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Spiritualità profonda

Con Gesù > Storie brevi per l'anima
Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell'umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese:
"Che cosa devo fare per la pace del mondo?".
San Francesco di Sales gli rispose sorridendo:
"Non sbattere la porta così forte...".
Sono sempre i piccoli inconvenienti che fanno i grandi litigi. Molti divorzi cominciano per dei calzini dimenticati sotto il letto. Ma anche i grandi amori sono fatti di tante piccole cose.

*Al suo posto

Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina. In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di «Cristo delle grazie». Arrivava gente da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.
Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiede anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all'immagine, pregò: «Signore, voglio soffrire con te. Lasciami prendere il tuo posto. Voglio stare io sulla croce».
Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.
Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse: «Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione: qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio».

«Te lo prometto, Signore».
Avvenne lo scambio.
Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c'era Se inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell'eremita. I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva. Finché un giorno...
Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenticò sul gradino la sua borsa piena di monete d'oro. Sebastiano vide, ma conservò il silenzio. Non parlò neppure un'ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne andò. Né aprì bocca quando davanti a lui si inginocò un giovane che chiedeva la sua protezione prima di intraprendere un lungo viaggio per mare. Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l'uomo ricco che, credendo che fosse stato il giova a derubarlo della borsa di monete d'oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido: «Fermi!».
Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare. Sebastiano spiegò come erano andate le cose. Il ricco corse allora a cercare il povero. Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio. Quando nel santuario non ricevette più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò.
«Scendi dalla croce. Non sei degno di occupare il mio posto. Non hai saputo stare zitto».
«Ma, Signore» protestò, confuso, Sebastiano. «Dovevo permettere quell'ingiustizia?».
«Tu non sai» rispose il Signore, «che al ricco conveniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un'ingiustizia. Il povero, al contra aveva un gran bisogno di quel denaro. Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l'imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare».

Lo scrittore Piero Chiara, poco religioso, era molto  dello scultore Francesco Messina, che era invece profondamente credente.
Quando Chiara era prossimo alla morte, Messina si recò al suo capezzale e, prendendogli la mano, gli chiese: «Dimmi, Piero, come stai a fede?».
Chiara lo fissò con gli occhi dolenti e rispose: «lo mi fido di te».
Sono le parole più belle che possiamo dire ad un amico: «lo mi fido di te».
È la preghiera più bella che possiamo rivolgere a Dio: «lo mi fido di Te».

Tanto tempo fa un missionario attraversava le Montagne Rocciose con un giovane indiano che gli faceva da guida.
Tutte le sere, ad un preciso momento del tramonto, il giovane indiano si appartava, si voltava verso il sole e cominciava a muovere ritmicamente i piedi e a cantare sottovoce una canzone dolcissima, soffusa di nostalgia.
Quel giovane che danzava e cantava rivolto al sole morente era uno spettacolo che riempiva di ammirata curiosità il missionario.
Così, un giorno, chiese alla sua guida: "Qual è il significato di quella strana cerimonia che fai tutte le sere?".
"Oh, è una cosa semplice" rispose il giovane.
"Io e mia moglie abbiamo composto insieme questa canzone. Quando siamo separati, ciascuno di noi, dovunque si trovi, si volta verso il sole un attimo prima che tramonti, e comincia a danzare e cantare. Così, ogni sera, anche se siamo lontani, cantiamo e balliamo insieme".
Quando il sole tramonta, tu con chi balli?
Il settimo giorno, terminata la Creazione, Dio dichiarò che era la sua festa. Tutte le creature, nuove di zecca, si diedero da fare per regalare a Dio la cosa più bella che potessero trovare.
Gli scoiattoli portarono noci e nocciole; i conigli carote e radici dolci; le pecore lana soffice e calda; le mucche latte schiumoso e ricco di panna.
Miliardi di angeli si disposero in cerchio, cantando una serenata celestiale.
L'uomo aspettava il suo turno, ed era preoccupato. "Che cosa posso donare io? I fiori hanno il profumo, le api il miele, perfino gli elefanti si sono offerti di fare la doccia a Dio con le loro proboscidi per rinfrescarlo".
L'uomo si era messo in fondo alla fila e continuava a scervellarsi. Tutte le creature
sfilavano davanti a Dio e depositavano i loro regali.
Quando rimasero solo più alcune creature davanti a lui, la chiocciola, la tartaruga e il bradipo poltrone, l'uomo fu preso dal panico. Arrivò il suo turno.
Allora l'uomo fece ciò che nessun animale aveva osato fare. Corse verso Dio e saltò sulle sue ginocchia, lo abbracciò e gli disse: "Ti voglio bene!".
Il volto di Dio si illuminò, tutta la creazione capì che l'uomo aveva fatto a Dio il dono più bello ed esplose in un alleluia cosmico.
"Per qual fine Dio ci ha creati? Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra, in Paradiso" (Catechismo di Pio X).
Lascia che ti ami, mio Dio.
Che cosa ho in cielo,
che cosa ho in terra, all'infuori di te?
Tu, Dio del mio cuore
e mia parte nell'eternità,
lascia che mi aggrappi a te.
Sii sempre con me,
e se sarò tentato di lasciarti,
tu, mio Dio, non mi lasciare.

*Arrivarono solo in tre

Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo: i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva. Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano; per questo erano chiamati Re Magi.
Nell'anno O, studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione: proprio in una notte di quell'anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla dei Re dei re. Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima; i Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada. Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello. Così, ben presto, si scordò della stella.
Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso. Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di
scacchi. Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell'universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana. Quando si ricordò della stella era troppo tardi: non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell'Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali. Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio. Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchior, re dei Persiani, Balthasar, re degli Arabi e Gaspar, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore. Così ognuno di loro arrivò puntuale all'appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.

Soltanto i Magi che hanno davvero vigilato non hanno perso l'appuntamento più importante della loro vita. Ogni cristiano, come una sentinella, deve stare all'erta e non lasciarsi prendere dalla pigrizia o dal torpore, perché il Signore ci aspetta alla sua culla.

*Chi non prega?

Un contadino, durante un giorno di mercato, si fermò a mangiare in un affollato ristorante dove pran di solito anche il fior fiore della città. Il contadino trovò un posto in un tavolo a cui sedevano altri avventori e fece la sua ordinazione al cameriere. Quando l'ebbe fatta, congiunse le mani e recitò una preghiera. I suoi vicini lo osservarono con curiosità piena di ironia, un giovane gli chiese: «A casa vostra fate sempre così? Pregate veramente tutti?».
Il contadino, che aveva incominciato tranquillamente a mangiare, rispose: «No, anche da noi c'è qualcuno che non prega».
Il giovane ghignò: «Ah, sì? Chi è che non prega?».
«Be'», proseguì il contadino «per esempio le mucche, il mio asino e i miei maiali...».

Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte, ci addormentammo all'alba vicino un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e s'inoltrò nel deserto senza riposarsi un solo istante.
Quando fu giorno gli domandai: «Che ti è successo?». Rispose: «Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli alberi, vedevo le pernici sui monti, le rane nell'acqua e gli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a lui».

Una notte ho fatto un sogno splendido. Vidi una strada lunga, una strada che si snodava dalla terra e saliva su nell'aria, fino a perdersi tra le nuvole, diretta in cielo. Ma non era una strada comoda, anzi era una strada piena di ostacoli, cosparsa di chiodi arrugginiti, pietre taglienti e appuntite, pezzi di vetro. La gente camminava su quella strada a piedi scalzi. I chiodi si conficcavano nella carne, molti avevano i piedi sanguinanti. Le persone però non desistevano: volevano arrivare in cielo. Ma ogni passo costava sofferenza e il cammino era lento e penoso. Ma poi, nel mio sogno, vidi Gesù che avanzava. Era anche lui a piedi scalzi. Camminava lentamente, ma in modo risoluto. E neppure una volta si ferì i piedi.
Gesù saliva e saliva. Finalmente giunse al cielo e là si sedette su un grande trono dorato. Guardava in giù, verso quelli che si sforzavano di salire. Con lo sguardo e i gesti li incoraggiava. Subito dopo di lui, avanzava Maria, la sua mamma. Maria camminava ancora più veloce di Gesù.
Sapete perché? Metteva i suoi piedi nelle impronte lasciate da Gesù. Così arrivò presto accanto a suo Figlio, che la fece sedere su una grande poltrona alla sua destra.
Anche Maria si mise ad incoraggiare quelli che stavano salendo e invitava anche loro a camminare nelle orme lasciate da Gesù, come aveva fatto lei.
Gli uomini più saggi facevano proprio così e procedevano spediti verso il cielo. Gli altri si lamentavano per le ferite, si fermavano spesso, qualche volta desistevano del tutto e si accasciavano sul bordo della strada sopraffatti dalla tristezza.
Una mattina un professore di cardiologia condusse gli alunni al laboratorio di anatomia umana dell'Università. Stavano osservando alcuni organi, quando notarono un cuore smisuratamente grande. Il professore chiese ai ragazzi se sapevano dire a chi fosse appartenuto, intendendo quale malattia avesse causato la morte di quella persona.
"Io lo so" disse un ragazzo, in tono molto serio. "Era il cuore di una madre".
Un uomo aveva sempre il cielo dell'anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà.
Soprattutto non credeva alla bontà e all'amore di Dio. Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi scuri dubbi, incontrò un pastore. Il pastore era un brav'uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l'aria particolarmente disperata e gli chiese: "Che cosa ti turba tanto, amico?". "Mi sento immensamente solo". "Anch'io sono solo, eppure non sono triste". "Forse perché Dio ti fa compagnia..." "Hai indovinato". "Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me?". "Vedi laggiù quel villaggio?", gli chiese il pastore, "Vedi le finestre di ogni casa?". "Vedo tutto questo". "Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell'arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra".
Un giorno che ricevette degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: "Dove abita Dio?" Quello risero di lui: "Ma che ti prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?".
Il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda.
"Dio abita dove lo si lascia entrare".

*Dove inizia la preghiera  

Il maestro raduna i suoi discepoli e domanda loro: "Da dove prende avvio la preghiera?".
Il primo risponde: "Dal bisogno".
Il secondo risponde: "Dall'esultanza. Quando esulta l'animo sfugge all'angusto guscio delle mie paure e preoccupazioni e si leva in alto verso Dio".
Il terzo: "Dal silenzio. Quando tutto in me si è fatto silenzio, allora Dio può parlare".
Il maestro risponde: "Avete risposto tutti esattamente. Tuttavia, v'è ancora un momento da cui prende avvio e che precede quelli da voi indicati. La preghiera inizia in Dio stesso. É lui ad iniziarla, non noi".

