Vie Storiche - T
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Sul
lato destro del Palazzo Melzi si apre la via intitolata ad Antonio Tari nato
nella nostra città il 1° luglio 1809, per pura combinazione, perché il padre,
originario di Terelle, un piccolo paese del frusinante, era stato inviato a S.
Maria Maggiore come Conservatore delle Ipoteche in Terra di Lavoro la cui sede
era, appunto, presso la nostra città. Antonio vide la luce nello stesso palazzo
seicentesco dove aveva avuto i natali Alessio Simmaco Mazzocchi, in via della
Croce, come ci ricorda la lapide già descritta. Nella nostra cittadina visse
solo i suoi primi cinque anni e sembra che non vi sia mai ritornato.
Compì
i suoi studi a Montecassino e poi a Napoli dove si laureò in giurisprudenza
iniziando la professione di avvocato.
Ma
ben presto, l’attenzione del prof. Tari si indirizzò verso studi filosofici,
letterari e musicali forse anche per l’amicizia con Silvio Spaventa, con
Francesco de Sanctis, Luigi Settembrini, Giovanni Bovio e con altri liberi
pensatori e patrioti, che insegnarono, nello stesso suo periodo, presso l’Università
di Napoli.
Nel
1861, venne eletto deputato per il collegio di S. Germano (Cassino faceva parte
di Terra di Lavoro), ma rinunziò al mandato per non lasciare la cattedra all’Università
di Napoli, vinta nello stesso anno con regolare concorso, e dove insegnò per i
venti anni successivi.
Il
Tari, in Italia, fu il primo professore universitario di Estetica e, fra l’altro,
si occupò, anche di critica letteraria e di musica.
Benedetto
croce, che lo definì “il lieto giullare di Dio”, scrisse che Tari riusciva a
farsi ben volere da tutti, amici e avversari perché presi a braccetto,” li
menava a spasso con sé, divertendosi a contraddirli ed essere contraddetto”. Fu
uomo estremamente colto e geniale e questa sua genialità “gli faceva trovare
piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e comici: della frase
sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l’aneddoto salace, del
linguaggio latino o del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in
gergo che è la quinta essenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi
geniali”.
Antonio
Tari morì a Napoli il 15 marzo 1884.
All’inizio
della strada, facendo angolo con via Mazzocchi, si può ammirare il palazzo
Papa; un palazzetto ad un solo piano con quattro balconi nei due lati e con
elementi architettonici nel primo Novecento.
Infatti,
nel 1903, data visibile in un medaglione di stucco all’angolo, l’ing. Nicola
Parisi eseguì il rifacimento dello stabile settecentesco decorando la facciata
con gli elementi dello stile dell’epoca, l’Art Nouveau. Così, le superfici
furono nobilitate con motivi floreali, con linee curve, con fiori, maschere,
conchiglie e sullo scudo posto all’angolo vennero incise le iniziali del
proprietario e l’anno in cui furono eseguiti i lavori.
Nel
1886, poco dopo la morte del filosofo, alla via venne assegnato il nuovo nome
di Antonio Tari. Prima di tale delibera, la strada era nota come “Piazza del
Monte”, dove il Monte era quello dei Pegni. In questa strada, infatti, era ubicato
il Banco dei Pegni* o Monte di Pietà, istituzione finanziaria senza scopo di
lucro nata per erogare, in cambio di un pegno, piccoli prestiti a persone in
difficoltà. Il Monte di Pietà era stato costituito nel 1687 da Fulvio Faenza.
Nota: * I Banchi
di pegni nacquero su iniziativa dei Francescani dopo la prima metà del 1400. Il
primo fu quello di Ascoli Piceno che risale al 15 gennaio 1458.
L’ultima
sede dell’istituzione, rimasta operante fino al 1930, era presso il palazzo
Benucci che sorge di fronte a via Sirtori. La famiglia Benucci era di origine
fiorentina. Ricevette il palazzo in eredità verso la fine del Seicento. Verso
il 1860 l’immobile fu ampliato e sopraelevato. Oltre al suddetto palazzo, la
famiglia Benucci possedeva anche vasti appezzamenti di terreno e una masseria,
ubicati a nord dell’Anfiteatro.
Nota: In questo
fabbricato rurale visse i suoi ultimi anni Raffaele Buonanno noto ai più come
Pallino. Costui, in gioventù aveva fatto parte di una banda di briganti, e dopo
aver scontato la sua pena, si era ritirato a vivere nella masseria succitata.
