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1 Beata Angela (Aniela) Salawa -
Siepraw, Cracovia, Polonia, 9 settembre 1881 -
Beatificata da Papa Giovanni Paolo II, a Cracovia, il 13 agosto 1991.
Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, Beata Angela Salawa, vergine del Terz’Ordine di San Francesco, che scelse di impegnare tutta la vita lavorando come donna di servizio: visse umilmente tra le serve e migrò al Signore in assoluta povertà.
La categoria delle domestiche ha dato lungo i secoli, alla Chiesa e alla cristianità, tante figure di Beate e Sante, che iniziando a lavorare in questo campo, per un tempo più o meno lungo, portarono nelle famiglie e nei fedeli, l’esempio delle loro virtù cristiane e morali; e di un apostolato possibile in ogni ambiente del vivere quotidiano.
La maggioranza di esse, lasciarono poi il compito di domestiche, per entrare a far parte di Istituti e Congregazioni religiose, alcune diventando loro stesse fondatrici; quando non divennero suore, entrarono senz’altro nei Terz’Ordini religiosi.
Ma ci furono anche quelle che domestiche erano e tali rimasero fino al termine della vita; santificandosi fra i fornelli e le pulizie delle abitazioni, fra rimproveri o ammirazione dei padroni di casa, diventando apostole di Cristo fra i bisognosi.
Tale fu Santa Zita (1218-
E con questi principi crebbe e si formò sotto la guida della madre, che la preparò anche alla Prima Comunione verso i dodici anni, secondo la consuetudine dell’epoca.
Già a 15 anni nel 1894 era a servizio presso una famiglia di Siepraw, pascolava le vacche, falciava l’erba, intratteneva i bambini, all’inizio della primavera del 1895 estirpava le radici e i ciuffi d’erba nel gelo del periodo.
Rientrò in famiglia dove sostò fino all’ottobre 1897, rifiutando nel frattempo le insistenze del padre che la spingeva verso il matrimonio; poi si trasferì a Cracovia per andare a lavorare come cooperatrice familiare, dai primi giorni fu ospitata dalla sorella Teresa, alla quale ribadì che non si sentiva chiamata al matrimonio.
A Cracovia, andò a servizio presso la famiglia Kloc, dove lavorò duramente senza mai lamentarsi; aveva 16 anni ed era attraente, il padrone di casa prese ad insidiarla, per cui Angela dopo poco tempo lasciò l’occupazione.
Dopo altri rapporti di lavoro in alcune famiglie dei paesi vicini, ritornò a Cracovia, dove assistette il 25 gennaio 1899, alla serena morte della sorella maggiore Teresa, anch’essa domestica; rimasta scossa dalla perdita, avvertì il richiamo di una voce interna che la chiamava a percorrere la via della perfezione, voce alla quale lei corrispose prontamente.
Cercò la forza prolungando il tempo della preghiera in chiesa e in casa e nella meditazione; con l’assistenza del suo direttore spirituale il gesuita padre Stanislao Mieloch, si consacrò a Dio, con il voto di castità perpetua, voto già pronunciato nella prima giovinezza.
Prese a dedicarsi ad un apostolato oscuro e fecondo, fra le domestiche di Cracovia, le riuniva, le istruiva, le consigliava, le dirigeva; nell’adempiere i doveri delle sue mansioni, dimenticava spesso sé stessa. Nonostante la salute precaria, era sempre allegra e socievole; si vestiva bene, non per il mondo ma per Dio.
Nel 1900 si iscrisse all’Associazione di S. Zita, che promuoveva l’assistenza alle domestiche, così poté esercitare in forma più organizzata, un fruttuoso apostolato fra le sue compagne di lavoro, diventando per loro una guida e un modello di vita cristiana.
Nel 1911 fu colpita da una dolorosa malattia, che la sconvolse per lungo tempo, poi morì la madre e la giovane signora alla quale prestava la sua opera con affetto e dedizione; inoltre si sentì abbandonata anche dalle compagne che non poteva più radunare in casa.
Questo periodo di angosciosa sofferenza, raccontato nel suo Diario, fu affrontato da Angela, unendosi maggiormente a Dio nella preghiera e nella meditazione e nel 1912 ebbe anche fenomeni mistici, con la visione dell’incontro con Gesù.
Aderì al Terz’Ordine di S. Francesco, prendendone l’abito il 15 maggio 1912, nella chiesa dei Francescani Conventuali e il 6 agosto 1913 emise la regolare professione.
Durante la Prima Guerra Mondiale, aiutò con i suoi pochi risparmi, i prigionieri di guerra, senza distinzione di nazionalità; volontariamente si impegnò con amore all’assistenza dei feriti e dei malati negli ospedali di Cracovia, dove rispettosamente era chiamata “la santa signorina”.
Per avere rimproverata l’amante del suo padrone, l’avvocato Fischer, fu licenziata nel 1916 da quella casa dove lavorava dal 1905. Seguirono alcuni anni di abbandono, senza lavoro e con la malattia più incalzante, mentre proseguivano i fenomeni mistici; nel 1918 ormai debilitata nelle forze, lasciò anche i lavori saltuari e si ritirò in un piccolo ambiente in una soffitta, preso in affitto; iniziò così l’ultimo periodo della sua vita, cinque anni di sofferenze in unione con Dio, che la gratificava con visioni, specie di Gesù con la corona di spine e sofferente.
Il confessore le portava ogni giorno la Comunione e le compagne inconsolabili, si alternavano nel suo tugurio per assisterla.
Annotò sul suo Diario: “Ripensando alla mia vita, credo di essere in quella vocazione, luogo e stato, in cui fin dall’infanzia Dio mi ha chiamato”; nella sua ardente carità, pregò di prendere su di sé le malattie degli altri, le sue sofferenze si moltiplicarono, mentre coloro per cui si era offerta guarirono.
Alla fine acconsentì di lasciare quell’ambiente ristretto e fu ricoverata all’ospedale di S. Zita in Cracovia, dove dopo aver ricevuto i Sacramenti, spirò il 12 marzo 1922 in estrema povertà e in fama di santità.
Nella concomitanza dell’apertura del processo diocesano per la sua beatificazione, le sue spoglie il 13 maggio 1949, furono traslate dal cimitero alla Basilica di S. Francesco di Cracovia.
Papa Giovanni Paolo II la proclamò Beata il 13 agosto 1991 a Cracovia, durante il suo viaggio apostolico in Polonia. La sua festa celebrativa è al 12 marzo. (Autore: Antonio Borrelli -
2 San Bernardo di Capua -
Carinola, 1040 -
In alcuni manoscritti di Capua e di Napoli, si afferma che Bernardo fu cappellano di Riccardo (1090-
Il Martirologio Romano ricorda al 12 marzo Bernardo vescovo e confessore, ma il suo nome sarebbe stato aggiunto nel calendario capuano assai tardi. Bernardo è una delle figure più emergenti del secolo XI nella terra di Campania che era sotto il principato della potente città di Capua. Bernardo nacque intorno all’anno 1040, non si sa con precisione dove, in quale città o paese. Per l’amore dimostrato da Bernardo per Carìnola, si ritiene che Egli sia nato proprio a Carìnola da nobile e rispettabile famiglia. Di progenie onesta e praticante, Bernardo ricevette già in famiglia educazione, fede e istruzione culturale. Ma per completare una formazione umana e sociale più distinta e per avviarlo agli studi umanistici superiori, Bernardo fu inviato dai genitori all’Abbazia di Montecassino, allora governata dalla saggezza e santità dell’Abate Desiderio, che fu poi Papa col nome di Vittore III.
