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1 San Bernolfo -
Le fonti relative alla vita di San Bernolfo, presunto vescovo della diocesi piemontese di Mondovì, sono assai scarse e sono principalmente di carattere cultuale. Nel 1514, durante la consacrazione dell’altare maggiore della cattedrale, il vescovo Lorenzo Fieschi ricordava di aver ivi collocato le reliquie di San Donato, cui l’edificio era dedicato, e di San Bernolfo martire. La tradizione che sembra essere scaturita da questa deposizione, fece del santo un vescovo della città, ucciso nel corso di una delle tante scorrerie saracene avvenute nel Piemonte sud occidentale nel corso del IX -
2 Beata Bertrada di Laon -
726 -
Tanto è celebre il figlio, tanto è caduta nell’oblio della storia la madre.
Trattasi della Beata Bertrada (o Berta) di Laon, madre dell’imperatore San Carlo Magno.Nata nel 726, sposa dunque di Pipino il Breve, fu regina dei Franchi.
Morì il 12 luglio 783 e venne inumata a Saint-
Gli storici dicono che il grande imperatore nutrisse nei confronti di sua madre una tenerezza rispettosa e che ascoltassi i suoi consigli con una certa deferenza.
Nulla di certo sappiamo circa le esatte origini di Bertrada: secondo alcuni era figlia di Cariberto, conte di Laon, mentre altri la riterrebbero addirittura figlia di un imperatore di Costantinopoli.
É però risaputo come i re franchi si preoccupassero poco delle origini più o meno illustri delle loro spose e nessuno si è mai occupato di scoprire verosimilmente donde venisse la regina Berta, visto che anche l’antica poesia eroica e varie leggende tralasciarono la questione. Il suo culto quale “Beata” ha carattere prettamente locale.
Talvolta è nota come “Berta La Pia”. É considerata patrona delle filatrici.
La sua festa ricorre al 24 marzo. (Autore: Fabio Arduino -
3 Santa Caterina di Svezia -
1331 -
L'etimologia del nome «Caterina» attinge al greco «donna pura».
Tale fu Catarina Ulfsdotter, meglio conosciuta come Caterina di Svezia, secondogenita degli otto figli di santa Brigida, la grande mistica svedese che ha segnato profondamente la storia, la vita e la letteratura del Paese scandinavo.
Nata nel 1331, in giovanissima età Caterina sposò Edgarvon Kyren, nobile di discendenza ma soprattutto d'animo: questi non solo acconsentì al desiderio della ragazza di osservare il voto di continenza, ma si legò addirittura allo stesso voto.
A 19 anni Caterina raggiunse la madre a Roma, dove partecipò alla sua intensa vita religiosa e ai suoi pellegrinaggi.
Alla morte di Brigida, Caterina ne riportò in patria la salma e, nel 1375, entrò nel monastero di Vadstena.
Nel 1380 venne eletta badessa.
Morì il 24 marzo 1381. (Avvenire)
Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Martirologio Romano: A Vadstena in Svezia, Santa Caterina, vergine: figlia di Santa Brigida, data alle nozze contro il suo volere, conservò, di comune accordo con il marito, la sua verginità e, dopo la morte di lui, condusse una vita pia; pellegrina a Roma e in Terra Santa, trasferì le reliquie della madre in Svezia e le ripose nel monastero di Vadstena, dove ella stessa vestì l’abito monacale.
Catarina Ulfsdotter, meglio conosciuta col nome di Caterina di Svezia, era la secondogenita degli otto figli di Santa Brigida, la grande mistica svedese che molta influenza ebbe nella storia, nella vita e nella letteratura del suo Paese, assai più della regale compatriota Cristina, che riempì delle sue stranezze le cronache mondane della Roma rinascimentale.
Anche Brigida e la figlia Caterina legarono il loro nome alla città di Roma, ma con ben altri meriti.
Caterina, nata nel 1331, in giovanissima età si era maritata con Edgarvon Kyren, nobile di discendenza e soprattutto di sentimenti, poiché acconsentì al desiderio della giovane e graziosa consorte di osservare il voto di continenza, anzi, con commovente emulazione nella pratica della cristiana virtù della castità, si legò egli stesso a questo voto.
Caterina, non certo per rendere più agevole l'osservanza del voto, all'età di diciannove anni raggiunse la madre a Roma, in occasione della celebrazione dell'Anno santo.
Qui la giovane apprese la notizia della morte del marito.
Da questo momento la vita delle due straordinarie sante scorre sullo stesso binario: la figlia partecipa con totale dedizione all'intensa attività religiosa di Santa Brigida.
Questa aveva creato in Svezia una comunità di tipo cenobitico, nella cittadina di Vadstena, per accogliervi in separati conventi di clausura uomini e donne sotto una regola di vita religiosa ispirata al modello del mistico San Bernardo di Chiaravalle.
Durante il periodo romano che si protrasse fino alla morte di Santa Brigida, il 23 luglio 1373, Caterina fu costantemente accanto alla madre, nei lunghi pellegrinaggi intrapresi, spesso tra gravi pericoli, dai quali le due sante non sarebbero uscite indenni senza un intervento soprannaturale.