Si
racconta che una notte alcuni ladruncoli si introdussero nella casa dove
riposava il Buonanno. Svegliatosi per i rumori prodotti dai maldestri ladri,
convinti che nessuno abitasse nella masseria, apparve loro in tutta l’imponenza
del suo fisico, omone alto e possente anche in tarda età, apostrofandoli: “A ‘nanze
a Pallino i mariuoli.” Inutile dire che i malcapitati, presi dal panico,
scapparono a gambe levate.
La
frase pronunciata divenne quasi proverbiale per gli abitanti di S. Maria, ad
indicare un ostacolo imprevisto e difficilmente superabile.
Dopo
il palazzo Benucci, si aprono i battenti dell’Istituto della Congregazione dei Fratelli Carissimi delle Scuole
Cristiane, istituzione didattica, religiosa fondata, in Franciane nel XVII
secolo, da San Giovanni Battista della Salle. L’Istituto è noto come Istituto
Vittoria Peccerillo.
Donna
Vittoria Peccerillo era nata a S. Maria C.V. nel 1853, figlia di Giovanni e
Giuseppina Saraceni: era, dunque, la nipote di Gaetano Saraceni.
Persona
religiosissima e di integra moralità, essendo nubile, alla sua morte avvenuta
nel 1919, lasciò tutti i suoi beni: tenute, rendite ed il palazzo in cui
abitava in via Mazzocchi, ai religiosi suddetti con lo scopo di fondare un
Istituto per istruire ed educare i giovani.
Ma
il palazzo ereditato non era adatto ad ospitare un istituto scolastico;
pertanto i Fratelli Carissimi vendettero l’immobile ed acquistarono due edifici
fra loro confinanti, dotati di ampi cortili e di estesi giardini, che in breve
tempo furono restaurati e sistemati per ospitare una scuola. L’apertura dell’Istituto
fu autorizzata dal Provveditorato di Caserta e nell’ottobre del 1922 iniziarono
le lezioni per le sole scuole elementari. Successivamente furono aperte la
scuola Media, ed il Ginnasio.
Nell’androne
dell’Istituto, un busto in bronzo ricorda le sembianze di Donna Vittoria
Peccerillo. Oggi la statua è stata spostata all’inizio delle scale che portano
al piano superiore dove sono ubicate le varie aule e la cappella.
In
una delle stanzette ad uso dei religiosi, per molti anni fu ospite Don Simone
Mincione, parroco della chiesa di S. Erasmo, professore di religione (ma con
lui si parlava di tutto: letteratura, teologia, filosofia, politica, sport, e
così via) presso il Liceo Classico Tommaso di Savoia oggi Cneo Nevio. Sacerdote
stimato e benvoluto con l’idea fissa di creare un Istituto ove raccogliere
orfani e ragazzi poveri. Purtroppo, non gli riuscì di realizzare l’opera di
beneficenza che si era proposto.
Poco
più avanti, sulla stessa via, si trova il palazzo di proprietà del magistrato
Federico Pezzella, nato a S. Maria l’8 ottobre 1879.
Laureatosi
in giurisprudenza entrò in magistratura nel 1920-21, concludendo la sua
carriera come Presidente di Cassazione.
Morì
il 1° dicembre 1961.
Sulla
sua tomba una lapide così lo ricorda:
FEDERICO
PEZZELLA MAGISTRATO
GIURISTA
STORICO LETTERATO INSIGNE
LA PIENA
COERENZA MORALE RAGGIUNTA NELLA
CONSAPEVOLEZZA
CHE IL VALORE DEL SAPERE RIMANE
ESEMPIO AI
VIVI PREMIO NELLA SUA VITA ULTRATERRENA
CONFORTO
ALLA MOGLIE CATERINA RUTIGLIANI CHE
QUESTA LAPIDE
POSE
A LUI LA
PACE DI DIO
Lasciò
il palazzo e i suoi beni mobili in eredità alle suore di Santa Teresa che in
esso trovarono una nuova casa quando, a seguito del decreto regionale del 31
luglio 1980, avevano dovuto rinunciare alla sede di vicolo Troiano. Inoltre,
donò la sua fornita biblioteca in parte al Tribunale e in parte al Comune.