Quando il buon Dio decise di creare il padre, co­minciò con una struttura piuttosto alta e robusta. Allora un angelo che era lì vicino gli chiese: «Ma che razza di padre è questo? Se i bambini li farai alti come un soldo di cacio, perché hai fatto il padre così grande? Non potrà giocare con le biglie senza met­tersi in ginocchio, rimboccare le coperte al suo bam­bino senza chinarsi e nemmeno baciarlo senza quasi piegarsi in due!». Dio sorrise e rispose: «É vero, ma se lo faccio piccolo come un bambino, i bambini non avranno nes­suno su cui alzare lo sguardo».
Quando poi fece le mani del padre, Dio le mo­dellò abbastanza grandi e muscolose. L'angelo scosse la testa e disse: «Ma... mani co­sì grandi non possono aprire e chiudere spille da ba­lia, abbottonare e sbottonare bottoncini e nemmeno legare treccine o togliere una scheggia da un dito».
Dio sorrise e disse: «Lo so, ma sono abbastanza grandi per contenere tutto quello che c'è nelle tasche di un bambino e abbastanza piccole per poter strin­gere nel palmo il suo visetto». Dio stava creando i due più grossi piedi che si fos­sero mai visti, quando
l'angelo sbottò: «Non è giu­sto. Credi davvero che queste due barcacce riusci­rebbero a saltar fuori dal letto la mattina presto quando il bebè piange? O a passare fra un nugolo di bambini che giocano, senza schiacciarne per lo meno due?».
Dio sorrise e rispose: «Stà tranquillo, andranno benissimo. Vedrai: serviranno a tenere in bilico un bambino che vuol giocare a cavalluccio o a scaccia­re i topi nella casa di campagna oppure a sfoggiare scarpe che non andrebbero bene a nessun altro».
Dio lavorò tutta la notte, dando al padre poche parole ma una voce ferma e autorevole; occhi che ve­devano tutto, eppure rimanevano calmi e tolleranti. Infine, dopo essere rimasto un po' sovrappensiero, aggiunse un ultimo tocco: le lacrime. Poi si volse al­l'angelo e domandò: «E adesso sei convinto che un padre possa amare quanto una madre?». (Erma Bombeck)
Degli studenti universitari ebbero come compito per il fine settimana un lungo e caloroso abbraccio al loro papà. «Non posso farlo» protestò uno, «mio padre mo­rirebbe».
«E poi» disse un altro, «mio padre sa che lo amo».
«Allora è facile» replicò il professore. «Perché non lo fai?».
Il lunedì seguente tutti parlavano, sorpresi, di co­me fosse stata soddisfacente l'esperienza.
«Mio padre si è messo a piangere!» diceva uno. E un altro: «Strano. Mio padre mi ha ringraziato».
Il buon Dio aveva deciso di creare... la mamma. Ci si arrabattava intorno già da sei giorni, quand'ecco comparire un angelo che gli fa: "Questa qui te ne fa perdere di tempo, eh?". E Lui: "Sì, ma hai letto i requisiti dell'ordinazione? Dev'essere completamente lavabile, ma non di plastica... avere 180 parti mobili tutte sostituibili... funzionare a caffè e avanzi del giorno prima... avere un bacio capace di guarire tutto, da una sbucciatura ad una delusione d'amore... e sei paia di mani". L'angelo scosse la testa e ribatté incredulo: "Sei paia?!". "Il difficile non sono le mani - disse il buon Dio - ma le tre paia di occhi che una mamma deve avere". "Così tanti?". Dio annuì. "Un paio per vedere attraverso le porte chiuse quando domanda "che state combinando lì dentro, bambini?", anche se lo sa già; un altro paio dietro la testa, per vedere quello che non dovrebbe vedere, ma che deve sapere; un altro paio ancora per dire tacitamente al figlio che si è messo in un guaio "capisco e ti voglio bene lo stesso".
"Signore - fece l'angelo sfiorandogli gentilmente un braccio - va' a dormire. Domani è un altro...". "Non posso - ripose il Signore - ho quasi finito ormai. Ne ho già una che guarisce da sola se è malata, che può lavorare 18 ore di seguito, preparare un pranzo per sei con mezzo chilo di carne tritata e che riesce a tenere sotto la doccia un bambino di nove anni". L'angelo girò lentamente intorno al modello di madre, esaminandolo con curiosità: "É troppo tenera", disse poi con un sospiro. "Ma resistente - ribatté il Signore con foga - tu non hai idea di quello che può sopportare una mamma!". "Sa pensare?". "Non solo, ma sa anche fare un ottimo uso della ragione e venire a compromessi", ribatté il Creatore. A quel punto l'angelo si chinò sul modello della madre e le passò un dito su una guancia: "Qui c'è una perdita", dichiarò. "Non è una perdita - lo corresse il Signore - è una lacrima". "E a che serve?". "Esprime gioia, tristezza, delusione, dolore, solitudine, orgoglio". "Ma sei un genio!", esclamò l'angelo. Con sottile malinconia Dio aggiunse: "A dire il vero, non sono stato io a mettercela quella cosa lì...".

*I doni di Dio

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone c'era un angelo. "Che cosa vendete qui?", chiese il giovane. "Tutto ciò che desidera", rispose cortesemente l'angelo. Il giovane cominciò ad elencare: "Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione nella Chiesa e... e...". L'angelo lo interruppe: "Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi".
Una parabola di Gesù comincia così: "Il regno di Dio è come la buona semente che un uomo fece seminare nel suo campo...". Il Regno è sempre un inizio. Un minuscolo, quasi trascurabile inizio. Dio stesso è venuto sulla terra come un seme, un fermento, un minuscolo germoglio. Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi. Li lascerai crescere? Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi. Li lascerai crescere?

Un giorno Dio, stufo delle guerre e delle violenze che si compivano sulla Terra, riunì tutti gli angeli e tenne loro questo discorso: "Avevo detto agli uomini: amatevi gli uni gli altri, e in vece si detestano, perché non sopportano le loro differenze. Ho deciso di impartire loro una buona lezione. Ordinò che a partire dal 1 maggio 2000 tutti gli esseri umani abbiano la stessa pelle color verde-mela, e che diventino tutti perfettamente uguali."
Il 1 maggio 2000 il professor O'Neil, premio Nobel per la biologia, si svegliò di soprassalto. Scese dal letto di pessimo umore e, guardatosi allo specchio, quasi che gli venne un colpo. Non si riconosceva più! Penso di sognare, ma dopo una bella doccia fredda il risultato non era cambiato, anzi, la sua pelle era di un verde ancor più splendente. Velocemente si recò in cucina per bersi un caffè e trovò la moglie... irriconoscibile, anche lei verde! Si collegò in videoconferenza con il suo collega giapponese Mite Mangiu, ma vide dall'altra parte del monitor una persona altrettanto verde! Erano tutti e due disperati!
Scene simili si ripetevano in ogni angolo del mondo.
Clinton telefonò in fretta al presidente russo, ma quasi che non riconoscevano più le loro voci, anch'esse cambiate, uguali cioè alle voci di tutti gli altri uomini nel mondo.
Alcuni dirottatori del Kashmir minacciavano di uccidere tutti gli indiani sull'aereo, ma non li distinguevano più dagli altri passeggeri e sconsolati si misero a piangere.
Un centinaio di calciatori si spacciarono per Del Piero chiedendo un aumento di stipendio, ma furono tutti scacciati a calcioni, compresi il vero Del Piero, verde anche lui e non solo di bile!
I politici anche loro erano tutti verdi, compreso Bertinotti, mentre i veri "Verdi" diedero le dimissioni perché ormai si ritenevano inutili!
Insomma, era un vero manicomio. Gli occidentali erano tutti sconsolati, avevano perso tutto perché ovviamente banche, borse, industrie non potevano più funzionare, dato che non si distinguevano più direttori da impiegati, lavoratori da ladri opportunisti... In Africa e nel terzo Mondo invece erano contenti, perché adesso non c'era più il colore diverso della pelle come fattore discriminante...
Però la situazione era davvero grave... ovunque regnava il panico.
Ci fu un grande summit di biologi, ma alla fine il professor O'Neil disse che non sapeva proprio che fare.
Di fronte a questa ammissione di impotenza il buon Dio decise di intervenire e di riportare tutto alla normalità.
Con grande sorpresa e gioia indescrivibile il 15 maggio 2000 la gente si risvegliò normale, scoprendo la bellezza dell'essere diversi gli uni dagli altri. La gente corse fuori ad abbracciarsi, russi e ceceni, cattolici e protestanti, musulmani e ebrei, neri e bianchi... fu come una nuova nascita per tutti.
Certo, non tutti i problemi furono risolti, ma almeno nessuno più si sentiva superiore agli altri solo perché era nato in occidente anziché al sud del mondo.
Dio riunì nuovamente tutti i suoi angeli e concluse dicendo: "Chissà fino a quando durerà?".
Dopo una vita semplice e serena, una donna morì e si trovò subito a far parte di una lunga e ordina processione di persone che avanzavano lentamente verso il Giudice Supremo. Man mano che si avvicinava alla mèta, udiva sempre più distinta le parole del Signore.
Udì così che il Signore diceva ad uno: «Tu mi hai soccorso quando ero ferito sull'autostrada e mi hai portato all'ospedale, entra nel mio Paradiso». Poi ad un altro: «Tu hai fatto un prestito senza interessi ad una vedova, vieni a ricevere il premio eterno». E ancora: «Tu hai fatto gratuitamente operazioni chirurgiche molto difficili, aiutandomi a ridare la speranza a molti, entra nel mio Regno». E così via.
La povera donna venne presa dallo sgomento perché, per quanto si sforzasse, non ricordava di aver fatto in vita sua niente di eccezionale. Cercò di lascia la fila per avere il tempo di pensare, ma non le fu assolutamente possibile: un angelo sorridente ma de non le permise di abbandonare la lunga coda.
Col cuore che le batteva forte, e tanto timore, arò davanti al Signore. Subito si sentì avvolta dal suo sorriso.
«Tu hai stirato tutte le mie camicie... Entra nella mia felicità».
A volte è così difficile immaginare quanto sia straordinario l'ordinario.
Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: "Ma chi l'ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!" Il Buon Dio gli rispose con un sogno. Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione.
Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l'altro. Anche lui era nell'interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po' si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. "Sarebbe sufficiente accorciarla un po' e tribolerei molto meno", si disse, e con un taglio deciso accorciò la sua croce d'un bel pezzo.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più speditamente e senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione. Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però cominciava la "terra della felicità eterna". Era una visione incantevole quella che si vedeva dall'altra parte del burrone. Ma non c'erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passavano con facilità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passavano tutti, ma non lui: aveva accorciato la sua croce e ora era troppo corta e non arrivava dall'altra parte del baratro. Si mise a piangere e a disperarsi: "Ah, se l'avessi saputo...".
La croce è l'unica via di salvezza per gli uomini, l'unico ponte che conduce alla vita eterna.
Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l'amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.
Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: "Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo".
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.
Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
"Per cos'è? Che cosa vuoi piccola?".
"È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo".
"Che cosa dici?" borbottò il farmacista.
"Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c'è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo". Il farmacista accennò un sorriso triste.
"Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli".
"Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?".
C'era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall'aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione.
Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L'uomo si avvicinò a lei.
"Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?".
"Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa… È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un'operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho".
"Quanto hai?".
"Un dollaro e undici centesimi…. Ma, sapete… " Aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa…”.
L'uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!". Con una mano raccolse la piccola somma e con l'altra prese dolcemente la manina della bambina.
"Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno".
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.
Quell'uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che poté tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.
"Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…".
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi… più, naturalmente l'amore e la fede di una bambina.
Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: "Spostati da qui a là e il monte si sposterà". Niente sarà impossibile per voi (Vangelo di Matteo 17,20).

