che è stato verosimilmente confiscato da Napoleone.
La sua memoria si celebra il 30 luglio. (Autore: Don Tiziano Zoli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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