Spiritualità profonda
"Che cosa devo fare per la pace del mondo?".
"Non sbattere la porta così forte...".
Il vecchio eremita Sebastiano pregava di solito in un piccolo santuario isolato su una collina. In esso si venerava un crocifisso che aveva ricevuto il significativo titolo di «Cristo delle grazie». Arrivava gente da tutto il paese per impetrare grazie e aiuto.
Il vecchio Sebastiano decise un giorno di chiede anche lui una grazia e, inginocchiato davanti all'immagine, pregò: «Signore, voglio soffrire con te. Lasciami prendere il tuo posto. Voglio stare io sulla croce».
Rimase silenzioso con gli occhi fissi alla croce, aspettando una risposta.
Improvvisamente il Crocifisso mosse le labbra e gli disse: «Amico mio, accetto il tuo desiderio, ma ad una condizione: qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu veda, devi stare sempre in silenzio».
«Te lo prometto, Signore».
Avvenne lo scambio.
Nessuno dei fedeli si rese conto che ora c'era Se inchiodato alla croce, mentre il Signore aveva preso il posto dell'eremita. I devoti continuavano a sfilare, invocando grazie, e Sebastiano, fedele alla promessa, taceva. Finché un giorno...
Arrivò un riccone e, dopo aver pregato, dimenticò sul gradino la sua borsa piena di monete d'oro. Sebastiano vide, ma conservò il silenzio. Non parlò neppure un'ora dopo, quando arrivò un povero che, incredulo per tanta fortuna, prese la borsa e se ne andò. Né aprì bocca quando davanti a lui si inginocò un giovane che chiedeva la sua protezione prima di intraprendere un lungo viaggio per mare. Ma non riuscì a resistere quando vide tornare di corsa l'uomo ricco che, credendo che fosse stato il giova a derubarlo della borsa di monete d'oro, gridava a gran voce per chiamare le guardie e farlo arrestare.
Si udì allora un grido: «Fermi!».
Stupiti, tutti guardarono in alto e videro che era stato il crocifisso a gridare. Sebastiano spiegò come erano andate le cose. Il ricco corse allora a cercare il povero. Il giovane se ne andò in gran fretta per non perdere il suo viaggio. Quando nel santuario non ricevette più nessuno, Cristo si rivolse a Sebastiano e lo rimproverò.
«Scendi dalla croce. Non sei degno di occupare il mio posto. Non hai saputo stare zitto».
«Ma, Signore» protestò, confuso, Sebastiano. «Dovevo permettere quell'ingiustizia?».
«Tu non sai» rispose il Signore, «che al ricco conveniva perdere la borsa, perché con quel denaro stava per commettere un'ingiustizia. Il povero, al contra aveva un gran bisogno di quel denaro. Quanto al ragazzo, se fosse stato trattenuto dalle guardie avrebbe perso l'imbarco e si sarebbe salvato la vita, perché in questo momento la sua nave sta colando a picco in alto mare».
Lo scrittore Piero Chiara, poco religioso, era molto dello scultore Francesco Messina, che era invece profondamente credente.
Quando Chiara era prossimo alla morte, Messina si recò al suo capezzale e, prendendogli la mano, gli chiese: «Dimmi, Piero, come stai a fede?».
Chiara lo fissò con gli occhi dolenti e rispose: «lo mi fido di te».
Sono le parole più belle che possiamo dire ad un amico: «lo mi fido di te».
È la preghiera più bella che possiamo rivolgere a Dio: «lo mi fido di Te».
Tutte le sere, ad un preciso momento del tramonto, il giovane indiano si appartava, si voltava verso il sole e cominciava a muovere ritmicamente i piedi e a cantare sottovoce una canzone dolcissima, soffusa di nostalgia.
Quel giovane che danzava e cantava rivolto al sole morente era uno spettacolo che riempiva di ammirata curiosità il missionario.
Così, un giorno, chiese alla sua guida: "Qual è il significato di quella strana cerimonia che fai tutte le sere?".
"Oh, è una cosa semplice" rispose il giovane.
"Io e mia moglie abbiamo composto insieme questa canzone. Quando siamo separati, ciascuno di noi, dovunque si trovi, si volta verso il sole un attimo prima che tramonti, e comincia a danzare e cantare. Così, ogni sera, anche se siamo lontani, cantiamo e balliamo insieme".
Che cosa ho in cielo,
Tu, Dio del mio cuore
e mia parte nell'eternità,
lascia che mi aggrappi a te.
Sii sempre con me,
e se sarò tentato di lasciarti,
tu, mio Dio, non mi lasciare.
Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo: i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva. Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano; per questo erano chiamati Re Magi.
Nell'anno O, studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione: proprio in una notte di quell'anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla dei Re dei re. Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima; i Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada. Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello. Così, ben presto, si scordò della stella.
Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso. Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi. Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell'universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana. Quando si ricordò della stella era troppo tardi: non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell'Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali. Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio. Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchior, re dei Persiani, Balthasar, re degli Arabi e Gaspar, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore. Così ognuno di loro arrivò puntuale all'appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.