*Il narratore

C'era una volta un narratore. Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d'anima. E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un'idea. "E se raccontassi loro delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell'amore, li porterei sicuramente alla felicità". Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Qualche altro lo trattò da pazzo. Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti d'amore e di meraviglie. Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena. Ma non rinunciò.
Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno. Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse.
Passarono cosi degli anni. Una sera d'inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica. Apri gli occhi e vide un ragazzo. Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda:
"Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà mai? Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?".
"Amo i miei simili" rispose il narratore. "Per questo mi è venuto voglia di renderli felici". Il ragazzo ghignò: "Povero pazzo, lo sono diventati?".
"No" rispose il narratore, scuotendo la testa.
"Perché ti ostini allora?" domandò il ragazzo preso da una improvvisa compassione.
"Continuo a raccontare. E racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo". Tacque, poi il suo sguardo si illuminò.
E disse ancora: "Oggi racconto perché il mondo non cambi me".

"Dio è dentro il nostro cuore per dirti che devi essere bravo" scrive una bambina nel quaderno di catechismo. La catechista le domanda: "E se una bambina non lo ascolta?". La bambina sgrana gli occhi e risponde tranquilla: "Oh, lui ripete".
Per questo ostinatamente, nonostante tutto, anche Dio continua a raccontare la sua storia.

Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confes­sava di solito dal parroco. Le sue confessioni sem­bravano però un disco rotto: sempre le stesse man­canze, e soprattutto sempre lo stesso grosso peccato.
«Basta!» gli disse, un giorno, in tono severo il par­roco. «Non devi prendere in giro il Signore. È l'ulti­ma volta che ti assolvo per questo peccato. Ricordatelo!».
Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo là a confessare il suo solito peccato.
Il confessore perse davvero la pazienza: «Ti ave­vo avvertito: non ti do l'assoluzione. Così impari...».
Avvilito e colmo di vergogna, il pover'uomo si alzò.
Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso. L'uomo lo guardò.
In quell'istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell'assoluzione: «Io ti assolvo dai tuoi peccati...».
Ognuno di noi è legato a Dio con un filo. Quan­do commettiamo un peccato, il filo si rompe. Ma quando ci pentiamo della nostra colpa, Dio fa un nodo nel filo, che diviene più corto di prima. Di perdono in perdono ci avviciniamo a Dio.
«Vi assicuro che in cielo si fa più festa per un pec­catore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Luca 15,7).

*Il piccolo re

C'era una volta un Piccolo Re Mago. Era «piccolo» soprattutto perché erano già trascorsi duemila anni dalla fantastica notte in cui i tre Re Magi avevano seguito la Stella fino alla grotta di Betlemme, per onorare il Bambino Gesù. E, com'è comprensibile, in tutto questo tempo i Re Magi erano andati un po' in disuso. Sulla Terra, però, per uno di quei fatti che pochi sanno e nessuno riesce a spiegare, era sempre esistito qualche Re Mago. E, ogni anno, c'era un Re Mago di turno. A lui appariva la Stella che doveva guidarlo a testimoniare il mistero del Natale, proprio come, duemila anni prima, aveva guidato i suoi tre famosi antenati a Betlemme. Era un compito molto importante e il nostro Piccolo Re aspettava con comprensibile impazienza l'avvicinarsi del Natale. Il 1990 era il suo turno: la Stella sarebbe apparsa proprio a lui per guidarlo a fare da testimone al prodigioso rinnovarsi del vero Natale.
Nel cuore del nostro Piccolo Re batteva tuttavia anche un po' di paura. Da tempo la Stella doveva aprirsi la rotta in mezzo a centinaia di satelliti, astronavi e aeroplani disseminati in cielo. Nel 1987 la Stella era stata addirittura disintegrata da un satellite da combattimento russo che l'aveva presa per un disco volante aggressore.
Negli ultimi anni, anche i Re Magi di turno avevano avuto grosse complicazioni. Nel 1988, il Re che seguiva la Stella si era perso in un colossale ingorgo stradale nelle vicinanze della città di New York. Era riuscito a districarsi solo il 31 dicembre.
Nel 1989, il Re di turno era stato catturato come ostaggio da una banda di guerriglieri libanesi e, nonostante lacrime e suppliche, non era riuscito a farsi liberare in tempo per seguire la Stella.
È comprensibile allora l'ansiosa attesa che viveva il nostro Piccolo Re.

Un' automobile piccolina
Passò le notti gelide di fine novembre a scrutare il cielo. Gli occhi gli bruciavano. Ogni tanto l'improvviso apparire di qualche luce sfolgorante nel velluto scuro del cielo gli dava il batticuore: il più delle volte erano solo gli aerei che atterravano nel vicino aeroporto o qualche jet militare.
Naturalmente il Piccolo Re aveva preparato il suo dono. Perché i Re Magi, a Natale, non ricevono ma portano un dono particolare. Il dono del piccolo Re era uno stupendo fiammeggiante rubino, rosso come il sangue e come il fuoco.
Spesso l'alba sorprendeva il Piccolo Re ancora sveglio a guardare il cielo. Aveva giusto il tempo di lavarsi e partire per l'ufficio. Era un Piccolo Re e quindi doveva lavorare per vivere. Il suo capufficio era quanto mai severo e non gli lasciava certo il tempo di dormire in ufficio.
Finalmente, una terza notte di dicembre, la Stella arrivò.
Sfolgorò vivissima. Al Piccolo Re, che era al colmo della felicità, pareva di poterla toccare allungando un braccio. L'invito della Stella era perentorio. Il Piccolo Re corse a prendere il dono che aveva accuratamente impacchettato, tirò fuori dal garage la sua automobile piccolina e partì dietro alla Stella, che incedeva nel cielo come una principessa con uno strascico di luce.
Tutte le altre stelle scoppiarono in un improvviso applauso. Almeno così parve al Piccolo Re.
«Sarò l'unico a vedere la Stella?», si chiedeva. Poi pensò, che probabilmente tutti avrebbero potuto vederla, ma oggi la gente ha una gran fretta e poco tempo e poca voglia di guardar le stelle.
Semafori, carri armati e maschere antigas
La Stella fendeva il cielo velocemente. Lassù il traffico, tutto sommato, era ridotto. Sulla sua minuscola automobile il Piccolo Re aveva molte difficoltà in più. Le strade avevano curve, doveva badare ai semafori, alle precedenze, ai sensi unici, alle altre automobili e ai pedoni che attraversavano.
«Vorrei vedere i miei tre antenati al mio posto», brontolava il Piccolo Re. «Per loro, seguire la Stella sui cammelli nel deserto è stato uno scherzetto».
Al quarto semaforo, il Piccolo Re perse di vista la Stella. Si sporse più che poteva dal finestrino cercando di ritrovare la sua guida luminosa.
«Che aspetti, babbeo? Non diventa più verde di così!», sentì gridare alle sue spalle.
«Parti o non parti?», sbraitò un'altra voce, mentre si alzava il clamore dei clacson.
«Mi dispiace», disse il Piccolo Re, «ma devo seguire la Stella».
«Ubriacone!» .
«Al diavolo tu e la tua stella!», gridarono gli altri.
Il Piccolo Re si scusò ancora e pigiò sull'acceleratore. Sobbalzando la macchinetta ripartì.
Dopo qualche chilometro, il Piccolo Re ritrovò la Stella e il viaggio riprese. Attraversarono paesi, città, fiumi, deserti. Il Piccolo Re non conosceva più il giorno o la notte, il riposo, la fame. Troppo grande era la gioia di compiere la sua missione.
Un brutto giorno l'automobile fece un ultimo balzo, tentò invano un' accelerata e con un disperato cigolio esalò l'ultimo colpo di scappamento. Il Piccolo Re lasciò la sua macchina sul ciglio della strada e proseguì a piedi. Tenne dietro per un attimo alla Stella, ma l'astro scintillante solcava troppo rapido il cielo. Il Piccolo Re, con un sospiro, vide la Stella sparire all'orizzonte. Nemmeno questa volta si perse di coraggio. Cominciò a cercare la Stella. Si trovò in un paese strano dove tutti avevano paura. Molti portavano sul volto maschere antigas. Per le strade circolavano sferragliando i carri armati e rapidi come lampi gli aerei militari sfrecciavano in cielo. «Avete visto una Stella più luminosa delle altre?», chiedeva il Piccolo Re ai rari passanti.
«Noi non possiamo più guardare le stelle», rispondevano.
Di notte, in quel paese, potenti riflettori scandagliavano il cielo, la gente si chiudeva in casa o nei rifugi antiaerei. Nessuno si fermava a guardare il cielo.

