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1 Sant' Ardone di Aniano -
Martirologio Romano: Nel monastero di Aniane nel territorio della Septimania, nell’odierna Francia, Sant’Ardone Smaragdo, Sacerdote, che fu compagno di San Benedetto di Aniane nella vita cenobitica. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
2 Santi Basilio, Eugenio, Agatodoro, Elpidio, Etereo, Capitone ed Efrem -
+ 7 marzo 311
Martirologio Romano:
Nel Chersoneso, in Grecia, Santi vescovi Basilio, Eugenio, Agatodoro, Elpidio, Eterio, Capitone ed Efrem, Martiri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
3 Beato Enrico d’Austria -
Cavaliere laico, il Beato Enrico d’Austria, fu chiamato all’Oridne Mercedario dalla Beata Vergine. A Tunisi dove si trovava per redenzione fu flagellato per la grande testimonianza che mostrava alla fede in Cristo e con amore sopportò ogni tormento.
Famoso per la preghiera, illibato nella castità, forte nella penitenza e amabile nella conversazione.
Dopo aver preannunziato l’ora della morte, spirò in queste parole: tu sei o Signore la mia speranza, restituisco la mia anima a Dio; dalla sua cella si udiva un coro di angeli.
É sepolto nella chiesa della Mercede di Barcellona.
L’Ordine lo festeggia il 7 marzo. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
4 Sant' Eubulio -
Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, passione di Sant’Eubulio, che, compagno di Sant’Adriano, fu due giorni dopo di lui sbranato dai leoni e trafitto con la spada. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
5 San Gaudioso di Brescia -
Martirologio Romano: A Brescia, San Gaudioso, vescovo.
San Gaudioso fu nella prima metà del V secolo il dodicesimo vescovo di Brescia, come risulta da un discorso pronunciato dal vescovo Ramperto, nel quale in occasione del trasferimento del corpo di san Filiastro, da lui stesso predisposto nell’834, dalla chiesa antica di Sant’Andrea alla chiesa di Santa Maria elencò i nomi dei trenta vescovi fino ad allora succedutisi nella diocesi bresciana.
L’agiografo Ughelli, che indica erroneamente Gaudioso col nome di «Gaudentius II», gli assegna tredici anni di episcopato.
Le «Vies des Saints» scritte dai Benedettini di Parigi pongono la morte di Gaudioso verso il 445.
È certo in ogni caso che egli morì prima del 451 poiché in quell’anno il suo successore Ottaziano firmò la lettera sinodica dell’episcopato lombardo indirizzata a san Leone Magno contro il monofisismo di Eutiche.
Secondo i Martirologi Romano e Bresciano Gaudioso morì un 7 marzo.
Il suo corpo fu tumulato nella chiesa parrocchiale di Sant’Alessandro, dove -
Messe al sicuro nella cappella della famiglia Da Ponte durante la tempesta rivoluzionaria della fine del Settecento, nel 1823 furono restituite alla chiesa di Sant’Alessandro. (Fonte: Giornale di Brescia)
6 San Giovanni Battista Nam Chong-
Scheda del gruppo a cui appartiene San Giovanni Battista Nam Chong-
Ch'ungju, Corea del Sud, 1817 – Seoul, Corea del Sud, 7 marzo 1866
Martirologio Romano: A Seul in Corea, San Giovanni Battista Nam Chong-
Giovanni Battista Nam Chong-
Ben presto iniziò però a trovar difficile il conciliare le sue mansioni con la fede cristiana che professava e si dimise perciò dal suo incarico. Prese allora ad insegnare la lingua coreana ai missionari stranieri che giungevano nel paese. In seguito si trasferì a Seoul, ove insegnò letteratura cinese ai figli di alti funzionari.
Nel 1866 una nave russa attaccò la provincia di Hamgyong e subito si ipotizzò che le truppe europee stanziate a Pechino sarebbe ro sicurametne state in grado di scacciare gli invasori. La moglie del reggente della provincia, sapendo che Giovanni Battista Nam Chong-
A Giovanni più precisamente fu chiesto di condurre il vescovo al palazzo reale, ove gli sarebbe stato chiesto in modo ufficiale di esercitare pressione presso i suoi connazionali a Pechino.
Il Berneux si trovava però a Piongjan e quando dopo varie peripezie riuscì a raggiungere Seoul, i russi erano già partiti.
Alcuni ufficiali governativi si sentirono comunque offesi per il semplice fatto che fosse stato richiesto l’intervento di un cristiano in una questione in cui essi non erano riusciti ad intervenire: decretarono dunque che i cattolici dovessero essere eliminati, a costo di spargimenti di sangue.
Anche Giovanni Battista Nam Chong-
Spirò invocando con fede i nomi di Gesù e Maria.
Questo glorioso martire è stato beatificato il 6 ottobre 1968 ed infine canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, insieme con altri numerosi testimoni della fede in terra coreana. (Autore: Fabio Arduino -
7 Beati Giovanni Larke, Giovanni Ireland e Germano Gardiner -
Scheda del gruppo a cui appartengono: “Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia Beatificati nel 1886-
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beati martiri Giovanni Larke e Giovanni Ireland, sacerdoti e Germano Gardiner, che per la loro fedeltà al Romano Pontefice morirono impiccati a Tyburn, sotto il re Enrico VIII.
Il martirio dei tre Beati oggi festeggiati si colloca nel contesto delle persecuzioni anticattoliche suscitate in Inghilterra dalla nascita della Chiesa Anglicana e fomentate dagli stessi sovrani inglesi, interessati a salvaguardare l’unità religiosa della nazione.Ben poco sappiamo della vita di John Larke, ma pare cosa certa che all’epoca del suo martirio avesse già un’età abbastanza avanzata.
Dal 1504 era rettore di Santa Etelburga, Bishopsgate e conservò tale incarico sino a pochi anni della tragica morte.