Bernardo si distinse per vivida intelligenza, illibatezza di costumi, per impegno di studio.Furono suoi amici ed emuli nella santità e nello studio Ildebrando di Soana, che fu poi Papa col nome di Gregorio VII, predecessore di Vittore III, e San Pier Damiani, cardinale poi dottore della Chiesa. Bernardo trascorse vari anni a Montecassino,e completò i suoi studi con la ordinazione sacerdotale. Il Papa Alessandro II aveva di poco nominato principe di Capua Giordano, e questi scelse come suo Consigliere e Cappellano di corte il nostro Bernardo, ritornato da poco a Carinola. Il Principe normanno di Capua “lo chiamò a sé,per Coadiutore e Consigliere; si era nel 1080, anno in cui subentrato al padre nel principato si riaccostò al papato pur se per breve periodo, in quanto nel 1082 passò al partito imperiale.
La coincidenza dell’anno e delle circostanze prova che il principe normanno aveva buone relazioni con i Benedettini di Montecassino che probabilmente non furono estranei al suo ravvicinamento col Papa Gregorio VII La figura di Bernardo alla corte di Capua è quella di un personaggio riverito e rispettato.Nulla si trattava in corte, nessuna decisione veniva presa se prima non si ascoltava il parere del Cappellano e Consigliere Bernardo, che sempre si distingueva per la sua umiltà e dolcezza: “Nihil tracteret vel ageret ut prius Sacri Consilium non haberet” Morto il Vescovo Giovanni nel 1086 e rimasta vacante la sede vescovile, clero e popolo si consultano per designare il successore, come era uso allora. La scelta è scontata ed unanime, e cade sul nome di Bernardo, un sacerdote del clero locale e diocesano, un carinolese, da tutti conosciuto e stimato.
La designazione di Bernardo a Vescovo della Diocesi non stupisce nessuno: Bernardo non ha avuto e non ha concorrenti, e clero e popolo si stringono intorno a Lui. La notizia della scelta di Bernardo a Vescovo fu accolta a Roma come voce del cielo e il nuovo Papa Vittore III – già abate di Montecassino -
Il Papa infuse nell’animo e nel cuore del novello Pastore un rinnovato spirito di zelo e fervore apostolico. Abbracciò il suo antico discepolo, divenuto ora Vescovo della Chiesa di Dio.
Bernardo Vescovo salutò le rappresentanze diocesane, ma prima di prendere possesso della Sede Vescovile, si recò a Roma per ringraziare ancora il Papa Vittore III, per apporre la sua firma autografa nel Registro dei Vescovi, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano. Ricevette il sigillo vescovile, lo stemma, e pagò per la bolla di nomina la somma ridotta di soli 20 ducati, trattandosi di una Diocesi povera. Il Faro benedettino di Montecassino diffonderà, così, sempre più intensamente la sua luce nella piana carinolese, facendo rivolgere gli sguardi al nostro santo – benedettino cassinese e confratello di Desiderio poi Vittore III – “per unanime consenso, poiché egli era riconosciuto come l’uomo più idoneo al ministero pastorale per dottrina, saggezza e moralità”. Se nel giro di pochi mesi il Papa neoeletto non fosse stato chiamato all’eterna gloria, certamente il Papa voleva accanto a sé il santo vescovo Bernardo perché nel disegno di Dio era scritto che il Pontefice nel Regno Celeste doveva essere accolto quale il Beato Vittore III. La prima preoccupazione del nuovo Vescovo fu quella di costruire una nuova sede vescovile a Carinola “nella Città collocata in un sito molto sicuro”. La Diocesi si estendeva all’agro carinolese che comprendeva “i relativi Casali e Villaggi ”. Col nuovo Vescovado –un prezioso monumento di stile romanico a cinque navate -
La secnda sua opera, la Translazione nel 1095 di S. Martino Penitente, doveva affidare al popolo carinolese la pienezza del Suo santo pensiero: la traslazione doveva significare la conferma della sacralità cristiana del tempio, prima ancora della consacrazione della Cattedrale doveva consolidare concretamente il legame storico-
Nell’anno 1100 Bernardo si recò a Roma dal Papa Pasquale II (1089-
Egli svolse un apostolato nuovo in un tempo di restaurazione. E curò anche la riforma del clero del tempo, ammaestrando e richiamando, istruendo e incitando i buoni sacerdoti col suo esempio e la sua parola. S. Fu Santo autentico, generoso, donatore di santità.
Andando per le campagne, cavalcando un asinello, a chiedere oboli per la costruzione della Cattedrale, profittava dell’occasione per incontrare e conoscere i componenti delle famiglie. La sua povertà ed umiltà terrena divennero ricchezza davanti a Dio: perciò ricco di meriti, di lodi e di gloria entra nei cieli. Così quando il Signore invitò il Suo Servo fedele a entrare nella gloria, Bernardo si presentò al Suo Signore con umiltà, fiducioso di incontrare il Dio dell’Amore e della Bontà. Ricco di buone opere, benedetto dai suoi fedeli di Carinola, S. Bernardo volò al cielo il 12 marzo 1109. E fu sepolto nella Sua Cattedrale, in quanto il conte Gionata e la famiglia,che avevano preparato per sé un sarcofago di marmo, scolpito da antichi romani e reperito in qualche villa dei dintorni, offrirono al loro Padre e Maestro questo sontuoso sarcofago romano, nel quale furono deposte e tuttora si venerano le spoglie di S. Bernardo, poi proclamato “Compatrono” di Carinola. (Autore: Giovanni Iannettone -
3 San Brian Bòruimhe -
+ 1014
Brian Bòruimhe è il più ben noto re d'Irlanda menzionato in tutti i libri di storia del suo paese.
Egli fu ucciso dai Dani nel 1014 nella Battagli di Clontarf.
La sua reputazione di santo non sembra essere di origine irlandese e in Irlanda non esiste alcuna prova certa di culto.
I Bollandisti menzionano Brian Bòruimhe, tra i praetermissi, al 12 marzo.
(Autore: Cuthbert McGrath -
4 Sant' Elfego il Vecchio (12 marzo)
m. 951
Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, Sant’Elfégo, vescovo, che, già monaco, si adoperò molto per il rinnovamento della vita cenobitica.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
5 Santa Fina di San Gimignano -
San Gimignano, 1238 -
Nata nel 1238 da due nobili decaduti di San Gimignano, Iosefina (Fina) morì giovanissima, 15enne, nel 1253.
Colpita a dieci anni da una grave malattia che la immobilizzò, fu esempio di vita cristiana per chi la visitava.