Santa Caterina viene spesso rappresentata accanto a un cervo, che, secondo la leggenda, più volte sarebbe comparso misteriosamente per trarla in salvo. Riportata in patria la salma della madre, nel 1375 Caterina entrò nel monastero di Vadstena, di cui venne eletta badessa, nel 1380.
Era rientrata allora da Roma da un secondo soggiorno di cinque anni, per seguire da vicino il processo di beatificazione della madre, che si concluse positivamente nel 1391.
A Roma, narra una tradizione leggendaria, Caterina avrebbe prodigiosamente salvato la città dalla piena del Tevere, che aveva già abbattuto gli argini.
L'episodio è raffigurato in un dipinto conservato nella cappella a lei dedicata nell'abitazione di piazza Farnese.
Papa Innocenzo VIII ne permise la solenne traslazione delle reliquie; ma sarà l'unanime e universale devozione popolare a decretarle il titolo di santa e a festeggiarla nel giorno anniversario della morte, avvenuta il 24 marzo 1381. (Autore: Piero Bargellini -
4 Beato Diego Giuseppe da Cadice -
Cadice, Spagna, 30 marzo 1743 -
Nacque il 30 marzo 1743 a Cadice da José Lopez-
Lavorò costantemente per diffondere la fede, appoggiando la crociata contro i rivoluzionari francesi.
Ne rimane come testimonianza la sua opera «El Soldado Católico en guerra de religión», indirizzata in forma di lettera-
Propagatore della devozione alla Santissima Trinità e alla Madonna, particolarmente sotto il titolo di Madre del Divin Pastore, fu eletto consultore e teologo di varie diocesi, canonico onorario in molti capitoli cattedrali, socio di università e istituti culturali.
Si spense a Ronda (Málaga) il 24 marzo 1801. Leone XIII lo proclamò beato nel 1894.
Della sua feconda produzione letteraria, d'interesse apologetico e teologico, oltre che storico e oratorio, alcune opere sono state edite in Spagna. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Ronda nell’Andalusia in Spagna, Beato Diego Giuseppe (Francesco Giuseppe) López-
Esser frate è l’ultima cosa che può pensare o desiderare: prova una grande ripugnanza (lo dirà lui stesso) per la vita religiosa in genere e per quella cappuccina in particolare.
Nato a Cadice (Spagna) il 30 marzo 1743, ad appena 9 anni è già orfano di mamma e quella che ne prende il posto appartiene alla schiera delle donne velenose e spietate.
Il bambino non sa cosa siano gli slanci devozionali con cui una certa agiografia dipinge santi ancora in fasce; a scuola non è certo un “secchione” e si accontenta del minimo necessario alla promozione.Eppure la sua adolescenza comincia ad essere caratterizzata da “sussulti” (lui li chiamerà proprio così), che sono delle autentiche incursioni di Dio nella sua vita.
Il primo di questi lo prova a 13 anni e, quasi per uno scherzo del destino, proprio in una chiesa cappuccina, in cui è entrato per consolarsi di un’interrogazione di filosofia andata male.
I frati stanno cantando in coro la Liturgia delle Ore e la sensazione provata dal ragazzino è indescrivibile: non se ne torna a casa senza prima essersi fatto prestare le vite di San Fedele e di San Giuseppe da Leonessa.
Sarà per queste letture, o più facilmente perchè Dio è entrato prepotentemente nel suo cuore, fatto sta che l’anno dopo già veste l’abito cappuccino, proprio quello per il quale aveva provato tanta ripugnanza e, allo scoccare dei 15 anni, inizia il noviziato.
Ma l’inaspettato slancio spirituale non si accompagna ad un maggior impegno scolastico e il novizio sembra più interessato alla poesia castigliana che agli studi teologici. Ed ecco un altro “sussulto”, questa volta decisivo, che improvvisamente viene a ravvivare una lezione di teologia stancamente seguita.
Nel giovanotto si sveglia un inaspettato desiderio di conoscere Dio, e in maniera tale da poterlo far conoscere agli altri.
Che non sia fuoco di paglia, lo dimostra il fatto che a 23 anni è pronto per l’ordinazione sacerdotale e, subito dopo, a tuffarsi nell’apostolato attivo.
Siamo negli ultimi trent’anni del 1700 e il giovane cappuccino si sente mandato a “dichiarar guerra al dominante libertinaggio e oscurissimo illuminismo di questo secolo tenebroso”.
Lo fa, con crescente successo, utilizzando il sistema delle missioni parrocchiali, delle quali egli diventa il predicatore ricercato ed efficace che sa scuotere le coscienze, muovere a conversione, richiamare i lontani, riscaldare i tiepidi.
Nella celebrazione di avvio è solito “mandare avanti” la Madonna, la sua “Divina Pastora”, quasi a farsi aprire da lei la strade delle coscienze e l’intelligenza degli uditori.
Poi è lui a riscaldarsi nella predicazione contro l’illuminismo ateo, senza risparmiare la cattiva stampa, le corride, i balli, le commedie e i commedianti.
Si fa un sacco di nemici, anche in ambito ecclesiastico, perché nel denunciare il male e nel richiamare a conversione non guarda in faccia nessuno, fossero pure i ricchi preti che hanno il coraggio di defraudare i poveracci.