Nel 1526 fu nominato rettore di Woodford nell’Essex, ma rinunciò alla prestigiosa carica quando quattro anni dopo il celeberrimo cancelliere inglese San Thomas More gli affidò il medesimo incarico a Chelsea.
Cresacre More, nella sua “Vita di Moro” ebbe a testimoniare: “La morte [di Moro] impressionò in modo particolare Larke, suo parroco, che, seguendo l’esempio del proprio discepolo, arrivò al martirio per la stessa causa [l’Atto di Supremazia], e divenne ancor più famoso”.
German Gardiner era un laico, segretario di Stefano Gardiner del quale assai probabilmente era anche parente.
Trovatosi in controversia con i riformatori, prese a considerare piuttosto quali eroi quei martiri morti in difesa delle prerogative del papato.
Il Cresacre nella sua opera citò anche lui: “German Gardiner, un laico brillante, istruito e santo, che venne condannato a morte circa otto anni dopo [Moro] dichiarò di fronte a tutti coloro che erano venuti ad assistere alla sua esecuzione che doveva il suo coraggio alla santa semplicità dei certosini, ai magnifici insegnanti del vescovo di Rochester ed alla saggezza unica di Tommaso Moro”.
Il 15 febbraio 1544 dinnanzi alla corte di Westminster vennero condotti, oltre a John Larke e German Gardin, anche John Ireland, sacerdote secolare di cui si sa poco o nulla, ed il laico John Heywood, che poi rinnegò la sua fede.
La loro condanna a morte fu emessa con l’accusa di “tentato tradimento contro il re, in materia della di lui dignità, titolo e nome di Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra e d’Irlanda, con parole, scritti ed azioni”.
I tre martiri vennero impiccati e squartati il 7 marzo 1544.
La loro glorificazione terrena ha seguito tempi diversi: i sacerdote John Larke ed il laico German Gardiner furono beatificati già nel 1886, mentre il sacerdote John Ireland fu beatificato solo nel 1929. (Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
8 Beato Giuseppe Olallo Valdes -
L'Avana, Cuba, 12 febbraio 1820 – Camagueym, Cuba, 7 marzo 1889
Fra Jose' Olallo Valdés, religioso dell'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio-
É il secondo beato per la Chiesa cubana ed il primo ad essere beatificato a Cuba il 29 novembre 2008 nella città ove il religioso morì. Il 15 marzo 2008 è infatti stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione. Era “venerabile” dal 16 dicembre 2006.
Il Servo di Dio Venerabile José Olallo Valdés nacque all’Avana, nell’Isola di Cuba, il 12 febbraio del 1820. Figlio di genitori sconosciuti, venne affidato all’Orfanotrofio di San Giuseppe (Avana), dove il 15 marzo del 1820 ricevette il battesimo. Visse e fu educato presso la Casa di Cuna e la Casa di Beneficenza, diventando un ragazzo serio e responsabile, e all’età di 13-
Superando gli ostacoli che sembravano interporsi alla sua vocazione, si mantenne costante nella sua decisione, emettendo la professione come religioso ospedaliero.
Nel mese di aprile dell’anno 1835 fu trasferito alla città di Puerto Príncipe (oggi Camagüey), nell’ospedale San Giovanni di Dio, dove si dedicò per il resto della sua vita al servizio degli infermi, secondo lo stile di San Giovanni di Dio; in 54 anni si assentò dall’ospedale soltanto una notte, e per cause indipendenti della sua volontà. Infermiere aiutante, a 25 anni divenne “infermiere maggiore” dell’ospedale e quindi, nel 1856, superiore della comunità.
Visse affrontando grandi sacrifici e difficoltà, ma sempre con rettitudine e forza d’animo, la sua vita consacrata e ospedaliera durante il periodo di soppressione degli Ordini religiosi da parte dei governi liberali spagnoli, che comportò anche la confisca dei beni ecclesiastici.
Dal 1876, in cui morì l’ultimo suo Confratello compagno, al 1889, data della sua morte, visse da solo adoperandosi nel servizio degli ammalati, sempre fedele a Dio, alla sua coscienza, alla sua vocazione e al carisma, senza venire mai meno ai voti religiosi, umile e obbediente verso tutti, con nobiltà di cuore, rispettando, servendo e amando anche gli ingrati e i nemici invidiosi.
Nel periodo della guerra dei 10 anni (1868-più deboli e poveri, per gli anziani e gli orfani, senza fare distinzione di razza né di religione, mettendo a repentaglio la propria esistenza nel corso di eventi difficili, assistendo gli schiavi, difendendo l’ospedale, soccorrendo i feriti di guerra, assistendo i prigionieri, ecc., e anche prendendo la difesa con “dolce fermezza” di tutti coloro che non avevano il permesso governativo di farsi curare, senza badare alla loro provenienza sociale o politica al tempo dei conflitti bellici civili, ottenendo per questo il rispetto e la considerazione delle autorità militari.
Riuscì ad intercedere presso le autorità militari in favore della popolazione di Camagüey e, non lasciandosi intimorire dalle minacce, né dalle proibizioni, evitò un massacro civile.
Perseverante nella vocazione, attraverso la sua bontà dolce e serena fece del quarto voto di ospitalità non solo un ministero di amore e servizio verso gli ammalati, ma una modalità di ardente apostolato, soprattutto nell’assistenza ai moribondi e agli agonizzanti, che accompagnava nelle ultime ore della loro esistenza, nel passaggio verso una vita migliore. Si distinse sempre verso tutti per la sua infinita bontà e fu ricordato con l’appellativo di “apostolo della carità” e “padre dei poveri”, che sintetizza bene l’altruismo del Venerabile Olallo, vissuto in piena fedeltà al carisma dell’Ospitalità.