Soltanto i Magi che hanno davvero vigilato non hanno perso l'appuntamento più importante della loro vita. Ogni cristiano, come una sentinella, deve stare all'erta e non lasciarsi prendere dalla pigrizia o dal torpore, perché il Signore ci aspetta alla sua culla.
Un contadino, durante un giorno di mercato, si fermò a mangiare in un affollato ristorante dove pran di solito anche il fior fiore della città. Il contadino trovò un posto in un tavolo a cui sedevano altri avventori e fece la sua ordinazione al cameriere. Quando l'ebbe fatta, congiunse le mani e recitò una preghiera. I suoi vicini lo osservarono con curiosità piena di ironia, un giovane gli chiese: «A casa vostra fate sempre così? Pregate veramente tutti?».
Il contadino, che aveva incominciato tranquillamente a mangiare, rispose: «No, anche da noi c'è qualcuno che non prega».
Il giovane ghignò: «Ah, sì? Chi è che non prega?».
«Be'», proseguì il contadino «per esempio le mucche, il mio asino e i miei maiali...».
Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte, ci addormentammo all'alba vicino un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e s'inoltrò nel deserto senza riposarsi un solo istante.
Quando fu giorno gli domandai: «Che ti è successo?». Rispose: «Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli alberi, vedevo le pernici sui monti, le rane nell'acqua e gli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a lui».
Il maestro raduna i suoi discepoli e domanda loro: "Da dove prende avvio la preghiera?".
Il primo risponde: "Dal bisogno".
Il secondo risponde: "Dall'esultanza. Quando esulta l'animo sfugge all'angusto guscio delle mie paure e preoccupazioni e si leva in alto verso Dio".
Il terzo: "Dal silenzio. Quando tutto in me si è fatto silenzio, allora Dio può parlare".
Il maestro risponde: "Avete risposto tutti esattamente. Tuttavia, v'è ancora un momento da cui prende avvio e che precede quelli da voi indicati. La preghiera inizia in Dio stesso. É lui ad iniziarla, non noi".
Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone c'era un angelo. "Che cosa vendete qui?", chiese il giovane. "Tutto ciò che desidera", rispose cortesemente l'angelo. Il giovane cominciò ad elencare: "Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione nella Chiesa e... e...". L'angelo lo interruppe: "Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi".
Una parabola di Gesù comincia così: "Il regno di Dio è come la buona semente che un uomo fece seminare nel suo campo...". Il Regno è sempre un inizio. Un minuscolo, quasi trascurabile inizio. Dio stesso è venuto sulla terra come un seme, un fermento, un minuscolo germoglio. Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi. Li lascerai crescere? Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi. Li lascerai crescere?
C'era una volta un narratore. Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d'anima. E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un'idea. "E se raccontassi loro delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell'amore, li porterei sicuramente alla felicità". Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Qualche altro lo trattò da pazzo. Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti d'amore e di meraviglie. Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena. Ma non rinunciò.
Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno. Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse.
Passarono cosi degli anni. Una sera d'inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica. Apri gli occhi e vide un ragazzo. Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda:
"Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà mai? Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?".
"Amo i miei simili" rispose il narratore. "Per questo mi è venuto voglia di renderli felici". Il ragazzo ghignò: "Povero pazzo, lo sono diventati?".
"No" rispose il narratore, scuotendo la testa.
"Perché ti ostini allora?" domandò il ragazzo preso da una improvvisa compassione.
"Continuo a raccontare. E racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo". Tacque, poi il suo sguardo si illuminò.
E disse ancora: "Oggi racconto perché il mondo non cambi me".
"Dio è dentro il nostro cuore per dirti che devi essere bravo" scrive una bambina nel quaderno di catechismo. La catechista le domanda: "E se una bambina non lo ascolta?". La bambina sgrana gli occhi e risponde tranquilla: "Oh, lui ripete".
Per questo ostinatamente, nonostante tutto, anche Dio continua a raccontare la sua storia.
C'era una volta un Piccolo Re Mago. Era «piccolo» soprattutto perché erano già trascorsi duemila anni dalla fantastica notte in cui i tre Re Magi avevano seguito la Stella fino alla grotta di Betlemme, per onorare il Bambino Gesù. E, com'è comprensibile, in tutto questo tempo i Re Magi erano andati un po' in disuso. Sulla Terra, però, per uno di quei fatti che pochi sanno e nessuno riesce a spiegare, era sempre esistito qualche Re Mago. E, ogni anno, c'era un Re Mago di turno. A lui appariva la Stella che doveva guidarlo a testimoniare il mistero del Natale, proprio come, duemila anni prima, aveva guidato i suoi tre famosi antenati a Betlemme. Era un compito molto importante e il nostro Piccolo Re aspettava con comprensibile impazienza l'avvicinarsi del Natale. Il 1990 era il suo turno: la Stella sarebbe apparsa proprio a lui per guidarlo a fare da testimone al prodigioso rinnovarsi del vero Natale.
Nel cuore del nostro Piccolo Re batteva tuttavia anche un po' di paura. Da tempo la Stella doveva aprirsi la rotta in mezzo a centinaia di satelliti, astronavi e aeroplani disseminati in cielo. Nel 1987 la Stella era stata addirittura disintegrata da un satellite da combattimento russo che l'aveva presa per un disco volante aggressore.