Le stelle finte
Il Piccolo Re continuò a camminare attraversando paesi e città. A tutte le persone che incontrava chiedeva: «Avete visto una grande e splendida Stella?». Quasi tutti scuotevano la testa o ridevano di lui. Un tale dall'aria indaffarata gli diede un euro.
Sentì due uomini che parlavano animatamente di una «stella» e li interrogò, pieno di speranza. Fu una delusione: la «stella» di cui parlavano quegli uomini era un' attrice del cinema.
Il Piccolo Re continuava a interrogare la gente: «Avete visto una grande Stella?».
«Se vuoi ti do una martellata e così vedrai tutte le stelle che vuoi!», rispondevano gli spiritosi.
«Qui alle stelle vanno solo i prezzi!», dicevano gli arrabbiati.
«Non t'accorgi che qui è pieno di stelle?», sbottò un, altro. Il Piccolo Re si guardò intorno e vide che effettivamente c'erano stelle di plastica e di cristallo che occhieggiavano dalle vetrine, c'erano stelle luminose appese a festoni sulle strade, c'erano stelle perfino sui salami e sulle bevande gasate, graziosissime stelle multicolori brillavano sugli abeti. Si era dimenticato che la gente festeggia il Natale con le stelle finte, perché non è più capace di trovare quelle vere.
In un negozio vide dei bambini che compravano le statuine per fare il presepio. «Avete visto una grande stella, bambini?».
«Sì», disse un piccolino. «È là nello scaffale più alto. Costa 5 euro!».
«Ma io parlavo di una Stella vera, la Stella di Natale!». «Quella non serve per fare il presepio» disse una bambina.
«Ma perché fate il presepio?», insistette il Piccolo Re. «Per vincere il concorso della parrocchia!» dissero in coro i bambini.
Il Piccolo Re uscì dalle città e si mise a camminare per la campagna, dove il cielo non era velato dalle troppe luci e le stelle vere erano ben visibili. Camminò e camminò. Una sera di pioggia e neve scorse una luce ai bordi di un folto bosco. Si diresse da quella parte. Era mortalmente stanco e ogni passo gli costava una fatica terribile. La luce filtrava da una casetta di pietra e di legno. Il Piccolo Re bussò. All'uomo che venne ad aprirgli chiese un po' di ospitalità. «Entra», gli rispose con tono gentile.
Il Piccolo Re ringraziò: aveva davvero bisogno di riposare e rifocillarsi.
L'uomo lo servì in silenzio: gli portò degli abiti asciutti, del buon pane, una tazza di brodo fumante. «Vedi», disse ad un tratto il Piccolo Re, «devo assolutamente trovare la mia Stella. Sono il testimone del Natale e mancano ormai pochi giorni».
L'uomo sorrise tristemente.
«Anch'io un tempo cercavo la Stella», sospirò amaramente. «Ora non più. Non serve a niente. Dimenticala: non vale la pena. Il cielo non si interessa affatto di noi. Non c'è speranza quaggiù...».
Il Piccolo Re scattò in piedi.
«No. Troverò la Stella!».
Ringraziò e ripartì. Appena fuori fu avvolto da una luce sfolgorante. La Stella era là che lo attendeva. Aveva squarciato il cielo, prima carico di nuvole. Il Piccolo Re ritrovò tutte le sue forze, mentre una calda felicità lo inondava da capo a piedi. Ora sapeva che avrebbe portato a termine la sua missione. La Stella era tornata a prenderlo e non l'avrebbe abbandonato più.

Due bambini e un panino
La Stella guidò il Piccolo Re fino alla periferia di una città. «Andrà a fermarsi sulla cattedrale», pensava il Piccolo Re.
Invece la Stella si fermò su un palazzo della periferia. Un caseggiato popolare uguale a tanti altri, con i balconi in fila e le antenne della TV a sghimbescio sul tetto.
«Il Natale è qui», si disse il Piccolo Re. «In fondo, anche la prima volta il posto non era un granché». Strinse al petto il pacchetto con il prezioso rubino ed entrò nel portone centrale. Si fermò nel piccolo atrio da cui iniziava la scala e aspettò il segnale della Stella.
«Ti odio! Non ti parlerò mai più!».
Una bambina sbatté la porta del primo piano proprio in quel momento e si accoccolò su un gradino della scala. Aveva un gran broncio e tanta voglia di piangere. Poco dopo la porta si riaprì piano piano. Ne uscì un bambino con un grosso panino in mano. Dopo un attimo di incertezza, il bambino
si sedette accanto alla bambina.
Passò un istante. Il silenzio era profondo. Nell'atrio il Piccolo Re aspettava trattenendo il respiro.
«Elena», disse il bambino, «devi perdonarmi». La bambina scosse la testa: «No, non posso!».
«Hai sentito quello che ha detto la catechista: non devi mettere lo sbarramento! Domani è Natale e tutto l'amore di Gesù si riverserà nel cuore degli uomini che non mettono lo sbarramento. Se tu metti uno sbarramento Gesù è infelice e anche tu. Andiamo insieme a Messa di mezzanotte?».
La bambina alzò la testa e sorrise: «Va bene. Non ho più lo sbarramento».
«Vuoi metà del mio panino?», propose il bambino. «SÌ».
In quel momento la Stella diede il segnale. Il Piccolo Re si avvicinò ai due bambini.
«Grazie a voi, anche quest'anno è Natale», disse sorridendo. I bambini lo guardarono incuriositi.
Il Piccolo Re porse ai due piccoli il pacchetto con il suo prezioso dono. La bambina si affrettò ad aprirlo. «Ma è bellissimo!», disse, quando vide il rubino con la sua aureola di luce.
«È vostro», aggiunse il Re. «Potete farne quello che volete».
«Lo cambierò con una figurina di Del Piero», disse il bambino.
«Certo. È una buona idea», sorrise il Piccolo Re.
Da una finestra, per la prima volta in duemila anni, la Stella fece l'occhiolino.

Una volta un samurai grosso e rude andò a visitare un piccolo monaco. "Monaco", gli disse "insegnami che cosa sono l'inferno e il paradiso!".
Il monaco alzò gli occhi per osservare il potente guerriero e rispose con estremo disprezzo: "Insegnarti che cosa sono l'inferno e il paradiso? Non potrei insegnarti proprio niente. Sei sporco e puzzi, la lama del tuo rasoio si è arrugginita. Sei un disonore, un flagello per la casta dei samurai. Levati dalla mia vista, non ti sopporto".
Il samurai era furioso. Cominciò a tremare, il volto rosso dalla rabbia, non riusciva a spiccicare parola. Sguainò la spada e la sollevò in alto, preparandosi a uccidere il monaco.
"Questo è l'inferno", mormorò il monaco.
Il samurai era sopraffatto. Quanta compassione quanta resa in questo ometto che aveva offerto la propria vita per dargli questo insegnamento, per dimostrargli
l'inferno! Lentamente abbassò la spada, pieno di gratitudine e improvvisamente colmo di pace.
"E questo è il paradiso", mormorò il monaco.
Dopo una lunga ed eroica vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all'inferno.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?", chiese il samurai alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".
"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca".
Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa. Il Paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno. Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. "Ma com'è possibile?", chiese il samurai.
L'angelo sorrise. "All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui, al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".
Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi.
In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sé un dono del Signore: sapeva dipingere bellissime icone.
Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro: voleva ritrarre il volto di Cristo. Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e risurrezione, divinità e umanità?
Epifanio non si dette più pace: si mise in viaggio; percorse l'Europa scrutando ogni volto. Nulla. Il volto adatto per rappresentare Cristo non c'era.
Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo: "Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto".
Fece un sogno: un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo: la gioia di una giovane sposa, l'innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l'allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso. Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro.
Dopo un anno l'icona di Cristo era pronta e la presentò all'Abate e ai confratelli, che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio. Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell'intimo e interrogava.
Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello.
Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.

*Io vado avanti come un asino

Io vado avanti come un asino...
sì, proprio come quell'animale che un dizionario biblico così descrive:
"L'asino della Palestina è molto vigoroso, sopporta il caldo, si nutre di cardi; ha una forma di zoccoli che rende molto sicuro il suo incedere, costa poco mantenerlo. I suoi soli difetti sono la caparbietà e la pigrizia".
Io vado avanti come quell'asino
di Gerusalemme,
che, in quel giorno della festa degli ulivi,
divenne la cavalcatura regale e pacifica del Messia.
Io non sono sapiente,
ma una cosa so: so di portare Cristo
sulle mie spalle
e la cosa mi rende più orgoglioso
di essere borgognone o basco.
Io lo porto, ma è lui che mi guida:
io credo in lui, lui mi guida verso il suo regno.
Chissà quante volte si sente sballottato il mio Signore,
quando inciampo contro una pietra!
Ma lui non mi rinfaccia mai niente.

É così bello percepire
quanto sia buono e generoso con me:
mi lascia il tempo di salutare
l'incantevole asina di Balaan,
di sognare davanti a un campo di spighe,
di dimenticarmi persino di portarlo.
Io vado avanti in silenzio.
É strano quanto ci si capisca
anche senza parlare!
La sua sola parola, che io ho ben capito,
sembra essere stata detta apposta per me:
"Il mio giogo è facile da sopportare
e il mio passo leggero" (Mt 11,30).
Fede d'animale,
come quando una notte di Natale,
allegramente portavo sua Madre verso Betlemme.
Io vado avanti nella gioia.
Quando voglio cantare le sue lodi,
io faccio un baccano del diavolo,
io canto stonato.
Lui allora ride,
ride di cuore
e il suo riso trasforma
le strettoie del mio vecchio cammino
in una pista da ballo e i miei pesanti zoccoli
in sandali alati.
Io vado avanti come un asino
che porta Cristo sulle sue spalle.

Un vecchietto che da molto tempo si era allontanato dalla Chiesa, un giorno andò dal parroco. Sperava di essere aiutato finalmente a risolvere i suoi problemi di fede. Quando entrò nella canonica, c'era già una persona a parlare con lui. Il sacerdote intravide il vecchietto in piedi in corridoio, e subito, uscì a portargli una sedia.
Quando l'altro si congedò, il parroco fece entrare il vecchio signore. Conosciuto il problema, gli parlò a lungo e dopo un fitto dialogo, l'anziano, soddisfatto, disse che sarebbe tornato alla Chiesa. Il parroco, contento, ma anche un po' meravigliato, gli chiese: «Senta, mi dica, di tutto il nostro incontro, qual è l'argomento che più l'ha convinta a tornare a Dio?». «Il fatto che sia uscito a portarmi una sedia», rispose il vecchietto.

*La città smemorata

Una volta, in una piccola città, uguale a tante altre, cominciarono a succedere dei fatti strani.
I bambini dimenticavano di fare i compiti, i grandi si dimenticavano di togliersi le scarpe prima di andare a dormire, nessuno si salutava più.
Le porte della chiesa rimanevano chiuse. Le campane non suonavano più. Nessuno sapeva più le preghiere. Un lunedì mattina, però, un maestro domandò ai suoi alunni: "Perché ieri non siete venuti a scuola?"
"Ma ieri era domenica!" risposero gli scolari, "La domenica non c'è scuola".