Modesto, sobrio, senza aspirazioni di alcun genere se non quella di essere consacrato unicamente al suo misericordioso ministero, rinunziò al sacerdozio e si caratterizzò per la sua umanità e competenza, pur essendo autodidatta, anche come medico-
Visse lontano dal clamore, rifuggendo dagli onori per poter fissare il suo sguardo soltanto su Gesù, che ritrovava nel volto dei sofferenti. La sua grande umiltà si rivelò anche dalla rinunzia al sacerdozio, dopo l’invito rivoltogli dal suo Arcivescovo, poiché la sua vocazione era completamente il servizio dei più poveri e dei sofferenti; i testimoni parlano di fedeltà piena alla sua consacrazione di religioso nella pratica dei voti di castità, obbedienza, povertà e ospitalità.
La sua morte, avvenuta il 7 marzo 1889, fu ritenuta la “morte di un giusto”, di un santo: decesso, veglia, funerali e sepoltura, con monumento-
La grande fama di santità che lo circondava nasceva dalla sua vita di uomo modesto, giusto e dall’animo generoso, come modello di virtù dal cuore ardente di amore per i “miei fratelli prediletti”: sobrio, gioioso, affabile, ma soprattutto eccelso servitore nella carità. Seppe essere un fedele imitatore del suo Fondatore. Dio fu la sua vita e, di conseguenza, illuminato dall’amore di Dio, ricambiò tanto amore nella stessa maniera. “Dio occupò il primo posto nelle intenzioni e nelle opere: fissi i suoi occhi nel bene portava Gesù costantemente nell’anima”.
Questa eroica carità aveva le sue basi in una fede che riconosceva in “Dio il proprio Padre, e in Gesù tutto il centro della sua vita, il fondamento del suo amore e della sua misericordia; Gesù crocifisso fu il segreto della sua fedeltà all’amore di Dio che muoveva ogni sua opera”.
Pur essendo di spirito tenace, fu sempre sottomesso a Dio per meglio affrontare e sostenere le dure e quotidiane fatiche imposte dal lavoro ospedaliero e dalle situazioni difficili e delicate che comportavano rischi per la vita, sempre cercando di ottenere il bene dei suoi ammalati.
Con la morte di P. Olallo Valdés e anche in seguito, la sua fama di santità andava aumentando ogni giorno di più, principalmente fra il popolo di Camagüey, che attribuiva alla sua intercessione grazie e aiuti continui. Aperto il Processo di studio della Causa nel 1990 nella diocesi di Camagüey, Cuba, il 16 dicembre 2006 fu riconosciuta l’eroicità delle sue virtù.
Dopo la celebrazione del Processo diocesano super miro della presunta guarigione della bambina di 3 anni, Daniela Cabrera Ramos, nella stessa diocesi di Camagüey, il ristabilimento della bambina fu riconosciuto come vero miracolo da Sua Santità Benedetto XVI con Decreto del 15 marzo 2008.
La cerimonia di Beatificazione di P. Olallo Valdés ha avuto luogo nella Città di Camagüey, Cuba, il 29 novembre 2008, presieduta da Sua Eminenza il Cardinale José Saraiva Martins. (Autore: Júnior Gambarotto – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
9 Beato Leonida (Leonid) Fedorov -
Scheda del gruppo a cui appartiene: “Beati 25 Martiri Greco-
San Pietroburgo, Russia, 4 novembre 1879 – Kirov, Russia, 7 marzo 1935
Nacque il 4 novembre 1879 a San Pietroburgo da una famiglia ortodossa russa. Nel 1902 lasciò il seminario ortodosso e fece un viaggio a Roma, dove si convertì al cattolicesimo.
Terminati gli studi, il 25 marzo 1911 ricevette l'ordinazione presbiterale in Bosnia come greco-
Due anni dopo divenne monaco nel monastero di San Teodoro lo Studita.
Tornato a San Pietroburgo venne deportato in Siberia, ma già nel 1917 fu liberato e ricevette la nomina ad Esarca dei Cattolici russi di rito bizantino.
Nel 1923 fu arrestato una seconda volta e condannato a dieci anni di prigionia e inviato alle isole Solovky sul Mar Bianco ed a Vladka.
Fu pioniere dell'ecumenismo insieme con gli ortodossi con i quali condivise la dura prigionia. Morì il 7 marzo 1935 presso Kirov.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme ad altre 24 ucraini vittime del regime sovietico, primo beato russo dei tempi moderni. (Avvenire) Leonid Fedorov nacque il 4 novembre 1879 a San Pietroburgo da una famiglia ortodossa russa. Nel 1902 lasciò il seminario ortodosso e fece un viaggio a Roma, dove si convertì al cattolicesimo.
Studiò presso Anonia, Roma e Friburgo. Il 25 marzo 1911 ricevette l’ordinazione presbiterale in Bosnia come greco-
Due anni dopo divenne monaco nel monastero di San Teodoro lo Studita.
Fece poi ritorno a San Pietroburgo.
Per un certo tempo fu deportato in Siberia, ma già nel 1917 fu liberato e ricevette la nomina ad Esarca dei Cattolici Russi di Rito Bizantino.
Nel 1923 fu arrestato una seconda volta e condannato a dieci anni di prigionia. Fu allora inviato alle isole Solovky sul Mar Bianco ed a Vladka.
Fu pioniere dell’ecumenismo insieme con gli ortodossi con i quali condivise la dura prigionia. Morì infine martire dela fede il 7 marzo 1935 presso Kirov.