Negli ultimi anni, anche i Re Magi di turno avevano avuto grosse complicazioni. Nel 1988, il Re che seguiva la Stella si era perso in un colossale ingorgo stradale nelle vicinanze della città di New York. Era riuscito a districarsi solo il 31 dicembre.
Nel 1989, il Re di turno era stato catturato come ostaggio da una banda di guerriglieri libanesi e, nonostante lacrime e suppliche, non era riuscito a farsi liberare in tempo per seguire la Stella.
È comprensibile allora l'ansiosa attesa che viveva il nostro Piccolo Re.
Un' automobile piccolina
Passò le notti gelide di fine novembre a scrutare il cielo. Gli occhi gli bruciavano. Ogni tanto l'improvviso apparire di qualche luce sfolgorante nel velluto scuro del cielo gli dava il batticuore: il più delle volte erano solo gli aerei che atterravano nel vicino aeroporto o qualche jet militare.
Naturalmente il Piccolo Re aveva preparato il suo dono. Perché i Re Magi, a Natale, non ricevono ma portano un dono particolare. Il dono del piccolo Re era uno stupendo fiammeggiante rubino, rosso come il sangue e come il fuoco.
Spesso l'alba sorprendeva il Piccolo Re ancora sveglio a guardare il cielo. Aveva giusto il tempo di lavarsi e partire per l'ufficio. Era un Piccolo Re e quindi doveva lavorare per vivere. Il suo capufficio era quanto mai severo e non gli lasciava certo il tempo di dormire in ufficio.
Finalmente, una terza notte di dicembre, la Stella arrivò.
Sfolgorò vivissima. Al Piccolo Re, che era al colmo della felicità, pareva di poterla toccare allungando un braccio. L'invito della Stella era perentorio. Il Piccolo Re corse a prendere il dono che aveva accuratamente impacchettato, tirò fuori dal garage la sua automobile piccolina e partì dietro alla Stella, che incedeva nel cielo come una principessa con uno strascico di luce.
Tutte le altre stelle scoppiarono in un improvviso applauso. Almeno così parve al Piccolo Re.
«Sarò l'unico a vedere la Stella?», si chiedeva. Poi pensò, che probabilmente tutti avrebbero potuto vederla, ma oggi la gente ha una gran fretta e poco tempo e poca voglia di guardar le stelle.
Semafori, carri armati e maschere antigas
La Stella fendeva il cielo velocemente. Lassù il traffico, tutto sommato, era ridotto. Sulla sua minuscola automobile il Piccolo Re aveva molte difficoltà in più. Le strade avevano curve, doveva badare ai semafori, alle precedenze, ai sensi unici, alle altre automobili e ai pedoni che attraversavano.
«Vorrei vedere i miei tre antenati al mio posto», brontolava il Piccolo Re. «Per loro, seguire la Stella sui cammelli nel deserto è stato uno scherzetto».
Al quarto semaforo, il Piccolo Re perse di vista la Stella. Si sporse più che poteva dal finestrino cercando di ritrovare la sua guida luminosa.
«Che aspetti, babbeo? Non diventa più verde di così!», sentì gridare alle sue spalle.
«Parti o non parti?», sbraitò un'altra voce, mentre si alzava il clamore dei clacson.
«Mi dispiace», disse il Piccolo Re, «ma devo seguire la Stella».
«Ubriacone!» .
«Al diavolo tu e la tua stella!», gridarono gli altri.
Il Piccolo Re si scusò ancora e pigiò sull'acceleratore. Sobbalzando la macchinetta ripartì.
Dopo qualche chilometro, il Piccolo Re ritrovò la Stella e il viaggio riprese. Attraversarono paesi, città, fiumi, deserti. Il Piccolo Re non conosceva più il giorno o la notte, il riposo, la fame. Troppo grande era la gioia di compiere la sua missione.
Un brutto giorno l'automobile fece un ultimo balzo, tentò invano un' accelerata e con un disperato cigolio esalò l'ultimo colpo di scappamento. Il Piccolo Re lasciò la sua macchina sul ciglio della strada e proseguì a piedi. Tenne dietro per un attimo alla Stella, ma l'astro scintillante solcava troppo rapido il cielo. Il Piccolo Re, con un sospiro, vide la Stella sparire all'orizzonte. Nemmeno questa volta si perse di coraggio. Cominciò a cercare la Stella. Si trovò in un paese strano dove tutti avevano paura. Molti portavano sul volto maschere antigas. Per le strade circolavano sferragliando i carri armati e rapidi come lampi gli aerei militari sfrecciavano in cielo. «Avete visto una Stella più luminosa delle altre?», chiedeva il Piccolo Re ai rari passanti.
«Noi non possiamo più guardare le stelle», rispondevano.
Di notte, in quel paese, potenti riflettori scandagliavano il cielo, la gente si chiudeva in casa o nei rifugi antiaerei. Nessuno si fermava a guardare il cielo.
Le stelle finte
Il Piccolo Re continuò a camminare attraversando paesi e città. A tutte le persone che incontrava chiedeva: «Avete visto una grande e splendida Stella?». Quasi tutti scuotevano la testa o ridevano di lui. Un tale dall'aria indaffarata gli diede un euro.
