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Uccelli

Con Gesù > Storie brevi per l'anima

Queste piccole storie vogliono solo chiederti un momento di attenzione per quelle voci che abbiamo dimenticato di ascoltare. Quelle voci e quei canti che abbiamo dentro e che ci parlano di cieli azzurri e aria pulita, di sogni e di batticuori, di voglia di abbracciarsi e piangere insieme, di un Dio sconvolgente che è venuto a chiederci di lasciarci salvare da Lui. (Bruno Ferrero)


*Il falco pigro

Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato. "E l'altro?" chiese il re.
"Mi dispiace, sire, ma l'altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell'albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli cibo".
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno poté schiodare il falco dal suo ramo. Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull'albero, giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema. Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino. "Portatemi l'autore di questo miracolo", ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. "Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto? Sei un mago, per caso?" gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò: "Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di avere le ali ed ha incominciato a volare".

Talvolta, Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo a cui siamo tenacemente attaccati, affinché ci rendiamo conto di avere le ali.


*La farfalla
A Elena piaceva moltissimo passeggiare nel bosco. Era una ragazzina dolce e un po’ svagata e il bosco dietro il paese era diventato il suo rifugio preferito.
Un giorno, mentre camminava, vide una farfalla impigliata in un rovo.
Con molta cura, facendo attenzione a non rovinarle le splendide ali, la liberò.
La farfalla volò via per un tratto, poi improvvisamente tornò indietro e si trasformò in una splendida fata. Elena rimase a bocca aperta, perché fino a quel momento le fate le aveva viste solo nei libri per bambini.
“Per ringraziarti della tua gentilezza d’animo”, disse la fata, “esaudirò il tuo più grande desiderio”. Proprio come dicono le fate nei libri…

La ragazzina rifletté un istante e poi rispose: “Voglio essere felice”.
Allora la fata si piegò su di lei, le mormorò qualcosa all’orecchio e scomparve.
Elena divenne donna e nessuno in tutto il paese era più felice di lei. Quando le chiedevano il segreto della sua gioia, si limitava a sorridere e diceva: “Ho seguito il consiglio della buona fata”.
Gli anni passarono, Elena divenne vecchia, ma era sempre la più dolce e felice vecchina del paese. I vicini e anche i suoi nipoti temevano che il favoloso segreto potesse morire con lei.
“Rivelaci che cosa ti ha detto la fatina”, la scongiuravano.
Finalmente la deliziosa vecchina, sorridendo, disse: “Mi ha rivelato che, anche se appaiono sicuri, tutti hanno bisogno di me!”.
Che cosa sarei io, senza di te che mi sei venuta incontro?
Che cosa sarei io, senza di te, se non un cuore addormentato nel bosco?
Se non un’ora ferma sul quadrante dell’orologio?
Che cosa sarei io senza di te, se non questo balbettare? (Aragon)

 

*Il falenino e la stella
Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella. Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour. “Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro”, gli
spiegò. “Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro”. “Almeno lì approdi a qualcosa”, disse il padre. “Andando dietro alle stelle non approdi a niente”. Ma il balenino non diede ascolto né all’uno né all’altra. Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica. Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: “Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura! Un balenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!”. Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada né intorno alle lampade di casa: continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo. Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.
La stella della speranza è un segno distintivo. Ogni giorno dovresti chiedere la fede per osare l’impossibile. Chi desidera operare con Cristo e, di conseguenza, trasformare il mondo, rifiuterà di adeguarsi a leggi ed ordinamenti precostituiti. Sarà disobbediente, quando altri obbediranno, eseguirà  quando altri troveranno insensato l’ordine impartito. Il mondo gli apparirà una prigione, quando altri parleranno di libertà, ed esso sarà trasparente agli occhi della sua fede, quando altri saranno disperati, sentendosi prigionieri. Fare cose impossibili è il realismo di coloro che conoscono la voce del Signore. Se c’è una stella nel cielo della tua vita, non perdere tempo a scottarti a qualche lampadina.


*Due passerotti
Due passerotti se ne stavano beatamente a prendere il fresco sulla stessa pianta, che era un salice. Uno si era appollaiato sulla cima del salice, l’altro in basso su una biforcazione dei rami.
Dopo un po’, il passerotto che stava in alto, tanto per rompere il ghiaccio, dopo la siesta, disse:
“Oh, come sono belle queste foglie verdi!”. Il passerotto che stava in basso la prese come una provocazione. Gli rispose in modo seccato: “Ma sei orbo? Non vedi che sono bianche?!”.
E quello di sopra, indispettito: “Sei orbo tu! Sono verdi!”. E l’altro dal basso con il becco in su: “Ci scommetto le piume della coda che sono bianche. Tu non capisci nulla. Sei matto!”. Il passerotto della cima si sentì bollire il sangue e senza pensarci due volte si precipitò
sul suo avversario per dargli una lezione. L’altro non si mosse.
Quando furono vicini, uno di fronte all’altro, con le piume del collo arruffate per l’ira, prima di cominciare il duello ebbero la lealtà di guardare nella stessa direzione, verso l’alto. Il passerotto che veniva dall’alto, emise un “Oh” di meraviglia: “Guarda un po’ che sono bianche”. Disse però al suo amico: “Prova un po’ a venire lassù dove stavo prima”. Volarono sul più alto ramo del salice e questa volta dissero in coro: “Guarda un po’ che sono verdi”.
Non giudicare nessuno se prima non hai camminato un’ora nelle sue scarpe.