Già nel 1937, con l’appoggio nel metropolita ucraino Sheptytsky, iniziò la procedura per la sua elevazione agli onori degli altari e così Leonid Fedorov fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina, primo Beato russo dei tempi moderni. (Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
10 San Paolo di Plousias -
Martirologio Romano: A Prusa in Bitinia, nell’odierna Turchia, San Paolo, vescovo, che, scacciato dalla sua patria per aver difeso il culto delle sacre immagini, morì in esilio. (Fonte: Enciclopedia dei Santi) Giaculatoria. -
11 San Paolo il Semplice -
Martirologio Romano: Nella Tebaide in Egitto, San Paolo, detto il Semplice, discepolo di sant’Antonio. Sposato, quando si accorse che la moglie lo tradiva , scorgendo in questo un segno di una divina chiamata alla vita monastica, si ritirò nel deserto; fu un discepolo di Sant’ Antonio Abate. Questi lo provò in molti modi: lo tenne a digiuno e fuori della cella per vari giorni sotto il sole del deserto; gli fece rompere un vaso di miele e glielo fece raccogliere con un cucchiaio stando attento a non raccogliere con esso anche la sabbia; gli fece svolgere lavori inutili come fare e disfare corde, cucire e scucire vestiti e San Paolo non mormorò, non si scoraggiò e non si indignò.
Sant' Antonio alla fine si commosse per questo suo discepolo scorgendo che era estremamente semplice e che in lui la grazia agiva in modo meraviglioso. Questa straordinaria umiltà e obbedienza di San Paolo il Semplice lo rese uno straordinario esorcista, infatti Sant’ Antonio abate gli diede una cella vicina alla sua e gli inviava gli indemoniati che lui stesso (Antonio il Grande!) non riusciva a liberare e si racconta che per opera di San Paolo il Semplice essi venivano immediatamente liberati dai demoni. (Autore: Don Tullio Rotondo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
12 Sante Perpetua e Felicita -
+ Cartagine, 7 marzo 203
Chiusa in carcere aspettando la morte, una giovane tiene una sorta di diario dei suoi ultimi giorni, descrivendo la prigione affollata, il tormento della calura; annota nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni.
Siamo a Cartagine, Africa del Nord, anno 203: chi scrive è la colta gentildonna Tibia Perpetua, 22 anni, sposata e madre di un bambino.
Nella folla carcerata sono accanto a lei anche la più giovane Felicita, figlia di suoi servi, e in gravidanza avanzata; e tre uomini di nome Saturnino, Revocato e Secondulo.
Tutti condannati a morte perché vogliono farsi cristiani e stanno terminando il periodo di formazione; la loro «professione di fede» sarà il martirio nel nome di Cristo.
Le annotazioni di Perpetua verranno poi raccolte nella «Passione di Perpetua e Felicita», opera forse di Tertulliano, testimone a Cartagine. (Avvenire)
Etimologia: Perpetua = fede immutabile, dal latino -
Martirologio Romano: Memoria delle Sante martiri Perpetua e Felicita, arrestate a Cartagine sotto l’imperatore Settimio Severo insieme ad altre giovani catecumene.
Perpetua, matrona di circa ventidue anni, era madre di un bambino ancora lattante, mentre Felicita, sua schiava, risparmiata dalle leggi in quanto incinta affinché potesse partorire, si mostrava serena davanti alle fiere, nonostante i travagli dell’imminente parto.
Entrambe avanzarono dal carcere nell’anfiteatro liete in volto, come se andassero in cielo.
Chiusa in carcere aspettando la morte, tiene una sorta di diario dei suoi ultimi giorni, descrivendo la prigione affollata, il tormento della calura; annota nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni.
Siamo a Cartagine, Africa del Nord, anno 203: chi scrive è la colta gentildonna Tibia Perpetua, 22 anni, sposata e madre di un bambino.
Nella folla carcerata sono accanto a lei anche la più giovane Felicita, figlia di suoi servi, e in gravidanza avanzata; e tre uomini di nome Saturnino, Revocato e Secondulo.
Tutti condannati a morte perché vogliono farsi cristiani e stanno terminando il periodo di formazione; la loro “professione di fede” sarà la morte nel nome di Cristo.
Le annotazioni di Perpetua verranno poi raccolte nella Passione di Perpetua e Felicita, opera forse del grande Tertulliano, testimone a Cartagine.
Il racconto segnala le pressioni dei parenti (ancora pagani) su Perpetua e su Felicita, che proprio in quei giorni dà alla luce un bambino. Per aver salva la vita basta “astenersi”.
Ma loro non si piegano.
Questo accade regnando l’imperatore Settimio Severo (193211), anche lui di origine africana, che è in guerra continua contro i molti nemici di Roma, e perciò vede ogni cosa in funzione dell’Impero da difendere; e tutto vorrebbe obbediente e inquadrato come l’esercito. Con i cristiani si è mostrato tollerante nei primi anni.
Ma ora, in questa visione globale della disciplina, che include pure la fede religiosa, scatena una dura lotta contro il proselitismo cristiano e anche ebraico.
Cioè contro chi ora vuole abbandonare i culti tradizionali.
Per questo c’è la pena di morte: e morte-
Perpetua, Felicita e tutti gli altri entrano nella Chiesa col martirio che incomincia nell’arena, dove le belve attaccano e straziano i morituri.
E poi c’è la decapitazione.
Perpetua vive l’ultima ora con straordinarie prove di amore e di tranquilla dignità.
Vede Felicita crollare sotto i colpi, e dolcemente la solleva, la sostiene; zanne e corna lacerano la sua veste di matrona, e lei cerca di rimetterla a posto con tranquillo rispetto di sé.
Gesti che colpiscono e sconvolgono anche la folla nemica, creando momenti di commozione pietosa.
Ma poi il furore di massa prevale, fino al colpo di grazia.
Nei Promessi sposi, il Manzoni ha chiamato Perpetua la donna di servizio in casa di don Abbondio; e il nome di quel personaggio letterario così fortemente inciso è passato poi a indicare una categoria: quella, appunto, delle “perpetue”, addette alla cura delle canoniche.