Sentì due uomini che parlavano animatamente di una «stella» e li interrogò, pieno di speranza. Fu una delusione: la «stella» di cui parlavano quegli uomini era un' attrice del cinema.
Il Piccolo Re continuava a interrogare la gente: «Avete visto una grande Stella?».
«Se vuoi ti do una martellata e così vedrai tutte le stelle che vuoi!», rispondevano gli spiritosi.
«Qui alle stelle vanno solo i prezzi!», dicevano gli arrabbiati.
«Non t'accorgi che qui è pieno di stelle?», sbottò un, altro. Il Piccolo Re si guardò intorno e vide che effettivamente c'erano stelle di plastica e di cristallo che occhieggiavano dalle vetrine, c'erano stelle luminose appese a festoni sulle strade, c'erano stelle perfino sui salami e sulle bevande gasate, graziosissime stelle multicolori brillavano sugli abeti. Si era dimenticato che la gente festeggia il Natale con le stelle finte, perché non è più capace di trovare quelle vere.
In un negozio vide dei bambini che compravano le statuine per fare il presepio. «Avete visto una grande stella, bambini?».
«Sì», disse un piccolino. «È là nello scaffale più alto. Costa 5 euro!».
«Ma io parlavo di una Stella vera, la Stella di Natale!». «Quella non serve per fare il presepio» disse una bambina.
«Ma perché fate il presepio?», insistette il Piccolo Re. «Per vincere il concorso della parrocchia!» dissero in coro i bambini.
Il Piccolo Re uscì dalle città e si mise a camminare per la campagna, dove il cielo non era velato dalle troppe luci e le stelle vere erano ben visibili. Camminò e camminò. Una sera di pioggia e neve scorse una luce ai bordi di un folto bosco. Si diresse da quella parte. Era mortalmente stanco e ogni passo gli costava una fatica terribile. La luce filtrava da una casetta di pietra e di legno. Il Piccolo Re bussò. All'uomo che venne ad aprirgli chiese un po' di ospitalità. «Entra», gli rispose con tono gentile.
Il Piccolo Re ringraziò: aveva davvero bisogno di riposare e rifocillarsi.
L'uomo lo servì in silenzio: gli portò degli abiti asciutti, del buon pane, una tazza di brodo fumante. «Vedi», disse ad un tratto il Piccolo Re, «devo assolutamente trovare la mia Stella. Sono il testimone del Natale e mancano ormai pochi giorni».
L'uomo sorrise tristemente.
«Anch'io un tempo cercavo la Stella», sospirò amaramente. «Ora non più. Non serve a niente. Dimenticala: non vale la pena. Il cielo non si interessa affatto di noi. Non c'è speranza quaggiù...».
Il Piccolo Re scattò in piedi.
«No. Troverò la Stella!».
Ringraziò e ripartì. Appena fuori fu avvolto da una luce sfolgorante. La Stella era là che lo attendeva. Aveva squarciato il cielo, prima carico di nuvole. Il Piccolo Re ritrovò tutte le sue forze, mentre una calda felicità lo inondava da capo a piedi. Ora sapeva che avrebbe portato a termine la sua missione. La Stella era tornata a prenderlo e non l'avrebbe abbandonato più.
Due bambini e un panino
La Stella guidò il Piccolo Re fino alla periferia di una città. «Andrà a fermarsi sulla cattedrale», pensava il Piccolo Re.
Invece la Stella si fermò su un palazzo della periferia. Un caseggiato popolare uguale a tanti altri, con i balconi in fila e le antenne della TV a sghimbescio sul tetto.
«Il Natale è qui», si disse il Piccolo Re. «In fondo, anche la prima volta il posto non era un granché». Strinse al petto il pacchetto con il prezioso rubino ed entrò nel portone centrale. Si fermò nel piccolo atrio da cui iniziava la scala e aspettò il segnale della Stella.
«Ti odio! Non ti parlerò mai più!».
Una bambina sbatté la porta del primo piano proprio in quel momento e si accoccolò su un gradino della scala. Aveva un gran broncio e tanta voglia di piangere. Poco dopo la porta si riaprì piano piano. Ne uscì un bambino con un grosso panino in mano. Dopo un attimo di incertezza, il bambino si sedette accanto alla bambina.
Passò un istante. Il silenzio era profondo. Nell'atrio il Piccolo Re aspettava trattenendo il respiro.
«Elena», disse il bambino, «devi perdonarmi». La bambina scosse la testa: «No, non posso!».
«Hai sentito quello che ha detto la catechista: non devi mettere lo sbarramento! Domani è Natale e tutto l'amore di Gesù si riverserà nel cuore degli uomini che non mettono lo sbarramento. Se tu metti uno sbarramento Gesù è infelice e anche tu. Andiamo insieme a Messa di mezzanotte?».
La bambina alzò la testa e sorrise: «Va bene. Non ho più lo sbarramento».
«Vuoi metà del mio panino?», propose il bambino. «SÌ».
In quel momento la Stella diede il segnale. Il Piccolo Re si avvicinò ai due bambini.