"Perché?", chiese il maestro.
Gli alunni non seppero che cosa rispondere.
Si avvicinava il Natale. "Perché suonano questa musica dolce?". "Perché sull'albero ci sono le candele?".
Nessuno lo sapeva. Due amici avevano litigato: si erano insultati fino a diventare rauchi. "Ora non ho più nessun amico", pensava tristemente uno di loro il giorno dopo. E non sapeva che cosa fare.
La piccola città si faceva sempre più grigia e triste. La gente diventava ogni giorno più egoista e litigiosa. "Ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa", ripetevano tutti.
Un giorno soffiava un forte vento tra i tetti, così forte da smuovere le campane della chiesa.
La campana più piccola suonò. Improvvisamente la gente si fermò e guardò in alto. E un uomo per tutti esclamò: "Ecco che cosa abbiamo dimenticato: Dio!".

Se c'è speranza in questo mondo è solo perché risuona ancora il nome di Dio. Milioni e milioni di persone gettano su questo nome le gioie e le paure della propri a esistenza. É l'unico nome che porta su di sé il peso dell'umanità e che dà un senso a tutto.
Anche per questo non possiamo rinunciare a pronunciarlo con rispetto e fiducia.

I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia. Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami. L'erba era sparita dai prati. La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.
Le settimane si succedevano sempre più infuocate. Da mesi non cadeva una vera pioggia.
Il parroco del paese organizzò un'ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.
All'ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza. Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede. Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari. Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila. Sulle ginocchia aveva un ombrello rosso.

*La fontana  

In un villaggio islamico del Libano un piccolo gruppo di persone divenne cristiano. Immediatamente si chiusero per loro tutte le porte della comunità. Gli uomini non potevano più stare con gli altri uomini in piazza a fumare e chiacchierare, le donne non po più attingere acqua alla fontana del villaggio. I nuovi cristiani furono costretti a scavarsi una fon per conto loro.
Un giorno la fontana del villaggio si inaridì e seccò. Allora i cristiani invitarono i loro compaesani a venire ad attingere acqua alla loro fontana. Fecero di più: sulle loro case appesero un piccolo cartello che diceva: «Qui abitano dei cristiani». Ciascuno sapeva così che in quella casa avrebbe trovato un aiuto e una mano tesa.

«Infine, fratelli, ci sia perfetta concordia tra voi: abbiate compassione, amore e misericordia gli uni verso gli altri. Siate umili. Non fate il male a chi vi fa del male, non rispondete con insulti a chi vi insulta al contrario, rispondete con buone parole, peré anche Dio vi ha chiamati a ricevere le sue bene Siate sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi» (I lettera di Pietro 3,8-15).

*La grotta azzurra

Era un uomo povero e semplice. La sera, dopo una giornata di duro lavoro, rientrava a casa spossato e pieno di malumore. Guardava con astio la gente che passava in automobile o quelli seduti ai tavolini del bar.
"Quelli sì che stanno bene", brontolava l'uomo, pigiato nel tram, come un grappolo d'uva nel torchio. "Non sanno cosa vuol dire tribolare... Tutte rose e fiori, per loro. Avessero la mia croce da portare!".
Il Signore aveva sempre ascoltato con molta pazienza i lamenti dell'uomo. E, una sera, lo aspettò sulla porta di casa.
"Ah, sei tu, Signore?" disse l'uomo, quando lo vide. "Non provare a rabbonirmi. Lo sai bene quant'è pesante la croce che mi hai imposto". L'uomo era più imbronciato che mai.

Il Signore gli sorrise bonariamente. "Vieni con me. Ti darò la possibilità di fare un'altra scelta", disse.
L'uomo si trovò all'improvviso dentro una enorme grotta azzurra. L'architettura era divina. Ed era tempestata di croci: piccole, grandi, tempestate di gemme, lisce, contorte.
"Sono le croci degli uomini", disse il Signore, "scegline una". L'uomo buttò con malagrazia la sua croce in un angolo e, fregandosi le mani, cominciò la cernita.
Provò una croce leggerina. ma era lunga e ingombrante. Si mise al collo una croce da vescovo, ma era incredibilmente pesante di responsabilità e sacrificio.
Un'altra, liscia e graziosa in apparenza, appena fu sulle spalle dell'uomo cominciò a pungere come se fosse piena di chiodi.
Afferrò una croce d'argento, che mandava bagliori, ma si sentì invadere da una straziante sensazione di solitudine e abbandono. La posò subito. Provò e riprovò, ma ogni croce aveva qualche difetto.
Finalmente, in un angolo semibuio, scovò una piccola croce, un po' logorata dall'uso. Non era troppo pesante, né troppo ingombrante. Sembrava fatta apposta per lui. L'uomo se la mise sulle spalle con aria trionfante. "Prendo questa!", esclamò. Ed uscì dalla grotta.
Il Signore gli rivolse il suo sguardo dolce. E in quell'istante l'uomo si accorse che aveva ripreso proprio la sua vecchia croce: quella che aveva buttato via entrando nella grotta. E che portava da tutta la vita.

"Come in un sogno mattutino, la vita si fa sempre più luminosa a mano a mano che la viviamo, e la ragione di ogni cosa appare finalmente chiara" (Ricther).

*La memoria di Dio  

Una donna riteneva che Dio le apparisse in visione. Andò quindi a consigliarsi dal proprio vescovo. Il buon presule le fece la seguente raccomandazione: «Cara signora, lei forse sta credendo a delle illusioni. Deve capire che in qualità di vescovo della Diocesi sono io che posso decidere se le sue visioni sono vere o false».
«Certo, Eccellenza».
«Questa è una mia responsabilità, un mio dovere».
«Perfetto, Eccellenza».
«Allora, cara signora, faccia quello che le ordino».
«Lo farò, Eccellenza».
«La prossima volta in cui Dio le apparirà, come lei sostiene, lo sottoponga a una prova per sapere se è realmente Dio».
«D'accordo, Eccellenza. Ma qual è la prova?».
«Dica a Dio: "Rivelami, per favore, i peccati personali e privati del signor vescovo". Se è davvero Dio ad apparirle, costui le rivelerà i miei peccati. Poi, torni qui e mi racconti cosa avrà risposto; a me, e a nessun altro. D'accordo?».
«Farò proprio così, Eccellenza».
Un mese dopo, la signora chiese di essere ricevuta dal vescovo, che le domandò: «Le è apparso di nuovo Dio?».
«Credo di sì, Eccellenza».
«Gli ha chiesto quello che le ho ordinato?».
«Certo, Eccellenza!».
«E cosa le ha risposto Dio?».
«Mi ha detto: "Dì al vescovo che i suoi peccati io li ho dimenticati"».

«Dio è più grande del nostro cuore» (1 Giovanni 3,20).

Sui muri e sul giornale della città comparve uno strano annuncio funebre: «Con profondo dolore annunciamo la morte della parrocchia di Santa Eufrosia. I funerali avranno luogo domenica alle ore 11».
La domenica, naturalmente, la chiesa di Santa Eufrosia era affollata come non mai. Non c'era più un solo posto libero, neanche in piedi. Davanti all'altare c'era il catafalco con una bara di legno scuro. Il parroco pronunciò un semplice discorso: «Non credo che la nostra parrocchia possa rianimarsi e risorgere, ma dal momento che siamo quasi tutti qui voglio fare un estremo tentativo. Vorrei che passaste tutti qui davanti alla bara, a dare un'ultima occhiata alla defunta. Sfilerete in fila indiana, uno alla volta e dopo aver guardato il cadavere uscirete dalla porta della sacrestia. Dopo, chi vorrà potrà rientrare dal portone per la Messa».
Il parroco aprì la cassa. Tutti si chiedevano: «Chi ci sarà mai dentro? Chi è veramente morto?». Cominciarono a sfilare lentamente. Ognuno si affacciava alla bara e guardava dentro, poi usciva dalla chiesa. Uscivano silenziosi, un po' confusi. Perché tutti coloro che volevano vedere il cadavere della parrocchia di Santa Eufrosia e guardavano nella bara, vedevano, in uno specchio appoggiato sul fondo della cassa, il proprio volto.
Il gioielliere era seduto alla scrivania e guardava distrattamente la strada attraverso la vetrina del suo elegante negozio.
Una bambina si avvicinò al negozio e schiacciò il naso contro la vetrina. I suoi occhi color del cielo si illuminarono quando videro uno di quegli oggetti esposti. Entrò decisa e puntò il dito verso uno splendido collier di turchesi azzurri. "É per mia sorella. Può farmi un bel pacchetto regalo?".
Il padrone del negozio fissò incredulo la piccola cliente e le chiese: "Quanti soldi hai?".
Senza esitare, la bambina, alzandosi in punta di piedi, mise sul banco una scatola di latta, la aprì e la svuotò. Ne vennero fuori qualche biglietto di piccolo taglio, una manciata di monete, alcune conchiglie, qualche figurina.
"Bastano?" disse con orgoglio. "Voglio fare un regalo a mia sorella più grande. Da quando non c'è più la nostra mamma, è lei che ci fa da mamma e non ha mai un secondo di tempo per se stessa. Oggi è il suo compleanno e sono certa che con questo regalo la farò molto felice. Questa pietra ha lo stesso colore dei suoi occhi".
L'uomo entra nel retro e ne riemerge con una stupenda carta regalo rossa e oro con cui avvolge con cura l'astuccio. "Prendilo" disse alla bambina. "Portalo con attenzione". La bambina partì orgogliosa tenendo il pacchetto in mano come un trofeo.
Un'ora dopo entrò nella gioielleria una bella ragazza con la chioma color miele e due meravigliosi occhi azzurri. Posò con decisione sul banco il pacchetto che con tanta cura il gioielliere aveva confezionato e dichiarò: "Questa collana è stata comprata qui?".
"Si, signorina".
"E quanto è costata?".
"I prezzi praticati nel mio negozio sono confidenziali: riguardano solo il mio cliente e me".
"Ma mia sorella aveva solo pochi spiccioli. Non avrebbe mai potuto pagare un collier come questo!".
Il gioielliere prese l'astuccio, lo chiuse con il suo prezioso contenuto, rifece con cura il pacchetto regalo e lo consegnò alla ragazza. "Sua sorella ha pagato. Ha pagato il prezzo più alto che chiunque possa pagare: ha dato tutto quello che aveva".
Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buo­no e san Francesco gli voleva molto bene.
Incontrandolo gli disse: «Frate Ginepro, vieni, an­diamo a predicare».
«Padre mio» rispose, «sai che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?».
Ma poiché san Francesco insisteva, frate Gine­pro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle bot­teghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmen­te a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d'acqua.
Dopo aver attraversato più volte tutta la città, san Francesco disse: «Frate Ginepro, è ora di tornare al convento». «E la nostra predica?».
«L'abbiamo fatta... L'abbiamo fatta» rispose sor­ridendo il santo.
Se hai in tasca il profumo del muschio non hai bisogno di raccontarlo a tutti. Il profumo parlerà in tua vece.
La predica migliore sei tu.
La catechista interroga i suoi bambini sulla preghiera.
"Vediamo: tu reciti le preghiere alla sera?".
"Certo".
"E anche al mattino?".
"No!".
"Perché?".
"Di giorno non ho mica paura".
Spesso è solo la paura che ci fa pregare. Che umiliazione per noi e soprattutto per Dio! La preghiera è la semplicità dell'amore che parla.
Preghiera che fa sorgere il sole, preghiera che batte sul muro, qualunque sia il codice, preghiera che sa che dall'altra parte qualcuno ascolta.