Cesare Angelini, il grande studioso del Manzoni, ritiene che egli abbia tratto quel nome dal Canone latino della Messa, "dov’è allineato con quelli dell’altre donne del romanzo: Perpetua, Agnese, Lucia, Cecilia...". (Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
13 Santi Saturo, Saturnino, Revocato e Secondino -
Martirologio Romano: Sempre a Cartagine, nell’odierna Tunisia, passione dei Santi Satiro, Saturnino, Revocato e Secondino, dei quali, durante la medesima persecuzione, l’ultimo morì in carcere, gli altri invece, dopo essere stati straziati da varie belve, morirono sgozzati con la spada mentre si scambiavano il bacio santo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
14 Santi Simeone Berneux, Giusto Ranfer de Bretenières, Ludovico Beaulieu e Pietro Enrico Dorie -
+ Sai-
Monsignor Simeon-
Decapitati per avere confessato con fede intrepida ai loro persecutori di essere venuti in Corea per salvare anime in nome di Cristo, Giovanni Paolo II li ha canonizzati il 6 maggio 1984 con altri 99 martiri che effusero con il loro sangue la terra coreana.
Il 6 maggio 1984 Giovanni Paolo II canonizzò 103 martiri che effusero con il loro sangue la terra coreana. Questo numeroso gruppo comprendeva sia degli indigeni che dei missionari, e tra questi ultimi rifulge l’esempio del francese monsignor Simeon-
Questi nacque a Château-
Padre Berneux partì il 13 gennaio 1840 per l’Estremo Oriente. A Manila incontrò monsignor Retord, vicario apostolico della regione vietnamita del Tonchino. Il 17 gennaio 1841 monsignor Retord ed i padri Berneux, Galy e Taillandier arrivarono nel Tonchino. Dopo alcune peripezie, i missionari partirono in ordine sparso. Padre Berneux fisso la propria residenza a Yen Moi, nei pressi di un piccolo convento di suore “Amanti della Croce”. Qui si dedicò allo studio della lingua annamita. Scriveva: “Benchè non possa fare più di sei passi, che riceva la luce del sole soltanto da una piccola apertura a quindici centimetri dal suolo, e che, per scrivere, sia costretto a stendermi completamente sulla stuoia, sono il più felice degli uomini”. Pericolose minacce incombevano tuttavia sul giovane missionario, che dovette trasferirsi continuamente da un nascondiglio all’altro. Monsignor Retord prese a cuore tale situazione e chiede a Berneux e Galy di raggiungere padre Masson nella provincia di Nghe An.
La messa in sicurezza dei giovani missionari operata dal vescovo era però giunta troppo tardi: la loro presenza era già stata purtroppo denunciata a Nam Dinh, residenza del mandarino. Nella notte del Sabato Santo cinquecento soldati circondarono gli asili dei due missionari.
In quella sera padre Berneux aveva ricevuto alcune confessioni, che amava definire così: “Erano, dice, gli albori del mio apostolato in terra annamita, furono anche la fine. I disegni di Dio sono impenetrabili, ma sempre degni di essere adorati”. All’alba della festa di Pasqua, appena terminata la celebrazione quotidiana della Messa, i soldati invasero la capanna e lo catturarono. “Provai una grande gioia -
Chiusi in gabbie ed incatenati, furono portati a Nam Dinh, ove si dimistrarono lieti di poter manifestare la loro fede in Gesù Cristo. “Qui -
Ebbero ben presto inizio gli interrogatori. Il mandarino sperava di ottenere qualche denuncia, ma padre Berneux non tradì nessuno di coloro che lo avevano aiutato a nascondersi.
Fatti entrare tre giovani Annamiti cristiani che erano stati imprigionati, il mandarino affermò: “Ecco uomini che stanno per morire. Consigliate loro di abbandonare la vostra religione per un mese. Potranno, in seguito, praticarla nuovamente e saranno sani e salvi tutti e tre”.
Ma padre Berneux rispose: “Mandarino, non si incita un padre ad immolare i propri figli; e lei vorrebbe che un sacerdote della Religione di Gesù consigliasse l’apostasia ai propri cristiani?” e girandosi verso i neofiti: “Amici, un solo consiglio: pensate che le vostre sofferenze stanno per finire, mentre la felicità che vi attende in Cielo è eterna.
Siatene degni con la vostra costanza”. “Sì, Padre!” promisero. “Che cos’è dunque quest’altra vita di cui parlate loro? Tutti i cristiani hanno dunque un’anima?” chiese sogghignando il mandarino. “Sicuramente, ed anche i pagani ne hanno una. Ne avete una anche voi, mandarino”. Il 9 maggio 1841 padre Berneux fu trasferito nella prigione di Hué, capoluogo dell’Annam. Ripresero gli interrogatori: “Calpestate questa croce!”. “Quando si tratterà di morire – esclamò – presenterò la testa al carnefice. Ma quando mi ordinerete di rinnegare il mio Dio resisterò sempre”. “Vi farò picchiare a morte!” minacciò il mandarino. “Picchiate, se volete!”.
Il 13 giugno il mandarino decise di mettere in pratice le proprie minacce. Padre Berneux reagì esclamando: “Che gioia poter soffrire per il nostro grande Dio!” L’8 ottobre i padri Berneux e Galy appresero con gioia la notizia della loro condanna a morte.
Il 3 dicembre 1842 la firma regale confermò la sentenza del tribunale. Ma improvvisamente si verificò un colpo di scena: il 7 marzo 1843 un comandante di corvetta francese, appreso lo stato di prigionia dei cinque suoi compatrioti, ne esigette la liberazione.
Riacquistata dunque la libertà, nell’ottobre del 1843 padre Berneux venne inviato in Manciuria, provincia della Cina settentrionale. Qui lavorò per dieci anni, malgrado gravi problemi di salute causati da tifo e colera. Il 5 agosto 1854 il pontefice Pio IX lo promosse a vicario apostolico della Corea. “La Corea – scrisse il neovescovo – terra di martiri, come rifiutare di andarvi!”.