Il dolore della Santa fu aumentato, oltretutto, dalla morte della madre.
Al momento del trapasso di Fina le campane della città suonarono senza che nessuno le azionasse, narra il suo biografo, il Domenicano Giovanni del Coppo, attento più alla devozione che alla storia.
Il culto si diffuse subito anche per i molti miracoli avvenuti sulla tomba.
Dichiarata patrona della cittadina toscana, in suo onore fu costruito un ospedale.
Nel 1457 il Consiglio del Popolo decise la realizzazione di una splendida cappella nella collegiata. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nella città di San Gimignano in Toscana, Beata Fina, vergine, che fin dalla tenera età sopportò con invitta pazienza una lunga e grave infermità confidando solo in Dio.
Nata da Cambio ed Imperia, nobili decaduti, a San Gimignano nel 1238, Fina (abbreviazione di Iosefina) ebbe una vita breve, ma religiosamente molto intensa.
A dieci anni di età fu colpita da una gravissima malattia che la costrinse a letto impedendole qualsiasi movimento.
Ad accrescere il dolore si aggiunse la perdita della madre.
Col corpo piagato diede ai visitatori esempio di pazienza, insegnando loro il culto della Passione del Signore e la devozione alla Regina dei martiri.
Si spense il 12 marzo 1253, festa di S. Gregorio Magno, di cui era devota e dal quale avrebbe avuto l'annuncio della morte; al momento del trapasso le campane di San Gimignano suonarono a festa senza che mano alcuna toccasse le corde.
Questi particolari si trovano nella sua biografia scritta al principio del sec. XIV dal domenicano Giovanni del Coppo, più con intenti pii e devoti che storici.
Il culto per Santa Fina fu molto vivo fin dagli inizi anche per i numerosi miracoli che avvenivano al suo sepolcro.
Fu eletta patrona della città; in suo onore fu costruito un ospedale; nel 1457 il Consiglio del Popolo deliberò la costruzione della magnifica cappella che si può ancora ammirare nella collegiata. (Autore: Adone Terziarol -
6 Beato Girolamo da Recanati -
m. Recanati (Macerata), 12 marzo 1350
Il B.Girolamo di Recanati visse nel convento agostiniano della città natale, dove morì il 12 marzo del 1350. Si sa molto poco della sua vita. Certo à che visse in un periodo di fioritura di santità nelle Marche, basti pensare all'esempio più famoso: S.Nicola di Tolentino (1254-
7 San Giuseppe Zhang Dapeng -
Scheda del Gruppo cui appartiene San Giuseppe Zhang Dapeng: “Santi Martiri Cinesi” (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni)
Duyun, Cina, 1754 circa -
Martirologio Romano:
Giuseppe Zhang Dapeng nacque da una famiglia pagana primo di tre figli a Tou-
Dopo la conversione non mancarono però i problemi, primo fra tutti quello del suo secondo matrimonio, contratto dopo che la prima moglie non gli aveva dato alcun erede. Nonostante avesse già un figlio dalla seconda consorte, Giuseppe preferì concederle una dote e darla in sposa ad un altro cristiano. I suo
Giuseppe decise allora di interrompere la collaborazione con lui e di mettersi in proprio come cambiavalute. Accettato come catecumeno nel 1798, con l’aiuto di altri cristiani acquistò una nuova casa ove potersi riunire ed alloggiare un missionario. Nel 1800 fu battezzato e due anni dopo ricevette per la prima volta l’Eucaristia. Il medesimo anno suo fratello denunciò i cristiani causando l’arresto di molti di loro, ma egli riuscì a fuggire. Tornato in città, Giuseppe iniziò un’intensa attività apostolica, convertendo parecchie persone Inoltre si prendeva cura dei poveri e dei malati, assisteva coloro che erano in fin di vita e dava sepoltura ai morti.
I fedeli, colpiti dalla sua attività, non tardarono a richiedere la sua nomina a capo della scuola e catechista, avvenuta nel 1808. Tre anni dopo, con l’avvento di un altro periodo di persecuzioni, Giuseppe fuggì a Hin-
Dal 1814 iniziarono però i suoi problemi più seri: suo cognato rivelò ove era nascosto e dunque fu arrestato. Rifiutò di rinnegare la sua fede in Cristo e non volle assolutamente essere liberato in cambio del riscatto dai parenti. Secondo i decreti imperiale anticattolici promulgati pochi anni prima, Giuseppe venne dunque condannato a morte. La notizia ufficiale, decisa dal viceré nel novembre 1814 e dall’imperatore nel gennaio successivo, giunse solo nel marzo 1815 all’interessato, che rifiutò il consueto banchetto d’addio con i parenti e si ritirò in preghiera per prepararsi alla morte.
Il 12 marzo giunse l’ora del suo martirio: un battaglione di soldati lo condusse al luogo dell’esecuzione. Giuseppe si stagliava tra loro, alto, distinto, con barba e capelli bianchi, piangente per la gioia. Fu legato ad una croce ed un cappio gli strinse il collo. Ai suoi parenti che lo imploravano di abiurare, rispose esponendo il suo testamento spirituale: “Non piangete, sto andando in Paradiso”. Questo intrepido testimone della fede fu beatificato nel 1909 ed infine canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000, insieme ad altri 119 martiri in terra cinese. (Autore: Fabio Arduino -
8 Beata Giustina Bezzoli Francucci -
Arezzo, 1257 circa – Arezzo, 12 marzo 1319
Martirologio Romano: Ad Arezzo, Beata Giustina Francucci Bezzoli, vergine dell’Ordine di San Benedetto e reclusa.
A Firenze, nel Monastero benedettino di S. Maria del Fiore a Lapo, è custodito e venerato il corpo incorrotto della Beata Giustina Bezzoli Francucci, qui traslato dal Monastero dello Spirito Santo di Arezzo nel 1968, quando le due comunità claustrali si riunirono. La chiesa grande del monastero, al centro della borgata a nord di Firenze (ma diocesi di Fiesole), sulla via Faentina, dal 1938 è anche parrocchia e così, in mirabile sintonia, le due comunità vivono e pregano fianco a fianco, arricchendosi vicendevolmente dei diversi doni dello Spirito. Il coro delle monache è il prolungamento della chiesa e al centro vi è proprio il tabernacolo. La fondazione della comunità avvenne ad opera del ricco Lapo da Fiesole che nel 1350 ospitò qui le prime monache. Il 13 ottobre di quell’anno il vescovo S. Andrea Corsini consacrò il monastero con la regola di S. Agostino e col titolo di S. Maria del Fiore che qui è più antico rispetto al duomo fiorentino. Le agostiniane rimasero fino al 1808, quando dovettero lasciare a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi; le benedettine subentrarono nel 1817. L’urna con in corpo della Beata è collocata in un muro che unisce le due comunità ed è da entrambe visibile: il suo volto guarda verso la clausura e pare invitare i fedeli laici a dedicare il giusto tempo alla preghiera.