*Due teste

Sulle sponde di un lago nell' India del Nord, c'era una volta uno strano uccello che ave due teste, una a destra e una a sinistra. Due teste ma un corpo solo.
Un giorno, mentre gironzolava in cerca di cibo, con gli occhi della testa di destra vide un favo di
miele selvatico, e subito vi si buttò sopra. La testa di sinistra disse: «Dammene anche a me».
Ma la testa di destra non diede ascolto, e se lo beccò tutto in pochi istanti. Allora la testa di sinistra giurò vendetta; e mentre l'uccello vagava per un bosco, ecco a sinistra certe bacche amarissime. La testa di sinistra le scorse per prima e, pur sapendo che non erano buone e avrebbero fatto male allo stomaco, ne beccò quante poté.
E nel frattempo pensava: «Poi avremo mal di pancia; ma gli sta bene, a quell'egoista dell'altra parte; così impara la solidarietà».
Poco dopo, l'uccello si sentì colto da atroci dolori: le bacche erano velenose, e in breve tempo gli causarono la morte.
Morirono ugualmente le due teste, quella di destra e quella di sinistra, perché nessuna delle due aveva avuto cervello.

Così muoiono tante famiglie. Per paura di amare.
«I legami profondi mi hanno sempre spaventato» ammette uno studente, «perché hanno tutta l'aria di imporre delle grosse realtà. Ho sempre temuto di non po adempire alle molte esigenze e richieste che un impegno del genere trascina con sé. Per questo mi sono sorpreso a constatare, quando alla fine ho trovato il coraggio di avviare un rapporto affettivo approfondito e stabile, che mi sentivo più forte di prima. Da quel momento ho avuto l'impressione di disporre di due cervelli e non di uno; e coì pure di quattro mani di quattro braccia, di quattro gambe e di un altro mondo. La mia capacità di realizzarmi e di evolvermi è parsa raddoppiare, come si sono raddoppiate le alternative a mia disposizione. Adesso amare gli altri mi riesce assai più facile. Mi sento molto più forte, non ho più paura».


*Lo struzzo Oliver

Uno struzzo austero e autorevole teneva lezione ai giovani struzzi sulla superiorità della loro specie su tutte le altre. «Siamo gli uccelli più grandi e però i migliori».
Tutti i presenti esclamarono: «Certo! Certo!» tranne uno struzzo pensieroso, un certo Oliver. «Noi non voliamo all'indietro come il colibrì» disse a voce alta. «Il colibrì perde terreno» replicò lo struzzo anziano. «Noi progrediamo, andiamo avanti». «Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi, tranne Oliver.
«Facciamo le uova più grandi e perciò le migliori» continuò l'anziano maestro. «Le uova del pettirosso sono più belle» disse Oliver. «Dalle uova di pettirosso escono solo pettirossi» replicò l'anziano struzzo. «I pettirossi si dedicano solo al vermi dei prati e basta!».
«Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi tranne Oliver.
«Noi camminiamo su quattro dita mentre all'uomo ne occorrono dieci» rammentò l'anziano struzzo ai suoi allievi.
«Ma l'uomo può volare stando seduto e noi non voliamo affatto» commentò Oliver.
L'anziano struzzo lo squadrò con occhi severi. «L'uomo vola troppo in fretta per un mondo che è rotondo. Presto raggiungerà se stesso con un gran cozzo posteriore, e l'uomo non saprà mai che ciò che l'ha colpito da dietro è stato l'uomo». «Certo! Certo!» esclamarono tutti gli altri struzzi tranne Oliver.
«Poi, in momenti di pericolo, possiamo renderci invisibili cacciando la testa nella sabbia» declinò il maestro. «Nessun altro lo sa fare».
«Come facciamo a sapere che non ci vedono se non vediamo?» chiese Oliver.
«Cavilli!» esclamò l'anziano struzzo, e tutti gli altri struzzi, tranne Oliver, esclamarono: «Cavilli!» senza sapere che cosa significasse.
Proprio in quel momento, maestro e allievi udirono uno strano rombo minaccioso, come un tuono che si avvicinava sempre più. Non era un tuono del cielo ma il rombo di un'immensa orda di rozzi elefanti in piena carica che, spaventati da nulla, fuggivano alla cieca. L'anziano struzzo e tutti gli altri, tranne Oliver, cacciarono immediatamente la testa nella sabbia. Oliver andò invece a ripararsi dietro una gran roccia poco distante e lì rimase, finché quella tempesta di animali fu passata. Quando venne fuori vide davanti a sé una distesa di sabbia, ossa e piume: tutto quanto restava dell'anziano maestro e dei suoi allievi. Tanto per essere sicuro, Oliver fece l'appello ma non ebbe risposta fino al proprio nome.
«Oliver» chiamò.
«Presente!» si rispose. E fu l'unico suono nel deserto.
Una nave urtò contro gli scogli. I passeggeri furono imbarcati su una grossa scialuppa di salvataggio. Con loro si imbarcarono anche alcuni ufficiali e il pilota della nave. Prima che la scialuppa lasciasse la fiancata della nave arenata, il comandante diede loro un 'ultima raccomandazione: «Ascoltate il pilota lui sa come si manovra una scialuppa!».
Una vecchietta mormorò: «Non saprei... Ci ha appena mandati a sbattere contro gli scogli!». Non subaffittate il cervello a nessuno. Non è l'ampiezza dell’ «audience» a fare intelligente un'idea.