Accompagnato da due sacerdoti missionari, monsignor Berneux s’imbarcò a Shanghai il 4 gennaio 1856. Giunto a destinazione e soddisfatto d’aver eluso la vigilanza dei guardacoste che li avrebbero puniti con la pena di morte, il vescovo si mise subito all’opera: imparò innanzitutto la lingua coreana, dopodiché intraprese la visita ai cristiani del luogo, tanto a Seul quanto nelle campagne e sulle montagne, quindi la fondazione di un seminario, l’apertura di scuole per giovani e di una tipografia. Monsignor Berneux desiderò provvedere anche all’avvenire della missione, provvedendo a designare come suo successore monsignr Daveluy con l’assenso della Santa Sede.
Nonostante condizioni di apostolato molto dure, quali clandestinità, estrema povertà e periodiche persecuzioni locali, sotto la direzione di monsignor Berneux il numero dei battezzati, che ammontava nel 1859 a 16700, raggiunse nel 1862 i 25000.
Ma una congiura di palazzo avvenuta nel 1864 e la minaccia di un attacco russo contro la Corea nel gennaio 1866, portarono ad interrompere l’opera apostolica dei missionari ed a risvegliare l’odio nei confronti dei cristiani. Il 23 febbraio 1866 penetrarono nella casa del vescovo cinque uomini. “Siete europeo?” chiese il capo. “Sì, ma che venite a fare qui?”. “Per ordine del re veniamo ad arrestare l’europeo”. “Sia pure!” E lo portarono via senza neppure legarlo. Il 27 delo stesso mese monsignor Berneux comparve davanti al Ministro del Regno e a due Giudici Supremi, che gli domandarono come fosse entrato in Corea ed in compagni di chi. “Non chiedete questo al vescovo!” rispose loro monsignor Berneux. “Se non rispondi, possiamo, secondo la legge, infliggerti molti tormenti”. “Tutto quel che vorrete, non ho paura”.
Dal 3 al 7 marzo monsignor Berneux subì quotidianamente degli interrogatori nel cortile della Prigione dei Nobili, al centro del quale venne legato ad una sedia di legno. Il “Giornale della Corte” riportò che la tortura veniva inflitta al vescovo ad ogni interrogatorio, per lui “la tortura è stata fermata al decimo, o all’undicesimo colpo” e ciò significa che gli sarebbero stati sferrati dei colpi dieci o undici volte, con tutta la forza, sul davanti delle gambe, con un bastone a sezione triangolare della grossezza della gamba di un tavolo. Il vescovo rimaneva silenzioso, emettendo soltanto ad ogni colpo un lungo sospiro. Incapace di muoversi da solo, lo si doveva riportare nella sua cella, ove poi le gambe senza più carne venivano ricoperte con una carta oleata.
Nel frattempo furono arrestati e sottoposti ad interrogatori e torture anche alcuni confratelli e compatrioti del vescovo, appartenenti alla medesima congregazione: si tratta dei sacerdoti Simon-
Il 7 marzo il “Giornale della Corte” citò così monsignor Berneux ed i suoi tre compagni: “Quanto ai quattro individui europei, che siano consegnati all’autorità militare per essere decapitati, e che le loro teste rimangano sospese, affinché ciò serva di lezione alla moltitudine”.
Uscendo dalla prigione per l’esecuzione il vescovo esclamò: “Così moriamo in Corea: è una buona cosa!” ed alla vista della folla ammassata sospirò: “Dio mio, quanto sono da compiangere questi poveretti!”. Il vescovo approfittò di ogni sosta effettuata durante tale viaggio per parlare del Paradiso ai suoi tre compagni di supplizio. Il luogo scelto per l’eccidio fu una grande spiaggia sabbiosa, lungo il fiume Han. I quattrocento soldati formarono un cerchio e vi piantarono un palo al centro. Il mandarino ordinò che i condannati fossero portati dinnanzi a lui.
Vennero strappati loro gli abiti di dosso, gli orecchi piegati in due furono bucati con una freccia, il volto venne spruzzato d’acqua e poi di calce viva, al fine di accecare le vittime. Dopodiché vennero introdotti sotto le spalle, fra le braccia legate ed il torso, dei bastoni, le cui estremità appoggiavano sulle spalle di due soldati.
La marcia del Hpal-
15 Santa Teresa Margherita (Redi) del Cuore di Gesù (7 marzo)
Arezzo, 1 settembre 1747 -
Al secolo Anna Maria Redi, nacque ad Arezzo il 15 luglio 1747. Frequentò come educanda il monastero di Santa Apollonia di Firenze fino al 1764. Decisiva per la sua vocazione fu l'ispirazione attribuita a santa Teresa d'Avila, grazie alla quale scelse il Carmelo. Entrò nel monastero carmelitano di Firenze il 1 settembre 1764 e vestì l'abito delle Carmelitane scalze l'11 marzo 1765, prendendo il nome di suor Teresa Margherita del Cuore di Gesù.
La seconda grande ispirazione della sua vita fu il passo della prima lettera di Giovanni, «Dio è amore» (1 gv, 4,16) e cercò di vivere improntata a questo concetto.
Si dedicò quindi alla preghiera e all'assistenza delle consorelle anziane fino a che, molto giovane (neppure 23 anni), morì a causa di una peritonite, il 7 marzo 1770. Il suo corpo emanava un profumo soave e ancora oggi è conservato incorrotto nella chiesa del monastero delle Carmelitane scalze di Firenze, dove fu sepolta. Fu canonizzata dal Papa Pio XI il 19 marzo 1934. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Firenze, Santa Teresa Margherita Redi, Vergine, che, entrata nell’Ordine delle Carmelitane Scalze, percorse un arduo cammino di perfezione e fu colta da prematura morte.
La vigilia della festa della Madonna del Carmelo dell’anno 1747, ad Arezzo, nella nobile famiglia Redi, venne alla luce Anna Maria, seconda di tredici figli.