Esiliato da una città, va a predicare in un’altra; perseguitato in una provincia va ad esporsi pubblicamente in un’altra; confinato per anni in un convento, appena libero si spinge fino in Portogallo ed anche nella parte settentrionale del Marocco, per essere ovunque “missionario della misericordia”.
A farne le spese è la sua salute, indebolita sempre più dalle fatiche dei viaggi e dai dispiaceri patiti.
Si spegne, non ancora sessantenne, il 24 marzo 1801 e nel 1894 Leone XIII proclama Beato Diego Giuseppe da Cadice: incredibile a dirsi, malgrado dalla morte siano passati più di 90 anni, il suo ricordo e la notizia della sua beatificazione disturbano ancora il sonno (e la coscienza) degli eredi dei suoi nemici di un tempo. (Autore: Gianpiero Pettiti -
5 Beato Giovanni dal Bastone (24 marzo)
Nacque a Paterno nei pressi di Fabriano, nelle Marche, all'inizio del sec. XIII. Mandato a studiare a Bologna, fu colpito da una piaga alla gamba che lo rese zoppo per tutta la vita e lo costrinse a fare costantemente uso di un bastone donde trasse l'appellativo.
Verso il 1230 entrò nella Congregazione monastica da poco fondata da San Silvestro.
Visse per 60 anni in una piccola cella dell'Eremo di Montefano, distinguendosi per l'amore al nascondimento, per la prudenza e per l'illuminato consiglio.
Morì il 24 marzo 1290 e venne tumulato nella cripta della chiesa di S. Benedetto in Fabriano, dove tuttora riposa. Nel 1772 Clemente XIV ne approvò il culto, iscrivendolo nell'albo dei Beati.
Martirologio Romano: A Fabriano nelle Marche, Beato Giovanni dal Bastone, sacerdote e monaco, compagno dell’abate San Silvestro.
Nel piccolo comune di Paterno, alle falde di Montefano nel comune di Fabriano (AN), visse agli inizi del 1200, una famiglia di agiati contadini, i Bottegoni. La famiglia era composta dal padre Bonello e dalla madre Supercla e dai figli Giunta, Nicola, Benvenuto, Buonora e Giovanni.
Giovanni nacque il 24 marzo probabilmente all' inizio del 1200, Fin da giovanissimo dimostrò una profonda attrazione per le cose di Dio e una grande passione per lo studio, queste doti fecero intuire ai genitori un chiaro sbocco vocazionale e decisero, di comune accordo, di mandarlo a Bologna per seguire gli studi letterari. Un'improvvisa malattia ad una gamba non permetterà a Giovanni di soggiornare a Bologna e quindi di continuare gli studi intrapresi. La malattia si aggraverà a tal punto da renderlo menomato negli spostamenti e costretto a servirsi di un bastone, dal quale prenderà il soprannome di Giovanni dal Bastone. Non avendo potuto proseguire gli studi, ma avendo conseguito un certo grado di cultura, Giovanni decise di trasferirsi a Fabriano e di aprire una scuola che gli assicurerà una certa autonomia economica.
Intorno al 1230, Giovanni, non si sa bene per quale motivo, decise di seguire la vita eremitica di Silvestro da Osimo, la cui fama di santità cominciava a diffondersi nella zona. Lo stile di vita del gruppo di Montefano era austero e povero, lo scopo era di ridurre al minimo le necessità materiali per dedicarsi completamente alle cose di Dio. La regola, che i seguaci di San Silvestro si diedero, era quella del monachesimo benedettino. La piccola comunità di eremiti prese il nome di ordine di San Benedetto di Montefano, quando nel 1248 venne riconosciuta da Innocenzo IV. Giovanni, per volere di San Silvestro, fu presentato al vescovo per l'ordinazione sacerdotale. La vita monastica di Giovanni fu all'insegna della preghiera, della penitenza e del nascondimento e tutta protesa a seguire i gradini della virtù. Per sessant'anni Giovanni condusse un tenore di vita apparentemente senza storia. All'età di novant'anni, la malattia alla gamba che lo aveva colpito in gioventù si riacutizzò e il 24 marzo 1290, ricevuti i sacramenti, Giovanni si addormentò nel Signore. Sconcertante fu la sproporzione tra l'esistenza ritirata condotta da Giovanni per tanto tempo e l'impatto immediato della sua morte sulla gente. Ebbe appena esalato l'ultimo respiro che iniziò un pellegrinaggio interminabile alla sua salma. Dopo la morte, molti furono i prodigi che si verificarono per intercessione del Beato, segno evidente della sua santità . Il vescovo di Camerino (MC), Rambotto, nominò una commissione per raccogliere e vagliare le testimonianze al fine di verificare l'autenticità dei miracoli.
Il Beato Giovanni venne sepolto nella chiesa di San Benedetto di Fabriano.
Egli venne subito acclamato santo a voce di popolo, senza alcuna procedura canonica. Solo nel 1772, sotto Clemente XIV, si pervenne alla conclusione di un regolare processo di beatificazione, ma per varie ragioni, non si giunse all'ultima tappa, quella della canonizzazione. Nel calendario proprio della congregazione silvestrina il Beato è ricordato il 24 marzo. (Autore: Elisabetta Nardi -
6 San Mac Cairthind (24 marzo)
sec. V
Martirologio Romano: A Clogher in Irlanda, San Mac Cairthind, vescovo, ritenuto discepolo di San Patrizio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
7 Beata Maria Serafina del S. Cuore (Clotilde Micheli) -
Imer (Trento), 11 settembre 1849 -
La sua vita è la prova provata che, quand’anche una “telefonata celeste” indirizzasse chiaramente una persona verso una ben definita vocazione, la concretizzazione di questa è affidata al discernimento ed alla faticosa ricerca personale, da cui nessuno è esentato, tantomeno i Santi.
