Vai ai contenuti

Vie Storiche - P

Sr.Domenicane > Case in Italia > Città di SMCV > Vie Storiche di SMCV
*Piazza del Duomo *Via Pasquale Fratta *Via R. Perla *Via Pietro Mascagni *Via Pietro Morelli *Via Porta Giove
La piazza, come tutte le strade e le piazze della nostra città, ha avuto varie denominazioni: Platea Major, piazza della Chiesa, piazza Mazzocchi, piazza Matteotti. Si presenta in forma irregolare quasi quadrata, circondata:
Sul lato est da via mazzocchi che prosegue verso il centro città,
Sul lato sud da via G. Marconi, resa più agibile, negli anni 1826 – 1829, con l’allargamento e la posa in opera della pavimentazione con pietre dei monti di Bellona. A circa metà del suo percorso, sulla destra, inserita fra le fabbriche di due cappelle del Duomo, si apre uno spazio che ospita un accesso laterale alla chiesa: la Porta dei Morti.
Sul lato nord, si innalza la mole del Palazzo Melzi.
Sul lato ovest, si ammira il prospetto del Duomo.
L’ampio spazio dinanzi al Duomo si venne a creare con l’abbattimento dell’antico quadriportico. Per molti anni il suolo rimase libero da impedimenti, poi nello stesso spazio fu costruita la piccola chiesa della Santissima Annunziata, gestita dalla congrega Ave Gratia Plena.
Durante il breve periodo della effimera Repubblica Partenopea, nel febbraio 1799, il giorno di Quaresima, nella piazza venne innalzato l’Albero della Libertà sulla cui sommità fu posto un berretto frigio di rame e lungo i lati, intrecciate fra loro, una scure ed una bandiera con i tre colori della Repubblica Partenopea: azzurro, giallo, rosso.
(Il berretto frigio era simbolo della libertà. In Roma antica, il berretto frigio, chiamato pileus, era donato dal padrone allo schiavo affrancato, divenendo quindi simbolo di libertà. Con questa connotazione venne adottato dai rivoluzionari francesi e posto sulla testa di Marianne, emblema della Francia repubblicana).
Un frate cappuccino, padre Alfieri del convento di S. Antonio in Capua, salito “su di uno dei quattro piccoli ed informi pilastri, giacenti avanti l’atrio della Collegiata Chiesa” alla folla radunata fece un discorso sul valore della libertà, della rigenerazione politica e della carità cristiana. Terminata la predica del frate, da quello stesso posto, il cittadino Michele della Valle tradusse ai soldati francesi là presenti, nella loro lingua madre, quanto detto dall’Alfieri, lodando l’operato della nazione francese e del suo vittorioso esercito ed esprimendo fervidi auguri al nuovo costituito governo. Quando poi il 28 luglio, le truppe francesi, ritirate in Capua, si arresero, poche persone, villici del Casale di Portico, abbatterono e distrussero l’albero della tanto sospirata libertà.
(Pasq. Matarazzi – Corografia di S. Maria C.V. – cap. 47).
L’arca antistante la chiesa è affiancata, sul lato sinistro, da un piazzale di maggiori dimensioni: i due spazi formano la piazza attuale.
Nel Settecento, il piazzale suddetto era occupato da alcuni caseggiati: lungo via Marconi erano situate le cosiddette Case dell’Ospedale di proprietà dell’Università (cioè del Comune) di S. Maria Maggiore, con un piccolo piazzale antistante conosciuto come il Largo dell’Ospedaletto.
Nel cortile delle Case dell’Ospedale si trovava la Cappella della Madonna delle Grazie, ampliata, nel 1738, a spese dell’arcivescovo Mondillo Orsini che ricevette il benestare dall’Università purché l’ampliamento non avesse dato alcuno impedimento al portone dell’Udienza Nuova. Verso il 1875, a seguito di una ordinanza comunale, furono demolite: la Cappella della Madonna delle Grazie, la Chiesa della SS Annunziata ed altri piccoli edifici, fra cui alcuni vani di proprietà della baronessa Del Balzo, adibiti a posto di guardia ed a prigione, e, pertanto, il Corpo di Guardia trasferì la propria sede nel Palazzo del Tribunale. Si ottenne una piazza molto spaziosa, di poco sopraelevata rispetto al piazzale del Duomo. Per la sua sistemazione furono presentati alcuni progetti redatti da ingegneri sammaritani. Si scelse la soluzione più economica: la piazza fu abbellita da una fontana fusa in ghisa, circondata da una bassa cancellata in ferro, posizionata verso la fine della piazza che venne delimitata da due file di alberi.
Nel 1924, la città volle ricordare i Caduti della Prima Grande Guerra. Dalle autorità competenti fu deliberata la costruzione di un monumento per ricordare alle future generazioni tutti coloro che si erano immolati per la Patria.