*La ragione dell'asino  

Una volta gli animali fecero una riunione.
La volpe chiese allo scoiattolo: "Che cosa è per te Natale?"
Lo scoiattolo rispose: "Per me è un bell'albero con tante luci e tanti dolci da sgranocchiare appesi ai rami".

La volpe continuò: "Per me naturalmente è un fragrante arrosto d'oca. Se non c'è un bell'arrosto d'oca non c'è Natale".
L'orso l'interruppe: "Panettone! Per me Natale è un enorme profumato panettone!".
La gazza intervenne: "Io direi gioielli sfavillanti e gingilli luccicanti. Il Natale è una cosa brillante!".
Anche il bue volle dire la sua: "É lo spumante che fa il Natale! Me ne scolerei anche un paio di bottiglie".
L'asino prese la parola con foga: "Bue sei impazzito? É il Bambino Gesù la cosa più importante del Natale. Te lo sei dimenticato?".
Vergognandosi, il bue abbassò la grossa testa e disse: "Ma questo gli uomini lo sanno?".

Solo l'asino conosce la risposta giusta alla domanda fondamentale: «Ma che cosa si festeggia a Natale?».
Anche noi oggi vogliamo chiederci: "Qual è l'elemento essenziale del Natale?" Proviamo a dire il nostro parere.

Il grande Leonardo da Vinci aveva accettato di affrescare il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano con un grande disegno che rappresentava l'Ultima Cena di Gesù con gli apostoli.
Voleva fare di quell'affresco un capolavoro e per­ciò lavorava con calma e attenzione. Nonostante l'im­pazienza dei frati del convento il disegno progrediva molto lentamente.
Per il volto di Gesù, Leonardo aveva cercato per mesi un modello che avesse tutti i requisiti necessa­ri: un volto che esprimesse forza e dolcezza, spiri­tualità e intensità luminosa.
Finalmente lo trovò e diede a Gesù il volto di Agnello, un giovane franco e pulito che aveva incon­trato per la strada.
Un anno dopo, Leonardo cominciò a girare nei quartieri malfamati di Milano e nelle bettole più equi­voche e losche. Aveva bisogno di trovare il volto di Giuda, l'apostolo
traditore. Cercava un volto che esprimesse inquietudine e delusione, il volto di un uomo disposto a tradire il migliore amico. Dopo notti e notti in mezzo a farabutti di ogni specie, Leonardo trovò l'uomo che voleva per il suo Giuda.
Lo portò nel convento e si accinse a ritrarlo. In quel momento vide negli occhi dell'uomo brillare una lacrima. «Perché?», gli disse Leonardo fissando quel volto torvo.
«Io sono Agnello», mormorò l'uomo. «Lo stesso che le è servito da modello per il volto di Cristo».
Un uomo anziano si era ammalato gravemente. Il suo parroco andò a visitarlo a casa. Appena entrato nella stanza del malato, il parroco notò una sedia vuota, sistemata in una strana posizione accanto al letto su cui riposava l'anziano e gli domandò a cosa gli serviva.
L'uomo gli rispose, sorridendo debolmente: "Immagino che ci sia Gesù seduto su quella sedia, e prima che lei arrivasse gli stavo parlando... Per anni avevo trovato estremamente difficile la preghiera, finché un amico mi spiegò che la preghiera consiste nel parlare con Gesù. Così ora immagino Gesù seduto su una sedia di fronte a me e gli parlo e ascolto cosa dice in risposta. Da allora non ho più avuto difficoltà nel pregare".
Qualche giorno dopo, la figlia dell'anziano signore si presentò in canonica per informare il parroco che suo padre era morto. Disse: "L'ho lasciato solo per un paio d'ore. Quando sono tornata nella stanza l'ho trovato morto con la testa appoggiata sulla sedia vuota che voleva sempre accanto al suo letto".
"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". (Mt 5,8)

*La vecchietta che aspettava Dio  

C'era una volta un'anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.
Dopo un po', qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amore di Dio,
vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!". E sbatté la porta in faccia alla mortificata vicina.
Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!". E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.
Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.
"Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.
La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto. Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto".

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese. Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo. Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo 'stato' fondamentale nella vita del cristiano: il tempo dell'Avvento. La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente... è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la Santa Famiglia nella stalla.
Per primo, naturalmente, si presentò il leone. "Solo un re è degno di servire il Re del mondo - ruggì - io mi piazzerò all'entrata e sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!". "Sei troppo violento" disse l'angelo.
Subito dopo si avvicinò la volpe. Con aria furba e innocente, insinuò: "Io sono l'animale più adatto. Per il figlio di Dio ruberò tutte le mattine il miele migliore e il latte più profumato. Porterò a Maria e Giuseppe tutti i giorni un bel pollo!". "Sei troppo disonesta", disse l'angelo.
Tronfio e splendente arrivò il pavone. Sciorinò la sua magnifica ruota color dell'iride: "Io trasformerò quella povera stalla in una reggia più bella del palazzo di Salomone!". "Sei troppo vanitoso", disse l'angelo.
Passarono, uno dopo l'altro, tanti animali ciascuno magnificando il suo dono. Invano. L'angelo non riusciva a trovarne uno che andasse bene. Vide però che l'asino e il bue continuavano a lavorare, con la testa bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della grotta.
L'angelo li chiamò: "E voi non avete niente da offrire?". "Niente - rispose l'asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie - noi non abbiamo imparato niente oltre all'umiltà e alla pazienza. Tutto il resto significa solo un supplemento di bastonate!".
Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse: "Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code".
L'angelo finalmente sorrise: "Voi siete quelli giusti!".
Un eremita vide una volta, in un bosco, uno sparviero. Lo sparviero portava al suo nido un pezzo di carne: lacerò quella carne in tanti piccoli pezzi, e si mise a imbeccare anche una piccola cornacchia ferita.
L'eremita si meravigliò che uno sparviero imbeccasse così una piccola cornacchia, e penso: "Dio mi ha mandato un segno. Neppure una piccola cornacchia ferita viene abbandonata da Lui. Dio ha insegnato addirittura ad un feroce sparviero a nutrire una creaturina d'altra razza, rimasta orfana al mondo. Si vede proprio che Dio dà il necessario a tutte le creature: e noi, invece, stiamo sempre in pensiero per noi stessi.
Voglio smetterla di preoccuparmi di me stesso! Dio mi ha fatto vedere che cosa devo fare. Non mi procurerà più da mangiare! Dio non abbandona nessuna delle sue creature: non abbandonerà neanche me". E così fece: si mise a sedere in quel bosco e non si mosse più di là: pregava, pregava, e nient'altro. Per tre giorni e per tre notti rimase così, senza bere un sorso d'acqua e senza mangiare un boccone. Dopo tre giorni, l'eremita s'era tanto indebolito, che non era più capace d'alzare la mano.
Dalla gran debolezza, s'addormentò. Ed ecco apparirgli in sogno un angelo. L'angelo lo guardò accigliato e gli disse: "Il segno era per te, certo. Ma perché tu imparassi ad imitare lo sparviero!".
A questo punto Gesù domandò: "Secondo te, chi di questi tre si è comportato come prossimo per quell'uomo che aveva incontrato i briganti?" Il maestro della legge rispose: "Quello che ha avuto compassione di lui". Gesù allora gli disse: "Va' e comportati allo stesso modo" (Luca 10,36-37). Troppo facilmente ci mettiamo dalla parte di chi deve ricevere. Per Gesù, noi siamo quelli che devono dare.
C'era una volta un monaco che conduceva una vita serena e tranquilla. Una sola inquietudine lo tormentava. Aveva paura dell'eternità. Gli eletti in Paradiso cantano le lodi di Dio come fanno i monaci. Un conto è farlo per un po' di tempo. Ma per l'eternità! Per felici che si possa essere alla presenza di Dio, dopo qualche milione d'anni chissà che noia...
Un giorno di primavera, se ne andò secondo la sua abitudine a passeggiare nel bosco che circondava il monastero. L'aria era viva e leggera, profumata di erba e di fiori.
Il monaco sospirò pensando al suo problema. Sopra la sua testa un usignolo cominciò a cantare. Un canto così puro, modulato, melodioso che il monaco dimenticò i suoi pensieri per ascoltarlo. Non aveva mai sentito niente di più bello. Per un istante ascoltò estasiato.
Poi pensò che era ora di raggiungere il coro per la preghiera e si affrettò. Stranamente avevano sostituito il frate portinaio con uno che non conosceva. Passò un altro monaco e poi un altro che non aveva mai visto. "Che cosa desidera?" gli chiese il portinaio.
Vagamente irritato, il nostro monaco rispose che voleva soltanto entrare per non essere in ritardo. L'altro non capiva. Il monaco protestò e chiese con veemenza di vedere l'abate. Ma anche l'abate era uno sconosciuto e il povero monaco fu preso dalla paura. Balbettando un po', spiegò che era uscito dal monastero per una breve passeggiata e che si era attardato un attimo ad ascoltare il canto di un usignolo, ma che si era affrettato a rientrare per l'ufficio pomeridiano. L'abate lo ascoltava in silenzio.
"Cento anni fa", disse alla fine, "un monaco di questa abbazia, proprio in questa stagione e in quest'ora, è uscito dal monastero. Non è più ritornato e nessuno l'ha più rivisto".
Allora il monaco capì che Dio l'aveva esaudito. Se cento anni gli erano parsi un istante nello stato d'estasi in cui l'aveva rapito il canto dell'usignolo, l'eternità non era che un istante nell'estasi in Dio.
Un profeta importunava Dio continuamente: "Perché non fai questo? Perché non sistemi quello? Vuoi che le cose continuino così? Avanti intervieni! Presto, non tardare! Che sarà del mondo se va avanti di questo passo?". Finalmente Dio gli parlò.
"Perché te la prendi tanto?" gli disse. "Lascia passare questi trentacinquemila anni e poi vedremo...".
Il tempo di Dio non è il tempo degli uomini.
In un centro di raccolta per barboni, un alcolizzato di nome Giovanni, considerato un ubriacone irrecuperabile, fu colpito dalla generosità dei volontari del centro e cambiò completamente. Divenne la persona più servizievole che i collaboratori e i frequentatori del centro avessero mai conosciuto.
Giorno e notte Giovanni si dava da fare instancabile. Nessun lavoro era troppo umile per lui. Sia che si trattasse di ripulire una stanza in cui qualche alcolizzato si era sentito male, o di strofinare i gabinetti insudiciati, Giovanni faceva quanto gli veniva chiesto con il sorriso sulle labbra e con apparente gratitudine, perché aveva la possibilità di essere d'aiuto. Si poteva contare su di lui quando c'era da dare da mangiare a uomini sfiniti dalla debolezza, o quando bisognava spogliare e mettere a letto persone incapaci di farcela da sole.
Una sera, il cappellano del centro parlava alla solita folla seduta in silenzio nella sala e sottolineava la necessità di chiedere a Dio di cambiare. Improvvisamente un uomo si alzò, percorse il corridoio fino all'altare, si buttò in ginocchio e cominciò a gridare: "Oh Dio! Fammi diventare come Giovanni! Fammi diventare come Giovanni! Fammi diventare come Giovanni!".
Il cappellano si chinò su di lui e gli disse: "Figlioli, credo che sarebbe meglio chiedere: Fammi diventare come Gesù!". L'uomo rispose con aria interrogativa: "Perché, Gesù è come Giovanni?".
Se qualcuno ti chiede: "Com'è un cristiano?".
"Guardami" è l'unica risposta accettabile.
In una chiesa africana, durante la raccolta dei doni all'Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli che servono per la raccolta della manioca.
Nell'ultima fila di banchi della chiesa era seduto un ragazzino che guardava con aria pensosa il panie­re che passava di fila in fila. Sospirò al pensiero di non avere assolutamente niente da offrire al Signore.
Il paniere arrivò davanti a lui.
Allora, in mezzo allo stupore di tutti i fedeli, il ragazzino si sedette nel paniere dicendo: «La sola cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore».
«Vi esorto dunque, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradi­to. È questo il vero culto che gli dovete» (Lettera di San Paolo ai Romani 12,1).
Il giorno dopo, il Signore tornò a guardare la sua Creazione. C'era qualche ritocco da fare. C'erano dei bei sassi sui greti dei fiumi, grigi, verdi e picchiettati. Ma sotto terra i sassi erano schiacciati e mortificati. Dio sfiorò quei sassi profondi ed ecco si formarono diamanti e smeraldi e milioni di gemme scintillanti laggiù nelle profondità.
Il Signore vide i fiori, uno più bello dell'altro. Mancava qualcosa, pensò, e posò su di essi un soffio leggero: ed ecco, i fiori si vestirono di profumo.
Un uccellino grigio e triste gli volò sulla mano. Dio gli fischiettò qualcosa. E l'usignolo incominciò a gorgheggiare.
E disse qualcosa al cielo e il cielo arrossì di piacere. Nacque così il tramonto.
Ma che cosa mai avrà bisbigliato il Signore all'orecchio dell'uomo perché egli sia un uomo?
Gli bisbigliò, in quel giorno lontano, in quell'alba remota, tre piccole parole: "Ti voglio bene".
Negli antichi codici, c'è la storia di una fanciulla, che aveva fatto parte del gruppo delle donne che avevano seguito Gesù fin sul Calvario.
Era una giovane timida, silenziosa e riservata.
Alla notizia della Risurrezione, non aveva avuto bisogno né di visioni né di conferme. Aveva creduto subito. E spinta da un'audacia mai avuta prima, si era fatta pellegrina per annunciare le parole di Gesù.
Non aveva più paura. Predicava nelle città e nei villaggi.
Un giorno le si avvicinò un uomo, che era stato profondamente impressionato dalla sua testimonianza. E le chiese:
"Dimmi, qual è il segreto del tuo coraggio?".
"L'umiltà. Così mi ha insegnato il Maestro".
L'uomo stette un attimo in silenzio, poi chiese ancora:
"E a che cosa serve l'umiltà?".
"A dire per prima: Ti voglio bene!".