*Lo spaventapasseri  

Una volta un cardellino fu ferito a un'ala da un cacciatore. Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra. Poi, terribile e gelido, arrivò l'inverno.
Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e
volatili vari. Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi. "Che ti capita, cardellino?", chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre. "Va male - sospirò il cardellino - Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio. Per non parlare del cibo. Penso che non rivedrò la primavera". "Non aver paura. Rifugiati qui sotto la giacca. La mia paglia è asciutta e calda". Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri. Restava il problema del cibo. Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi. Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino. "Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais". "Ma tu resterai senza bocca". "Sembrerò molto più saggio". Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse. E gli sorrideva con gli occhi di noce. Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota. "Mangialo. É ricco di vitamine", diceva lo spaventapasseri al cardellino. Toccò poi alle noci che servivano da occhi. "Mi basteranno i tuoi racconti", diceva lui. Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa. Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c'era più. Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.
"Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo" (Matteo 26,26).


*Rapporto all'aquila

L'aquila, regina degli uccelli, sentiva da tempo magnificare le grandi qualità dell'usignolo. Da bra sovrana, volle rendersi conto se quanto si diceva era vero e, per sincerarsene, mandò a controllare due dei suoi funzionari: il pavone e l'allodola. Avrebbe dovuto valutare la bellezza e il canto dell'usignolo.
I due adempirono la loro missione e tornarono dal
Il pavone riferì per primo: «L'usignolo ha una li così modesta da rasentare il ridicolo: questo fatto mi ha talmente infastidito, che non ho prestato la minima attenzione al suo canto».
L'allodola disse: «La voce dell'usignolo mi ha let incantato, tanto che mi sono completamen scordato di badare al suo vestito».
«Non si seziona un uccello per trovare l'origine del suo canto. Quel che si deve sezionare è il proprio orecchio» (Joseph Brodsky).
Nello scompartimento c'era solo un anziano sa che bisbigliava il suo breviario. Ad una sta entrò un giovane dall'aspetto trasandato: ca lunghi, jeans bisunti, scarpe sformate. Ma so un giornale notoriamente laicista e antiec che gli spuntava dalla tasca.
Il sacerdote seguì il giovane con un lungo ed elo sguardo di disapprovazione.
Il giovane si sedette e cominciò a leggere il suo giornale. Dopo un po' alzò la testa e chiese: «Scusi, reverendo, che cos'è la dispepsia?».
«Ecco una buona occasione per fargli un po' di predica», pensò il sacerdote e ad alta voce proseguì: «La dispepsia è una malattia terribile che prende quel che vivono male, senza orari e senza ideali, con tutti i vizi e gli stravizi, che non si ricor che Qualcuno ci vede e ci giudicherà!».
Il giovane seguiva il discorso con curiosità e an un po' di apprensione.
«Ah», disse alla fine, «perché qui c'è scritto che il Papa ha la dispepsia».
Ciascuno nota negli altri, ciò che vuol vedere o sentire. Si è così presi talora dai propri pensieri che non si ascolta veramente il prossimo.


*Meno di niente

"Dimmi quanto pesa un fiocco di neve?", chiese la cinciallegra alla colomba. "Meno di niente", rispose la colomba. La cinciallegra raccontò allora alla colomba una storia:
"Riposavo su un ramo di un pino quando incominciò a nevicare. Non una bufera, no, una di quelle nevicate lievi lievi, come un sogno. Siccome non avevo niente di meglio da fare, cominciai a contare i fiocchi di neve che cadevano sul mio ramo. Ne caddero 3.751.952. Quando, piano piano, lentamente sfarfallò giù, 3.751.753esimo - meno di niente, come hai detto tu - il ramo si ruppe...". Detto questo, la cinciallegra volò via. La colomba, un'autorità in materia di pace dall'epoca di un certo Noè, rifletté un momento e poi disse: "Manca forse una sola persona perché il mondo piombi nella pace?".
Forse manchi solo tu.


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