«Grazie a voi, anche quest'anno è Natale», disse sorridendo. I bambini lo guardarono incuriositi.
Il Piccolo Re porse ai due piccoli il pacchetto con il suo prezioso dono. La bambina si affrettò ad aprirlo. «Ma è bellissimo!», disse, quando vide il rubino con la sua aureola di luce.
«È vostro», aggiunse il Re. «Potete farne quello che volete».
«Lo cambierò con una figurina di Del Piero», disse il bambino.
«Certo. È una buona idea», sorrise il Piccolo Re.
Da una finestra, per la prima volta in duemila anni, la Stella fece l'occhiolino.
Io vado avanti come un asino...
sì, proprio come quell'animale che un dizionario biblico così descrive:
"L'asino della Palestina è molto vigoroso, sopporta il caldo, si nutre di cardi; ha una forma di zoccoli che rende molto sicuro il suo incedere, costa poco mantenerlo. I suoi soli difetti sono la caparbietà e la pigrizia".
Io vado avanti come quell'asino
di Gerusalemme,
che, in quel giorno della festa degli ulivi,
divenne la cavalcatura regale e pacifica del Messia.
Io non sono sapiente,
ma una cosa so: so di portare Cristo
sulle mie spalle
e la cosa mi rende più orgoglioso
di essere borgognone o basco.
Io lo porto, ma è lui che mi guida:
io credo in lui, lui mi guida verso il suo regno.
Chissà quante volte si sente sballottato il mio Signore,
quando inciampo contro una pietra!
Ma lui non mi rinfaccia mai niente.
É così bello percepire
quanto sia buono e generoso con me:
mi lascia il tempo di salutare
l'incantevole asina di Balaan,
di sognare davanti a un campo di spighe,
di dimenticarmi persino di portarlo.
Io vado avanti in silenzio.
É strano quanto ci si capisca
anche senza parlare!
La sua sola parola, che io ho ben capito,
sembra essere stata detta apposta per me:
"Il mio giogo è facile da sopportare
e il mio passo leggero" (Mt 11,30).
Fede d'animale,
come quando una notte di Natale,
allegramente portavo sua Madre verso Betlemme.
Io vado avanti nella gioia.
Quando voglio cantare le sue lodi,
io faccio un baccano del diavolo,
io canto stonato.
Lui allora ride,
ride di cuore
e il suo riso trasforma
le strettoie del mio vecchio cammino
in una pista da ballo e i miei pesanti zoccoli
in sandali alati.
Io vado avanti come un asino
che porta Cristo sulle sue spalle.
Una volta, in una piccola città, uguale a tante altre, cominciarono a succedere dei fatti strani.
I bambini dimenticavano di fare i compiti, i grandi si dimenticavano di togliersi le scarpe prima di andare a dormire, nessuno si salutava più.
Le porte della chiesa rimanevano chiuse. Le campane non suonavano più. Nessuno sapeva più le preghiere. Un lunedì mattina, però, un maestro domandò ai suoi alunni: "Perché ieri non siete venuti a scuola?"
"Ma ieri era domenica!" risposero gli scolari, "La domenica non c'è scuola".
"Perché?", chiese il maestro.
Gli alunni non seppero che cosa rispondere.
Si avvicinava il Natale. "Perché suonano questa musica dolce?". "Perché sull'albero ci sono le candele?".
Nessuno lo sapeva. Due amici avevano litigato: si erano insultati fino a diventare rauchi. "Ora non ho più nessun amico", pensava tristemente uno di loro il giorno dopo. E non sapeva che cosa fare.
La piccola città si faceva sempre più grigia e triste. La gente diventava ogni giorno più egoista e litigiosa. "Ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa", ripetevano tutti.
Un giorno soffiava un forte vento tra i tetti, così forte da smuovere le campane della chiesa.
La campana più piccola suonò. Improvvisamente la gente si fermò e guardò in alto. E un uomo per tutti esclamò: "Ecco che cosa abbiamo dimenticato: Dio!".
Se c'è speranza in questo mondo è solo perché risuona ancora il nome di Dio. Milioni e milioni di persone gettano su questo nome le gioie e le paure della propri a esistenza. É l'unico nome che porta su di sé il peso dell'umanità e che dà un senso a tutto.
Anche per questo non possiamo rinunciare a pronunciarlo con rispetto e fiducia.
In un villaggio islamico del Libano un piccolo gruppo di persone divenne cristiano. Immediatamente si chiusero per loro tutte le porte della comunità. Gli uomini non potevano più stare con gli altri uomini in piazza a fumare e chiacchierare, le donne non po più attingere acqua alla fontana del villaggio. I nuovi cristiani furono costretti a scavarsi una fon per conto loro.
Un giorno la fontana del villaggio si inaridì e seccò. Allora i cristiani invitarono i loro compaesani a venire ad attingere acqua alla loro fontana. Fecero di più: sulle loro case appesero un piccolo cartello che diceva: «Qui abitano dei cristiani». Ciascuno sapeva così che in quella casa avrebbe trovato un aiuto e una mano tesa.