In un ambiente familiare profondamente cristiano crebbe candida come un giglio: ripetutamente chiedeva ai genitori e agli zii che le parlassero di Gesù e cosa dovesse fare per piacergli. Amava poi ritirarsi nella sua stanza per pregare ed ammirare i suoi “santini”.
All’età di nove anni, per la sua formazione, sia cristiana che umanistica, fu mandata a Firenze con la sorella Eleonora Caterina, all’Educandato delle Benedettine di S. Apollonia. Qui, felice e serena, trascorse la sua adolescenza. Ricevette la Prima Comunione il giorno dell’Assunta del 1757. Fatto significativo, il suo maggior confidente era il padre, Ignazio Maria Redi, uomo illuminato e religioso.
Tra i due iniziò un intenso rapporto epistolare, andato purtroppo quasi interamente perduto per la vicendevole promessa di dare al fuoco le lettere. Anna Maria più volte disse che era grata al padre, più per quello che le insegnava, che di averla generata fisicamente. Dopo aver letto la vita di S. Margherita Maria Alacoque nacque in lei una grande devozione al Sacro Cuore, amore intimo a Cristo.
All’età di diciassette anni, seguendo l’esempio dell’amica Cecilia Albergotti, sentì la vocazione ad entrare nel Carmelo; il distacco dalla famiglia fu dolorosissimo. Il 1° settembre 1764 fu accolta nel Monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze. Fece la professione religiosa il 12 marzo 1766 divenendo suor Teresa Margherita del Cuor di Gesù.
Scrupolosa nel rispetto della Regola, amava molto la preghiera mentale, anche notturna. Un amabile sorriso era sempre impresso sul suo volto. Spiritualità carmelitana dunque con una profonda devozione al Cuore di Gesù, sorgente di vita e d’amore. Con l’amica Cecilia iniziò una “santa sfida” nell’amare Cristo e per questo presero l’impegno di confidarsi ogni mancanza, nel periodo del silenzio non con le parole, ma con piccoli biglietti. Attraverso le testimonianze del padre e del direttore spirituale, P. Ildefonso di S. Luigi, conosciamo la sua scalata alla santità. Mentre era ancora una giovane professa, nacque in lei il desiderio profondo di conoscere la vita nascosta di Gesù. Padre Ildefonso le diede da meditare un brano della lettera di San Paolo ai Colossesi in cui si legge: “Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”.
Appagare la sete di Dio attraverso l’imitazione di Cristo divenne lo scopo della sua esistenza. Nacque così quella singolare espressione: “Che bella scala, che scala preziosa, indispensabile è il nostro buon Gesù!”, maestro, modello e strumento per comprendere ed entrare nel Mistero Divino. La sua contemplazione era trinitaria: lo Spirito Santo era la fonte e Cristo la via per giungere al Padre. All’atto della professione religiosa, per amore di Gesù, rinunciò a quello cui maggiormente teneva: il rapporto epistolare col padre.
Le costò tantissimo ma si promisero che da lì in poi, ogni sera, prima del riposo, si sarebbero incontrati nel Cuore di Gesù. Domenica 28 giugno 1767, mentre era in coro per l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve : “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). Un sentimento soprannaturale la pervase e per più giorni rimase scossa. Donò il suo cuore a Cristo, offrendosi per essere consumata dal suo amore. Era giunta all’ultimo gradino della scala, divenendo Tempio del Dio Vivente. Tutto ciò nella più grande umiltà, col desiderio però di trasmettere tale dono mistico alle consorelle. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore. Si sentiva però piccola e la sua più grande preoccupazione era di non amare abbastanza.
L’amore a Dio si concretizzò nella mansione di aiuto infermiera che esercitò con straordinaria abnegazione, in particolare verso una consorella che per problemi psichici era purtroppo divenuta violenta. La sua carità fu silenziosa ed eroica. Tra l’altro in quel periodo le consorelle malate ed anziane erano molte. La sua stessa comunità divenne strumento di mortificazione e così, nell’ultimo Capitolo, suor Teresa Margherita fu rimproverata perché, per l’eccessivo lavoro in infermeria, sembrava trascurasse la vita contemplativa. Il totale dominio di sé, dopo un breve smarrimento, le fece superare il rimprovero con ironia.
Di S. Teresa Margherita Redi possediamo pochi scritti: alcune lettere, vari biglietti che amava dare alle consorelle con pensieri e massime, i propositi per gli esercizi del 1768 e un altro breve proposito. Dalle lettere scorgiamo alcuni momenti di sconforto: “trovandomi in questo stato di somma tiepidezza, ad ogni momento faccio qualche mancamento”, “ faccio tanti propositi, ma sono sempre l’istessa”. Si confidò con la priora chiedendole di essere trattata con durezza.
La sua ardente devozione le fece raggiungere un’altissima esperienza mistica, testimone di ciò che la preghiera può operare in un’anima. Fu attenta a tenere nascoste le sue virtù e per umiltà, con battute, smorzava la curiosità delle consorelle, tanto da essere considerata una “furbina”. Arrivò però a dire al direttore spirituale che avrebbe dovuto rendere pubblici i suoi difetti. Pur senza avere molte conoscenze teologiche fu attentissima alla comprensione della Sacra Scrittura, intesa come dono dello Spirito. Ebbe molto cara anche la lettura delle opere della Santa Madre Teresa e il suo invito a far posto a Dio col silenzio interiore.
Ardente fu l’amore per l’Eucaristia: “All’offertorio, rinnovo la professione: prima che si alzi il Santissimo prego Nostro Signore, che, siccome tramuta quel pane e quel vino nel suo preziosissimo Corpo e Sangue, così si degni di tramutare tutta me in se stesso. Alzandosi lo adoro, e rinnovo ancora la mia professione, poi gli chiedo quello che desidero da lui”.