Clotilde Micheli nasce l’11 settembre 1849 a Imèr (Trentino) e dalla famiglia avrebbe tutto ciò che serve a far sbocciare una vocazione religiosa: un papà soprannominato “giusto”; una mamma che si divide tra casa e chiesa e che attira, come pensano i suoi vicini, le benedizioni del cielo sul paese; una sorella che sembra avere il filo diretto con il paradiso e che riceve in visione precise indicazioni sulla futura vita religiosa di Clotilde.
Le visioni, appunto, di cui oggi non si parla volentieri: ne beneficiano prima la sorella e poi la stessa Clotilde, ma non sono, come a prima vista sembrerebbe, un particolare privilegio, casomai un tormento. Perché se, proprio grazie alle visioni, è ben chiaro il progetto di Dio su di lei, queste accentuano anche le sue fatiche per attuarlo.
In particolare, le sembra evidente che Dio non la vuole suora tra le tante già esistenti, bensì fondatrice di una nuova congregazione che abbia lo specifico scopo di adorare la SS. Trinità, con speciale devozione alla Madonna ed agli Angeli, quali modelli di preghiera e di servizio. Ma dato che il diventare fondatrice non è precisamente come bere un bicchier d’acqua, ecco le prime difficoltà, che sembrano a dir poco insormontabili. Gli ostacoli maggiori non li riscontra in famiglia, che anzi la sollecita a rispondere alla sua vocazione, piuttosto in lei ed in chi dovrebbe consigliarla e sostenerla.
Monsignor Agostini, futuro patriarca di Venezia, la incoraggia a proseguire sulla strada intrapresa, ma lei si spaventa ed ha paura di non essere all’altezza della situazione; si trasferisce a Padova, dov’è sostenuta da un altro consigliere spirituale illuminato, che però muore troppo presto; con un sotterfugio qualcuno cerca di farla sposare e lei scappa in Germania, dove si sono trasferiti i genitori, e per otto anni si mette al servizio dei malati come infermiera piena di dolcezza e carità, ma neanche questa è la sua strada. Per farla breve, tra una spinta ed un tentennamento, Clotilde a 38 anni ancora non ha capito dove il Signore la sta attirando.
Decide così di andargli incontro, iniziando un pellegrinaggio a piedi che ha come meta Roma e come tappe intermedie i principali santuari mariani. Qui entra nell’Istituto delle Immacolatine prendendo il nome di suor Annunziata, ma vi rimane poco più di due anni, il tempo cioè per accorgersi che non è quello il posto per lei. L’irrequieta Clotilde prosegue così il suo viaggio verso Caserta, nei cui dintorni, finalmente, riesce a raccogliere le prime cinque ragazze che a giugno 1891 prendono il velo insieme a lei: nascono così le Suore degli Angeli, adoratrici della Trinità, proprio come fin da ragazza aveva sognato. Lei prende il nome di Suor Maria Serafina del sacro Cuore ed appena un anno dopo alle sue prime suore viene affidato un orfanotrofio.
L’assistenza all’infanzia ed alla gioventù abbandonata diventa così il carisma specifico, coniugato alla preghiera adorante che Madre Serafina sente come loro impegno primario.
"Figliole mie, imparate a sorridere sempre", raccomanda, mentre lei è la prima ad esercitarsi quando arriva la malattia, attraversa l’incomprensione di alcune consorelle, fa fronte alle calunnie che minano ed indeboliscono sempre più il suo fisico. Non aveva detto un giorno: “Signore non so amarti, ma insegnami a patire, che patirò per amore"? Probabilmente le tocca anche una lunga notte dello spirito, se ad una consorella confida: “So che amo il Signore, ma non lo sento". Così, consumata dalle sofferenze fisiche e morali, spira il 24 marzo 1911, esattamente un secolo fa, mentre le sue figlie continuano “come gli Angeli ad adorare la Trinità e sono sulla terra come essi sono nei cieli”. Proclamata venerabile nel 2009, Madre Serafina Micheli sarà beatificata il prossimo 28 maggio. (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Clotilde Micheli nacque a Imer (Trento) l’11 settembre 1849 da genitori profondamente cristiani; a 3 anni come si usava allora, ricevé il Sacramento della Cresima, a Fiera di Primiero dal vescovo-
A partire dalla sua giovinezza la vita di Clotilde Micheli sembra un romanzo ottocentesco, in realtà la Volontà di Dio plasmava quest’anima predestinata, facendola vagare da un posto all’altro, alla ricerca di come realizzare la rivelazione fattagli dalla Madonna il 2 agosto 1867, mentre a 18 anni era in preghiera come al solito nella chiesa di Imer.