Discendente da nobilissima famiglia, i Bezzoli Francucci, Giustina nacque ad Arezzo tra il 1257 e il 1260. Dal carattere amabile e umile, crebbe acquisendo presto una certa maturità. Nella ricca casa paterna, tra agi e comodità, assimilò con la preghiera quotidiana i più genuini sentimenti religiosi. Sovente si privava del cibo e amava ritirarsi nella propria stanza a pregare, maturando così la decisione di consacrarsi a Dio. Il diniego dei genitori fu immediato e senza appello. Figlia unica, amatissima, erede di cospicue ricchezze, aveva davanti a sé un futuro assai invidiabile: sposarsi con un uomo degno della sua casata. Sappiamo però che le vie del Signore non sono le vie degli uomini: convinse prima il padre a costo di lacrime e sospiri, poi fu la volta dello zio paterno, risoluto anch’egli a non privarsi dell’unica nipote. Una grave malattia del padre fece riflettere tutti sulla caducità delle cose e Giustina ottenne il desiderato benestare. Aveva solo dodici anni e tale decisione risulta a noi incomprensibile ma, a quell’epoca, le scelte importanti a volte erano prese a quell’età.
Giustina venne accolta nel monastero di S. Marco (che oggi non esiste più), portando con sé solo un’immagine del Crocifisso. Una colomba si posò sul suo capo al momento dell’ingresso, segno eloquente che lo Spirito Santo assisteva già l’umile figlia del S. Padre Benedetto. Lasciava tutto per dedicarsi alla meditazione della Parola di Dio: il rozzo saio prendeva il posto delle vesti opulente. Novizia esemplare, nei compiti più semplici si mostrava lieta di rispondere con l’obbedienza alle necessità comunitarie. Giustina soggiornò nel monastero per circa quattro anni, fino a quando fu costretta a partire con le consorelle a causa delle guerre che sconvolgevano la città. Col suo Crocifisso si trasferì nel Monastero d’Ognisanti, ma pure qui il soggiorno non fu lungo.
Venne un giorno all’orecchio della Beata che in una grotta, presso il Castello di Civitella (Civitella della Chiana), viveva volontariamente reclusa una vergine di nome Lucia. Raggiungerla per condividere la pratica più austera delle cristiane virtù divenne il suo sommo desiderio. Col permesso del vescovo Guglielmo Umbertini si trasferì nell’eremo dove Lucia, ben contenta, l’accolse. In una povertà estrema ricevettero la visita del padre di Giustina che, possiamo immaginare con quanta angoscia, tentò inutilmente di riportarla a casa.
La convivenza delle due anacorete durò solo qualche anno, fino a quando Lucia si ammalò gravemente e la giovane compagna l’assistette con amore fino al momento del trapasso. Rimasta sola Giustina continuò a vivere dedita solo alla preghiera e alla penitenza, confortata visibilmente dallo Sposo Celeste che per mezzo di un angelo la difese più volte dagli attacchi dei lupi. Tali e tante privazioni non potevano non minarle la salute e a soli trentacinque anni iniziò ad avere seri problemi di vista. Fu costretta a tornare nel monastero tra il giubilo delle consorelle che ormai vedevano in lei un’anima non più di questa terra. Il monastero era però soggetto alle scorribande dei soldati e il vescovo Ildebrando Guidi dovette trasferirlo in un luogo sicuro. Era l’anno 1315 e Giustina cambiava nuovamente dimora.
La Beata ebbe una devozione singolare per la Passione di Cristo e, sebbene ammalata, usava dei cilici, giungendo persino a flagellarsi. Trascorse gli ultimi venti anni di vita completamente cieca, cadendo più volte in estasi, anche in presenza delle consorelle. Visse in condizioni di grande miseria ma sempre fiduciosa nella Provvidenza e a quanti le chiedevano una parola di conforto non mancò di soccorrerli come poteva. Morì pregando, circondata dalle compagne, il 12 marzo 1319. Sul suo corpo erano evidenti, in tutta la loro crudezza, le piaghe causate da una catena di ferro che per anni tenne stretta in vita.
Le grazie ottenute per sua intercessione furono subito numerose. Un candido giglio nacque spontaneamente sulla sua tomba e con tale attributo viene solitamente raffigurata, basti ricordare il ritratto che ne fece Giotto per la Chiesa fiorentina della Misericordia. Il corpo, a dieci anni dalla morte, era sorprendentemente flessibile e il Vescovo di Arezzo, Buono degli Uberti, ratificò quel culto che spontaneo era nato nel popolo. Due secoli dopo venne chiuso in una cassa di ferro fino al 1709, quando riapparve eccezionalmente incorrotto. Nella bara venne trovata un’antica bandiera di guerra lasciata da un capitano come ex voto intorno al 1384. Alcuni frammenti del vessillo furono distribuiti ai fedeli come reliquie. Invocata soprattutto per i problemi di vista, davanti alla sua urna furono anche esorcizzati alcuni indemoniati. Il culto fu confermato dalla Santa Sede il 14 gennaio 1891. Il 12 di ogni mese un’associazione si ritrova per farne memoria con la celebrazione dell’Eucaristia.
Preghiera
Signore Gesù Cristo, che con la contemplazione della Tua Passione accendesti la fiamma del Divino Amore nel cuore della Beata Giustina, concedi anche a noi di imitare i suoi esempi e per sua intercessione di adorare sempre e con amore Te Crocifisso e così meritare di raggiungere la Tua beatitudine nei cieli.
Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Per informazioni rivolgersi a: Monastero Santa Maria del Fiore a Lapo -
9 Sant' Innocenzo I – 40° Papa (12 marzo)
sec. IV -
Nativo di Albano, dovette affrontare molte invasioni di barbari di Alarico e Atalulfo, che saccheggiarono due volte Roma. Condannò l'eresia di Pelagio.Successe a papa Bonifacio I nel 401, in una situazione storica assai difficile per la calata in Italia dei Goti. Tentò di salvare Roma concludendo una tregua con Alarico e accettando di andare quale suo ambasciatore a Ravenna.
Non riuscì tuttavia a salvare la città, che nel 410 venne saccheggiata. Egli mirò a rafforzare il primato pontificio e le sue lettere hanno una grande importanza storica e dottrinale perché costituiscono il primo nucleo delle collezioni canoniche che verranno elaborate in futuro. Condannò formalmente nel Concilio di Milevi del 416 Pelagio e il suo discepolo Celestio.
Estese la sua attività pastorale anche in Oriente, esortando la popolazione di Costantinopoli a seguire san Giovanni Crisostomo e a vivere in pace.
Etimologia: Innocenzo = senza peccato, dal latino
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Ponziano, deposizione di Sant’Innocenzo I, Papa, che difese San Giovanni Crisostomo, consolò Girolamo e approvò Agostino.
Il liber pontificalis stabilisce le sue origini in Albano laziale. Figlio di Anastasio, fu consacrato pontefice il 22 dicembre del 401.
La sua prima attività consacrale fu stigmatizzata dagli eventi determinati dalla figura di San Giovanni Crisostomo, il quale attraverso i suoi oracoli e le sue predizioni riuscì a condizionare le funzioni clericali della chiesa romana, mettendosi però in contrapposizione con l' "amalgama temporale" preteso dall' imperatrice Eudossia.