Rimossa la fontana, che venne installata in piazza s. Pietro, murato l’ingresso alla antica area cimiteriale esistente fra il duomo ed il campanile, eliminati gli alberi lungo i lati della piazza e piantati nuovi alberi e palme sul lato prospiciente il duomo, rifatta l’intera pavimentazione, aggiunti quattro lampioni e quattro luci, venne eretto il monumento, opera dello scultore Giuseppe Tonnini, già autore della seconda statua del monumento ossario della Villa Comunale. Anche questa statua bronzea venne fusa nelle officine Laganà fonditore napoletano. Il monumento occupa uno spazio racchiuso da una parete semicircolare di travertino alta circa due metri terminante con due pilastri di poco più alti e decorati con il bassorilievo, spesso ricorrente nei monumenti dell’epoca, dalla corona di fronde e dalla spada.
Sulla pietra, sotto l’iscrizione “AI SUOI GLORIOSI CADUTI LA CITTA’ RICONOSCENTE” sono incisi i nomi dei 251 nostri concittadini caduti sui campi di battaglia o morti negli ospedali per le ferite e malattie contratte nei lunghi mesi di guerra. Successivamente vi furono incisi anche i nomi dei Caduti della II Guerra Mondiale.
Al centro dell’esedra, su tre scalini poggia il piedistallo che presenta la scritta MCMXV MCMXVIII, sovrastata da festoni fusi in bronzo. Su di esso si erge la statua in bronzo del fiero soldato in uniforme che con la mano destra sorregge il fucile, e con la mano sinistra innalzata al cielo un fiore, simbolo di sacrificio. Il monumento era circondato da una bassa ma artistica cancellata in ferro retta ai lati da pilastri in travertino, mentre i due battenti del cancelletto, che si apriva al centro, erano retti da pilastri fusi in ghisa.
La suddetta cancellata, pochi anni fa, fu sostituita da una massiccia catena, di quelle che vengono per ancorare le navi.
Il 27 giugno 1926, fu il giorno dell’inaugurazione del monumento. Alla stazione ferroviaria, il Prefetto, l’Arcivescovo, il Podestà Pasquale Fratta, e le altre autorità convenute, accolsero l’ospite più importante: il principe ereditario Umberto II di Savoia, accompagnato dal gen. Baistrocchi. Ricevuti gli onori militari, il principe con il suo seguito, si diresse verso piazza Mazzocchi, dove era atteso dalla folla dei cittadini, dai soldati in armi, dai gerarchi locali, dai balilla, e dalla banda musicale dell’Istituto Angiulli, che interpretò la nota Leggenda del Piave e una canzone scritta per l’occasione da due nostri concittadini.
Nota: “Lo scultore Giuseppe Tonnini nacque a Loreto nel 1875. Autodidatta, fra il 1900 e il 1910 collaborò a molte opere decorative per il monumento a Vittorio Emanuele II, cioè l’Altare della Patri a Roma. Realizzò, nel 1927, il monumento a S. Francesco d’Assisi che sorge nel piazzale di fronte alla basilica Lateranense. Eseguì, inoltre, monumenti ai Caduti in molte città italiane: Camerino, Biotetto, Cerveteri, Pescasseroli, oltre ad altre opere fra cui quella dedicata a Bartolo Longo presso la Basilica di Pompei. Si spense a Roma nel 1954).
Nella piazza, così ricca di storiche memorie antiche e moderne, si svolsero anche i fatti d’arme che il 5 ottobre 1943, (il giorno precedente l’entrata delle truppe alleate: nel nostro caso, truppe inglesi), liberarono la nostra città dalle truppe tedesche capeggiate dal sergente Ighans Helfen. Alla rivolta parteciparono partigiani del “Gruppo Patrioti San Prisco”, molti cittadini ed esponenti antifascisti della nostra città, come il già ricordato Leopoldo Cappabianca. Nell’azione rimasero feriti alcuni patrioti e almeno due di essi morirono nei giorni seguenti. Dalla parte avversa, venne mortalmente colpito il fascista Enrico Liguori, già inviso alla popolazione perché aveva fornito ai tedeschi gli elenchi dei giovani sammaritani da deportare e le notizie utili per svaligiare abitazioni me negozi.
Lungo il lati della piazza che proviene da via Mazzocchi si aprono vari locali ospitanti circoli, negozi e bar: famoso il bar Florio in cui si svolgevano appassionate ed entusiasmanti gare di Bigliardo.
In alcuni vani poco distanti vi è la sede della squadra di calcio cittadina: il glorioso GLADIATOR, nome che, ovviamente, ricorda i gladiatori dell’antica Capua. La società sportiva venne fondata il 7 marzo del 1927 con il nome di Sporting Club Gladiator.
Nel 1930 si fuse con la U.S. sammaritana, cambiando la denominazione in U.S. Gladiator. In questi anni, dal 1934 al 1939, la squadra giocò in Terza, Seconda e Prima Divisione e nel 1945 – 46 in serie C, vincendo il girone ma non potendo iscriversi, per mancanza di fondi, alla stagione successiva in serie B, dovette ripartire dalla serie minore.
Nel 1948 fu fondata la Juve Sammaritana da Amedeo Di Lorenzo e Biagio Nespoli, giocatore del Gladiator con ruolo di portiere.