La Madonna le manifestò la Volontà di Dio che venisse fondato un nuovo Istituto religioso, con lo specifico scopo di adorare la SS. Trinità, con speciale devozione alla Madonna ed agli Angeli, quali modelli di preghiera e di servizio.
Seguendo il consiglio di una donna saggia e prudente di Imer, Costanza Piazza, Clotilde si recò a Venezia per consigli spirituali da mons. Domenico Agostini, futuro patriarca della città lagunare, il quale consigliò la giovane ad iniziare l’opera voluta da Dio, invitandola a stenderne la Regola.
Ma essa presa dal timore di non riuscire, strappò le lettere di presentazione e ritornò ad Imer. Nel 1867 si trasferì da sola a Padova, qui rimase per nove anni fino al 1876, seguendo la guida spirituale di mons. Angelo Piacentini, professore del locale Seminario, cercando di capire meglio la chiamata ricevuta.
Alla morte del Piacentini nel 1876, Clotilde Micheli si recò a Castellavazzo (Belluno) presso l’arciprete Gerolamo Barpi, il quale conosciute le intenzioni della giovane, mise a sua disposizione un vecchio convento per la nuova fondazione.
Nel 1878 Clotilde stava per subire con un sotterfugio, un matrimonio combinato, per cui avendolo saputo, se ne fuggì in Germania ad Epfendorf nel Wurttemberg, dove i genitori si erano da poco trasferiti per lavoro.
Rimase in Germania sette anni, dal 1878 al 1885 lavorando come infermiera presso l’Ospedale delle Suore Elisabettine e facendosi notare per la sua carità e la delicatezza usata verso gli ammalati. Dopo la morte della madre nel 1882 e del padre nel 1885, decise di lasciare definitivamente la Germania e ritornò ad Imer suo paese natio.
Due anni dopo, questa irrequieta donna di 38 anni, insieme alla cugina Giuditta, intraprese nel maggio 1887 un pellegrinaggio a piedi verso Roma, facendo tappe a vari Santuari Mariani, con devozione e spirito di penitenza, sempre intenzionata a verificare ancora la Volontà di Dio, circa la fondazione ideata.
Ad agosto giunsero a Roma e ospitate dalle Suore di Carità Figlie dell’Immacolata (Immacolatine) fondate da Maria Fabiano; la fondatrice conosciuta Clotilde più profondamente, la convinse a prendere l’abito del suo nascente Istituto, promettendole di lasciarla libera se si fosse attuato il suo disegno giovanile.
Clotilde prese il nome di suor Annunziata e rimase fra le Immacolatine fino all’inizio del 1891, ricoprendo anche la carica di superiora dal 1888 al 1891 nel convento di Sgurgola d’Anagni.
La sua discesa verso l’Italia del Sud proseguì nel 1891, arrivando ad Alife (Caserta) su invito di padre Francesco Fusco da Trani, francescano conventuale, che intendeva proporre a Clotilde la realizzazione di una fondazione ideata dal vescovo mons. Scotti, ma lei constatò che il progetto del vescovo, non concordava con quello che sembrava essere il disegno di Dio su di lei.
Dopo essersi spostata a Caserta ospite di una famiglia che la sosteneva, Clotilde passò nella vicina Casolla con due giovinette che si erano unite a lei. Dopo alcuni mesi, il vescovo di Caserta mons. De Rossi, principe di Castelpetroso, autorizzò la vestizione religiosa del primo gruppo di cinque suore, che avvenne con la presenza di padre Fusco il 28 giugno 1891, la nuova Istituzione prese il nome di Suore degli Angeli, adoratrici della SS. Trinità.
La fondatrice Clotilde Micheli aveva 42 anni e prese il nome di suor Maria Serafina del Sacro Cuore. Un anno dopo un primo nucleo di suore fu inviato a gestire un orfanotrofio a S. Maria Capua Vetere (Caserta), che divenne anche la prima Casa dell’Istituto, seguita poi da altre opere, volte ad aiutare l’infanzia e la gioventù abbandonata.
Ma per madre Serafina cominciò, a partire dalla fine del 1895, un periodo di sofferenze fisiche, che dopo un intervento chirurgico molto delicato, sollecitato dallo stesso vescovo di Caserta, la indebolì vistosamente. Nel frattempo dopo varie vicende fu aperta nel giugno 1899 la Casa di Faicchio (Benevento) che in seguito diventerà l’Istituto di formazione della Congregazione. Madre Maria Serafina fu impegnata a realizzare altre opere ad un ritmo sostenuto che la indebolì ulteriormente, tanto da costringerla a non muoversi più da Faicchio.
Come quasi tutte le fondatrici di Congregazioni religiose, anche lei ebbe molto a soffrire moralmente per le incomprensioni patite anche all’interno stesso del suo Istituto, e il 24 marzo 1911, consumata dalle sofferenze fisiche morì nella Casa di Faicchio, dove è tumulata.
Per la santità della sua vita, che aumentò dopo la sua morte, le sue Suore degli Angeli avviarono la causa per la sua beatificazione, con il nulla osta della Santa Sede del 9 luglio 1990 e che procede presso la competente Congregazione per le Cause dei Santi.