La persecuzione di San Giovanni Crisostomo , vescovo di Costantinopoli, da parte dell'imperatrice (appoggiata dal vescovo di Alessandria) rimase un fatto a se stante.
Il pontefice, preso atto delle difficoltà del vescovo di Costantinopoli riuscì ad emettere una semplice condanna nei confronti dei suoi persecutori.
Nel frattempo Roma fu messa a ferro e fuoco da parte dei goti di Alarico. Correva l'anno domini 410.
I suoi interventi dottrinali riguardarono la liturgia sacramentale, la penitenza, l'unzione degli infermi, il battesimo e la indissolubilità del matrimonio, chiaramente ribadita anche nei casi di adulterio.
Durante il suo pontificato si diffuse l'eresia di Pelagio, condannata nel 416 dai concili di Milevi e di Cartagine su iniziativa di Sant' Agostino e con l'approvazione di Innocenzo I.
La sollecitudine del papa non si rivolgeva soltanto alla difesa della dottrina tradizionale della Chiesa: con tatto umanissimo egli sapeva confortare e lenire sofferenze.
Innocenzo I morì dopo 16 anni di regno pontificale. Il 12 marzo 417 le sue spoglie furono sepolte nel cimitero "ad ursum pileatum", sulla via di Porto dove già giacevano le spoglie del padre Anastasio I. (Autore: Franco Prevato -
10 San Luigi Orione -
Nacque a Pontecurone nella diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872. A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera. Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco.
Nel 1889 entrò nel seminario di Tortona. Proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stanzetta sopra il duomo.
Qui ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo gli concesse l’uso del giardino del vescovado.
Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a san Luigi.
Nel 1893 aprì il collegio di san Bernardino. Nel 1895, venne ordinato
sacerdote.
Molteplici furono le attività cui si dedicò. Fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine.
Mandò i suoi sacerdoti e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914. Morì a Sanremo nel 1940. (Avvenire)
Etimologia: Luigi = derivato da Clodoveo
Martirologio Romano: A Sanremo in Liguria, San Luigi Orione, sacerdote, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza per il bene dei giovani e di tutti gli emarginati.
Un santo dei nostri tempi, di lui esiste una vastissima bibliografia e periodicamente escono pubblicati stampati, riviste, quaderni di spiritualità, libri che lo riguardano, lo analizzano in tutti i suoi aspetti, parlano della sua opera, davvero grande.
Il Beato Luigi Giovanni Orione, nacque a Pontecurone nella diocesi di Tortona, il 23 giugno 1872 da onesti e semplici genitori, in particolare la madre fu una saggia educatrice e gli fu di valido aiuto nelle sue future attività con i ragazzi.
Lavorò nei campi nella sua fanciullezza, frequentando un po’ di scuola e dedito alle pratiche religiose.
A 13 anni entrò fra i Frati Minori di Voghera, purtroppo a causa di una grave polmonite, dovette ritornarsene in famiglia.
Ristabilitasi, aiutò il padre nella selciatura delle strade, esperienza che gli risulterà molto utile per comprendere le sofferenze e la mentalità degli operai.
Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da San Giovanni Bosco, ove rimarrà per tre anni, l’insegnamento ricevuto e l’esperienza vissuta con il santo innovatore, non si cancellò più dal suo animo, costituendo una direttiva essenziale per le sue future attività in campo giovanile.
Inaspettatamente lasciò i salesiani e nel 1889 entrò nel seminario di Tortona per studiare filosofia per due anni, al termine del corso, proseguì gli studi teologici, alloggiando in una stanzetta sopra il duomo, nel quale prestava servizio per le Messe; riceveva anche un piccolo compenso per le sue necessità.
Nel duomo ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non bastava, per cui il vescovo, conscio dell’importanza dell’iniziativa, gli concesse l’uso del giardino del vescovado. Il 3 luglio 1892, il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò il primo oratorio intitolato a San Luigi; l’anno successivo riuscì ad aprire un collegio detto di San Bernardino, subito frequentato da un centinaio di ragazzi.
Il 13 aprile 1895, venne ordinato sacerdote, celebrando la prima Messa fra i suoi ragazzi, che nel frattempo si erano trasferiti nell’ex convento di Santa Chiara.
Attorno a lui si riunirono altri sacerdoti e chierici, formando il primo nucleo della futura congregazione; si impegnò con tutte le sue forze in molteplici attività: visite ai poveri ed ammalati, lotta contro la Massoneria, diffusione della buona stampa, frequenti predicazioni, cura dei ragazzi.
Si precipitò a soccorrere le popolazioni colpite dal terremoto del 1908 a Messina e Reggio Calabria, inviando nelle sue Case molti orfani, divenne il centro degli aiuti sia civili che pontifici.
Papa Pio X gli diede l’incarico, che durò tre anni, di vicario generale della diocesi di Messina.
Stessa operosità dimostrò negli aiuti ai terremotati della Marsica nel 1915, accogliendo altri orfani, a cui diede come a tutti, il vivere, l’istruzione, il lavoro. ù
Se San Giovanni Bosco fu l’esempio per l’educazione dei ragazzi, San Giuseppe Benedetto Cottolengo fu l’esempio per le opere di carità; girò varie volte l’Italia per raccogliere vocazioni e aiuti materiali per la sue molteplici Opere.
Per curare tante attività, fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità; dal lato spirituale e contemplativo, fondò gli Eremiti della Divina Provvidenza e le Suore Sacramentine, a queste due Istituzioni ammise anche i non vedenti.
Ancora lo spirito missionario lo spinse a mandare i suoi figli e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914; ben due volte per sostenere le sue opere, si recò egli stesso nel 1921 e nel 1934 a Buenos Aires, dove restò per tre anni organizzando scuole, colonie agricole, parrocchie, orfanotrofi, case di carità dette “Piccolo Cottolengo”.
Sempre in movimento conduceva una vita penitente e poverissima, sebbene cagionevole di salute, organizzò missioni popolari, presepi viventi, processioni e pellegrinaggi, con l’intento che la fede deve permeare tutte le fasi della vita.
Gli ultimi tre anni della sua vita li trascorse sempre a Tortona, facendo visita settimanale al ‘Piccolo Cottolengo’ di Milano ed a quello di Genova; cedendo alle pressioni dei medici e dei confratelli, si concesse qualche giorno di riposo a Sanremo nella villa di S. Clotilde, dove morì dopo pochi giorni, il 12 marzo 1940.
I funerali furono solennissimi e ricevé l’omaggio di tutte le città del Nord Italia da dove passò il corteo funebre; venne tumulato nella cripta del Santuario della Madonna della Guardia di Tortona, da lui fatto edificare.
Venticinque anni dopo nel 1965, fu fatta la ricognizione della salma che fu trovata completamente intatta e di nuovo tumulata.
In queste brevi note biografiche, non si riesce a descrivere l’importanza che l’Opera sociale e spirituale di don Orione, come da sempre è chiamato così, ha avuto nel contesto umano, prima con le conseguenze di disastri naturali e poi con i disastri provocati dalla follia umana delle due Guerre Mondiali.