«Infine, fratelli, ci sia perfetta concordia tra voi: abbiate compassione, amore e misericordia gli uni verso gli altri. Siate umili. Non fate il male a chi vi fa del male, non rispondete con insulti a chi vi insulta al contrario, rispondete con buone parole, peré anche Dio vi ha chiamati a ricevere le sue bene Siate sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi» (I lettera di Pietro 3,8-15).
Era un uomo povero e semplice. La sera, dopo una giornata di duro lavoro, rientrava a casa spossato e pieno di malumore. Guardava con astio la gente che passava in automobile o quelli seduti ai tavolini del bar.
"Quelli sì che stanno bene", brontolava l'uomo, pigiato nel tram, come un grappolo d'uva nel torchio. "Non sanno cosa vuol dire tribolare... Tutte rose e fiori, per loro. Avessero la mia croce da portare!".
Il Signore aveva sempre ascoltato con molta pazienza i lamenti dell'uomo. E, una sera, lo aspettò sulla porta di casa.
"Ah, sei tu, Signore?" disse l'uomo, quando lo vide. "Non provare a rabbonirmi. Lo sai bene quant'è pesante la croce che mi hai imposto". L'uomo era più imbronciato che mai.
Il Signore gli sorrise bonariamente. "Vieni con me. Ti darò la possibilità di fare un'altra scelta", disse.
L'uomo si trovò all'improvviso dentro una enorme grotta azzurra. L'architettura era divina. Ed era tempestata di croci: piccole, grandi, tempestate di gemme, lisce, contorte.
"Sono le croci degli uomini", disse il Signore, "scegline una". L'uomo buttò con malagrazia la sua croce in un angolo e, fregandosi le mani, cominciò la cernita.
Provò una croce leggerina. ma era lunga e ingombrante. Si mise al collo una croce da vescovo, ma era incredibilmente pesante di responsabilità e sacrificio.
Un'altra, liscia e graziosa in apparenza, appena fu sulle spalle dell'uomo cominciò a pungere come se fosse piena di chiodi.
Afferrò una croce d'argento, che mandava bagliori, ma si sentì invadere da una straziante sensazione di solitudine e abbandono. La posò subito. Provò e riprovò, ma ogni croce aveva qualche difetto.
Finalmente, in un angolo semibuio, scovò una piccola croce, un po' logorata dall'uso. Non era troppo pesante, né troppo ingombrante. Sembrava fatta apposta per lui. L'uomo se la mise sulle spalle con aria trionfante. "Prendo questa!", esclamò. Ed uscì dalla grotta.
Il Signore gli rivolse il suo sguardo dolce. E in quell'istante l'uomo si accorse che aveva ripreso proprio la sua vecchia croce: quella che aveva buttato via entrando nella grotta. E che portava da tutta la vita.
"Come in un sogno mattutino, la vita si fa sempre più luminosa a mano a mano che la viviamo, e la ragione di ogni cosa appare finalmente chiara" (Ricther).
Una donna riteneva che Dio le apparisse in visione. Andò quindi a consigliarsi dal proprio vescovo. Il buon presule le fece la seguente raccomandazione: «Cara signora, lei forse sta credendo a delle illusioni. Deve capire che in qualità di vescovo della Diocesi sono io che posso decidere se le sue visioni sono vere o false».
«Certo, Eccellenza».
«Questa è una mia responsabilità, un mio dovere».
«Perfetto, Eccellenza».
«Allora, cara signora, faccia quello che le ordino».
«Lo farò, Eccellenza».
«La prossima volta in cui Dio le apparirà, come lei sostiene, lo sottoponga a una prova per sapere se è realmente Dio».
«D'accordo, Eccellenza. Ma qual è la prova?».
«Dica a Dio: "Rivelami, per favore, i peccati personali e privati del signor vescovo". Se è davvero Dio ad apparirle, costui le rivelerà i miei peccati. Poi, torni qui e mi racconti cosa avrà risposto; a me, e a nessun altro. D'accordo?».
«Farò proprio così, Eccellenza».
Un mese dopo, la signora chiese di essere ricevuta dal vescovo, che le domandò: «Le è apparso di nuovo Dio?».
«Credo di sì, Eccellenza».
«Gli ha chiesto quello che le ho ordinato?».
«Certo, Eccellenza!».
«E cosa le ha risposto Dio?».
«Mi ha detto: "Dì al vescovo che i suoi peccati io li ho dimenticati"».
«Dio è più grande del nostro cuore» (1 Giovanni 3,20).
La predica migliore sei tu.
"Vediamo: tu reciti le preghiere alla sera?".
"Certo".
"E anche al mattino?".
"No!".
"Perché?".
"Di giorno non ho mica paura".
Una volta gli animali fecero una riunione.
La volpe chiese allo scoiattolo: "Che cosa è per te Natale?"
Lo scoiattolo rispose: "Per me è un bell'albero con tante luci e tanti dolci da sgranocchiare appesi ai rami".
La volpe continuò: "Per me naturalmente è un fragrante arrosto d'oca. Se non c'è un bell'arrosto d'oca non c'è Natale".
L'orso l'interruppe: "Panettone! Per me Natale è un enorme profumato panettone!".
La gazza intervenne: "Io direi gioielli sfavillanti e gingilli luccicanti. Il Natale è una cosa brillante!".