Il suo carisma di prescelta con un intervento della Vergine nel lontano 1867, l’accompagnò per tutta la vita e si diffonde tuttora nella sua Congregazione, come dono dello Spirito Santo: “Come gli Angeli adorerete la Trinità e sarete sulla terra come essi sono nei cieli”. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
8 Beata Maria Serafina del S. Cuore (Clotilde Micheli) -
Imer (Trento), 11 settembre 1849 -
La sua vita è la prova provata che, quand’anche una “telefonata celeste” indirizzasse chiaramente una persona verso una ben definita vocazione, la concretizzazione di questa è affidata al discernimento ed alla faticosa ricerca personale, da cui nessuno è esentato, tantomeno i Santi.
Clotilde Micheli nasce l’11 settembre 1849 a Imèr (Trentino) e dalla famiglia avrebbe tutto ciò che serve a far sbocciare una vocazione religiosa: un papà soprannominato “giusto”; una mamma che si divide tra casa e chiesa e che attira, come pensano i suoi vicini, le benedizioni del cielo sul paese; una sorella che sembra avere il filo diretto con il paradiso e che riceve in visione precise indicazioni sulla futura vita religiosa di Clotilde.
Le visioni, appunto, di cui oggi non si parla volentieri: ne beneficiano prima la sorella e poi la stessa Clotilde, ma non sono, come a prima vista sembrerebbe, un particolare privilegio, casomai un tormento. Perché se, proprio grazie alle visioni, è ben chiaro il progetto di Dio su di lei, queste accentuano anche le sue fatiche per attuarlo.
In particolare, le sembra evidente che Dio non la vuole suora tra le tante già esistenti, bensì fondatrice di una nuova congregazione che abbia lo specifico scopo di adorare la SS. Trinità, con speciale devozione alla Madonna ed agli Angeli, quali modelli di preghiera e di servizio. Ma dato che il diventare fondatrice non è precisamente come bere un bicchier d’acqua, ecco le prime difficoltà, che sembrano a dir poco insormontabili. Gli ostacoli maggiori non li riscontra in famiglia, che anzi la sollecita a rispondere alla sua vocazione, piuttosto in lei ed in chi dovrebbe consigliarla e sostenerla.
Monsignor Agostini, futuro patriarca di Venezia, la incoraggia a proseguire sulla strada intrapresa, ma lei si spaventa ed ha paura di non essere all’altezza della situazione; si trasferisce a Padova, dov’è sostenuta da un altro consigliere spirituale illuminato, che però muore troppo presto; con un sotterfugio qualcuno cerca di farla sposare e lei scappa in Germania, dove si sono trasferiti i genitori, e per otto anni si mette al servizio dei malati come infermiera piena di dolcezza e carità, ma neanche questa è la sua strada. Per farla breve, tra una spinta ed un tentennamento, Clotilde a 38 anni ancora non ha capito dove il Signore la sta attirando.
Decide così di andargli incontro, iniziando un pellegrinaggio a piedi che ha come meta Roma e come tappe intermedie i principali santuari mariani. Qui entra nell’Istituto delle Immacolatine prendendo il nome di suor Annunziata, ma vi rimane poco più di due anni, il tempo cioè per accorgersi che non è quello il posto per lei. L’irrequieta Clotilde prosegue così il suo viaggio verso Caserta, nei cui dintorni, finalmente, riesce a raccogliere le prime cinque ragazze che a giugno 1891 prendono il velo insieme a lei: nascono così le Suore degli Angeli, adoratrici della Trinità, proprio come fin da ragazza aveva sognato. Lei prende il nome di Suor Maria Serafina del sacro Cuore ed appena un anno dopo alle sue prime suore viene affidato un orfanotrofio.
L’assistenza all’infanzia ed alla gioventù abbandonata diventa così il carisma specifico, coniugato alla preghiera adorante che Madre Serafina sente come loro impegno primario.
"Figliole mie, imparate a sorridere sempre", raccomanda, mentre lei è la prima ad esercitarsi quando arriva la malattia, attraversa l’incomprensione di alcune consorelle, fa fronte alle calunnie che minano ed indeboliscono sempre più il suo fisico. Non aveva detto un giorno: “Signore non so amarti, ma insegnami a patire, che patirò per amore"? Probabilmente le tocca anche una lunga notte dello spirito, se ad una consorella confida: “So che amo il Signore, ma non lo sento". Così, consumata dalle sofferenze fisiche e morali, spira il 24 marzo 1911, esattamente un secolo fa, mentre le sue figlie continuano “come gli Angeli ad adorare la Trinità e sono sulla terra come essi sono nei cieli”. Proclamata venerabile nel 2009, Madre Serafina Micheli sarà beatificata il prossimo 28 maggio. (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Clotilde Micheli nacque a Imer (Trento) l’11 settembre 1849 da genitori profondamente cristiani; a 3 anni come si usava allora, ricevé il Sacramento della Cresima, a Fiera di Primiero dal vescovo-
A partire dalla sua giovinezza la vita di Clotilde Micheli sembra un romanzo ottocentesco, in realtà la Volontà di Dio plasmava quest’anima predestinata, facendola vagare da un posto all’altro, alla ricerca di come realizzare la rivelazione fattagli dalla Madonna il 2 agosto 1867, mentre a 18 anni era in preghiera come al solito nella chiesa di Imer.