Personaggi di ogni ceto sociale e culturale lo conobbero e contattarono, dai Papi San Pio X e Benedetto XV al maestro Lorenzo Perosi, dalle autorità politiche nazionali e locali, ai santi del suo tempo.
Il fondatore della "Piccola Opera della Divina Provvidenza" è stato beatificato il 26 ottobre 1980 da Papa Giovanni Paolo II, in un tripudio di tanti suoi figli ed assistiti provenienti da tanta Nazioni.
É stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004, data di culto in cui lo ricorda ogni anno la Congregazione da lui fondata. (Autore: Antonio Borrelli -
11 San Mamiliano di Palermo -
S. Mamiliano e compagni martiri Eustozio Procuro, Golbodeo e Ninfa
Visse al tempo della dominazione vandalica in Sicilia.
Fu vescovo di Palermo.
E esiliato in Africa verso il 450 assieme ai suoi compagni cristiani.
Riscattato dalla pietà di alcuni fedeli o di qualche vescovo Africano, passò n Sardegna e quindi nell’isola di Montecristo e, infine, in quella del Giglio, dove morì.
Fondò diversi monasteri, qualcuno anche per monache eremite tra le quali ricordiamo i nomi di Ninfa e forse Oliva.
Una parte delle sue reliquie furono portate a Roma nella chiesa di Santa Maria in Monticelli e, un secolo dopo, anche a Spoleto. (Autore: Antonino Cottone – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
12 San Massimiliano di Tebessa -
Da una «Passio Sancti Massimiliani» si sa che Massimiliano subì il martirio intorno al 295, un 12 marzo, sotto il consolato di Tusco e Anulino (o Anulio), nei pressi di Cartagine, a Tebessa. Era figlio del veterano Fabio Vittore e, secondo le leggi del tempo, era tenuto a seguire la carriera del genitore. Il giovane cristiano, tuttavia, rifiutò tale strada, nonostante fosse riconosciuto abile al servizio militare. Condotto nel Foro, dinanzi al proconsole Dione, fu da questi interrogato circa le ragioni del suo rifiuto. Egli con fermezza rispose: «Non mi è lecito fare il soldato, giacché sono cristiano». Un'affermazione che lo condusse al martirio. (Avvenire)
Patronato: Obiettori di coscienza
Etimologia: Massimiliano = composto di Massimo e Emiliano (dal latino)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Tebessa in Numidia, nell’odierna Algeria, San Massimiliano, martire, che, figlio del veterano Vittore e anch’egli arruolato nella milizia, rispose al proconsole Dione che a un fedele cristiano non era lecito servire nell’esercito e, rifiutatosi di prestare il giuramento militare, fu giustiziato con la spada.
Della vita di questo Santo si hanno scarne notizie. La maggior parte di esse, comunque, le apprendiamo da una Passio Sancti Massimiliani.
Si viene da essa a sapere che Massimiliano subì il martirio intorno al 295 d.C., un 12 marzo, sotto il consolato di Tusco e Anulino (o Anulio), nei pressi di Cartagine, a Tebessa. Si dice usualmente che egli fu uno dei primi obiettori di coscienza cristiani, che rifiutarono le armi in maniera ferma, lucidamente consapevole ed animata da uno spirito senza esibizionismi e ben lontano da qualsivoglia retorica; ma dagli atti e passioni dei martiri delle origini, appare l’unicità del caso di S. Massimiliano, che abdicò espressamente al ruolo di soldato nell’ora suprema del martirio. Si trattò, negli altri casi, più propriamente di rifiuto degli atti di culto connessi all’adempimento degli obblighi militari, non tanto quindi di una forma di obiezione di coscienza in senso proprio.
Il martire in parola si inscrive a pieno titolo in quella corrente particolarmente viva nei primi secoli del Cristianesimo, ancor prima della Riforma protestante, che assai spesso si tende a minimizzare tanto che, utilizzando la terminologia di alcuni autori, si potrebbe definire “cristianesimo sommerso”. Essa, tuttavia, ha attraversato i secoli, giungendo sino a noi, avendo illustri testimoni noti, come il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, e padre Balducci, e meno noti, come il contadino cattolico austriaco Franz Jaegerstaetter, il quale, sotto il Nazismo di Hitler, fu processato e decapitato per essersi rifiutato di essere arruolato nei reparti della Wermacht. Questo movimento di idee, fortemente radicato prima che al Cristianesimo fosse riconosciuta da Costantino la piena libertà (ma anche vivo successivamente), ravvisava una totale inconciliabilità tra l’etica della nuova fede ed il servizio militare, a qualsiasi titolo prestato, anche se inizialmente non si estrinsecò nelle forme dell’obiezione di coscienza tradizionalmente intesa. Basti citare, a questo riguardo, l’opera di Tertulliano, De corona, composta intorno al 211 d.C. Essa prendeva spunto da un episodio concernente un giovane soldato – del quale non si conosce il nome, ma che viene definito dallo scrittore cristiano Dei miles (militare di Dio) – che rifiutò di porsi sul capo una corona d’alloro durante una cerimonia legata al culto dell’imperatore.
Il militare spiegò tale suo atteggiamento proclamandosi cristiano, venendo per questo rinchiuso in carcere in attesa della condanna. Partendo da tale episodio, Tertulliano, nella sua opera, si domandava se un cristiano potesse prestare il servizio militare. Egli, quindi, distingueva due ipotesi: quella del cristiano non ancora arruolato nell’esercito e quella del militare che si convertisse alla nuova fede. Nel primo caso, per l’insigne Padre della Chiesa, vi sarebbe un’assoluta incompatibilità tra i doveri della fede ed i doveri del militare, in quanto il battezzato, ricevendo il sigillo di appartenenza esclusiva a Cristo, non potrebbe assoggettarsi ad altri (siano essi imperatori, dèi, ecc.). Nel secondo caso, al militare non resterebbe che un’alternativa: l’abbandono dell’esercito ovvero l’assoluta attenzione a non compiere azioni contrarie alla fede, sino, se necessario, al sacrificio della propria vita.
In conclusione, quindi, si sosteneva, in senso antimilitaristico, che l’unica “guerra” lecita per il cristiano fosse quella contro le alienazioni del mondo. Analogo concetto l’illustre Padre lo esprimeva, pressoché nello stesso periodo, nel De idolatria. Altri autorevoli Padri della Chiesa (Origene, Lattanzio, Cipriano, Ippolito, Minucio Felice, ecc.) manifestavano idee simili.
Il nostro martire, dunque, assieme ad altri testimoni della fede (come, ad esempio, Marino, Marcello, Giulio) e tanti cristiani, ben si inquadra nella schiera di coloro che, per obbedire alla propria coscienza, accettarono la sanzione di morte, inflitta per il rifiuto di comportamenti lesivi di convincimenti interiori, possedendo essi già il signum Christi, ricevuto con il battesimo.