Anche il bue volle dire la sua: "É lo spumante che fa il Natale! Me ne scolerei anche un paio di bottiglie".
L'asino prese la parola con foga: "Bue sei impazzito? É il Bambino Gesù la cosa più importante del Natale. Te lo sei dimenticato?".
Vergognandosi, il bue abbassò la grossa testa e disse: "Ma questo gli uomini lo sanno?".
Solo l'asino conosce la risposta giusta alla domanda fondamentale: «Ma che cosa si festeggia a Natale?».
Anche noi oggi vogliamo chiederci: "Qual è l'elemento essenziale del Natale?" Proviamo a dire il nostro parere.
*La vecchietta che aspettava Dio
C'era una volta un'anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.
Dopo un po', qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!". E sbatté la porta in faccia alla mortificata vicina.
Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!". E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.
Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.
"Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.
La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto. Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto".
La vita di ognuno di noi è intessuta di attese. Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo. Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo 'stato' fondamentale nella vita del cristiano: il tempo dell'Avvento. La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente... è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.
Era una giovane timida, silenziosa e riservata.
Non aveva più paura. Predicava nelle città e nei villaggi.
"Dimmi, qual è il segreto del tuo coraggio?".
"L'umiltà. Così mi ha insegnato il Maestro".
"E a che cosa serve l'umiltà?".
"A dire per prima: Ti voglio bene!".
L'atrio della Maximus Inc. era grande come una cattedrale, tutto luccichii e bagliori. La società era padrona di mezzo mondo e si vedeva. Mister Liddel, il presidente della Maximus, arrivò con cinque minuti di anticipo.
Quello era un grande giorno: la società avrebbe incamerato una mezza dozzina di banche e sette grandi industrie internaziona più quasi tutta la terra di un paese africano che non sapeva come pagare i suoi debiti.
Mister Liddel gongolava: era tutto merito delle sue abilissime manovre.
Il suo sguardo di purissimo acciaio, che faceva tremare reggimenti di funzionari, spaziò per l'atrio e incrociò, in un angolo, il panchetto di un lustra Era un vecchio negro dall'aria dimessa, con gli stracci sfilacciati, le spazzole consumate, le mani macchiate di lucido. Mister Liddel non l'aveva mai visto, ma c'erano cinque minuti e poteva farsi dare una ripassatina alle favolose scarpe da 650 dollari che portava ai piedi.
Il vecchio negro lavorò con grande abilità.
Dopo tre minuti le scarpe brillavano al punto che era un piacere guardarle. Mister Liddel allungò all'uomo un dollaro, meccanicamente, ma incontrò il suo sguardo Uno sguardo strano, profondo, con una luce bo e divertita che gli scintillava dentro. Il fatto buffo e incredibile cominciò quando Mister Liddel si alzò dal panchetto. Le scarpe partirono come razzi, «por» Mister Liddel fuori dall'atrio.
I due portieri. sbalorditi, lo videro attraversare la strada come se volesse correre la maratona di New York. E fu una maratona ben strana, quella di Mister Liddel. Le scarpe lo portarono davanti ad un povero ragazzo senza gambe che chiedeva l'elemosina all'an della 59a strada e non si mossero finché Mister Liddel non vuotò tutto il contenuto del portafoglio nelle mani dell'esterrefatto ragazzo, poi si diressero verso quartieri pieni di povere stanze e gente che soffriva (Mister Liddel non aveva mai saputo che esistevano), lo costrinsero a vedere lacrime e solitudini, miserie fisiche, infamie, abbandoni... Dopo alcune ore, Mister Liddel era spossato e sconvolto. Si sentiva un altro.
Era come se avesse rotto un guscio di pietra che lo imprigionava e stesse guardando la gente per la prima volta. Verso sera le scarpe fecero una cosa inaudita: portarono Mister Lid in una chiesa.
L'ultima volta c'era andato da bam La chiesa era buia, brillava solo un lumino rosso Mister Liddel si ricordò di uno sguardo profondo con una luce che gli scintillava dentro.
Si sentì felice come non era mai stato e improvvisamente capì. Dopo, le sue scarpe ridiventarono normali.
Entrò nell'atrio della società che era ormai sera.
Chiese: "Avete visto dov'è andato quel lustrascarpe negro?" "Non c'è mai stato nessun lustrascarpe negro, qui, signore", risposero. Lo sospettava. D'altra parte, chi avrebbe mai cre che Dio era negro e faceva il lustrascarpe a Man
Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di Dio che, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.
Mentre camminava lentamente per una strada isolata, incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere.
"Per chi cammini, tu?", chiese il rabbino, incuriosito.
Il guardiano disse il nome del suo padrone. Poi, subito dopo, chiese al rabbino: "E tu, per chi cammini?".
Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.
E tu, per chi cammini? Per chi sono tutti i passi e gli affanni di questa giornata? Per chi vivi?
Puoi vivere solo per qualcuno. Ad ogni passo, oggi, ripeti il suo nome. Mai avrai avuto una giornata così leggera.