La strada, che allontanandosi da via Roberto d’Angiò giunge alla piccola piazza S. Erasmo, nel tratto iniziale, ricalca una via dell’antica Capua.
Come prova di ciò, all’incrocio con via d’Angiò, nel 1955, furono rinvenute le vestigia di un ambiente e le tracce del basolato di una strada.
Nel medioevo, il suo tracciato si snodava fra vasti orti, conosciuta come via di S. Erasmo, sia per il nome stesso del Casale a cui perveniva, sia per la piccola chiesa fatta erigere, nei primi anni del Trecento, dai reali angioini e dedicata al santo protettore…
Solo verso la seconda metà dell’Ottocento, cresciuta ormai la popolazione, lungo i suoi margini si edificarono diversi signorili palazzi.
Sul finire dello stesso secolo, venne intitolata al Dott. Pietro Morelli, benemerito medico condotto nato, nel 1821, nel nostro comune.
Provenendo da via D’Angiò, lungo il percorso di via Morelli, si incontrano palazzi costruiti, alcuni nell’800 ed altri verso i primi decenni del 1900. Un esempio è dato dal fabbricato, di buona fattura con linee rispondenti ai canoni estetici del periodo, che si nota all’inizio della strada, sul lato sinistro, anche se il suo ingresso si apre su via d’Angiò.
Sulla destra, oggi si apre il “largo Torre di S. Erasmo”. Fino agli anni cinquanta del Novecento nello stesso spazio insisteva un fabbricato di modesta fattura che al piano terra ospitava una officina di fabbro. Per il cedimento delle fondamenta, dovuto forse ad infiltrazioni di acqua piovana, il palazzetto subì un grave dissesto e venne abbattuto.
Restò in tale stato per molti anni finché venne abbattuto completamente e lo spazio ricavato ospitò la piazzetta attuale.
 
Dopo alcuni palazzi, tutti risalenti alla stessa epoca, sul lato destro si affaccia il palazzo Nicolini. Sull’arco d’ingresso sulle scale porta questa iscrizione:
“L’antichità vide crollare sugli uomini macigni e pezzi di legno. Appena pubblicate le mie inezie si trasformano in travi e pietre. Non senza l’aiuto degli dei ecco la casa. Nicola) Nicolini giure consulto – 1837”.
Di fronte al palazzo erano sistemati il giardino e i locali che ospitavano i cavalli e le carrozze. Oggi gli stessi spazi accolgono un ristorante.
Poco più avanti, sulla sinistra il palazzo Greco che insiste proprio nella curva della strada, e poi, il palazzo Ventrone che sul soffitto dell’androne presenta uno stemma nobiliare. Segue il palazzetto in cui i fratelli Bizzozzaro espletavano la loro attività di conciatori di pelli, e attiguo ad esso il palazzo della famiglia Cipullo-Fiorentino nel quale, al primo piano, per alcuni decenni furono ospitate le scuole elementari del plesso S. Erasmo.
Il palazzo da poco ristrutturato ed ampliato ha subito la perdita del suo ampio giardino, un tempo ricco di alberi da frutta.
Sull’altro lato della strada, dopo il palazzo Nicolini, si innalza un palazzo di tre piani, un buon esempio di costruzione di fine Ottocento. Incastonato nella facciatak, a livello della strada, sporge un capitello corinzio. Nella parte retrostante del palazzo, ino spazioso giardino ospita numerose piante di agrumi; ad esso si accede salendo alcuni scalini: vale a dire il giardino si trova ad un livello più alto del piano stradale.
Subito dopo si apre il vicolo Mitreo, conosciuto come “a venella ‘o quartiere”, cioè il Vicolo della Caserma, poiché alla fine del vicolo, per permettere l’accesso alla caserma I Ottobre, (oggi caserma Pica), si apriva un grande portone, che non essendo più utilizzato, venne chiuso con uno spesso muro, sul finire del secolo XIX.
All’inizio del vicolo, sulla destra, una appariscente edicola raffigura la Madonna del Carmine. A Lei si rivolgono, con ininterrotta devozione, gli abitanti del posto: i fiori non mancano mai.
Sul lato sinistro, un vecchio casamento ospitava una delle tante cantine della città. Poco più avanti, insiste il palazzo Delle femmine, che presenta forme architettoniche risalenti alla fine del Settecento.
(Autore: Salvatore Fratta)


Torna ai contenuti