Basti ricordare che, pochi decenni dopo Costantino, intorno al 350 d. C., S. Martino di Tours abbandonò il servizio militare con il celebre episodio noto agli agiologi come "scena di Worms", motivando tale rifiuto con l’obiezione "Sono soldato di Cristo: non mi è lecito combattere". All’imperatore Giuliano (l’Apostata), che lo accusava di viltà dinanzi all’imminente battaglia, egli replicò offrendosi di andare incontro ai nemici disarmato.
L’obiezione di Martino, in realtà, riecheggia molto da vicino le motivazioni di S. Massimiliano.
Dalla Passio del martire, si apprende che questi era figlio del veterano Fabio Vittore e che, secondo le leggi del tempo, era tenuto a seguire la carriera del genitore. Il giovane cristiano, tuttavia, rifiutò tale strada, nonostante fosse riconosciuto abile al servizio militare. Condotto nel Foro, dinanzi al proconsole Dione, fu da questi interrogato circa le ragioni del suo rifiuto. Egli con fermezza rispose: "Non mi è lecito fare il soldato, giacché sono cristiano". Alle insistenze e lusinghe del proconsole, egli continuò a ripetere che: "Non posso fare il soldato, non posso fare il male, sono cristiano". All’obiezione che, nella guardia d’onore degli imperatori Diocleziano e Massimiano e dei cesari Costanzo e Massimo (Galerio), vi erano diversi soldati cristiani, il martire rispose in maniera estremamente rispettosa per le scelte altrui, ma dignitosa in merito alla propria: "Essi sanno ciò che è bene per loro. Io, da parte mia, sono cristiano e non posso fare del male".
Di fronte a tale ferma ed irremovibile posizione, il proncosole Dione lesse sulla tavoletta la condanna a morte, mediante decapitazione, per il giovane Massimiliano per indisciplina, avendo egli rifiutato il servizio militare. Letta la condanna, al martire non restò che esclamare: Deo gratias (siano rese grazie a Dio)! Aveva, secondo la Passio, appena ventun’anni, tre mesi e diciotto giorni. Prima di morire, rivolgendosi al padre che lo accompagnava, con volto radioso, disse di donare al carnefice la sua veste nuova, che il genitore aveva preparato per il servizio militare.
Subìto il martirio, il corpo fu raccolto da una matrona che lo ricompose dignitosamente e lo seppellì in una collina, nei pressi della tomba del martire S. Cipriano. Il padre Vittore, facendo ritorno a casa, lodava Dio ed era pieno di gioia, avendogli mandato innanzi un sì prezioso dono, a Lui che era pronto a raggiungerlo in seguito.
Come ha dimostrato lo studioso P. Siniscalco, le ragioni del martire si poggiavano unicamente sulle sue convinzioni, basate su un’interpretazione personale del Vangelo e del messaggio cristiano.
L’autore, in effetti, osserva che, come cristiano, Massimiliano aveva due ragioni per obiettare al servizio: in primo luogo, l’arruolamento comportava un atto di culto alle "divinità" degli imperatori; in secondo luogo, comportava la commissione di atti di violenza. Dall’analisi da lui condotta sul testo della Passio, l’autore desume che l’obiezione di coscienza del martire, primariamente, si fondava sul rifiuto di commettere qualsivoglia violenza, tradendo così lo spirito del Vangelo. Per questo, egli, a giusto titolo, può invocarsi quale unico protettore degli obiettori di coscienza. (Autore: Francesco Patruno – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
13 Santi Migdonio, Eugenio, Massimo, Domenica, Mardonio, Pietro, Smeraldo e Ilario -
m. 303
Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, commemorazione dei Santi martiri Migdone, sacerdote, Eugenio, Massimo, Domna, Mardonio, Smaragdo e Ilario, soffocati uno al giorno, per incutere terrore agli altri compagni. (Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
14 San Paolo Aureliano di Leon -
+ 573
Martirologio Romano: A Saint-
La vita di San Paolo Aureliano fu redatta da Wrmonoc, monaco di Landévennec tra il IX e X secolo, il quale si basò su un’opera precedente o più probabilmente ben più Vite del santo.
Pur non essendo del tutto attendibile, gli eventi principali della sua vita sono confermati dai molti luoghi che ancora oggi portano il suo nome.
Nativo del Galles, Paolo Aureliano fu educato a Ynys Byr da Sant’Iltuto insieme ad altri celebri santi suoi compatrioti quali David, Sansone e Glida.
Sin dalla giovane età scelse di condurre una vita solitaria e trascorse parecchi anni pregando e studiando. Ordinato sacerdote, radunò attorno a sé dodici discepoli che vissero in celle vicine. Con loro partì un giorno per la Bretagna ed attraversando la Cornovaglia si fermò a far visita a sua
Nonostante non vi siano prove dirette dell’esistenza di questa sorella, un villaggio porta comunque il nome di San Paolo Aureliano nei pressi dell’estremità occidentale della baia di Mount.
Sbarcati poi sull’isola Ushant, in un luogo oggi denominato Porz-
Particolarmente amato dalla popolazione locale, Paolo fu proposto per l’episcopato.
Withur, signore locale, dovette usare uno stratagemma per indurlo ad accettare: mandò Paolo a Parigi dal re Childerico per recapitargli un messaggio urgente, contenente in realtà la richiesta della sua consacrazione a vescovo.
Il sovrano acconsentì, fece conferire l’ordinazione a Paolo e lo rimandò indietro.
Il novello vescovo continuò comunque a condurre una vita improntata ad un’estrema austerità, cibandosi esclusivamente di pane ed acqua, aggiungendo un pò di pesce solo nelle grandi feste. Pensando di essere ormai prossimo alla morte, Paolo lasciò il ministero episcopale, ma invece sopravvisse a ben due suoi discepoli che aveva designato quali suoi successori.
Morì infine nel 573.
Si narrò che in vita sarebbe stato dotato del dono della profezia, tanto che secondo Wrmonoc avrebbe predetto anche l’invasione dei popoli del nord. Il nome della sede episcopale, in suo onorem fu mutato in San Paolo di Léon. (Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
15 Santi Pietro (detto Cubicolario), Doroteo e Gorgonio -
+ Nicomedia, 303
Martirologio Romano: Nello stesso luogo, passione di San Pietro, martire, che, addetto alle stanze dell’imperatore Diocleziano, lamentatosi senza timore dei supplizi inferti ai martiri, fu per ordine dello stesso imperatore condotto in un luogo pubblico e prima fu appeso e torturato per lunghissimo tempo a frustate, poi fatto bruciare su una graticola infuocata.
Doroteo e Gorgonio poi, anch’essi preposti alle stanze del re, avendo protestato, furono puniti con analoghi supplizi e infine impiccati.
Il celebre imperatore Diocleziano, feroce persecutore dei cristiani, si trovava a Nicomedia quando venne a sapere che nella sua stessa casa si trovavano dei seguaci di tale religione.
Ideò allora un semplicissimo stratagemma per identificarli: esporre le immagini delle divinità pagane ed ordinare a tutti i presenti di offrire loro sacrifici, scatenando così immancabilmente il netto rifiuto dei cristiani.
Così avvenne e Pietro Cubicolario, suo maggiordomo, fu il primo a subire la punizione, consistente nell’essere appeso nudo e frustrato sino a strappargli la carne dalle ossa, per poi versargli aceto e sale nelle piaghe.