La Madonna le manifestò la Volontà di Dio che venisse fondato un nuovo Istituto religioso, con lo specifico scopo di adorare la SS. Trinità, con speciale devozione alla Madonna ed agli Angeli, quali modelli di preghiera e di servizio.
Seguendo il consiglio di una donna saggia e prudente di Imer, Costanza Piazza, Clotilde si recò a Venezia per consigli spirituali da mons. Domenico Agostini, futuro patriarca della città lagunare, il quale consigliò la giovane ad iniziare l’opera voluta da Dio, invitandola a stenderne la Regola.
Ma essa presa dal timore di non riuscire, strappò le lettere di presentazione e ritornò ad Imer. Nel 1867 si trasferì da sola a Padova, qui rimase per nove anni fino al 1876, seguendo la guida spirituale di mons. Angelo Piacentini, professore del locale Seminario, cercando di capire meglio la chiamata ricevuta.
Alla morte del Piacentini nel 1876, Clotilde Micheli si recò a Castellavazzo (Belluno) presso l’arciprete Gerolamo Barpi, il quale conosciute le intenzioni della giovane, mise a sua disposizione un vecchio convento per la nuova fondazione.
Nel 1878 Clotilde stava per subire con un sotterfugio, un matrimonio combinato, per cui avendolo saputo, se ne fuggì in Germania ad Epfendorf nel Wurttemberg, dove i genitori si erano da poco trasferiti per lavoro.
Rimase in Germania sette anni, dal 1878 al 1885 lavorando come infermiera presso l’Ospedale delle Suore Elisabettine e facendosi notare per la sua carità e la delicatezza usata verso gli ammalati. Dopo la morte della madre nel 1882 e del padre nel 1885, decise di lasciare definitivamente la Germania e ritornò ad Imer suo paese natio.
Due anni dopo, questa irrequieta donna di 38 anni, insieme alla cugina Giuditta, intraprese nel maggio 1887 un pellegrinaggio a piedi verso Roma, facendo tappe a vari Santuari Mariani, con devozione e spirito di penitenza, sempre intenzionata a verificare ancora la Volontà di Dio, circa la fondazione ideata.
Ad agosto giunsero a Roma e ospitate dalle Suore di Carità Figlie dell’Immacolata (Immacolatine) fondate da Maria Fabiano; la fondatrice conosciuta Clotilde più profondamente, la convinse a prendere l’abito del suo nascente Istituto, promettendole di lasciarla libera se si fosse attuato il suo disegno giovanile.
Clotilde prese il nome di suor Annunziata e rimase fra le Immacolatine fino all’inizio del 1891, ricoprendo anche la carica di superiora dal 1888 al 1891 nel convento di Sgurgola d’Anagni.
La sua discesa verso l’Italia del Sud proseguì nel 1891, arrivando ad Alife (Caserta) su invito di padre Francesco Fusco da Trani, francescano conventuale, che intendeva proporre a Clotilde la realizzazione di una fondazione ideata dal vescovo mons. Scotti, ma lei constatò che il progetto del vescovo, non concordava con quello che sembrava essere il disegno di Dio su di lei.
Dopo essersi spostata a Caserta ospite di una famiglia che la sosteneva, Clotilde passò nella vicina Casolla con due giovinette che si erano unite a lei. Dopo alcuni mesi, il vescovo di Caserta mons. De Rossi, principe di Castelpetroso, autorizzò la vestizione religiosa del primo gruppo di cinque suore, che avvenne con la presenza di padre Fusco il 28 giugno 1891, la nuova Istituzione prese il nome di Suore degli Angeli, adoratrici della SS. Trinità.
La fondatrice Clotilde Micheli aveva 42 anni e prese il nome di suor Maria Serafina del Sacro Cuore. Un anno dopo un primo nucleo di suore fu inviato a gestire un orfanotrofio a S. Maria Capua Vetere (Caserta), che divenne anche la prima Casa dell’Istituto, seguita poi da altre opere, volte ad aiutare l’infanzia e la gioventù abbandonata.
Ma per madre Serafina cominciò, a partire dalla fine del 1895, un periodo di sofferenze fisiche, che dopo un intervento chirurgico molto delicato, sollecitato dallo stesso vescovo di Caserta, la indebolì vistosamente. Nel frattempo dopo varie vicende fu aperta nel giugno 1899 la Casa di Faicchio (Benevento) che in seguito diventerà l’Istituto di formazione della Congregazione. Madre Maria Serafina fu impegnata a realizzare altre opere ad un ritmo sostenuto che la indebolì ulteriormente, tanto da costringerla a non muoversi più da Faicchio.
Come quasi tutte le fondatrici di Congregazioni religiose, anche lei ebbe molto a soffrire moralmente per le incomprensioni patite anche all’interno stesso del suo Istituto, e il 24 marzo 1911, consumata dalle sofferenze fisiche morì nella Casa di Faicchio, dove è tumulata.
Per la santità della sua vita, che aumentò dopo la sua morte, le sue Suore degli Angeli avviarono la causa per la sua beatificazione, con il nulla osta della Santa Sede del 9 luglio 1990 e che procede presso la competente Congregazione per le Cause dei Santi.