*Manhattan

L'atrio della Maximus Inc. era grande come una cattedrale, tutto luccichii e bagliori. La società era padrona di mezzo mondo e si vedeva. Mister Liddel, il presidente della Maximus, arrivò con cinque minuti di anticipo.
Quello era un grande giorno: la società avrebbe incamerato una mezza dozzina di banche e sette grandi industrie internaziona più quasi tutta la terra di un paese africano che non sapeva come pagare i suoi debiti.
Mister Liddel gongolava: era tutto merito delle sue abilissime manovre.
Il suo sguardo di purissimo acciaio, che faceva tremare reggimenti di funzionari, spaziò per l'atrio e incrociò, in un angolo, il panchetto di un lustra Era un vecchio negro dall'aria dimessa,
con gli stracci sfilacciati, le spazzole consumate, le mani macchiate di lucido. Mister Liddel non l'aveva mai visto, ma c'erano cinque minuti e poteva farsi dare una ripassatina alle favolose scarpe da 650 dollari che portava ai piedi.
Il vecchio negro lavorò con grande abilità.
Dopo tre minuti le scarpe brillavano al punto che era un piacere guardarle. Mister Liddel allungò all'uomo un dollaro, meccanicamente, ma incontrò il suo sguardo Uno sguardo strano, profondo, con una luce bo e divertita che gli scintillava dentro. Il fatto buffo e incredibile cominciò quando Mister Liddel si alzò dal panchetto. Le scarpe partirono come razzi, «por» Mister Liddel fuori dall'atrio.
I due portieri. sbalorditi, lo videro attraversare la strada come se volesse correre la maratona di New York. E fu una maratona ben strana, quella di Mister Liddel. Le scarpe lo portarono davanti ad un povero ragazzo senza gambe che chiedeva l'elemosina all'an della 59a strada e non si mossero finché Mister Liddel non vuotò tutto il contenuto del portafoglio nelle mani dell'esterrefatto ragazzo, poi si diressero verso quartieri pieni di povere stanze e gente che soffriva (Mister Liddel non aveva mai saputo che esistevano), lo costrinsero a vedere lacrime e solitudini, miserie fisiche, infamie, abbandoni... Dopo alcune ore, Mister Liddel era spossato e sconvolto. Si sentiva un altro.
Era come se avesse rotto un guscio di pietra che lo imprigionava e stesse guardando la gente per la prima volta. Verso sera le scarpe fecero una cosa inaudita: portarono Mister Lid in una chiesa.
L'ultima volta c'era andato da bam La chiesa era buia, brillava solo un lumino rosso Mister Liddel si ricordò di uno sguardo profondo con una luce che gli scintillava dentro.
Si sentì felice come non era mai stato e improvvisamente capì. Dopo, le sue scarpe ridiventarono normali.
Entrò nell'atrio della società che era ormai sera.
Chiese: "Avete visto dov'è andato quel lustrascarpe negro?" "Non c'è mai stato nessun lustrascarpe negro, qui, signore", risposero. Lo sospettava. D'altra parte, chi avrebbe mai cre che Dio era negro e faceva il lustrascarpe a Man

Dopo la morte, un uomo si presentò davanti al Signore. Con molta fierezza gli mostrò le mani.
"Signore, guarda come sono pulite le mie mani!".
Il Signore gli sorrise, ma con un velo di tristezza, e disse: "É vero, ma sono anche vuote".

*Per chi?  

Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di Dio che, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.
Mentre camminava lentamente per una strada isolata, incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere.
"Per chi cammini, tu?", chiese il rabbino, incuriosito.
Il guardiano disse il nome del suo padrone. Poi, subito dopo, chiese al rabbino: "E tu, per chi cammini?".
Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.

E tu, per chi cammini? Per chi sono tutti i passi e gli affanni di questa giornata? Per chi vivi?
Puoi vivere solo per qualcuno. Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome. Mai avrai avuto una giornata così leggera.

Una suora missionaria stava accuratamente curando le piaghe ripugnanti di un lebbroso. Faceva il suo lavoro sorridendo e chiacchierando con il malato, come fosse la cosa più naturale del mondo. A un certo punto chiese al malato: «Tu credi in Dio?».
Il pover'uomo la fissò a lungo e poi rispose: «Sì, adesso credo in Dio».
Un missionario viaggiava su un veloce treno giapponese e occupava il tempo pregando con il breviario aperto. Uno scossone fece scivolare sul pavimento una immaginetta della Madonna.
Un bambino seduto di fronte al missionario si chinò e raccolse l'immagine. Curioso come tutti i bambini, prima di restituirla la guardò.
«Chi è questa bella signora?», chiese al missionario.
«É... mia madre» rispose il sacerdote, dopo un attimo di esitazione.
Il bambino lo guardò, poi riguardò l'immagine. «Non le assomigli tanto», disse.
Il missionario sorrise: «Eppure, ti assicuro che è tutta la vita che cerco di assomigliarle, almeno un po'».
Tu, a chi assomigli?
I ragazzi dell'Oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale. Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe. C'era persino una particina per il bue e l'asino. Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò: "Avete dimenticato i Re Magi!".
Enzo il regista si mise le mani nei capelli, mancava un solo giorno alla rappresentazione. Dove trovare i tre Re Magi così sui due piedi?
Fu Don Pasquale a trovare la soluzione.
"Cerchiamo tre persone della parrocchia! - disse - Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengono con i loro abiti di tutti i giorni e portano un dono a Gesù Bambino. Un dono a loro scelta. Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono".
La squadra dei ragazzi si mise in moto e nel giro di due ore erano stati trovati i Re Magi sostituti.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito. Senza che nessuno lo potesse prevedere il momento più commovente divenne l'entrata dei Re Magi.
Il primo era un uomo di cinquant'anni, padre di cinque figli: portava una stampella. La posò accanto alla culla e disse: "Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d'auto. Uno scontro frontale. Fui ricoverato all'ospedale con parecchie fratture. Nessuno azzardava un pronostico. I medici erano pessimisti sul mio recupero. Da quel momento cominciai ad essere felice per ogni più piccolo progresso: poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via. Quei mesi in ospedale mi cambiarono. Sono diventato umile scopritore di quanto possiedo. Sono riconoscente per le cose piccole e quotidiane. Porto a Gesù Bambino questa stampella in segno di riconoscenza".
Il secondo Re era in verità una regina, madre di due figli. Portava un catechismo. Lo posò accanto alla culla e disse: "Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata. Poi sono cresciuti e ho cominciato a sentirmi inutile. Ma ho capito che era inutile commiserarmi. Ho chiesto al parroco di fare catechismo ai bambini. Così ritrovai un senso alla mia vita. Mi sento come un apostolo, un profeta: aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un'attività che mi appassiona. Sento di nuovo di essere importante".
Il terzo Re era un giovane. Portava un foglio bianco. Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse: "Mi chiedevo se era il caso di accettare questa parte. Non sapevo proprio cosa dire, né cosa portare. Le mie mani sono vuote. Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la vita. Dentro di me si ammucchiano domande, inquietudini, attese, errori, dubbi. Non ho niente da presentare. Il mio futuro mi sembra così vago. Ti offro questo foglio bianco, Bambin Gesù. Io so che sei venuto per portare speranze nuove. Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita. Ora che ci sei Tu tutto cambierà...".
Una domenica, verso mezzogiorno, una giovane donna stava lavando l’insalata in cucina, quando le si avvicinò il marito che, per prenderla in giro, le chiese: “Mi sapresti dire che cosa ha detto il parroco nella predica di questa mattina?”.
“Non lo ricordo più”, confessò la donna.
“Perché allora vai in chiesa a sentir prediche, se non le ricordi?”.
“Vedi, caro: l’acqua lava la mia insalata e tuttavia non resta nel paniere; eppure la mia insalata è completamente lavata”.
Non è importante prendere appunti.
È importante lasciarsi “lavare” dalla Parola di Dio.