Successivamente,
gli venne intitolata una strada nei pressi del nuovo Palazzo di Giustizia.
Via
tari termina all’incrocio con via Roma.
*Via Tifatina
Quasi di rimpetto all’ingresso principale del Tribunale si apre il vicolo Troiano. Il nome ricorda un giovane cittadino di S. Maria, Gaetano Troiano, caduto nell’adempimento del suo dovere di soldato durante la Battaglia di Adua in Etiopia.
Una iscrizione, posta all’ingresso del Municipio in via Cappabianca, lo ricorda insieme ad un altro nostro concittadino caduto nello stesso combattimento,
GAETANO TROIANO SOTTOTENENTE
VINCENZO RUSSO SOLDATO
CADDERO EROICAMENTE COMBATTENTO
SUL COLLE BELAH NELL’AFRICA LONTANA
IL 1 MARZO 1896
IRRADIANDO ANCHE NELLA SVENTURA
DI NUOVA GLORIA “L’ANTICO VALORE ITALICO
LA LORO CITTA’ NATALE
POSE RICONOSCENTE QUESTA MEMORIA
IL 1 MARZO 1903
Nota: *Spinto dalla politica del primo ministro Crispi, il 1 marzo 1896 un corpo di spedizione italiano, comandato dal generale Oreste Barattieri, penetrato nel Tigrè etiopico, si scontrò con l’esercito italiano composto da 10.400 combattenti riportò la più grave sconfitta subita da un esercito bianco in Africa, perdendo 3.100 soldati, altri 450 rimasero feriti.
Le truppe ascare ebbero un migliaio di uomini fuori combattimento e circa 2.000 fra bianchi ed indigeni furono fatti prigionieri.
In questa stessa strada era ubicato “l’Istituto di Santa Teresa” retto dalle Suore di Ivrea con corsi di scuola materna, elementare, media e magistrale. L’Istituto, ora dismesso, occupava l’antico Conservatorio del Carmine.
La storia di questo conservatorio risale al 1675 quando il benemerito cittadino sammaritano Francesco Cusano, con disposizione testamentaria, lasciò abitazioni e beni alla congrega della chiesa dell’Annunziata, confraternita nota con il titolo della Beata Vergine del Carmine, con l’obbligo di fondare un istituto per l’educazione delle fanciulle.
Il conservatorio venne fondato nel 1690 e le sue regole approvate nel 1965. Tuttavia, solo nel 1702 l’istituto iniziò la sua attività ed il numero delle ospiti raggiunse in poco tempo trentaquattro unità fra religiose, educande e converse. Per essere ammesse al convento, le fanciulle dovevano versare una dote di trecento ducati, se cittadine di S. Maria, quattrocento se appartenenti alla diocesi, cinquecento se forestiere.
Nel 1753 il sacerdote Alessandro Macchiarelli riformò il conservatorio secondo la regola di S. Teresa D’Avila dedicandolo alla Beata Vergine del Carmine a ricordo dell’antica congrega. In tal modo il convento assunse il titolo di “Conservatorio del Carmine sotto la regola di S. Teresa”.
Cento anni dopo, nel 1858 l’istituto passò alle dirette dipendenze dell’Arcivescovo di Capua, ed infine, dopo qualche anno fu unito al Convento dell’Angelo Custode con la nuova denominazione “Conservatori Riuniti dell’Angelo Custode e S. Teresa”, regolare istituto educativo femminile, conosciuto, poi, come Istituto S. Teresa.
L’istituto cessò la sua attività scolastica nel 1987.
Al convento è annessa una chiesa, proprietà dell’Istituto, risalente ai primi anni del Settecento, con l’ingresso sulla strada. La facciata presenta un ampio portone sormontato da una finestra rettangolare e da un timpano triangolare. L’interno è ad una sola navata e conserva un prezioso altare di marmi policromi e nell’abside una tela che rappresenta la Madonna con il Bambino Gesù.
I quadri che raffigurano Santa Teresa, sono opera di Michelangelo Buonocore, pittore di origine napoletana attivo nella prima metà del Settecento.
Negli ultimi anni la chiesa, ormai chiusa al culto, è stata oggetto di saccheggio da parte dei soliti ignoti che hanno portato via quasi tutti gli arredi.
Oggi vicolo Troiano non è più un vicolo ma è una strada (non ancora aperta al pubblico) che si immette su via benedetto Croce, l’antica via Riccio.