Fece celebrare, per la prima volta, la festa del Sacro Cuore nella sua comunità, predisponendo ogni particolare perché fosse solenne. In questo fu sostenuta dal padre e dallo zio, il gesuita Diego Redi. Erano gli anni in cui nasceva questa devozione, non sempre ben accolta a causa delle influenze gianseniste.
Una peritonite fulminea, dopo diciotto ore di atroci sofferenze, le fece incontrare lo Sposo Celeste, tanto amato e desiderato. Dimentica di sé, poche ore prima di morire, continuava a preoccuparsi delle consorelle ammalate. Morì, a neppure ventitré anni, il 7 marzo 1770.
Il suo corpo emanava un profumo soave e ancor’oggi è conservato incorrotto nel Monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze (in passato antica villa della famiglia Redi). Il 19 marzo 1934, Papa Pio XI la proclamò santa definendola “neve ardente”. L’esistenza breve di questa semplice suora, senza avvenimenti particolari, è oggi di esempio alla chiesa universale. (Autore: Daniele Bolognini -
16 Venerabile Victor Scheppers -
Mechelen-
Rampollo di una certa nobiltà, scelse di essere al servizio dei più bisognosi e fra questi, quelli più emarginati i carcerati, e per loro fondò delle Congregazioni, che potevano dare un’assistenza specifica più organizzata.
Victor Scheppers nacque a Mechelen (nome fiammingo di Malines) in Belgio, il 25 aprile 1802; studiò nel Collegio di Alost nelle Fiandre e verso i 20 anni sentì l’inclinazione alla vita sacerdotale, seppure ostacolato dall’opposizione del padre, la madre era morta da tempo, il quale vedeva in quel figlio le speranze della famiglia.
Victor fu ordinato sacerdote il 13 aprile 1832, celebrando la sua Prima Messa nella cattedrale di S. Rumoldo a Mechelen il 25 aprile 1832; le sue prime attività furono l’insegnamento del catechismo nelle scuole della parrocchia e l’assistenza spirituale alla gioventù povera e operaia, utilizzando la casa di campagna del padre; aprì una scuola per giovani apprendisti, che pose sotto la protezione della Madonna della Misericordia, da lui amata con intenso legame di figlio; nel contempo si dedicava alle confessioni nella cattedrale di Mechelen.
Per la sua intensa attività sociale, il vescovo lo nominò canonico della cattedrale il 24 dicembre 1835; intanto aveva avuto l’opportunità di conoscere il penoso stato in cui si trovavano i detenuti, privi spesso di assistenza spirituale e di sostegno materiale.
Il suo sensibile animo lo portò ad ideare una comunità di laici consacrati, dediti espressamente ai detenuti e alle altre opere di assistenza. Subito si unirono a lui altri giovani e il 25 gennaio 1889, il vescovo benedisse l’iniziativa, la comunità si chiamò “Fratelli di Nostra Signora della Misericordia”.
Dal maggio 1840 padre Victor Scheppers divenne Presidente dei Cappellani delle prigioni del Belgio; l’attività dei Fratelli divenne presto nota e richiesta dappertutto; nel 1841 su richiesta del ministero di Giustizia, fu loro affidata l’assistenza spirituale del carcere di Vilvoorde e nel 1843 quella delle carceri militari di Alost, dove i religiosi rimasero per 16 anni fino al 1859, quando vennero chiuse.
Ma non solo le carceri furono oggetto della loro opera misericordiosa, aprirono un ospizio per anziani ad Oliveten nel 1849, una scuola elementare nel 1845, il pensionato di S. Vincenzo de’Paoli (Istituto Scheppers) nel.1851, il pensionato S. Vittore venne fondato nel 1861.
Padre Victor Scheppers fondò il 1° agosto 1852, l’Opera delle Chiese povere e l’Adorazione perpetua, e l’8 settembre 1854, fondò la Congregazione delle “Sorelle di Nostra Signora della Misericordia”, dedite all’insegnamento e alle opere di assistenza; infine il 17 settembre 1851 istituì a Mechelen la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.
Avendo sentito parlare dei Fratelli della Misericordia, papa Pio IX nel 1854, chiese la loro presenza per riformare il sistema carcerario dello Stato Pontificio; padre Scheppers inviò a Roma 5 Fratelli a lavorare nel riformatorio di Santa Balbina, poi negli anni successivi la Congregazione si interessò delle carceri in S. Michele, di una scuola in Piazza Pia, del ricovero dei vecchi in S. Cosimato, dell’ospedale di S. Maria della Pietà, della scuola agraria Vigna Pia, dell’orfanotrofio di S. Maria degli Angeli, ecc.
Nel 1855, su invito del cardinale Wiseman, i Fratelli raggiunsero Londra, impegnati in altre opere di carità; nel 1856 e nel 1870, padre Scheppers ricevé da papa Pio IX delle cariche onorifiche pontificie; il re del Belgio, il 28 aprile 1872 lo nominò “Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo”.
Morì nella natia Mechelen (Malines), il 7 marzo 1877; questo poco noto sacerdote belga, insegnò con le sue scelte, che nessun gesto di solidarietà, anche il più piccolo, cade nel vuoto e con la solidarietà è possibile recuperare un contatto immediato e fecondo con le sofferenze e le speranze del tempo a cui apparteniamo.
Il suo motto era: “L’onore a Dio; a me la fatica; l’utilità al prossimo”. Il 16 novembre 1872 la Santa Sede concesse l’approvazione definitiva, erigendo i Fratelli in Congregazione laicale; essi si diffusero in varie parti del mondo, in Canada, Belgio, Inghilterra, Italia, Burundi e Ruanda.
Nel 1949 un piccolo gruppo di Fratelli, ricevette l’ordinazione sacerdotale su concessione della Santa Sede, pur rimanendo intatto lo spirito laicale dell’Istituzione.
Per la beatificazione di padre Victor Scheppers si tennero i processi informativi a Mechelen nel 1928-