*Tre parole

Un giovane e ambizioso cavaliere era noto per la vita dissoluta e sfrenata. Un buon frate cercò di farlo riflettere sui rischi che avrebbe corso presentandosi con l'anima così carica di peccati all'ultimo giudizio del Signore. "Non ho nessuna paura" rispose sprezzante il cavaliere. "So che il Signore è buono e misericordioso. Poco prima di morire pronuncerò tre prole che mi garantiranno la salvezza eterna. Dirò: Gesù, pietà, perdonami". Il frate scosse la testa e il cavaliere, ridendo, riprese la sua vita depravata. Un giorno, durante un terribile temporale, cavalcava a spron battuto sulle rive di un fiume gonfio d'acqua. Non voleva mancare ad una festa. Un fulmine spaventò il cavallo che lo disarcionò e lo fece piombare nella violenta corrente del fiume. Le ultime tre parole del cavaliere, prima di morire, furono: "Crepa bestiaccia infame!".

Un ladro arrivò alla porta del Cielo e cominciò a bussare: «Aprite!». L'apostolo Pietro, che custodisce le chiavi del Paradiso, udì il fracasso e si affacciò alla porta.
«Chi è là?».
«Io».
«E chi sei tu?».
«Un ladro. Fammi entrare in Cielo».
«Neanche per sogno. Qui non c'è posto per un ladro».
«E chi sei tu per impedirmi di entrare?».
«Sono l'apostolo Pietro!».
«Ti conosco! Tu sei quello che per paura ha rinnegato Gesù prima che il gallo cantasse tre volte. Io so tutto, amico!».
Rosso di vergogna, San Pietro si ritirò e corse a cercare San Paolo: «Paolo, va' tu a par con quel tale alla porta».
San Paolo mise la testa fuori della porta:
«Chi è là?».
«Sono io, il ladro. Fammi entrare in Paradiso».
«Qui non c'è posto per i ladri!».
«E chi sei tu che non vuoi farmi entrare?».
«Io sono l'apostolo Paolo!».
«Ah, Paolo! Tu sei quello che andava da Gerico a Damasco per ammazzare i cristiani, e adesso sei in Paradiso!».
San Paolo arrossì, si ritirò confuso e raccontò tutto a San Pietro.
«Dobbiamo mandare alla porta l'Evangelista Giovanni» disse Pietro. «Lui non ha mai rinnegato Gesù. Può parlare con il ladro». Giovanni si affacciò alla porta.
«Chi è là?».
«Sono io, il ladro. Lasciami entrare in Cielo».
«Puoi bussare fin che vuoi, ladro. Per i peccatori come te qui non c'è posto!».
«E chi sei tu, che non mi lasci entrare?».
«Io sono l'Evangelista Giovanni».
«Ah, tu sei un Evangelista. Perché mai inseguivi e perseguitavi gli uomini? Voi avete scritto nel Vangelo: "Bussate e vi sarà aperto. Chiedete ed otterrete". Sono due ore che busso e chiedo, ma nessuno mi fa entrare. Se tu non mi trovi subito un posto in Paradiso, torno immediatamente sulla Terra e racconto a tutti che hai scritto bugie nel Vangelo!».
Giovanni si spaventò e fece entrare il ladro in Paradiso.
Quando il predicatore tornò sul tema della buona novella, un uomo lo interruppe: «Che razza di buona novella è», domandò, «se è così facile andare all'inferno e tanto difficile entrare in paradiso?».
Il Paradiso è solo questione di misericordia.

*Una vita solitaria  

Figlio di una ragazza madre, era nato in un oscuro villaggio. Crebbe in un altro villaggio, dove lavorò come falegname fino a trent'anni. Poi, per tre anni, girò la sua terra predicando.
Non scrisse mai un libro.
Non ottenne mai una carica pubblica.
Non ebbe mai né una famiglia né una casa.
Non frequentò l'università.
Non si allontanò più di trecento chilometri da dov'era nato.
Non fece nessuna di quelle cose che di solito si associano al successo.
Non aveva altre credenziali che se stesso.
Aveva solo trentatré anni quando l'opinione pubblica gli si rivoltò contro. I suoi amici fuggirono. Fu venduto ai suoi nemici e subì un processo che era una farsa. Fu inchiodato a una croce, in mezzo a due ladri.
Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocavano a dadi le sue vesti, che erano l'unica proprietà che avesse in terra. Quando morì venne deposto in un sepolcro messo a disposizione da un amico mosso a pietà.
Due giorni dopo, quel sepolcro era vuoto.
Sono trascorsi venti secoli e oggi egli è la figura centrale nella storia dell'umanità.
Neppure gli eserciti che hanno marciato, le flotte che sono salpate, i parlamenti che si sono riuniti, i re che hanno regnato, i pensatori e gli scienziati messi tutti assieme, hanno cambiato la vita dell'uomo sulla terra quanto quest'unica vita solitaria.
Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza. Si celebrava il primo viaggio spaziale. Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin. Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare in cielo: Dio proprio non l'aveva visto. Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione. Il salone era gremito di gente. La riunione era ormai alla fine.
"Ci sono delle domande?".
Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente: "Christòs ànesti", "Cristo è risorto". Il suo vicino ripeté, un po' più forte: "Christòs ànesti". Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora. Infine tutti si alzarono gridando: "Christòs ànesti", "Cristo è risorto".
Il commissario si ritirò confuso e sconfitto.
Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c'è un fatto. Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo: "Christòs ànesti". Tutto il cristianesimo vi è condensato. Un fatto: non si può niente contro di esso.
I filosofi possono disinteressarsi del fatto. Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all'umanità: "Gesù è risorto".

Un uomo aveva l’abitudine di dire ogni domenica mattina a sua moglie: “Va’ in chiesa tu e prega per tutti e due”.
Agli amici diceva: “Non c’è bisogno che io vada in chiesa: c’è mia moglie che va per tutti e due”. Una notte quell’uomo fece un sogno. Si trovava con sua moglie davanti alla porta del Paradiso e aspettava per entrare.
Lentamente la porta si aprì e udì una voce che diceva a sua moglie:
“Tu puoi entrare per tutti e due!”.
La donna entrò e la porta si richiuse.
L’uomo ci rimase così male che si svegliò.
La più sorpresa fu sua moglie, la domenica dopo, quando all’ora della messa si trovò accanto il marito e le disse: “Oggi vengo in chiesa con te”.
Sono io, sono io, sono io, o Signore, che ho bisogno di pregare, sono io, sono io, sono io o Signore, e ho bisogno do pregare.
Non mia madre o mio padre, ma io, o Signore, ho bisogno di pregare.
Non mia madre o mio padre, ma io, o Signore, ho bisogno di pregare.
Non il diacono o il mio capo, ma io, o Signore, ho bisogno di pregare, non il diacono o il mio capo, ma io, o Signore, ho bisogno di pregare.
Sono io, sono io, sono io, o Signore, che ho bisogno di pregare, sono io, sono io, sono io o Signore, e ho bisogno do pregare. (Negro Spiritual)

*Vicino al fuoco

Un giorno un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, tutti noi sappiamo che tu vieni da Dio e insegni la via della verità. Ma devo proprio dirti che i tuoi seguaci, quelli che chiami i tuoi apostoli o la tua comunità, non mi piacciono per niente.
Ho notato che non si distinguono molto dagli altri uomini. Ultimamente ho fatto una solenne litigata con uno di essi. E poi, lo sanno tutti che i tuoi discepoli non vanno sempre d'amore e
d'accordo.
Ne conosco uno che fa certi traffici poco puliti... Voglio perciò farti una domanda molto franca: è possibile essere dei tuoi senza avere niente a che fare con i tuoi cosiddetti apostoli?
Io vorrei seguirti ed essere cristiano (se mi passi la parola), ma senza la comunità, senza la Chiesa, senza tutti questi apostoli!». Gesù lo guardò con dolcezza e attenzione.
«Ascolta», gli disse «ti racconterò una storia: C'erano una volta alcuni uomini che si erano seduti a chiacchierare insieme. Quando la notte li coprì con il suo nero manto, fecero una bella catasta di legna e accesero il fuoco.
Se ne stavano seduti ben stretti, mentre il fuoco li scaldava e il bagliore della fiamma illuminava i loro volti. Ma uno di loro, ad un certo punto, non volle più rimanere con gli altri e se ne andò per conto suo, tutto solo. Si prese un tizzone ardente dal falò e andò a sedersi lontano dagli altri. Il suo pezzo di legno in principio brillava e scaldava. Ma non ci volle molto a illanguidire e spegnersi.
L'uomo che sedeva da solo fu inghiottito dall'oscurità e dal gelo della notte.
Ci pensò un momento poi si alzò, prese il suo pezzo di legno e lo riportò nella catasta dei suoi compagni. Il pezzo di legno si riaccese immediatamente e divampò di fuoco nuovo. L'uomo si sedette nuovamente nel cerchio degli altri. Si scaldò e il bagliore della fiamma illuminava il suo volto».
Sorridendo, Gesù aggiunse: «Chi mi appartiene sta vicino al fuoco, insieme ai miei amici. Perché io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e ciò che desidero di più è vederlo divampare».

É proprio questo, la Chiesa: la garanzia di stare vicino al fuoco.

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