Un giovane e ambizioso cavaliere era noto per la vita dissoluta e sfrenata. Un buon frate cercò di farlo riflettere sui rischi che avrebbe corso presentandosi con l'anima così carica di peccati all'ultimo giudizio del Signore. "Non ho nessuna paura" rispose sprezzante il cavaliere. "So che il Signore è buono e misericordioso. Poco prima di morire pronuncerò tre prole che mi garantiranno la salvezza eterna. Dirò: Gesù, pietà, perdonami". Il frate scosse la testa e il cavaliere, ridendo, riprese la sua vita depravata. Un giorno, durante un terribile temporale, cavalcava a spron battuto sulle rive di un fiume gonfio d'acqua. Non voleva mancare ad una festa. Un fulmine spaventò il cavallo che lo disarcionò e lo fece piombare nella violenta corrente del fiume. Le ultime tre parole del cavaliere, prima di morire, furono: "Crepa bestiaccia infame!".
Figlio di una ragazza madre, era nato in un oscuro villaggio. Crebbe in un altro villaggio, dove lavorò come falegname fino a trent'anni. Poi, per tre anni, girò la sua terra predicando.
Non scrisse mai un libro.
Non ottenne mai una carica pubblica.
Non ebbe mai né una famiglia né una casa.
Non frequentò l'università.
Non si allontanò più di trecento chilometri da dov'era nato.
Non fece nessuna di quelle cose che di solito si associano al successo.
Non aveva altre credenziali che se stesso.
Aveva solo trentatré anni quando l'opinione pubblica gli si rivoltò contro. I suoi amici fuggirono. Fu venduto ai suoi nemici e subì un processo che era una farsa. Fu inchiodato a una croce, in mezzo a due ladri.
Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocavano a dadi le sue vesti, che erano l'unica proprietà che avesse in terra. Quando morì venne deposto in un sepolcro messo a disposizione da un amico mosso a pietà.
Due giorni dopo, quel sepolcro era vuoto.
Sono trascorsi venti secoli e oggi egli è la figura centrale nella storia dell'umanità.
Neppure gli eserciti che hanno marciato, le flotte che sono salpate, i parlamenti che si sono riuniti, i re che hanno regnato, i pensatori e gli scienziati messi tutti assieme, hanno cambiato la vita dell'uomo sulla terra quanto quest'unica vita solitaria.
Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza. Si celebrava il primo viaggio spaziale. Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin. Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare in cielo: Dio proprio non l'aveva visto. Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione. Il salone era gremito di gente. La riunione era ormai alla fine.
"Ci sono delle domande?".
Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente: "Christòs ànesti", "Cristo è risorto". Il suo vicino ripeté, un po' più forte: "Christòs ànesti". Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora. Infine tutti si alzarono gridando: "Christòs ànesti", "Cristo è risorto".
Il commissario si ritirò confuso e sconfitto.
Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c'è un fatto. Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo: "Christòs ànesti". Tutto il cristianesimo vi è condensato. Un fatto: non si può niente contro di esso.
I filosofi possono disinteressarsi del fatto. Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all'umanità: "Gesù è risorto".
Un giorno un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, tutti noi sappiamo che tu vieni da Dio e insegni la via della verità. Ma devo proprio dirti che i tuoi seguaci, quelli che chiami i tuoi apostoli o la tua comunità, non mi piacciono per niente.
Ho notato che non si distinguono molto dagli altri uomini. Ultimamente ho fatto una solenne litigata con uno di essi. E poi, lo sanno tutti che i tuoi discepoli non vanno sempre d'amore e d'accordo.
Ne conosco uno che fa certi traffici poco puliti... Voglio perciò farti una domanda molto franca: è possibile essere dei tuoi senza avere niente a che fare con i tuoi cosiddetti apostoli?
Io vorrei seguirti ed essere cristiano (se mi passi la parola), ma senza la comunità, senza la Chiesa, senza tutti questi apostoli!». Gesù lo guardò con dolcezza e attenzione.
«Ascolta», gli disse «ti racconterò una storia: C'erano una volta alcuni uomini che si erano seduti a chiacchierare insieme. Quando la notte li coprì con il suo nero manto, fecero una bella catasta di legna e accesero il fuoco.
Se ne stavano seduti ben stretti, mentre il fuoco li scaldava e il bagliore della fiamma illuminava i loro volti. Ma uno di loro, ad un certo punto, non volle più rimanere con gli altri e se ne andò per conto suo, tutto solo. Si prese un tizzone ardente dal falò e andò a sedersi lontano dagli altri. Il suo pezzo di legno in principio brillava e scaldava. Ma non ci volle molto a illanguidire e spegnersi.
L'uomo che sedeva da solo fu inghiottito dall'oscurità e dal gelo della notte.
Ci pensò un momento poi si alzò, prese il suo pezzo di legno e lo riportò nella catasta dei suoi compagni. Il pezzo di legno si riaccese immediatamente e divampò di fuoco nuovo. L'uomo si sedette nuovamente nel cerchio degli altri. Si scaldò e il bagliore della fiamma illuminava il suo volto».
Sorridendo, Gesù aggiunse: «Chi mi appartiene sta vicino al fuoco, insieme ai miei amici. Perché io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e ciò che desidero di più è vederlo divampare».
É proprio questo, la Chiesa: la garanzia di stare vicino al fuoco.