Doroteo, addetto alla stanza da letto imperiale, e Gorgonio, un alto ufficiale dell’esercito, protestarono con l’imperatore per aver punito solamente Pietro: “É anche la nostra fede.
Ti siamo sempre stati fedeli, ma d’ora innanzi serviremo solo il Dio che ci ha creati”.
Vennero allora anch’essi torturati e condannati a morte, insieme ad un altro ufficiale di nome Migdonio.
Nel frattempo Pietro fu calpestato ed arso sul rogo, ma durante la sua agonia non si udì alcun lamento.
Alcuni martirologi citano anche i nomi di parecchie altre persone, presumibilmente morte nella medesima circostanza.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
16 San Simeone il Nuovo Teologo -
Galati, Paflagonia, 949 -
Simeone fu educato alla corte di Costantino Porfirogeneto. Nel 977 entrò nel monastero studita per mettersi sotto la guida di Simeone Eulabis, il Pio.
Un anno dopo entrò nel monastero di San Mamos, sotto la disciplina dell’Igumenos Antonio cui successe nella carica di superiore.
Non ebbe facile vita nel monastero, la sua fedeltà intransigente, la sua dottrina coerente e coraggiosa lo posero in contrasto con le autorità ecclesiastiche, nel 1009 fu condannato dal Santo Sinodo all’esilio.
Egli sosteneva che il cristiano non sviluppa pienamente la grazia del Battesimo fintanto che non arrivi alla coscienza della presenza dello Spirito Santo e non veda la luce gloriosa di Dio.
Senza questa maturazione interiore è temerario fondare la propria azione cristiana nel Battesimo ed esercitare, qualora uno sia prete o vescovo, il potere di sciogliere e legare.
Sbarcato a Crysopoli, restaurò un antico romitaggio dedicato a Santa Marina, fu raggiunto da un piccolo numero di discepoli.
Etimologia: Simeone = Dio ha esaudito, dall'ebraico
Simeone nacque nel 949 a Galati in Paflagonia da una ricca famiglia e fu educato alla corte dell’imperatore Costantino VII Porfirogeneto. Dal 977 lasciò tutti i suoi beni ed entrò nel monastero studita, per porsi sotto la valida guida di Simeone Eulabis, detto il Pio. Un anno dopo entrò nel monastero di San Mamos, guidato dall’Igumenos Antonio, al quale fu poi chiamato a succedere nella carica di superiore. Non ebbe facile vita in questo monastero: la sua fedeltà intransigente, la sua dottrina coerente e coraggiosa lo posero ben presto in contrasto con le autorità ecclesiastiche e nel 1009 venne condannato all’esilio dal Santo Sinodo.
Egli sosteneva che il cristiano non sviluppa pienamente la grazia del Battesimo fintanto che non arrivi alla coscienza della presenza dello Spirito Santo e non veda la luce gloriosa di Dio.
Senza questa maturazione interiore è temerario fondare la propria azione cristiana nel Battesimo ed esercitare, qualora uno sia prete o vescovo, il potere di sciogliere e legare. Sbarcato a Crysopoli, restaurò un antico romitaggio dedicato a Santa Marina, ove fu raggiunto da un piccolo numero di discepoli. Morì il 12 marzo 1022 presso Palukiton, sul Bosforo.
Purtroppo solamente da un secolo la Chiesa d’Occidente è grado di accedere alla lettura delle sue opere. Celeberrimo invece da sempre nella Chiese d’Oriente, specialemente ortodosse, San Simeone il Nuovo Teologo è considerato non a torto uno dei più grandi mistici dell’epoca bizantina post-
Vieni, o vera luce. Vieni, mistero nascosto.
Vieni, tesoro senza nome. Vieni, felicità interminabile.
Vieni, luce senza tramonto.
Vieni, attesa di tutti coloro che devono essere salvati.
Vieni, risveglio di coloro che sono stati addormentati.
Vieni, o potente, che sempre fai e rifai
e trasformi con il tuo solo volere.
Vieni, o invisibile.
Vieni, tu che sempre dimori immobile
e in ogni istante tutto intero ti muovi
e vieni a noi coricati negli inferi,
o Tu, che sei al di sopra di tutti i cieli.
Vieni, o nome diletto e dovunque ripetuto;
ma a noi è assolutamente interdetto
esprimerne l'essere e conoscerne la natura.
Vieni, gioia eterna.
Vieni, porpora del gran re, nostro Dio.
Vieni, tu che hai desiderato e desideri
la mia anima miserabile.
Vieni, tu il Sole... poiché, tu lo vedi, io sono solo.
Vieni, tu che mi hai separato da tutto
e mi hai reso solitario in questo mondo.
Vieni, tu stesso divenuto in me desiderio,
tu che hai acceso il mio desiderio di te,
l'assolutamente inaccessibile.
Vieni, mio soffio e mia vita.
Vieni, consolazione della mia povera anima.
Vieni, mia gioia, mia gloria, senza fine... (Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -
17 San Teofane – Martire (12 marzo)
m. Samotracia, 12 marzo 817
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Sigriana in Bitinia nel monastero di Campogrande, nell’odierna Turchia, deposizione di San Teofane, detto il Cronografo, che, da ricchissimo fattosi povero monaco, in quanto cultore delle sacre immagini fu tenuto in carcere per due anni dall’imperatore Leone l’Armeno e poi deportato a Samotracia, dove morì di stenti.
San Teofane potrebbe essere considerato come uno dei non pochi esempi di santità votata alla preghiera e nello stesso tempo conquistatrice della preghiera. In effetti niente potè arrestare il suo desiderio di abbracciare nella vita monastica preghiera e silenzio.
Né la ricchezza familiare ereditata, né il fidanzamento imposto e sublimato, né il matrimonio; neppure le lusinghe della politica e il non breve addestramento militare.
A un certo momento della vita ottenne l'ordinazione sacerdotale e da allora vagò "nel silenzio" della terraferma e delle isole greche, spesso rifiutando le proposte di direzione delle comunità monastiche che lo accettavano o che egli stesso andava fondando.
É vero: gli rimase tempo di essere anche generoso coi fratelli.
In effetti tutta la sua cospicua fortuna ereditata venne assai rapidamente distribuita ai poveri.
La commemorazione liturgica di San Teofane ricorre il 12 marzo: nello stesso giorno dell'817 egli infatti morì nell'isola Samotracia dell'Egeo dove era stato esiliato quale conseguenza del suo costante rifiuto dell'iconoclastia.
Egli sempre infatti, coerente col suo grande bisogno di preghiera e di contemplazione, difese il culto delle immagini anche contro imperatore e qualche patriarca che andarono scatenando, particolarmente in quei tempi, varie ondate iconoclastiche.
Come è noto Samotracia è famosa nella storia della scultura per un'opera "eterna" oggi esposta al Louvre: la "Vittoria alata". Ecco: proprio in quell'isola Teofane tagliò l'ultimo traguardo della sua vita vittorioso sulle ali della preghiera. (Autore: Mario Benatti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. -