Il suo carisma di prescelta con un intervento della Vergine nel lontano 1867, l’accompagnò per tutta la vita e si diffonde tuttora nella sua Congregazione, come dono dello Spirito Santo: “Come gli Angeli adorerete la Trinità e sarete sulla terra come essi sono nei cieli”. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
9 San Secondino -
Martirologio Romano: Nella Mauritania, nelle terre dell’odierna Algeria, San Secóndulo, che subì la passione per la fede in Cristo. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
10 San Severo di Catania -
Martirologio Romano: A Catania, San Severo, vescovo. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
11 Beato Simonino (Simone) di Trento -
Anche se la festa liturgica di questa singolare figura di beato fanciullo è stata eliminata nel 1965, vale la pena di ricordarla per le implicazioni sociali e religiose che dal lontano 1475 aveva impresso nella società trentina.
Il piccolo Simone, chiamato poi nei secoli Simonino, figlio del conciacapelli Andrea (parrucchiere dell’epoca), all’età di due anni e mezzo, scomparve misteriosamente la sera del 23 marzo 1475, ricorrenza del giovedì santo e il suo corpo dopo convulse ricerche fu ritrovato la mattina del 26 nel giorno di Pasqua, in condizioni strazianti, in un fosso d'acqua che attraversava lo scantinato della casa, di uno dei maggiori rappresentanti degli ebrei di Trento.
Per una serie di circostanze, di tempo, di luogo e di clima creatasi dopo la predicazione recente del Beato Bernardino da Feltre, con riferimenti antisemiti, si instaurò subito la certezza che l’omicidio fosse dovuto ad un rituale perpetrato dagli ebrei.
Furono imprigionate una trentina di persone, tutte appartenenti alle tre famiglie di ebrei allora residenti in Trento, quelle degli usurai Samuele ed Angelo e del medico Tobia; per ordine del principe-
Nonostante gli interventi del papa Sisto IV e dell’arciduca Sigismondo del Tirolo, per niente favorevoli all’agire del principe-
Sono conservati gli Atti del processo a Roma, a Trento e Vienna, importantissimi perché testimoniano gli sforzi fatti per accreditare l’omicidio rituale agli ebrei con l’opinione che simili riti avvenissero anche in altre città e con una certa frequenza. La morte avvenuta per un rito del piccolo Simonino, dava l’opportunità al principe-
Il Papa Sisto IV proibì sotto pena di scomunica il culto al Beato Simonino, perché non era chiaro il motivo della morte del piccolo.
Ma la venerazione dei fedeli provenienti da ogni parte d’Europa, dietro la fama dei miracoli avvenuti, si diceva per sua intercessione, fece sì che il culto divenisse un culto di fatto, superando anche la proibizione papale.
Il culto persisteva nel secolo successivo, al punto che nel 1584, Cesare Baronio inseriva il suo nome nel "Martirologio Romano" e nel 1588 su richiesta del vescovo di Trento, il papa Sisto V, concesse la festa e Messa propria, dando così l’assenso ad una formale beatificazione.
Il culto invece di scemare aumentò nei secoli successivi fino ai nostri giorni, soprattutto nell’epoca barocca, suscitando tutta una produzione artistica locale.
Luoghi centri del culto furono le cappelle erette nei luoghi dell’uccisione, del rapimento e nella chiesa di S. Pietro dove era il corpicino imbalsamato.
Oltre la celebrazione annuale del 24 marzo, vi era fino al 1955 una sontuosa processione decennale con il corpo del fanciullo e i reliquiari con gli strumenti del presunto martirio.
L’omicidio, la cacciata degli ebrei dal Trentino, le sentenze di colpevolezza e le esecuzioni capitali, suscitarono sempre la contestazione ebraica, con relativa condanna finché fosse praticato il culto del beato Simonino.
La questione coinvolse studiosi, giuristi, teologi, specie nell’800 sia da parte cattolica sia da parte ebraica; finché nel ‘900 studi più approfonditi di commissioni di studiosi, portarono a conclusioni onestamente accettabili, di esclusione di riti ebraici nell’omicidio.
Pertanto il vescovo di Trento A. M. Gottardo, il 28 ottobre 1965, abrogò ufficialmente il culto del beato Simonino di Trento, con il pieno consenso della S. Sede e con soddisfazione del mondo ebraico, che si vide togliere il sospetto di praticare riti sanguinari; bisogna ricordare che analoga accusa fu fatta ai cristiani delle catacombe dei primi tempi.
Gli artisti furono chiamati, nei cinque secoli del culto, ad immortalare con ogni forma di arte, il martirio, i resti tagliati, la figurina benedicente, in piedi su un tavolo o legato ad una croce del piccolo Simonino, comunque Beato in Dio; vittima innocente, come in tutti i tempi di omicidi oscuri e orribili, che ogni tanto vengono perpetrati quali simbolo del male che continuamente si aggira nell’umanità, qualunque sia la mano assassina. (Autore: Antonio Borrelli -
12 Santi Timolao, Dionigi, Pauside, Alessandro, Romolo e Alessandro -
m. 303
Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, Santi martiri Timolao, Dionigi, Pauside, Romolo, Alessandro e un altro Alessandro, che, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, condotti con le mani legate davanti al prefetto Urbano, confessarono di essere cristiani e pochi giorni dopo, insieme ai compagni Agapio e ad un altro Dionigi, con la decapitazione meritarono la corona della vita eterna.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -