Vai ai contenuti

Santi del 15 gennaio

Il mio Santo > Santi di Gennaio

*Sant'Ableberto (Emeberto) - Vescovo (15 Gennaio)

Martirologio Romano: Ad Ham nel Brabante, nell’odierna Olanda, Sant’Ableberto o Emeberto, Vescovo di Cambrai.
Sembra  certo che Ableberto (più noto col nome di Emeberto) abbia occupato il quinto o il sesto posto dopo San Vedasto  nel seggio vescovile di Cambrai - Arras.
Il suo episcopato si colloca tra il 627 e il 645.
La nostra certezza si limita a quest'unico dato cronologico, fondato sulla concorde testimonianza di tre liste di vescovi redatte nel secolo IX (Gesta pontificum Cameracensiurn, ms. 92 di Boulogne-sur-Mer).
I cataloghi vescovili posteriori (sec. XI) gli danno il titolo di Beato e lo confondono comunemente con Ildeberto, fratello di San Gudula, che i mssionari del IX sec. citano come nono vescovo di Cambrai.
Ableberto  morì forse ad Ham, nel Brabante, suo paese natale, donde il suo corpo sarebbe stato trasferito nella chiesa di Sant'Aldegonda a Maubeuge, nella quale, però, nonostante i  tentativi fatti nel sec. XVII, non fu mai ritrovato.
La sua festa è ancora celebrata nel Proprium della diocesi di Cambrai il 21 febbraio, mentre negli Acta Sanctorum è collocata al 15 gennaio.  

(Autore: René Wasselynck – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ableberto, pregate per noi.

*Beato Angelo da Gualdo Tadino - Eremita (15 Gennaio)

Martirologio Romano: In territorio di Gualdo Tadino sempre in Umbria, Beato Angelo, Eremita.  
Nato da poveri genitori presso Gualdo Tadino (Perugia) verso il 1270, all'età di sedici anni entrò nel monastero  camaldolese di San Benedetto di Gualdo, in qualità di converso. Più tardi, verso il 1300, ottenuto il permesso del suo abate, si ritirò a far vita eremitica in una località non lontana dal monastero.
Morì il 15 gennaio del 1325.
Il corpo, con grande concorso di popolo, fu trasportato in città e collocato nella chiesa di San Benedetto, che ora è concattedrale insieme con quella di Nocera Umbra.  

Il culto risale al sec. XIV.
Nel 1343 il vescovo di Nocera, il Beato Alessandro Vincioli, fece collocare le sacre reliquie in una nuova urna di pietra rossa e dedicò al Beato una cappella della chiesa abbaziale.
Il 16 aprile 1443 il vescovo Bolognini gli dedicò un nuovo altare in San Benedetto, esponendo il corpo, chiuso in un'altra urna di legno, alla pubblica venerazione; i lati dell'altare furono affrescati con dipinti che ricordano alcuni miracoli operati dal Beato.
A sua volta il vescovo Giovanni Marcolini, nel 1450, consacrò il piccolo oratorio unito alla cella abitata dal santo eremita.
Il culto di Angelo fu approvato nel 1633 e di nuovo nel 1825. La sua festa liturgica si celebra il 15 gennaio. Angelo è patrono di Gualdo Tadino.  

(Autore: Costanzo Somigli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Angelo da Gualdo Tadino, pregate per noi.

*Sant'Arnoldo Janssen - Fondatore (15 Gennaio)

Goch (Münster - Germania), 5 novembre 1837 - Steyl (Olanda), 15 gennaio 1909
Arnold Janssen, prete e insegnante tedesco, iniziò nel 1873 un'attività di apostolato missionario dapprima fondando un mensile, il "Piccolo Messaggero del Sacro Cuore di Gesù", poi nel 1875 la Società del Verbo Divino (Verbiti).
A causa delle leggi anticattoliche bismarckiane (Kulturkampf) la casa madre sorse a Steyl, in Olanda.
La prima missione fu nella Cina meridionale, ma presto i Verbiti si diffusero in tutti i continenti.
Nacquero anche un ramo femminile, le Serve dello Spirito Santo e uno contemplativo, le Serve dello Spirito  Santo dell'Adorazione perpetua.
«Dinanzi alla luce del Verbo e allo Spirito della grazia recedano le tenebre del peccato e la notte del paganesimo.
E il Cuore di Gesù viva nel cuore degli uomini», è la preghiera che il fondatore faceva recitare al termine di ogni riunione.
Janssen - morto a Steyl nel 1909 a 72 anni - è stato canonizzato il 5
ottobre 2003 insieme a uno dei primi Verbiti, l'altoatesino Josef Freinademetz, morto in Cina 13 giorni dopo di lui, e a Daniele Comboni. (Avvenire)
Etimologia: Arnoldo = potente come aquila, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: Nel villaggio di Steyl in Olanda, Sant’Arnoldo Janssen, sacerdote, che fondò la Società del Verbo Divino per diffondere la fede nelle missioni.
Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato il 5 ottobre 2003, in Piazza S. Pietro in Roma, tre grandi Santi apostoli missionari del XIX secolo; il vescovo Daniele Comboni, Josef Freinademetz missionario in Cina e Arnold Janssen fondatore di Congregazioni Missionarie, del quale parliamo in questa scheda.
Arnold Janssen nacque il 5 novembre 1837 a Goch (Münster) in Germania, secondogenito degli undici figli di Gerardo Janssen e Anna Caterina Wellesen, genitori di profonda fede cattolica.
Studiò nel collegio vescovile agostiniano di Gaesdonk, nel collegio Borromeo di Münster e all’Università di Bonn; nel 1859 entrò nel seminario maggiore di Münster e il 15 agosto del 1861 fu ordinato sacerdote.
Iniziò il suo apostolato come insegnante nella scuola secondaria di Bocholt dove fu maestro esigente ma giusto; essendo molto devoto al Sacro Cuore di Gesù, venne nominato direttore diocesano dell’Apostolato della Preghiera, dove ebbe l’opportunità di contattare anche cristiani di altre confessioni; nell’ottobre 1873 accettò l’incarico di rettore del convento delle Orsoline in Kempen, che gli lasciava abbastanza tempo libero per le altre attività di apostolato.
Man mano maturava in lui la convinzione che la Chiesa tedesca doveva prendere coscienza della propria  responsabilità missionaria, cioè andare incontro alle necessità spirituali delle persone oltre i confini delle proprie diocesi, nel contesto della missione universale della Chiesa.
Nel 1873 lasciò l’insegnamento e fondò un periodico mensile il cui primo numero uscì nel gennaio 1874 con il titolo di “Piccolo Messaggero del Cuore di Gesù” per informare i fedeli sui bisogni delle missioni in patria e all’estero.
In quegli anni la Germania attraversava un periodo di contrapposizioni tra il governo, che voleva mettere tutti gli aspetti ecclesiastici sotto il dominio del potere civile e la Chiesa tedesca che si opponeva, ciò portò all’espulsione e anche alla prigionia di sacerdoti e vescovi, subendo le leggi anti-cattoliche derivanti dalla “Kulturkampf” (lotta per la cultura) di Bismarck.
Arnold Janssen pensò che questi sacerdoti potessero essere inviati in missione o perlomeno aiutare nella formazione di missionari, tenendo presente che in Germania mancava un Centro che avesse questo scopo.
Il tempo passava e nessuno prendeva quest’iniziativa, allora Arnold Janssen consigliato e sostenuto dal vescovo di Hong-Kong mons. Raimondi e dal parroco von Essen dalle idee missionarie, capì che la persona adatta era proprio lui e che il Signore lo chiamava a quest’opera, avvalendosi anche del periodico che dirigeva e pubblicava, con il quale prese a raccogliere fondi monetari.
Non potendo fondare una Congregazione in Germania a causa della “Kulturkampf” in vigore, si spostò in Olanda, accolto benevolmente dal parroco di Tegelen e con l’approvazione del vescovo di
Roermond; il 16 giugno 1875 acquistò a Steyl una casa, che divenne il centro della nuova fondazione della Congregazione del Verbo Divino, inaugurata l’8 settembre 1875, così iniziò la formazione dei missionari.
Gli edifici si moltiplicarono e nel mezzo sorse la chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, inoltre si mise in moto la tipografia missionaria, che stampava migliaia di copie del “Piccolo Messaggero del Cuore di Gesù” ed il “Calendario di S. Michele” per la propaganda missionaria.
Nel 1878 entrarono i primi tre fratelli laici e il 2 marzo 1879 partirono i primi due missionari per la Cina, G. B.  Anzer e Josef Freinademetz (1852-1909) della diocesi di Bressanone, che come detto all’inizio, quest’ultimo sarà canonizzato insieme al fondatore.
Iniziò con l’attività missionaria dei ‘Verbiti’ nello Shantung meridionale, prima missione della nuova Congregazione “Società del Verbo Divino”, approvata prima dal vescovo di Roermond e poi dalla Santa Sede il 25 gennaio 1901.
Intanto la Congregazione cresceva con gran numero di fratelli collaboratori (non previsti inizialmente) e di studenti aspiranti missionari; nel 1885 Arnold Janssen fu nominato primo Superiore generale.
Sorsero nuove Case: il Collegio di S. Raffaele a Roma nel 1888 per preparare gli insegnanti della Società; S. Gabriele a Mödling presso Vienna nel 1889; S. Croce in Slesia nel 1892; S. Vendelino nella Saar (1898); S. Ruperto a Biscofshofen presso Salisburgo nel 1906; e a Techny (Chicago).
Fra i volontari che aiutavano nelle Case, vi erano parecchie donne, che dopo un certo tempo al servizio della Società del Verbo Divino, espressero il desiderio di diventare delle religiose consacrate; allora padre Arnold Janssen, convinto dell’importanza della donna nelle terre di missione, fondò l’8 dicembre 1889 la Congregazione delle “Serve dello Spirito Santo”, la cui Regola venne approvata nel 1893 dal vescovo di Roermond; le prime suore partirono per l’Argentina nel 1895.
Il fervoroso fondatore non si fermò qui; affinché l’attività missionaria fosse sostenuta dalla preghiera di anime consacrate a tale scopo, scelse alcune suore adatte e fondò nel 1890 una Congregazione di clausura: le “Serve dello Spirito Santo dell’Adorazione Perpetua” con lo scopo specifico di adorazione ininterrotta al Santissimo Sacramento e la preghiera incessante per la Chiesa e per le altre due Congregazioni missionarie.
Nel venticinquesimo delle fondazioni i membri delle Comunità erano 208 sacerdoti, 549 fratelli, 190 suore, 99  studenti di teologia, 731 studenti delle classi inferiori.
Nel luglio 1907 Papa San Pio X volle dimostrare ad Arnold Janssen la sua personale riconoscenza e quella della Chiesa dicendogli: “ Io ti ringrazio ed ora voglio benedirti, figlio carissimo”.
Nei 34 anni che guidò le sue Opere, le nuove fondazioni si diffusero in Cina, Africa, Nuova Guinea, Giappone, America Latina; insistette che i suoi missionari fossero educati nelle scienze sociali, in modo che potessero studiare sistematicamente le culture e le lingue di altre nazioni, così da apprezzare la ricchezza culturale della popolazione con la quale dovevano lavorare.
La sua vita fu una permanente ricerca della volontà di Dio, di fiducia nella Divina Provvidenza e di duro lavoro; volle intitolare la sua fondazione al Verbo Divino, memore della predilezione dei pii genitori verso il prologo del Vangelo di S. Giovanni “In principio era il Verbo…”, che veniva recitato ogni sera in famiglia.
Al termine di ogni riunione dei suoi figli volle far recitare questa preghiera: “Dinanzi alla luce del Verbo e alla Spirito della grazia, recedano le tenebre del peccato e la notte del paganesimo. Ed il Cuore di Gesù viva nel cuore degli uomini”.
Come tutti i fondatori anche Arnold Janssen conobbe le difficoltà, che nel suo caso provenivano proprio dai vescovi tedeschi, i quali erano allarmati dall’aumento dei giovani che si votavano all’ideale missionario, confluendo nella “Società del Verbo Divino”, con il pericolo reale della diminuzione delle vocazioni per il clero diocesano.
La sua saggezza e spiritualità riuscì a trovare la mediazione giusta per le necessità ambedue  prioritarie, dell’apostolato interno e di quello missionario, perché la parola di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate!” deve essere eseguita.
Il venerato fondatore morì a Steyl in Olanda il 15 gennaio 1909; la causa per la beatificazione fu introdotta il 10 luglio 1942.  È stato beatificato da Papa Paolo VI il 19 ottobre 1975, insieme al suo primo missionario verbita Josef Freinademetz, morto 13 giorni dopo di lui in Cina, con il quale è stato poi anche canonizzato nel 2003.  

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Arnoldo Janssen, pregate per noi.

*Sant'Arsenio di Reggio Calabria - Eremita (15 Gennaio)
m. 15 gennaio 904
Martirologio Romano:
Ad Armo vicino a Reggio Calabria, Sant’Arsenio, Eremita, che rifulse per la preghiera e per l’austerità di vita.
Le sue vicende sono conosciute attraverso la Vita di Sant’ Elia Speleota, anch'egli di Reggio, il quale ne fu prima discepolo e poi compagno inseparabile fino alla morte.
Arsenio nacque nel primo trentennio del sec. IX e all'età di quindici anni abbracciò le forme del severo ascetismo calabro-greco, che caratterizza la vita monastica del sec. IX in Calabria: amore della solitudine, durezza di vita improntata agli esercizi della mortificazione più estenuante, digiuni e astinenze prolungate, preghiera assidua e contemplazione.  
Contrariamente a quel che si nota nei monaci bizantini coevi, che sono quasi sempre dei laici anacoreti, Arsenio ricevette gli ordini sacerdotali e nel suo ritiro non si allontanò molto dalla propria città. Nella solitudine alternava la preghiera al lavoro manuale, vivendo con i proventi delle proprie fatiche.
Un giovane di nome Elia, sentendosi chiamato alla vita monastica, fu inviato a lui da un santo monaco romano, Ignazio; Arsenio stesso gli recise la chioma, gli fece indossare l'abito della penitenza e se lo tenne con sé fino alla morte come figliuolo carissimo più che come confratello.
Animati da quello spirito d'irrequietezza, che caratterizza l'ascesi calabro-greca del tempo, essi si stabilirono   prima presso la chiesa di S. Lucia di Pendino, a brevissima distanza da Reggio.  
Ma qui, per le pretese di un prete del duomo che aveva usurpato il campicello da essi coltivato per il proprio sostentamento, dovettero ricorrere al tribunale dello stratega bizantino; la petizione, però, si risolse in un'altra ingiustizia, perché lo stratega, richiamato al suo dovere da Elia, reagì violentemente fino a percuotere a sangue il santo monaco.  
Allora, gli predisse la morte imminente, che lo colse dopo tre giorni.
I due monaci, allontanatisi da Santa Lucia di Pendino, si rifugiarono presso la chiesa di S. Eustrazio di Armo, a sud-est di Reggio.
Qui Arsenio fu arricchito del dono di discernimento degli spiriti per cui talora conosciuta, durante la celebrazione della Messa, l'indegnità di qualche anima, la esortava a purificarsi prima di accostarsi alla Mensa Eucaristica.
Tra gli altri, ammonì un ricco mercante di schiavi perché smettesse quel turpe commercio; ma questi, trascurato l'avvertimento, poco dopo morì e la vedova offrì al santo monaco delle elemosine, affinché celebrasse in suffragio dello sposo il Sacrificio. Ma durante la celebrazione, mentre Arsenio stava per pronunziare il  nome del mercante, un angelo gli tirò due volte la veste e gli impose il silenzio.
Egli capì allora che nessun suffragio avrebbe potuto giovare a quell'infelice e, scrupolosamente, restituì alla vedova le elemosine ricevute. Viceversa seppe, per rivelazione, della misericordia usata da Dio all'anima di un povero, per il quale egli aveva celebrato la Messa. Usava, quindi, il santo ripetere ai fedeli che i peccati leggeri sono come la paglia e il fieno, che si distruggono facilmente, mentre quelli mortali sono come il ferro e il piombo, che pesano molto e difficilmente si distruggono.
Mentre Arsenio ed Elia dimoravano ad Armo previdero le incursioni dei Saraceni: essi passarono, perciò, prima in Sicilia e poi in Grecia. Qui dimorarono per otto anni in una torre presso Patrasso, edificando il popolo con l'esempio della loro vita santissima, con la parola ardente e coi frequenti miracoli. Quando si decisero a ritornare in Calabria, il vescovo, il clero e il popolo della città vi si opposero decisamente e il vescovo non si peritò di accusarli di furto e di farli gettare in prigione, pur di impedire il loro allontanamento: essi, però, riuscirono ugualmente a fuggire e a ritornare ad Armo.
Lì ricevettero la visita di un altro austero asceta, Sant’ Elia di Enna, che rivelò al suo omonimo di Reggio i doni  straordinari di cui Dio aveva ornato l'anima di Arsenio: quest'ultimo, poco tempo dopo, sfinito dalle mortificazioni più che dall'età, passò serenamente al Signore e fu sepolto nella chiesa di S. Eustrazio.
Il popolo lo ebbe in gran venerazione e lo acclamò santo. La sua morte avvenne probabilmente il 15 gennaio del 904, cioè dopo due anni dalla caduta di Taormina, che rese gli Arabi padroni di tutta la Sicilia. Meno probabile sembra la data del 928, attestata dal Rodotà; certamente errata quella del 995, ricordata da Domenico Martire, dato che lo Speleota, il quale sopravvisse di molto ad Arsenio, morì nel 960. Elia stesso raccontò ai suoi discepoli che, dopo diversi anni` alla morte di Arsenio, i Saraceni raggiunsero Armo e scoperchiar
ono la sua tomba, sperando di trovarvi un tesoro. Delusi, vollero bruciare il corpo del Santo, ma, prodigiosamente, non riuscirono ad accendere il fuoco.

(Autore: Francesco Russo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Arsenio di Reggio Calabria, pregate per noi.  

*San Bonito di Clermont - Vescovo (15 Gennaio)

Martirologio Romano: A Lione in Francia, transito di San Bonito, vescovo di Clermont-Ferrand, che, da prefetto di Marsiglia fu elevato all’episcopato dopo suo fratello Sant’Avíto; lasciato tale incarico dieci anni più tardi, visse nel cenobio di Manglieu; morì a Lione, di ritorno da un pellegrinaggio a Roma.
Le notizie pervenute intorno a Bonito (Bonet, Bonnet, Bond, Bont) sono riunite in una Vita compilata da un monaco di Manglieu in base a testimonianze oculari fornite dal suo superiore diretto, l'abate Adelfio, incaricato a suo tempo del trasferimento delle reliquie del santo da Lione a Clermont. Bonito nato in Alvernia nel 623 da Teodato e Siagria, ricevette un'educazione pari al suo rango. Apprese il diritto romano sui decreti di Teodosio, «nec non Theodosii edoctus decretis».
Introdotto alla corte di Sigeberto III, re d'Austrasia e di Neustria dal 634 al 656, percorse i vari gradi della carriera amministrativa, divenendo primo coppiere, poi referendario o guardasigilli, con l'incarico di custodire l'anello reale. Durante le guerre civili fra le guarnigioni dei palazzi di Neustria e di Austrasia, succedute alla morte di Sigeberto III, sotto il governo nominale di Tierrico III e la reggenza effettiva di Pipino d'Héristal, Bonito fu nominato patrizio o rettore della prefettura di Marsiglia, la più importante della monarchia franca e retta con particolare regime amministrativo, perpetuato probabilmente dai tempi di Teodorico. Come patrizio Bonito proibì il mercato degli schiavi e riscattò, finché il suo patrimonio e l'appannaggio reale glielo permisero, quelli che erano già stati venduti e introdusse nelle chiese della provincia il culto di san Sidonio Apollinare, vescovo di Clermont.
Quando il fratello Avito, vescovo della stessa città, venne a morte nel 690, Bonito gli succedette, perché Avito l'aveva designato sollecitando l'approvazione di Tierrico e di Pipino (il praeceptum regis de episcopatu), approvazione che, peraltro, giunse di buon grado poiché il candidato era stato «persona grata» al predecessore. La cattedra, ottenuta dalle mani del fratello, cioè con una modalità di trasmissione espressamente condannata dal concilio di Parigi del 614, pure se appoggiata dal clero della diocesi, divenne ben presto per Bonito fonte di scrupoli, che la vicinanza di san Teo, monaco di Solignac e discepolo di sant'Eligio, acuì e rese così intollerabili da spingerlo ad abdicare.
Al ritorno da una visita ad una nipote badessa a Royat, che lo aveva confermato nell'intenzione di abbandonare il seggio, egli designò vescovo, e fece salutare come tale dalla corte, Nordeberto. L'abdicazione, però, non sembra del tutto volontaria, come vorrebbe far credere il biografo, se al momento di morire Bonito sentì la necessità di riconciliarsi con il suo successore e rivale, «cum sibi successore atque aemulo pacis vincula nectit».
Prima di recarsi a Roma, in pellegrinaggio ad limina apostolorum, si ritirò per qualche tempo nell'abbazia di Manglieu e di qui passò a Lione, nel monastero di Isle-Barbe, pacificando il vescovo Goduino e Drogo, figlio maggiore di Pipino d'Héristal.
Passato il confine presso il monastero di San Maurizio d'Agaune e giunto in Italia, Bonito liberò Ariperto, figlio di Ragimperto, duca di Torino, asserragliato in Pavia dall'assedio di Liutperto (701). Proseguì il viaggio per Roma dove compì il pellegrinaggio alla tomba degli apostoli e riscattò dalla servitù numerosi schiavi. Sulla via del ritorno, a Chiusi, operò guarigioni e spese tutto il denaro che possedeva in elemosine sì da dover tornare prontamente a Lione, dove morì, nel 706, per un attacco di gotta.
La festa di Bonito cade il 12 gennaio, o secondo altri il 15 dello stesso mese. Il suo corpo, sepolto nel monastero di San Pietro a Lione, dopo non molto tempo fu riportato in Alvernia; nel monastero rimase solo il velo che copriva il suo volto. Il vescovo Proculo, nel 712, collocò le reliquie nella chiesa di San Maurizio di Clermont sotto l'altare dedicato agli apostoli, che assunse il nome del Santo.
Nel XIII sec. esse passarono nella cattedrale di Clermont, dove a Bonito fu dedicata una cappella (oggi di Notre-Dame de la Pitié), ornata di vetrate che illustrano alcuni miracoli operati dal santo. Nel tesoro della cattedrale erano conservati, almeno fino al 1718, un reliquiario in argento dorato, contenente il capo del santo, e una pianeta di seta verde, che, secondo una leggenda, egli avrebbe ricevuto dalla Madonna durante una visione, ma che in realtà era un pallio donato nel 988 a Gerberto, vescovo di Reims, da Adelaide, moglie di Ugo Capeto.

Il pallio fu attribuito a Bonito solo dopo il X sec., poiché negli inventari dell'epoca è ancora ricordato come Pallium Adelaidis.   
(Autore: Gilbert Bataille -  Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bonito di Clermont, pregate per noi.

*San Botonto - Martire (15 Gennaio)
m. Roma, 303 circa
Il 28.12.1841 a Roma nella via Nomentana vennero rinvenuti i resti di un fanciullo e di altri sette martiri con una ampolla di sangue. L'iscrizione sepolcrale indica il suo nome così: “Botonto qui vixit annis III. Mensibus II. in pace.”
[Botonto, che visse tre anni e due mesi, (è qui) nella pace]. Il martirio risale all'epoca della persecuzione di Diocleziano, nel 303 circa. Per concessione di Papa Gregorio XVI, le reliquie del martire vennero donate al re Carlo Alberto di Savoia, che ne decise la solenne collocazione nella chiesa del convento torinese del Monte dei Cappuccini il 15 gennaio 1843.  

Emblema: Palma - A Torino, vicino alla celebre chiesa della Gran Madre di Dio costruita in occasione del rientro in patria del re Vittorio Emanuele I dall’esilio, sorge il complesso del Monte dei Cappuccini, una delle odierne immagini simbolo della città, formato dall’omonimo convento e dalla chiesa di Santa Maria al Monte.
Al suo interno, sotto la mensa dell’altere laterale di destra dedicato a San Francesco, sono conservate le reliquie del piccolo martire romano Botonto, avvolte in un simulacro di cera opera di Luigi Cantù ed ornate da abiti nobiliari. La vicenda di questo bambino invece è purtroppo avvolta dal mistero.
Il 28 dicembre 1841 a Roma sulla via Nomentana, vicino a l cimitero di Sant’Agnese, vennero rinvenuti i suoi resti e quelli di altri sette martiri con una ampolla di sangue.
L'iscrizione sepolcrale indica il suo nome così: “Botonto qui vixit annis III. Mensibus II. in pace.” Il martirio risalirebbe dunque all’epoca della persecuzione di Diocleziano, cioè al 303 circa. Il nome “Botontòs”, che significa pastore oppure esclamante, ed il tipo di sepoltura rivelerebbero l’appartenenza del piccolo martire ad una nobile famiglia di origine greca.
Per concessione di papa Gregorio XVI, le reliquie del martire vennero donate al re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia.
Questi ne decise la solenne traslazione nella chiesa del convento torinese del Monte dei Cappuccini, che avvenne il 15 gennaio 1843.

Ad accogliere le gloriose reliquie si mobilitò una grande folla ed un lungo corteo di Cappuccini scese dal convento alla vicina chiesa della Gran Madre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Botonto, pregate per noi.

*San Ceolwulf - Re di Northumbria (15 Gennaio)

+ Lindisfarne, Inghilterra, 760/764
Osric, figlio di Cuthe, re di Northumbria, alla sua morte designò a succedergli il fratello Ceolwulf che, probabilmente, durante il suo regno aveva vissuto in un monastero senza tentare di insidiargli il trono. Il nuovo re favorì lo sviluppo della Chiesa, scegliendo buoni prelati per le nuove diocesi e dando egli stesso esempio di vita cristianamente fervorosa.
Simeone di Durham fissa al 729 la data della sua incoronazione che, invece, dal Saxon Chronicle è posta al 731: in quest'anno, però, secondo il continuatore di Beda, si ebbe un'insurrezione e il re, deposto, fu costretto a subire  la tonsura.
Liberato, Ceolwulf dopo qualche tempo abdicò spontaneamente e si fece monaco a Lindisfarne (737), dove morì  pieno di meriti nel 760 (secondo Fiorenzo di Worchester) o nel 764 (secondo Simeone di Durham).
Il suo corpo dopo qualche tempo fu traslato a Norham a cura del vescovo Ecgred, a eccezione del cranio che fu portato a Durham nella chiesa di San Cutberto; la sua festa si celebra il 15 gennaio
A quanto sembra, Ceolwulf ebbe una buona cultura scritturistica: è a lui (gloriosissimo regi Ceoluulfo) che Beda dedicò la sua Historia Ecclesiastica, ritenendo che la storia dovesse essere maestra di vita, specie per un re.

(Autore: Giovanni Battista Proja – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ceolwulf, pregate per noi.

*San Cosma il Melode - Vescovo di Mayuma (15 Gennaio)

Fu vescovo di Mayuma, presso Gaza.
Nacque nel 706 a Gerusalemme da genitori poverissimi.
Fu affidato per l'educazione a un dotto monaco italiano fatto prigioniero dagli Arabi.

Quando ebbe imparato tutto ciò che il maestro poteva insegnargli andò a bussare alla porta della laura di San Saba presso Betlemme, indossando l'abito monacale.
Cosma fu, dopo Andrea di Creta, il più grande innografo di rito greco.
La sua produzione melodica fu molto vasta.
Nel 743 fu eletto vescovo di Mayuma.
Morì nel 760 e la sua festa è il 15 gennaio.  

(Fonte: Terra Santa)
Giaculatoria - San Cosma il Melode, pregate per noi.

*San Diego de Soto - Martire Mercedario (15 Gennaio)

+ 1237

Originario di Toledo, San Diego de Soto, fece il noviziato sotto l’insegnamento di San Serapio martire, allora maestro dei novizi. Apprese da questi l’umiltà e le altre virtù che il maestro sapeva infondere ai suoi allievi.
Trovandosi a Granada per convertire e redimere i prigionieri con grande zelo e fede a Gesù Cristo, fu catturato ed imprigionato egli stesso per odio alla religione cattolica.
Chiuso in una tetra prigione fu afflitto per molte pene e torture, lasciato senza acqua e cibo si addormentò nella pace del Signore abbracciato ad una grande croce nell’anno 1237.
É il secondo martire dell’Ordine Mercedario.
L’Ordine lo festeggia il 15 gennaio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Diego de Soto, pregate per noi.

*Beato Donato Rodriguez Garcia - Giovane laico, Martire (15 Gennaio)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
a) Beati Martiri Spagnoli del Patronato di San Giuseppe - 15 gennaio
b)Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Santa Olalla de Valdivielso, Burgos, Spagna, 27 gennaio 1911 – Suances, Spagna, 15 gennaio 1937
Donato Rodríguez García, nativo di un piccolo paese nei pressi di Burgos, fu colpito da bambino dalla poliomielite, che tuttavia non gl’impedì di sviluppare il talento per la musica. Entrato nel Patronato di San Giuseppe, diretto a Burgos dal sacerdote Valentín Palencia Marquina, divenne maestro di solfeggio e pianoforte, nonché direttore della banda interna all’istituto. Quando don Valentín venne arrestato durante la guerra civile spagnola, il venticinquenne Donato volle condividerne la sorte insieme ad altri tre giovani, Germán García García, Zacarías Cuesta Campo ed Emilio Huidobro Corrales. Tutti e cinque vennero quindi uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016, nella cattedrale di Burgos.
Donato Rodríguez García nacque a Santa Olalla de Valdivielso presso Burgos, in Spagna, il 27 gennaio 1911, figlio legittimo di Diego Rodríguez Fernández e di Basilia García Valderrama. Venne battezzato nella parrocchia di Sant’Isidoro della medesima località e ricevette il sacramento della Confermazione il 1923 nella Casa de Asilo di Burgos, dov’era stato ricoverato a causa della poliomielite, contratta in tenera età.
Nonostante l’invalidità, manifestò un ingegno brillante ed era particolarmente portato per la musica. Quando uscì dal ricovero, s’interessò di lui un sacerdote, don Valentín Palencia Marquina, direttore, cappellano e docente del Patronato di San Giuseppe per l’insegnamento e l’educazione dei bambini
poveri. L’accolse nella sua struttura e l’incaricò di fare da maestro, notando presto che i bambini erano molto felici di stare con lui.
Il 19 novembre 1934 Donato conseguì il diploma di abilitazione all’insegnamento del pianoforte presso il Conservatorio Nazionale di Musica e Declamazione. Poco dopo, divenne direttore della banda musicale che don Valentín aveva istituito, nel Patronato, in modo da rallegrare la vita e l’istruzione dei ragazzi ospiti.
Uno dei suoi allievi ha dichiarato: «Era un buon pedagogo: per insegnare musica, sembrava che t’ipnotizzasse, trasmettendoti il suo entusiasmo. Insegnava solfeggio e strumento, cosicché noi, che avevamo dodici anni, leggevamo con gran facilità le partiture a prima vista. Era molto gentile coi ragazzi; ci rimproverava con lo sguardo se eravamo distratti». Un altro testimone ha completato il suo ritratto, descrivendolo come «un bambino normale che giocava e si divertiva come un amico più dei suoi amici; non si tirava mai indietro nonostante la polio e le sue stampelle. Era un bravo studente, il primo della classe». Altri hanno assicurato che «era molto acuto e una persona molto buona; in più era molto generoso e distaccato [dai beni], dava tutto quel che aveva». «Era di buon carattere, molto buono con tutti».
Nell’estate del 1936 aveva accompagnato don Valentín, insieme ad altri musicisti della banda, per badare ai ragazzi durante la tradizionale vacanza al mare a Suances, nella comunità autonoma della Cantabria. La serenità di quel momento venne interrotta il 18 luglio, con la dichiarazione della guerra civile spagnola.
Don Valentín venne in seguito denunciato al Fronte Popolare e arrestato. Sei giovani vennero chiamati a deporre, ma Donato e altri tre, Germán García García, Zacarías Cuesta Campo ed Emilio Huidobro Corrales, vollero accompagnarlo più da vicino. I miliziani videro che aveva un crocifisso al collo e gli proposero di toglierselo per aver salva la vita, ma lui rifiutò, per restare fedele al Signore, ma anche a don Valentín e seguire, quindi, la sua stessa sorte. Tutti e cinque vennero quindi uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances. Donato aveva 25 anni.
Il sacerdote e i suoi quattro giovani, che qualcuno non a torto ha definito "martiri dell’amicizia", sono stati oggetto di un processo di beatificazione. La causa, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 21 agosto 1996, è stata aperta nella diocesi di Burgos il 30 settembre 1996 e conclusa il 18 marzo 1999; l’8 novembre dello stesso anno ha ottenuto la convalida. La "positio super martyrio" è stata consegnata a Roma nel 2003.
A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, l’8 novembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, Papa Francesco ha firmato il 30 settembre 2015 il decreto che riconosceva ufficialmente il martirio di Donato Rodríguez García e dei suoi quattro compagni.
La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016, nella cattedrale di Burgos.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Donato Rodriguez Garcia, pregate per noi.

*Sant'Efisio di Cagliari - Martire (15 Gennaio)

sec. III-IV  
Emblema:
Palma
La popolarità di questo Santo, soprattutto in Sardegna e a Cagliari in particolare, dove il 1° maggio si svolge la solenne processione detta "il calendimaggio cagliaritano", dovuta al racconto del suo martirio scritto da un certo prete Mauro, che asserisce di essere stato tra i testimoni della gloriosa morte di Sant'Efisio "a principio usque ad finem", cioè dall'inizio dei terribili supplizi, ai quali il martire fu sottoposto, fino alla conclusione del cruento dramma.
Gli studiosi non ne sono per nulla convinti e ritengono l'autore di questa Passio, scritta dopo la liberazione della Sardegna dai Saraceni, un insigne falsario.
É difficile infatti dargli credito là dove afferma di aver fatto il racconto del martirio di Efisio su preghiera di questi, perché la sua morte per Cristo fosse di esempio ai posteri. La scarsa originalità del suo racconto ha fatto pensare al plagio degli Atti del martirio di S. Procopio, martire palestinese. Il Martirologio Romano pone il martirio di S. Efisio a Cagliari, il 15 gennaio, durante la persecuzione scatenata dall'imperatore Diocleziano.
Pochi sono gli episodi originali e presumibilmente autentici narrati dal maldestro biografo di S. Efisio. Ciononostante questo testo ha avuto una straordinaria popolarità e ha fornito lo spunto a raffigurazioni pittoriche degne di ammirazione, come gli affreschi di Spinello Aretino, che in sette
mesi, a partire dal settembre del 1391, dipinse nel Camposanto di Pisa l'intero ciclo della vita del martire cagliaritano.
Il Lanzoni, nel suo commento al Martirologio Romano, dice: "Al tempo delle invasioni barbariche le reliquie del santo sarebbero state rimosse da una chiesuola, che esiste ancora presso Capo Pula, non lungi dall'antica Nora, e trasportate dentro Cagliari per maggiore sicurezza.
In verità quella chiesa ha restituito due iscrizioni cristiane antiche, quantunque non datate. Ma nulla si conosce del martire, fuori della sua passione.
Una volta S. Efisio era venerato dai sardi insieme con S. Potito di Sardica, questi il 13 gennaio e S. Efisio il 15. S. Potito, le reliquie del quale si venerano a Nora con quelle di S. Efisio, fu creduto sardo, mentre egli senza dubbio appartenne a Sardica. Fu martire orientale anche Sant'Efisio.
Il culto di quest'ultimo ebbe nel 1793 un grande ritorno di fiamma, quando i sardi si opposero vittoriosamente ai Francesi, che tentavano di impadronirsi dell'isola. Sant'Efisio, al quale venne attribuito quel grosso successo militare, fu proclamato comandante supremo dei combattenti.
(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Il Lanzoni, con l'acume e l'equilibrio che gli sono propri, ci informa che la passio di Efisio è assai tarda e che fu composta probabilmente «dopo la liberazione dell'isola dai Saraceni e sulla falsariga di quella di San Procopio».
Il suo martirio è posto a Cagliari sotto Diocleziano il 15 gennaio o il 13 novembre. «Al tempo delle invasioni barbariche le reliquie del Santo sarebbero state rimosse da una chiesuola, che esiste ancora presso Capo di Pula, non lungi dall'antica Nora, e trasportate dentro Cagliari per maggior sicurezza. In verità quella chiesa ha restituito due iscrizioni cristiane antiche, quantunque non datate.  
Ma nulla si conosce del martire, fuori della sua passione.
Una volta Sant’ Efisio era venerato dai Sardi insieme con San Potito di Sardica, questi il 13 gennaio e Sant’ Efisio il 15.
San Potito, le reliquie del quale si veneravano a Nora con quelle di Sant’ Efisio, fu creduto sardo, mentre egli senza dubbio appartenne a Sardica. Fu martire orientale anche Sant’ Efisio».
I Bollandisti, nel Commento al Martirologio Romano, dopo aver messo in rilievo che il prete Mauro, autore della passio, asserisce di essere stato presente al martirio del Santo «a principio usque ad finem» e di averne fatto la narrazione su preghiera di lui ad esempio dei posteri, concludono che si tratta di un insigne falsario, che adattò al suo eroe gli Atti, a loro volta favolosi, di San Procopio, martire in Palestina.
Infine il Delehaye (Les légendes hagiographiques, Bruxelles 1953, pp. 135-36) nota che di originale negli Atti di Efisio non vi sono che alcuni episodi marginali mal cuciti tra loro e alcuni nomi di luogo.
Il rimaneggiamento è così superficiale e grossolano che il racconto non ha neppure l'apparenza della verosimiglianza. Ciononostante a Cagliari esiste una antica chiesa dedicata al nostro santo, restaurata nei secc. XVI e XVIII.
Fin dal Cinquecento sono sorte confraternite in onore di Efisio e dal 1657 egli è festeggiato il 1° maggio con una solenne processione detta «il calendimaggio cagliaritano».  
Nel 1793 i Sardi si opposero ai Francesi, che volevano impossessarsi dell'isola: la loro vittoria fu attribuita ad Efisio, proclamato comandante supremo dei combattenti.

(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Efisio di Cagliari, pregate per noi.

*Beato Emilio Huidobro Corrales - Giovane laico, Martire - (15 Gennaio)

Scheda del Gruppo cui appartiene:
1) Beati Martiri Spagnoli del Patronato di San Giuseppe - 15 gennaio
2) Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Villaescusa del Butrón, Burgos, Spagna, 9 agosto 1917 – Suances, Spagna, 15 gennaio 1937

Emilio Huidobro Corrrales, rimasto orfano di entrambi i genitori e maltrattato dal patrigno, venne ospitato insieme al fratello Aníbal nel Patronato di San Giuseppe, diretto a Burgos da un sacerdote, don Valentín Palencia Marquina, per l’accoglienza di bambini e ragazzi orfani o abbandonati. Si trovò molto bene nella nuova situazione e fu apprezzato per il suo buon carattere. Quando don Valentín venne arrestato durante la guerra civile spagnola, il diciannovenne Emilio volle condividerne la sorte insieme ad altri tre giovani, Donato Rodríguez García, Germán García García e Zacarías Cuesta Campo. Tutti e cinque vennero quindi uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016, nella cattedrale di Burgos.
Emilio Huidobro Corrrales nacque il 9 agosto 1917 a Villaescusa del Butrón presso Burgos, in Spagna; fu battezzato il 15 dello stesso mese presso la parrocchia di San Torquato. Sviluppò un carattere gioioso e socievole, unito a una corporatura alta e robusta, che gli faceva dimostrare più anni di quanti ne avesse.
Alla morte di suo padre Íñigo, sua madre Agapita si risposò con un tale Florentino, che maltrattava Emilio e suo fratello Aníbal. Quando anche la madre morì, i due figli vennero portati da uno zio al Patronato di San Giuseppe, diretto a Burgos da un sacerdote, don Valentín Palencia Marquina, per l’accoglienza di bambini e ragazzi orfani o abbandonati.
Emilio si adattò molto bene alla nuova situazione, a differenza del fratello. Imparò a suonare quasi ogni genere di strumento, sia a fiato sia a corda, dato che la musica aveva un gran peso nel progetto pedagogico dell’istituto: più di una volta sostituì il direttore della banda, Donato Rodríguez García, quando non poteva dirigere. In più, impartiva lezioni di geometria agli altri ragazzi, che lo rispettavano per il suo carattere incline a ricomporre i contrasti.
Nell’estate del 1936 aveva accompagnato don Valentín, insieme a un gruppo dei musicisti della banda, per badare ai ragazzi durante la tradizionale vacanza al mare a Suances, nella comunità autonoma della Cantabria. La serenità di quel momento venne interrotta il 18 luglio, con la dichiarazione della guerra civile spagnola.
Don Valentín venne in seguito denunciato al Fronte Popolare e arrestato. Sei giovani vennero chiamati a deporre, ma Emilio e altri tre, il già citato Donato Rodríguez García, Germán García García e Zacarías Cuesta Campo, vollero accompagnarlo più da vicino. Tutti e cinque vennero quindi uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances. Emilio aveva 19 anni.
Il sacerdote e i suoi quattro giovani, che qualcuno non a torto ha definito "martiri dell’amicizia", sono stati oggetto di un processo di beatificazione. La causa, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 21 agosto 1996, è stata aperta nella diocesi di Burgos il 30 settembre 1996 e conclusa il 18 marzo 1999; l’8 novembre dello stesso anno ha ottenuto la convalida. La "positio super martyrio" è stata consegnata a Roma nel 2003.
A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, l’8 novembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 30 settembre 2015 il decreto che riconosceva ufficialmente il martirio di Emilio Huidobro Corrales e dei suoi quattro compagni. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016, nella cattedrale di Burgos.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Emilio Huidobro Corrales, pregate per noi.

*San Francesco Fernandez de Capillas - Domenicano, Martire (15 Gennaio)

Baquerin de Campos (Palencia), 14 agosto 1607 – Fogan (Cina), 15 gennaio 1648
Nato a Baquerín de Campos, nella diocesi di Palencia, vestì l'abito domenicano a 17 anni nel convento di San Paolo a Valladolid. Ancora diacono partì per le Filippine e di qui - dopo un decennio di ministero sacerdotale - passò in Cina. Prodigò nella provincia di Fo-Kìen ogni sua energia per la diffusione del Vangelo.  
I magnifici risultati della sua attività gli meritarono l'odio dei tartari. Caduto nelle loro mani presso Fuan, rifiutò di apostatare la fede e fu sottoposto a raffinate torture, che sopportò con letizia per amore di Cristo. Il 15 gennaio, la decapitazione coronò l'ideale missionario vagheggiato sin dall'infanzia: la Chiesa ebbe così il primo martire dell'impero cinese.  

Emblema: Palma  
Martirologio Romano: Nella città di Fu’an nella provincia del Fujian in Cina, San Francesco Fernández de Capillas, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire: dopo avere portato il nome di Cristo nelle isole Filippine e nel Fujian, durante la persecuzione dei Tartari fu qui gettato a lungo in carcere e infine decapitato.  
La presenza del Cristianesimo e segnatamente del Cattolicesimo, ha avuto sin dal XII secolo, nel quale cominciò  ad affacciarsi in Cina, degli alti e bassi e purtroppo anche ricorrenti sanguinose persecuzioni, con centinaia di missionari e migliaia di fedeli uccisi in odio alla fede cristiana.
Nei secoli XII e XIII, il Cristianesimo cominciò ad affermarsi nel vasto Impero cinese, ma con l’avvento al potere della dinastia dei Ming nel 1370, ci fu una battuta d’arresto e di cristianesimo non se ne parlò più fino alla fine del secolo XVI.
La ripresa dell’evangelizzazione si ebbe soprattutto con il gesuita Matteo Ricci (1552-1610) arrivato in Cina nel 1583, che con un fruttuoso apostolato fra i sapienti e i mandarini di Canton e di Nanchino, giunse il 4 gennaio 1601, ad entrare a Pechino e nel palazzo imperiale come letterato d’Occidente.
Con i suoi confratelli, padre Ricci si adattò per quanto possibile agli usi, costumi e mentalità cinesi, conseguendo uno splendido successo specie fra i notabili locali; i cristiani che nel 1584 erano appena tre, nel 1585 furono una ventina, nel 1605 un migliaio, nel 1608 più di duemila e nel 1610, anno della morte a Pechino del gesuita Matteo Ricci, erano più di 2500.
Le condizioni politiche continuarono ad essere favorevoli al cristianesimo, anche al tempo della dinastia Manciù (1644) e fino quasi alla morte dell’imperatore Kang-Hi, anche se nel 1648, in una isolata esplosione di violenza perse la vita il missionario domenicano san Francesco Fernandez de Capillas (1607-1648), protomartire della Cina, beatificato nel 1909 e canonizzato l’1-10-2000.

A seguito della questione dei riti cinesi e delle disposizioni provenienti dalla Santa Sede, l’imperatore Kang-Hi si inasprì, cominciando ad avversare i missionari cattolici, fino a bandirli dall’Impero aprendo così la via alle persecuzioni, che esplosero con i suoi successori.
Infatti nel 1724 l’imperatore Young-Cheng ordinò che si distruggessero le chiese e si scacciassero o arrestassero i missionari e si incarcerassero e decapitassero i cristiani; nel 1736-37 con Kien-Lung si proibì la predicazione della religione cristiana, furono esiliati tutti i missionari europei, uccidendone molti; rimasero a Pechino solo i Gesuiti francesi che godevano della fama di letterati, pittori, idraulici.
Bisogna dire che all’opera di evangelizzazione della Cina cooperarono, i Domenicani dal 1587, i Francescani dal 1590, gli Agostiniani dal 1680, i Lazzaristi dal 1711.
Nel 1747-48 si ebbero i cinque martiri domenicani Pietro Sanz, Francesco Serrano, Gioacchino Royo, Giovanni Alcober, Francesco Diaz.
Con la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773 da parte di papa Clemente XIV, le missioni cinesi decaddero quasi completamente nelle città, mentre eroicamente gli altri Ordini religiosi, dispersi nelle varie regioni dell’Impero, continuarono a lavorare con eroismo e con gravi difficoltà.
Nel 1799 si avevano in Cina tre diocesi e tre vicariati apostolici, ma l’imperatore Kia-King era apertamente ostile   al cristianesimo, i cui seguaci erano a torto sospettati di simpatia verso i gruppi ribelli alla sua autorità, cioè l’associazione della "Regione Celeste".
Anche con questo imperatore scoppiò una nuova e sanguinosa persecuzione in tutto l’Impero, che durò fino alla sconfitta cinese nella guerra dell’oppio nel 1842; la libertà di religione subentrò con il trattato di Pechino del 1860.
Ci fermiamo qui con la storia del Cristianesimo in Cina, che continuò ad essere perseguitato nei decenni successivi, specie con i famosi violenti e sanguinari ‘Boxers’ nel 1900, sotto la protezione dell’imperatrice Tze-Hsi, e poi in epoca moderna con il regime maoista-comunista.
Francesco Fernandez de Capillas è il protomartire dei missionari in Cina, gloria e vanto dell’Ordine Domenicano.
Nacque a Baquerin dos Campos, diocesi di Valenza il 14 agosto 1607; a 17 anni entrò nell’Ordine dei Predicatori, vestendone l’abito nel convento di S. Paolo a Valladolid; ancora diacono partì missionario per le Filippine sbarcando a Manila.
Qui rimase per un decennio lavorando alacremente al fianco dei missionari e venendo ordinato sacerdote nel 1631; il suo campo di apostolato fu il distretto di Cagayan (Luzon), in cui poté raccogliere una meravigliosa fioritura di conversioni.
Anima apostolica e nel contempo ascetica, seppe congiungere allo zelo uno spirito di penitenza straordinaria, prendeva i suoi brevi riposi stendendosi sopra una croce di legno e volontariamente non si difendeva dalle punture degli insetti che infestavano la regione.
Egli considerò quegli anni trascorsi nelle Filippine, come un periodo di preparazione alla missione in Cina, che gli fu accordata nel 1642.
Fu associato nel viaggio e nella destinazione ad un altro missionario che ritornava via Formosa, a riprendere l’apostolato già iniziato nel Fukien; padre Francesco Fernandez de Capillas si impegnò con tutte le sue forze ad evangelizzare la regione, raccogliendo ottimi frutti nelle città di Fogan, Moyang e Ting-ten. Ma nel 1644 alla dinastia cinese dei Ming, subentrò quella tartara dei Manciù, che ostili ai missionari presero subito a perseguitarli insieme ai fedeli cristiani. Ai primi di dicembre del 1647, padre Francesco fu catturato mentre tornava da Fogan, dove si era recato ad amministrare i Sacramenti ad un infermo.

Insultato e calunniato passò da un tribunale all’altro, subì la tortura dei malleoli (cioè stringere i piedi fra due asticelle, così da spostare le ossa).
Fu flagellato più volte a sangue, sopportando i tormenti senza grida di dolore, così da meravigliare giudici e torturatori, alla fine fu trasportato quasi moribondo in prigione dove erano rinchiusi i condannati a morte.
La sua condotta fu edificante, tale da suscitare l’ammirazione degli altri condannati a morte e degli stessi carcerieri, che permisero gli fosse passato del cibo per non farlo morire di fame.
Il 15 gennaio 1648 padre Francesco fu condannato a morte con l’accusa di aver diffuso false dottrine religiose e per aver sobillato il popolo contro i governanti.
La sentenza mediante decapitazione, fu eseguita a Fogan quel giorno stesso; la Chiesa ebbe così il primo martire del vasto Impero cinese.
Fu beatificato da papa s. Pio X il 2 maggio 1909 insieme a 14 fedeli cinesi martiri e canonizzato insieme a 120 martiri in Cina, il 1° ottobre 2000 da papa Giovanni Paolo II; la loro memoria collettiva è al 9 luglio, mentre la celebrazione liturgica di s. Francesco Fernandez de Capillas è al 15 gennaio.   (Autore: Antonio Borrelli)
“Dovremmo andare a scuola da lui, tutte le volte che ci sentiamo i “salvatori della patria”,migliori degli altri, indispensabili al funzionamento del nostro gruppo o della nostra parrocchia. Perché questi sentimenti, a lui, erano del tutto sconosciuti, anzi, raccontano i suoi biografi, “timoroso che Dio, a cagione dei suoi peccati, non usasse  misericordia ai villaggi ai quali era diretto, prima di entrarvi si prostrava con la faccia per terra e implorava da lui perdono e pietà”. Nasce nel 1607 a Baquerin de Campos, nei pressi di Palencia e a 16 anni entra dai Domenicani, nel convento di Valladolid.
Alla vocazione religiosa si aggiunge quella missionaria: è ancora diacono quando parte in direzione di Manila, via Messico, e vi arriva dopo un anno di navigazione, giusto in tempo per essere ordinato prete il 5 giugno 1632. Difficile da capire, per noi, la sua spiritualità, figlia del tempo in cui vive: grandi penitenze, invocate, cercate, procurate, nella convinzione che esse soltanto sono il lasciapassare per la conversione delle anime. Qualche esempio? Dorme sì sul letto, ma al posto del materasso ha sistemato una ruvida croce di legno, sulla quale ogni sera si distende, cercando di prendere sonno.
Anche il sassolino, penetrato un giorno nella sua scarpa, lo considera un dono di Dio e si guarda bene dal liberarsene, anche quando questo gli penetra nel piede; peccato che, una volta arrivato a destinazione, debba ricorrere alle cure del medico per stroncare un’infezione già in atto. E, a vergogna di noi, che cerchiamo le posizione più comoda per pregare, lui sta ginocchioni; ma non solo per pregare, anche per studiare, preparar le prediche e scrivere la corrispondenza, tanto che sulle sue ginocchia sono presenti due vistose calli che tradiscono la sua incomoda posizione. Altri tempi, evidentemente, ed altra mentalità, con forme penitenziali che non è proprio il caso di imitare. Per il resto, non è perfetto, proprio come noi, ma si sforza per diventarlo. I confratelli gli hanno affidato la cura dei malati indigeni nell’ospedale attiguo al convento di Tocolana: si trova a suo perfetto agio e tutti sono ammirati nel vederlo trasformarsi in inserviente, infermiere, cuoco e cameriere.
Ebbene: tanto è disinvolto in ospedale nel passare da una mansione più umile all’altra, quanto si vergogna nel farsi vedere dai connazionali per strada, carico di piatti, di pentole e secchi. E’ un suo lato debole che cerca di vincere giorno per giorno e che ce lo fa sentire simpatico e maggiormente nostro fratello. Le conversioni non si contano, anche forse perchè “pagate” a così caro prezzo; oppure anche perché quel povero prete, pur di cercare un’anima o portare i sacramenti ad un morente, si sottopone a qualsiasi fatica, sempre disponibile di giorno e di notte. Ma sicuramente e prima di tutto, perché la vita di quel prete “parla”: se ne accorgono anche i non credenti, che tessono il suo miglior elogio quando dicono di lui: “E’ un Padre che non guarda né a destra né a sinistra”, quasi a sottolineare che non perde tempo neanche con gli occhi, tanto è concentrato nel suo ministero. E chi lo accompagna nei suoi spostamenti deve ammettere: “Quando cammina, non va, vola; e io non posso tenergli dietro nel viaggio”. E non sono sempre spostamenti facili perché, egli stesso scrive, “quando passiamo tra i buddisti essi non fanno che maledirci, trattandoci da ladroni stranieri, burlandoci e schernendoci. Talvolta raccolgono pietre, facendo atto di tirarcele, e talvolta ce le tirano di fatto”.
Ma questo, evidentemente, è niente in confronto a quello che lo attende. Nel capitolo provinciale del 1641 aveva chiesto e ottenuto di andare missionario in Cina, pienamente cosciente del rischio che correva. Per sei anni lavora nella missione cinese di Fogan, dove il 13 novembre 1647 viene arrestato dal governo tartaro, su istigazione dei mandarini locali. Raffinatissime torture lo aspettano, perché “bestemmiatore degli dei e sollevatore del popolo”; ovviamente “grandi cose” gli vengono promesse se rinnega la religione cristiana. Le torture stancano prima i carnefici di lui, che è certamente sostenuto dalla forza di Dio, ma è anche allenato a sopportar sofferenze.
Per liberarsi di lui devono tagliarli la testa il 15 gennaio 1648 con un colpo di scimitarra: è il primo martire della Cina. Beatificato 100 anni fa, Francesco Fernadez de Capillas è stato canonizzato da Giovanni Paolo II° il 1° ottobre 2000.

(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Francesco Fernandez de Capillas, pregate per noi.

*Beato Giacomo l'Elemosiniere - Terziario (15 Gennaio)

Avvocato, proveniente da una famiglia abbiente, restaurò, a Città di Pieve in Umbria, una chiesa e un ospedale entrambi abbandonati, ove in modo esemplare si prese cura dei poveri e degli infermi.
Martirologio Romano: A Città della Pieve in Umbria, Beato Giacomo, detto l’Elemosiniere, giurisperito che si fece avvocato dei poveri e degli oppressi.
Anche un vescovo può trasformarsi in assassino: questo succede (o, meglio, succedeva) quando il denaro acceca la mente e diventa l’unica dimensione di vita, non lasciando più spazio a nessun sentimento. Illustre vittima (forse non l’unica) di questo vescovo senza scrupoli fu Giacomo da Città della Pieve.
Nonostante l’iconografia si ostini a rappresentarlo anziano, sicuramente è morto non ancora quarantenne, riuscendo a compiere nei brevi anni concessigli un’intensa attività caritativa.
Nasce a Città della Pieve verso il 1270 e dei suoi primi anni poco o nulla si sa, se non che è abituale frequentatore della chiesa dei Servi di Maria, poco distante da casa sua. Ed è proprio qui che un giorno, alla proclamazione del vangelo secondo Luca nel quale Gesù ammonisce che “chi non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo”, prende la decisione eroica di dedicarsi interamente ai poveri.
Si tratta di una “vocazione” neppure tanto originale, dato che sono molti i santi (uno fra tutti, Sant’Antonio Abate) di cui si racconta un simile episodio. Forzatura agiografica o non piuttosto capacità (smarritasi nel tempo) di ascoltare, lasciarsi interpellare e convertire dal Vangelo? Certamente la scelta di Giacomo non è improvvisata, per cui l’avvenimento, se realmente accaduto, non è che il coronamento di un lungo percorso, iniziato proprio in quella chiesa dei Serviti.
Il giovane Giacomo a Siena si laurea brillantemente in giurisprudenza; ben presto diventa l’avvocato dei poveri, che assiste gratuitamente, assumendo tutte le cause che “non rendono” e che, a poco a poco, lo fanno schierare dalla parte dei diseredati e di quelli che non contano, per difenderli dai soprusi dei nobili e dei prepotenti.
Tra questi ultimi si distingue il vescovo di Chiusi, per il quale
l’attrazione delle ricchezze è sicuramente maggiore di ogni preoccupazione pastorale. Giacomo, convertito o illuminato da quel versetto evangelico, ha deciso di utilizzare tutti i suoi beni per ristrutturare una chiesa con attiguo edificio, da trasformare in ospizio.
Qui accoglie, sfama, nutre, cura, fascia, assiste fino alla morte, poveri, anziani e senzatetto. Tutto, naturalmente, all’insegna della più completa gratuità e unicamente “per amor di Dio”, attingendo per il necessario dai suoi beni di famiglia che ha donato all’ospizio e dalle elargizioni dei suoi concittadini.
Che questo “tesoro dei poveri” acquisti ad un certo punto proporzioni significative ed allettanti lo possiamo desumere dal fatto che un bel giorno l’ingordo vescovo di Chiusi cerca di impadronirsene.
Convinto che la carità debba andare a braccetto con la giustizia, Giacomo vuole impedire questa appropriazione indebita di beni che appartengono esclusivamente ai poveri: rispolvera così le sue conoscenze di giurisprudenza, ritorna per un momento avvocato e si appella alla curia romana, che gli dà ragione e lascia con un palmo di naso il rapace vescovo.
Che però non si rassegna e, volendo vendicarsi per lo smacco subìto; invita Giacomo nel vescovado di Chiusi, con la scusa di riappacificarsi con lui, ma quando questi riprende la strada del ritorno verso Città della Pieve, lo fa assassinare da due sicari il 15 gennaio 1304.
Il servitore e l’avvocato dei poveri è subito venerato come martire della giustizia e della carità, ma devono passare più di 5 secoli prima che la Chiesa, nel 1806, approvi il culto e riconosca il titolo di “Beato” a Giacomo l’Elemosiniere.  (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giacomo, figlio di Antonio da Villa e di Mostiola, è nato a Città della Pieve in Umbria nel 1270. Educato sin da piccolo alla fede cristiana, certamente l’esempio di carità dei suoi genitori ha temprato il suo carattere ad una carità profonda e sincera verso i più poveri.
Timorato di Dio volentieri e spesso partecipa alla preghiera e alla liturgia nella vicina Chiesa dei Servi di Maria.
Con serietà e grande attitudine si impegna nello studio; secondo alcuni indizi sembra abbia frequentato nella città di Siena le discipline di lettere e di diritto, riuscendo in ambedue in breve tempo e ottimo profitto.
Già da giovane si occupa dei poveri e degli ammalati dimostrando una carità eroica, e, come avvocato, non risparmia alcuna fatica nel difendere i diritti degli orfani, delle vedove, dei bisognosi e dei perseguitati. Coerente con la sua fede non ha paura di alcun ostacolo nella difesa della verità e della giustizia.
Devoto della Madonna, conquistato dal carisma dei sette laici fiorentini che si posero al servizio della Vergine, si sente chiamato alla comune vocazione, decide così di farsi Terziario dei Servi di Maria. Senz’altro avrà incontrato qualcuno di essi ancora vivente e San Filippo Benizi, e da questi in persona avrà sentito parlare di questa chiamata della Benedetta, che tra tutti gli uomini ne ha scelti alcuni perché si ponessero al suo particolare servizio.
Conquistato dal Comandamento nuovo di Gesù, fondamento del carisma servitano, egli dedica tutta la sua  esistenza ad amare Dio e il prossimo, e particolarmente colpito da quel versetto dove Gesù dice: <<Se qualcuno non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo>>, ritenendolo rivolto a lui egli lascia ogni cosa per il regno dei cieli.
A sue spese restaura la chiesa e l’ospizio fuori della porta della città e li accoglie i più diseredati, servendoli con straordinaria carità: da loro da mangiare, ne medica le piaghe, offre loro ogni servizio più umile. Mai rifiutandosi di aprire il suo cuore e la sua casa ad ogni povertà, è sempre pronto a dare amore ed elemosine, così da essere
Il vescovo di Chiusi, potente signore del luogo, pretende di usurpare i beni dell’ospizio. Questo avrebbe danneggiato i poveri la ospitati, e Giacomo, come sempre coerente difensore della giustizia e dei poveri, ricorse contro l’usurpatore appellandosi ai giudici della curia romana ed ebbe nella sua difesa esito felice. A questo punto l’usurpatore, con il pretesto di un incontro di pacificazione, lo invita a Chiusi e mentre Giacomo ritorna verso il suo ospizio, lo fa uccidere da due sicari. È il 15 gennaio 1304, quando muore martire innocente di carità e giustizia, nella difesa dei poveri e degli oppressi.
La Chiesa approva il culto del Beato Giacomo Elemosiniere nel 1806 e Papa Pio IX concede all’Ordine dei Servi di celebrare la Messa e l’Ufficio proprio. Il suo corpo si conserva a Città di Pieve nella Chiesa a lui dedicata.  

(Autore: Massimo Cuofano, OSSM – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo l'Elemosiniere, pregate per noi.

*San Giovanni Calibita (15 Gennaio)
Sec. V
Martirologio Romano:
A Costantinopoli, San Giovanni Calibíta: secondo la tradizione abitò per qualche tempo in un luogo appartato della casa paterna e poi in un tugurio, chiamato ‘kalýbe’, tutto dedito alla contemplazione e nascosto alla vista degli stessi genitori, dai quali dopo la sua morte fu riconosciuto soltanto grazie a un codice aureo dei Vangeli, che essi gli avevano donato.
Pur prescindendo dalle numerose versioni nelle diverse lingue orientali, si conservano almeno tre recensioni greche della vita di Giovanni che concordano sufficientemente per riassumere come
segue la biografia di questo personaggio assai misterioso che sarebbe vissuto a Costantinopoli nella prima metà del sec. V. I genitori, Eutropio, senatore e generale d'esercito, e Teodora, personaggi della più alta aristocrazia bizantina, avevano instradato i due primi figli verso cariche onorifiche.
Non riuscirono però nello stesso intento con Giovanni, terzo e ultimo loro figlio, precocissimo d'ingegno e straordinariamente dedito alla pietà. Questi, infatti, dodicenne e alla fine degli studi di retorica, incontrato nella scuola un monaco acemeta diretto a Gerusalemme, al suo ritorno dai luoghi santi, fuggì con lui nel grande monastero degli Acemeti, che si trovava allora sulla riva asiatica del Bosforo, nella località chiamata Ireneo, e che era stato fondato, intorno al 420, dall'egumeno Alessandro a Gomon.
Questa comunità aveva raggiunto la sua massima prosperità e celebrità sotto il secondo successore di Alessandro, Marcello, il quale accolse Giovanni La comunità aveva come regola e bandiera il Vangelo, di cui ogni monaco doveva portare sempre con sé una copia. Giovanni se ne era procurata una mentre era ancora a Costantinopoli in attesa che il monaco, col quale doveva fuggire da casa, ritornasse da Gerusalemme.
I genitori, ignari dello scopo da cui il figlio era indotto a chiedere il testo evangelico, gliene avevano procurato uno crisografato, miniato e ricoperto d'oro e di pietre preziose che fu proprio quello che procurò al nostro Santo l'appellativo di "Possessore dell'Evangelo d'oro".
Dopo sei anni di permanenza nel monastero degli Acemeti, Giovanni lo abbandonò per ubbidire ad una seconda chiamata divina e, scambiati i suoi abiti con quelli di un accattone, ritornò a casa in incognito, vivendo da mendico  dinanzi alla porta della casa paterna, sotto gli occhi dei suoi genitori. La madre, irritata alla vista di quello straccione, più di una volta diede ordine ai servi di scacciarlo, ma il padre si mostrava più umano e caritatevole.
Il sovraintendente alla servitù del palazzo, approfittando dell'umanità del padrone e volendo insieme togliere quell'oggetto di fastidio dagli occhi della padrona, costruì accanto alla porta del palazzo una capanna nella quale il nostro santo visse per tre anni.
Di qui gli altri due appellativi di "mendico" e di "calibita", dati a Giovanni nella tradizione. Soltanto tre giorni prima della morte, che presentì, si rivelò mostrando l'Evangelo d'oro.
Questa scoperta e la santa morte di Giovanni provocarono un enorme mutamento nell'animo dei genitori, i quali trasformarono il loro grande e lussuoso palazzo in uno xenodochio, in cui essi stessi servirono i pellegrini, e al posto della capanna, nella quale il loro santo
figlio aveva vissuto per tre anni, eressero una chiesa che esisteva già nel 468 al momento del famoso incendio che distrusse una parte della città imperiale.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Calibita, pregate per noi.

*Sant'Ita (Ida) - Vergine (15 Gennaio)

Nata presso Drum (contea di Waterford) Ita fu battezzata con il nome di Derthrea o Dorotea.
A circa quattordici anni si consacrò a Dio, probabilmente nelle mani di Declan di Ardmore.
Migrò quindi nel territorio di Hy-Conaill, qualche miglio a Sud-Ovest di Limerick, fondando un monastero a Cluain Credail ai piedi dello Sliabh Luachra.

Nota con l'appellativo di «Bianco sole delle donne del Munster» fu celebre per il suo ascetismo e per la pazienza nella malattia.
Chiamata spesso la «seconda Brigida» di Irlanda, si fa menzione della sua morte nel 571, negli Annali di Inisfallen (ca. 1092) con la seguente frase: «Morte di Ita di Cluain, madre adottiva di Gesú Cristo e di Brendano». (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel monastero di Clúain Credal in Irlanda, Santa Ita, Vergine, fondatrice di quel monastero.
Nata presso Drum Ita fu battezzata con il nome di Derthrea o Dorotea.
A circa quattordici anni si consacrò a Dio, probabilmente nelle mani di Declan di Ardmore.
Emigrò quindi nel territorio di Hy-Conaill, qualche miglio a Sud-Ovest di Limerick, fondando un monastero a Cluain Credail  ai piedi dello Sliabh Luachra.
In seguito aprí una piccola scuola per bambini e si dice che S.Erc le affidò il futuro S.Brendano di Clonfert.
Nota con l'appellativo di "Bianco sole delle donne del Munster" fu celebre per il suo ascetismo e per la pazienza nella malattia.
Chiamata spesso la "seconda Brigida" di Irlanda, si fa menzione della sua morte nel 571, negli Annali di Inisfallen (ca. 1092) con la seguente frase: "Morte di Ita di Cluain, madre adottiva di Gesú Cristo e di Brendano".
Gli Annali riferiscono inoltre che nel 553 fu vinta una battaglia per le sue preghiere.
La festa di Ita si celebra il 15 gennaio in tutti i calendari.

Giaculatoria - Sant'Ida, pregate per noi.

*San Malardo di Chartres - Vescovo (15 Gennaio)

Martirologio Romano: A Chartres nel territorio della Neustria, in Francia, San Malardo, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Malardo di Chartres, pregate per noi.

*Beati Martiti Spagnoli del Patronato di San Giuseppe (15 Gennaio)

Scheda del Gruppo cui appartiene:
Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

+ Suances, Spagna, 15 gennaio 1937

Don Valentín Palencia Marquina, fondatore a Burgos del Patronato di San Giuseppe, e quattro dei suoi collaboratori laici, Donato Rodríguez García, Germán García García, Zacarías Cuesta Campo ed Emilio Huidobro Corrales, sono stati uccisi in odio alla fede il 15 gennaio 1937, durante la guerra civile spagnola. Il loro processo di beatificazione si è svolto nella diocesi di Burgos dal 1996 al 1999. Sono stati beatificati nella cattedrale di Burgos il 23 aprile 2016.
Il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances, nella comunità autonoma della Cantabria in Spagna, venne ucciso in odio alla fede cattolica un sacerdote, don Valentín Palencia Marquina, fondatore a Burgos del Patronato di San Giuseppe per bambini e ragazzi orfani e abbandonati.
Era stato denunciato da uno di questi al Fronte Popolare di Torrevalega, semplicemente perché lui non gli aveva dato una moneta come mancia, ma in realtà perché, nonostante gli fosse stato proibito, aveva continuato a celebrare di nascosto l’Eucaristia.
Sei dei suoi giovani collaboratori vennero chiamati a deporre, ma solo quattro lo seguirono, condividendo la sua sorte: Donato Rodríguez García, Germán García García, Zacarías Cuesta Campo ed Emilio Huidobro Corrales.
La loro causa di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 21 agosto 1996, è stata aperta nella diocesi di Burgos il 30 settembre 1996 e conclusa il 18 marzo 1999; l’8 novembre dello stesso anno ha ottenuto la convalida. La "positio super martyrio" è stata consegnata a Roma nel 2003.
A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, l’8 novembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 30 settembre 2015 il decreto che riconosce ufficialmente il martirio di don Valentín e dei suoi quattro compagni.
La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016 nella cattedrale di Burgos; a presiedere il rito il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in qualità d’inviato del Santo Padre.
La vicenda di questi cinque Beati, che giustamente sono stati definiti "martiri dell’amicizia", è ora posta sotto gli occhi di tutti. Costituisce la dimostrazione, casomai ce ne fosse bisogno, che davvero i giovani, se trovano guide esperte, possono essere risollevati anche dalle condizioni più miserevoli: in questo modo, diventano realmente la famiglia dei loro sacerdoti.
Di seguito, accanto al nome, il numero della scheda biografica che contiene informazioni più dettagliate su ciascun martire.

Valentín Palencia Marquina, sacerdote, 65 anni
Donato Rodríguez García, laico, 25 anni
Germán García García, laico, 24 anni
Zacarías Cuesta Campo, laico, 20 anni
Emilio Huidobro Corrales, laico, 19 anni

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri Spagnoli del Patronato di San Giuseppe, pregate per noi.

*San Mauro - Abate, Patrono dei ramai e dei carbonai (15 Gennaio)

sec. VI
Vissuto nel VI secolo, figlio di un nobile romano, affidato bambino a S. Benedetto, ne divenne il discepolo prediletto e quindi fidato collaboratore. Mandato in Francia fondò a Granfeul un monastero.
Nell’ultimo periodo della sua vita si dedicò alla preghiera e alle letture.
La sua vita, oltre che di amore verso Dio, è ancora oggi esempio di obbedienza all’Ordine.

Etimologia: Mauro = nativo della Mauritania oppure bruno di carnagione come un moro, dal latino.
Martirologio Romano: A Glanfeuil lungo la Loira nel territorio di Angers in Francia, San Mauro, abate.
Un prete di vita sconcia, per far fuori Benedetto da Norcia, gli manda nella sua comunità di Subiaco l’omaggio  tradizionale di un grosso pane benedetto. Ma a lui basta toccarlo per “sentire” che è avvelenato.
E chiama un corvo suo amico, che pronto arriva a uncinare il pane col becco e a portarlo lontano.
Un affresco nel Sacro Speco di Subiaco mostra il corvo già in volo col pane, Benedetto che lo saluta e due ragazzi che stanno a guardare stupefatti.  
Si chiamano Placido e Mauro, figli dei patrizi romani Tertullo ed Eutichio, che li hanno condotti nella “confederazione” di piccoli monasteri creata da Benedetto, e a lui li hanno affidati per l’educazione.  
Parla di Mauro il Papa Gregorio Magno (590-604) nei suoi Dialoghi e gli attribuisce gesta prodigiose. Come quando, visto cadere Placido nel vicino lago, lo raggiunge camminando sull’acqua e lo tira in salvo per i capelli.
O quando si mette a pedinare un monaco che taglia sempre la corda nell’ora del la preghiera: e smaschera così un piccolo diavolo che sta vicino a lui, e lo tira per la tonaca...
Ma tutto avviene sempre per ordine e con l’aiuto del padre spirituale, cioè di Benedetto. (Con i Dialoghi, Papa Gregorio voleva trasmettere insegnamenti ascetici e morali; non certo fare opera di puro cronista.
I suoi molti racconti hanno appunto questo scopo.
Ma va anche detto che gli studiosi del nostro tempo si stanno  interessando anche all’importanza storica dell’opera).
Quando Benedetto lascia Subiaco per Montecassino (verso il 529), Mauro quasi certamente rimane lì, come abate di Subiaco.
E a questo punto finisce la sua storia, già tanto esile e monca: non conosciamo gli anni di nascita e di morte né alcun altro fatto che lo riguardi.
Affondato nel mistero.
Trecento anni dopo (863) compare in Francia una sedicente “biografia” di lui. Autore: l’abate Odone di Glanfeuil, che dice di aver praticamente riscritto il racconto di un certo Fausto, amico di
Mauro e arrivato con lui in Francia, portandovi la Regola benedettina.
Non c’è alcun documento che confermi il racconto di Odone o che certifichi la presenza di Mauro in terra francese.
Pura fantasia, si direbbe. Eppure...
Eppure il paese dell’abate Odone, Glanfeuil, si è poi chiamato Saint Maur sur Loire.
Eppure nel 1618, mille anni dopo Mauro, nasce in Francia una congregazione benedettina, che nel 1766 avrà 191 case e 1.917 monaci.
E con loro, ecco tornare il nome del discepolo di San Benedetto: questi religiosi si chiamano infatti monaci maurini.
La fine della loro congregazione, poi, è una grande pagina di storia benedettina: nei “massacri di settembre” della Francia rivoluzionaria (1792) viene messo a morte l’ultimo abate generale: Agostino Chevreux.
E con lui altri quaranta confratelli. Tutti monaci maurini. Ne ha fatto di strada, questo nome.  

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mauro, pregate per noi.

*Beata Menzia d'Avalos - Clarissa (15 Gennaio)

Menzia o Mencia d’Avalos è una monaca clarissa che secondo il Martirologio Francescano viene definita ha il titolo di Beata.
In quel testo viene ricordata quale esempio di "prudentia et devotione in Crucifixum insignis".
E’ citata anche tra le Beate e Venerabili spagnole del testo del Padre Pietro Antonio, di Venezia M. O. Riformato "Giardino serafico istorico fecondo di fiori, e frutti di virtù, di zelo e di santità neli tre Ordini istituiti dal Gran Patriarca de Poveri S. Francesco" stampato nel capoluogo veneto nel 1710.
Negli "Annales Minurum seu trium Ordinum a S. Fracisco Istitutorum" è chiamata Mencia e definita una pia monaca.
Visse nel monastero di Nostra Signora della Consolazione presso Palencia, una città della comunità di Castiglia in Spagna, e sembra lì morì intorno al 1480.
La Beata Menzia era ricordata il 15 gennaio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Menzia d'Avalos, pregate per noi.

*Beato Nikolaus Gross - Martire (15 Gennaio)

Niederweningern, Essen, 30 settembre 1898 - 15 gennaio 1945
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Berlino in Germania, Beato Nicola Gross, padre di famiglia e martire: attivamente impegnato nell’ambito sociale, per non operare contro i comandamenti di Dio si oppose con ogni mezzo a un empio regime avverso all’umana dignità e alla fede; per questo fu gettato in carcere e, attraverso il supplizio dell’impiccagione, divenne partecipe della vittoria di Cristo.
Nikolaus Gross, un uomo come noi per estrazione e posizione sociale, nato il 30 settembre 1898, figlio di un fabbro di miniera a Niederweningern - vicino alla città di Essen - frequentò dal 1905 al 1912 la scuola elementare cattolica locale. Dapprima lavorò in un laminatoio e poi come manovale, quindi come minatore in una miniera di carbone dove per cinque anni svolse il suo lavoro in galleria.
Nel poco tempo libero cercò di migliorare la sua istruzione. Nel 1917 entrò a far parte del Gewerkverein christlicher Bergarbeiter, l'associazione sindacale dei minatori cristiani, nel 1918 nel
partito Zentrumspartei e nel 1919 divenne membro dell'Antonius Knappenverein (KAB) di Niederwenigern. Già a 22 anni divenne segretario della sezione giovanile dell'associazione sindacale Christliche Bergarbeitergewerkschaft, solo un anno più tardi aiuto redattore della rivista Bergknappe.
La sua ulteriore attività sindacale lo portò a Waldenburg in Slesia e, con una tappa intermedia a Zwickau, di nuovo nella Ruhr a Bottrop.
Nel frattempo aveva sposato Elisabeth Koch di Niederwenigern che nel corso di un felice matrimonio gli donò sette figli. Amava la sua famiglia più di ogni cosa e fu un padre esemplare, caratterizzato da un profondo senso di responsabilità nell'istruzione e nell'educazione alla fede.
All'inizio del 1927 diventa aiuto redattore presso la Westdeutsche Arbeiterzeitung, l'organo del KAB, di cui viene promosso ben presto capo redattore. Qui può offrire orientamento agli operai cattolici in molte questioni che riguardano la società ed il mondo del lavoro, con questo diventa sempre più chiaro che per lui le sfide politiche contengono un aspetto morale e che i  compiti sociali non si possono risolvere senza sforzi spirituali. Il redattore diventa un apostolo della fede di cui dare testimonianza anche nella stampa.
Quando con questa funzione si trasferisce nella Ketteler Haus di Colonia, cioè nel 1929, ha già un chiaro giudizio sul nazionalsocialismo che sta nascendo. Partendo dal principio del Vescovo Ketteler che la riforma della situazione sociale si può raggiungere solo con una riforma dell'atteggiamento interiore, ravvisa «immaturità politica» e «carenza di discernimento» nei successi dei nazionalsocialisti nella società.
Già allora definisce i nazisti come «nemici mortali dello stato odierno». Come redattore dell'organo del KAB scrive il 14 settembre 1930: «Come lavoratori cattolici rifiutiamo il nazionalsocialismo non solo per motivi politici ed economici, ma in particolare anche per il nostro atteggiamento religioso e culturale in modo chiaro e deciso».
Già alcuni mesi dopo la presa del potere di Hitler nel 1933 il leader del Deutsche Arbeiterfront, Robert Ley, definì la Westdeutsche Arbeiterzeitung del KAB «nemica dello stato». Nel periodo, successivo Groß cercò di salvare il giornale dalla soppressione senza dover fare dei compromessi nel contenuto. Da allora in poi riuscì a scrivere tra le righe in modo che le persone addentro lo capissero. Nel novembre del 1938 il giornale dei lavoratori, nel frattempo ribattezzato Kettelerwacht, venne vietato definitivamente.
Groß, che aveva dovuto lottare molto per la sua qualifica, non era un grande oratore, ma parlava in modo persuasivo, caloroso e convincente. Il fatto che Nikolaus Groß si unisse all'opposizione in Germania, derivò dalla sua convinzione nella fede cattolica. Per lui era valido il principio «che si deve obbedire più a Dio che all'uomo. Se ci viene chiesto qualcosa contrario a Dio o alla fede, non solo è nostro dovere morale, ma è anche nostro dovere assoluto rifiutare di obbedire (agli uomini)».
Così scriveva Nikolaus Groß nel 1943 riguardo alla dottrina religiosa. Sempre più chiaramente si rendeva conto che questa situazione in Germania si sarebbe raggiunta sotto il regime di Hitler.
Le comuni riflessioni vennero fissate da Groß in due annotazioni, che poi caddero nelle mani della Gestapo: Die großen Aufgaben e Ist Deutschland verloren? che contribuirono alla sua condanna.
A partire dal 1940 Groß dovette subire interrogatori e perquisizioni. Dopo che il giornale dell'associazione venne vietato pubblicò una serie di brevi scritti che avevano lo scopo di fortificare nei lavoratori la coscienza nella fede e nei valori etici.
La risposta ai motivi che spingevano uomini come Nikolaus Groß la troviamo nelle memorie del noto padre spirituale di tanti uomini, il prelato Caspar Schulte di Paderborn, che dice: «Nei miei molti colloqui, soprattutto con Nikolaus Groß ed il presidente ecclesiastico dell'associazione Otto Müller, ho imparato a conoscere e ad ammirare la grandezza morale di questi uomini». Non sono andati a morire casualmente.
Hanno seguito la loro strada anche pronti ad affrontare una morte dolorosa per il bene della libertà. Il giorno prima dell'attentato dissi a Nikolaus Groß: «Signor Groß, non si dimentichi che ha sette figli. Io non ho la responsabilità di una famiglia. Si tratta della sua vita». E Groß mi diede una risposta degna della sua vera grandezza spirituale: «Se oggi non ci impegniamo con la vita, come vogliamo superare la nostra prova davanti a Dio e al nostro popolo?».
Dopo l'attentato, fallito, del 20 luglio 1944 gli eventi precipitarono. Groß, che non aveva partecipato direttamente alla sua preparazione ed esecuzione, venne arrestato il 12 agosto 1944 verso mezzogiorno a casa sua e portato dapprima nel carcere di Ravensbrück e poi in quello di Tegel a Berlino.
La moglie Elisabeth venne due volte a Berlino a trovarlo. Essa riferì di chiari segni di torture alle mani e alle braccia. Le lettere dal carcere di Nikolaus Groß testimoniano in modo convincente che per lui la preghiera continua fosse la fonte di forza nella sua posizione difficile e, alla fine, disperata. Non c'è quasi lettera in cui non si lasci sfuggire l'occasione di chiedere alla moglie e ai figli di pregare continuamente come lui stesso pregava giorno dopo giorno per la sua famiglia.
Nella preghiera si sapeva legato alla famiglia, allo stesso tempo però anche in uno scambio continuo con Dio. Nelle sue lettere Nikolaus Groß mostra continuamente di credere che il suo destino ed il destino della sua famiglia era nelle manidi Dio.
Il 15 gennaio 1945 venne pronunciata la sentenza di morte da parte del Presidente del tribunale del popolo Roland Freisler. L'osservazione finale nei verbali ed in realtà l'unica motivazione della sentenza: «Nuotava insieme agli altri nella corrente del tradimento e quindi vi deve anche affogare!». I nazisti non facevano dei martiri. All'impiccato non concessero una tomba: per i fautori di menzogne e di odio c'era solo la brutale eliminazione.
La testimonianza della verità e della fede non si può però estinguere, continua a vivere in coloro che ci hanno preceduto, illuminando il nostro cammino. Il cappellano del carcere Buchholz, che da un nascondiglio diede la benedizione al condannato a morte per il suo ultimo breve tragitto, riferì poi: «Groß abbassò il capo in silenzio.
Il suo viso sembrava già illuminato dallo splendore dal quale stava per venire accolto».
La sepoltura cristiana gli venne negata dal partito al potere e il suo cadavere venne cremato e le ceneri disperse sui campi gelati.

(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Nicola Gross, pregate per noi.

*Beato Pietro di Castelnau - Sacerdote Certorino, Martire (15 Gennaio)

+ Saint-Gilles-les-Boucheries, Francia, 15 gennaio 1208
Arcidiacono della chiesa di Maguelonne, Pietro fece professione nel monastero cistercense di Fontfroide, vicino a Narbonne. Nel 1203 venne designato dal Papa Innocenzo III come suo legato nella crociata contro gli albigesi.
Le difficoltà straordinarie dell'impresa, tra le folle ribelli, la nobiltà piena di diffidenze e i tiepidi prelati, sembrarono esaurire le energie di Pietro, che pregò il Papa di permettergli di ritirarsi nella solitudine di Fontfroide.

Ma questo permesso non gli venne concesso: "Rimanga dov'è, gli scrisse Innocenzo, in questo momento l'azione è migliore della contemplazione". Tuttavia quest'opera richiese presto degli aiuti efficaci e il sommo pontefice chiese a Diego, vescovo di Osma, e ad un suo giovane canonico, Domenico di Guzman di collaborare con i cistercensi.
Il 15 gennaio 1208, Pietro venne assassinato con un colpo di giavellotto, mentre si preparava ad attraversare il Rodano.
L'opinione pubblica attribuì la responsabilità di questo delitto a Raimondo VI, conte di Tolosa, principale promotore della causa degli albigesi, con il quale Pietro aveva avuto un tumultuoso colloquio il giorno precedente.
Fissando in volto l'assassino, Pietro disse: "Che Dio ti perdoni come ti perdono io" e, dopo aver lungamente pregato, morì. Pochi giorni dopo la sua morte, Innocenzo III lo dichiarò vero martire di Cristo. I suoi resti mortali furono bruciati dagli Ugonotti nel 1562. Pio IX confermò il culto ab immemorabili. La sua festa si celebra il 15 gennaio.

Martirologio Romano: A Saint-Gilles-les-Boucheries nella Provenza, in Francia, Beato Pietro da Chateau-Neuf, sacerdote e martire: entrato nel monastero cistercense di Fontfroide, fu incaricato da Papa Innocenzo III di predicare la pace e di insegnare la fede cristiana in Provenza; morì trafitto con la lancia da alcuni eretici.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro di Castelnau, pregate per noi.

*San Probo di Rieti - Vescovo (15 Gennaio)

m. 570 circa
Conosciamo solo il racconto della sua morte fatto da San Gregorio Magno. Per accompagnarne il transito apparvero i martiri Giovenale ed Eleuterio.
Martirologio Romano: A Rieti, commemorazione di San Probo, vescovo, di cui il Papa San Gregorio Magno scrisse un elogio.
Probo è un bell’aggettivo, usato, almeno una volta, anche come nome, nella maniera in cui ancor oggi sono usati i nomi di Modesto, di Pio, di Clemente, di Benigno e di Benedetto.
Probo significa onesto, integerrimo, dabbene: anche oggi, per ogni professione, ci sono i cosiddetti probi viri, cioè gli uomini onesti, che giudicano della correttezza dei colleghi nella vita professionale.  
L'unico testo che possediamo su questo santo vescovo reatino è il racconto che fa San Gregorio Magno della sua santa morte.
Trovandosi Probo in punto di morte si preoccupava più di coloro che l'assistevano, il padre Massimo ed i medici, che di se stesso e raccomandava loro, giacché già si faceva sera, di pensare al proprio sostentamento ed al proprio riposo.
Restò presso di lui solo un ragazzetto (vivo ancora ai tempi in cui scriveva San Gregorio): ed ecco nella stanza dell'infermo apparire alcuni personaggi vestiti di vesti candide e più splendenti della luce. Il fanciullo spaventato  cominciò a gridare, ma Probo, riconosciuti quei personaggi, disse al ragazzo: "Non aver paura, sono i martiri Giovenale ed Eleuterio che sono venuti a trovarmi".
Tuttavia il ragazzo corse alla sala superiore per avvertire gli altri dello strano fatto. Tutti accorsero, ma non trovarono più vivo il santo vescovo: i due martiri erano venuti ad assisterlo nella sua morte e ad accompagnarne l'anima al cielo.
Questo episodio San Gregorio afferma di averlo sentito spesso raccontare dallo stesso nipote del vescovo reatino, pure di nome Probo, allora monaco in Roma ed abate nel monastero di S. Andrea de Renatis (posto probabilmente sull'Esquilino); e questo particolare, insieme con l'altro che era ancor vivo il ragazzo testimone del fatto, ci porta alla conclusione che Probo morì ancor giovane poco dopo la metà del sec. VI, attorno al 570.
Il principale testimone degli avvenimenti narrati da San Gregorio resta il nipote, a cui peraltro non si sa qual fiducia accordare.
Nei Dialoghi di san Gregorio la sua testimonianza è riferita altre tre volte e sempre a proposito di singolari visioni (della Vergine, di angeli o di demoni) avute da persone in procinto di morire: e questo, come ognuno può constatare, è, per la critica storica, un terreno assai viscido in verità. S. Gregorio lo chiama "Probus venerandus episcopus, vir Dei, famulus" ma osserva il Delehaye "Haec non esse cultus ecclesiastici indicia nemo ignorat".
Papa Onorio III, quando consacrò la cattedrale di Rieti nel 1225, ne ripose le reliquie nella cripta.
Pietro de Natalibus (1372), che riporta l'episodio narrato, non conosce il giorno della festa di Probo, ma nel Cinquecento il Santo è comunemente celebrato il 15 marzo nei martirologi di Pietro Canisio (1562), Giovanni Molano (1568), Pietro Galesini (1578) che però ne riporta anche una celebrazione al 15 gennaio.

(Autore: Giovanni Lucchesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Probo di Rieti, pregate per noi.

*San Romedio - Eremita (15 Gennaio)

sec. IV
In Trentino, vicino all'attuale Sanzeno, nella Val di Non visse, nel III secolo, un eremita che apparteneva ad una ricca famiglia, Romedio.
Questi, spogliatosi della cospicua eredità, si recò con un gruppo di amici dall'allora vescovo di Trento, Vigilio, a chiedere la benedizione per un pellegrinaggio a Roma. Giunti a destinazione, furono anche ricevuti dal Papa.
Al ritorno, Romedio e i suoi amici proseguirono l'esperienza comunitaria in un vecchio castello della Val di Non. Il culto di Romedio " che viene spesso raffigurato con un orso quale sua cavalcatura " è stato confermato nel 1907 da Pio X.
Molto suggestivo è il Santuario dedicato a san Romedio in Val di Non: si tratta di un complesso di sei chiese, collegate da ripide scale, poste su uno sperone roccioso. (Avvenire)  

Etimologia: Romedio = venuto da Reims, dal latino
Martirologio Romano: Nella Val di Non in Trentino, San Romedio, anacoreta, che, donati i suoi beni alla Chiesa, condusse vita di penitenza nell’eremo che ancora oggi porta il suo nome.Romedio, appartenente ad una ricca famiglia, intraprese fin da giovane la vita eremitica e penitente nelle montagne trentine.
Divenuto poi erede di un bel gruzzolo, alla morte dei genitori, donò tutto ai poveri e poi, con un gruppo di amici, andò dal vescovo di Trento, Vigilio, a chiedere la benedizione e l'approvazione per recarsi pellegrini a Roma. Il gruppo raggiunse l'Urbe e fu ricevuto persino dal Papa.
Ritornati a Trento, insieme decisero di proseguire l'esperienza comunitaria vissuta durante il pellegrinaggio, andando a vivere in un vecchio castello della Val di Non, presso Tavoni, dove vissero a lungo. Non si conosce la data di morte di Romedio, né il luogo. Pio X confermò, nel 1907, il suo culto 'immemorabile'.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Romedio, pregate per noi.

*San Sawyl Felyn il “Rosso” - Re di Dyfed (15 Gennaio)

Sawyl Felyn il “rosso” fu re di Dyfed e fondatore della chiesa di Llansawel nel Carmartenshire.
Si tratta probabilmente del Sawyl di Ffynnon Sawyl (= il pozzo di Sawyl) presso Llansawel, menzionato per la prima volta nel 1331.
Alcuni calendari recenti ne riportano la festa al 15 gennaio.

(Autore: Leonard Boyle – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Sawyl Felyn, pregate per noi.

*Santa Secondina di Anagni - Martire (15 Gennaio)

+ 250
Santa Secondina, originaria di Anagni, si convertì al cristianesimo e ricevette il battesimo per mano del Vescovo San Magno Martire.
Non tardò ad abbattersi anche su di lei la furia della persecuzione anticristiana indetta dall’imperatore Decio.
Il suo corpo riposa nella cattedrale di Anagni, nell’altare di sinistra.  

Martirologio Romano: Ad Anagni nel Lazio, Santa Secondina, Vergine e Martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Secondina di Anagni, pregate per noi.

*Santa Tarcisia - Martire Venerata a Rodez (15 Gennaio)

Martirologio Romano:
Nel territorio di Rodez sempre in Francia, Santa Tarsicia, Vergine e Martire
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Tarcisia, pregate per noi.

*Beato Valentin Palencia Marquina - Sacerdote e Martire (15 Gennaio)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
a) Beati Martiri Spagnoli del Patronato di San Giuseppe (15 gennaio)
b) Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Burgos, Spagna, 26 luglio 1871 – Suances, Spagna, 15 gennaio 1937

Valentín Palencia Marquina, sacerdote della diocesi di Burgos, si dedicò ai bambini poveri e abbandonati sin da prima dell’ordinazione. Fondò quindi il Patronato di San Giuseppe, cui associò un laboratorio professionale, che guidò con metodi all’avanguardia allo scopo di formare uomini completi, orientati ad amare Dio. Pochi mesi dopo l’inizio della guerra civile spagnola, fu denunciato da un suo allievo. Dei sei giovani che furono chiamati a testimoniare, quattro vollero seguirlo fino alla fine: Donato Rodríguez García (25 anni), Germán García García (24), Zacarías Cuesta Campo (20) ed Emilio Huidobro Corrales (19). Tutti e cinque furono uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances, nella comunità autonoma della Cantabria. La causa di don Valentín e dei suoi quattro ragazzi si è svolta nella diocesi di Burgos dal 1996 al 1999. Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui sono stati riconosciuti come martiri il 30 settembre 2015. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016 nella cattedrale di Burgos.
Nascita e primi sacramenti
Valentín Palencia Marquina nacque a Burgos in Spagna il 26 luglio 1871, figlio di Cipriano, di professione calzolaio, e Victoria, casalinga. Venne battezzato nella parrocchia di Santo Stefano il giorno dopo la nascita. Ricevette il sacramento della Confermazione nella chiesa di San Nicola il 9 novembre 1871. Fece il ministrante nella parrocchia-cattedrale di San Giacomo a Burgos.
Seminarista già appassionato ai bambini, poi sacerdote
A tredici anni intraprese gli studi di Umanità, Filosofia e Teologia nel Seminario di San Geronimo in qualità di esterno, a causa della scarsità di mezzi economici. Nei dieci anni successivi ottenne voti dapprima discreti, poi eccellenti. Il suo parroco lo descrisse come «giovane esemplare, affezionato alle cose della Chiesa, molto amante dei bambini, che cerca d’istruire ed educare cristianamente».
Il 1 febbraio 1896 cominciò il ministero sacerdotale nella parrocchia di Susinos del Páramo, dove rimase fino al 1898. Tornato a Burgos, prese a raccogliere bambini orfani, emarginati e invalidi. Per questo motivo il cardinal Gregorio María Aguirre lo nominò direttore, cappellano e docente del «Patronato di San Giuseppe per l’insegnamento e l’educazione dei bambini poveri», situato nell’attuale chiesa di Santo Stefano.

Il Patronato di San Giuseppe
Il Patronato arrivò a ospitare circa 110 ragazzi, di cui 40 interni e una sessantina esterni, che beneficiavano anche di una mensa invernale. Don Valentín sopportava orari di lavoro estenuanti confidando solo nella Provvidenza e nell’aiuto di san Giuseppe, tanto che, nei momenti di sconforto, veniva sorpreso a esclamare: «San Giuseppe non mi abbandona». Il suo modello era la Santa Famiglia di Nazareth, per cui offriva ai suoi ragazzi, specie a quelli realmente bisognosi, un ambiente di famiglia, dando loro non solo l’istruzione, ma una sincera dose di affetto.
Don Valentín come educatore
Il sogno di don Valentín era creare una vera e propria scuola professionale, ma dovette accontentarsi
di un laboratorio. Il suo approccio educativo, basato sull’educazione nella responsabilità era improntato a numerose attività: disegno per maturare l’abilità manuale, musica per elevare lo spirito (con un coro e una banda) e teatro per educare a livello espressivo. Quando gli allievi diventavano maggiorenni, erano da lui aiutati a trovare un impiego. Badava che l’istruzione fosse gioiosa, per fare di quei ragazzi uomini veri, orientati all’amore di Dio.
Infine, dormiva a fianco dei bambini, si affiancava ai più piccoli insegnando loro a pregare, a studiare, a esercitarsi nelle attività materiali e, all’occorrenza, giocava con loro. I suoi allievi ricordano che, nonostante la sua statura imponente, era molto affabile, tanto da affermare che «era misericordia», cioè la misericordia fatta persona.
Nonostante le difficoltà materiali per la gestione della struttura, era estremamente generoso. Quando l’edificio del Patronato andò distrutto per un incendio, non si lasciò abbattere: nel giro di un anno, ricorrendo alle elemosine, riuscì a ricostruirlo.

Altri incarichi vissuti con umiltà
Tra i suoi altri incarichi ci furono quello di cappellano della cappella del Santo Ecce Homo e di Sant’Enrico nella cattedrale di Burgos, nonché di assistente spirituale della confraternita di Santa Lucia e di quella di San Giuseppe. Nel Patronato, inoltre, stabilì la confraternita della Sacra Famiglia.
Tuttavia, rifiutava onori e privilegi, come l’onorificenza della Croce di Beneficenza, ottenuta nel 1925 da parte del Governo spagnolo, oppure un altro distintivo che gli venne attribuito il 19 marzo 1927: era certo, infatti, che il merito fosse unicamente del Signore.

La prospettiva del martirio
L’occasione, tanto sospirata, di dare la vita per Lui, come aveva scritto nel suo testamento spirituale, si verificò nell’estate del 1936. Come faceva abitualmente, aveva portato un gruppo dei musicisti della banda e alcuni bambini, che altrimenti non avrebbero saputo dove andare, in vacanza al mare a Suances, nella comunità autonoma della Cantabria. La serenità di quel momento venne interrotta il 18 luglio, con la dichiarazione della guerra civile spagnola.
Poco più di un mese dopo, a partire cioè dalla festa dell’Assunzione, a don Valentín venne proibito di celebrare la Messa perché la chiesa del Patronato era stata trasformata in garage. Tuttavia, lui continuò a farlo in un angolo di casa sua, così da poter badare agli ammalati e portare la Comunione alle monache Trinitarie.

Ucciso con quattro dei suoi giovani
Poco tempo dopo, un suo allievo lo denunciò al Fronte Popolare di Torrevalega, semplicemente perché lui non gli aveva dato una moneta come mancia. Il fatto era però motivato dal comportamento indisciplinato del ragazzo, il quale colse l’occasione per denunciare che, nonostante la proibizione, lui aveva continuato a celebrare la Messa.
Sei giovani vennero chiamati a deporre, ma in quattro, i suoi più fedeli collaboratori, vollero accompagnarlo più da vicino. Erano Donato Rodríguez García, di 25 anni, nativo di Santa Olalla de
Valdivielso, direttore della banda dell’istituto; Germán García García, ventiquattrenne di Villanueva de Argaño; Zacarías Cuesta Campo, di 20 anni, che veniva da Villasidro; Emilio Huidobro Corrales, che di anni ne aveva diciannove e proveniva da Villaescusa del Butrón. Furono uccisi con lui il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances.
Alcune donne che don Valentin aveva aiutato mediante elemosine vennero obbligate dal presidente del Fronte Popolare di Suances a pulire la casa dov’erano stati ospitati i bambini. Poco tempo dopo l’accaduto, il periodico di Burgos «El Castellano» riportò la testimonianza di una di loro, circa le ultime ore di don Valentín. Lo aveva visto consapevole che stava per essere ucciso, tuttavia, tranquillo e pieno di fede, confidò a lei e alle altre donne: «Ho sempre chiesto la grazia del martirio… Se mi uccideranno, quando arriverò in Cielo chiederò per qualcuna di voi questa grazia». Quando gli domandarono cos’avesse fatto col Santissimo Sacramento, rispose: «L’ho consumato, ma porto nel borsellino un’Ostia consacrata, per comunicarmi prima che mi uccidano».

Fama di santità e processo di beatificazione
L’impegno caritativo di don Valentín fu riconosciuto in maniera postuma dalla sua città d’origine, Burgos, che gli dedicò una strada. Quanto alla sua causa di beatificazione, fu accomunata a quella dei giovani che lo seguirono fino alla fine. Ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 21 agosto 1996, è stata aperta nella diocesi di Burgos il 30 settembre 1996 e conclusa il 18 marzo 1999; l’8 novembre dello stesso anno ha ottenuto la convalida. La "positio super martyrio" è stata consegnata a Roma nel 2003.
A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, l’8 novembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, Papa Francesco ha firmato il 30 settembre 2015 il decreto che riconosceva ufficialmente il
martirio di don Valentín e dei suoi quattro compagni. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016 nella cattedrale di Burgos.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Valentin Palencia Marquina, pregate per noi.

*San Viatore di Bergamo - Vescovo (15 Gennaio)

Bergamo, † 14 dicembre 370
Emblema: Bastone pastorale
San Viatore è unanimemente ritenuto il successore del primo vescovo di Bergamo San Narno, quindi è il secondo della serie episcopale bergamasca.
Il suo episcopato si svolse all’incirca dal 343 al 370; è quasi sicuro che partecipò al Concilio di Sardica (Sofia in Bulgaria) del 342-343 e che ne sottoscrisse i decreti, infatti Sant' Atanasio nella
sua “Apologia contra Arianus” lo cita tra i sottoscrittori del Concilio.
Della sua vita non si sa altro, ma il culto che gli è stato tributato è antico e certissimo, come risulta da vari Calendari dei secoli XI - XII - XIII; dalle Litanie di un codice del secolo XII; dalla lapide sepolcrale scoperta nel 1561.
I cronisti di Bergamo raccontano, che sin dall’antichità, il 13 dicembre vigilia della festa e del giorno della morte, i  canonici di San Vincenzo si recavano alla cattedrale di Sant' Alessandro dove erano accolti con il suono delle campane, incenso e acqua benedetta.
Vari Martirologi storici lo riportano sempre al 14 dicembre; San Viatore fu sepolto nella cripta della cattedrale di Sant’ Alessandro, al lato sinistro del sepolcro del santo martire; sulla tomba fu costruito un altare.
Il 1° agosto del 1561 le sue reliquie, insieme a quelle degli altri santi lì custodite, furono con solennità trasferite nella cattedrale di San Vincenzo, perché per ordine del governo di Venezia, a cui apparteneva Bergamo in quell’epoca, si dovette abbattere l’antica cattedrale di Sant’ Alessandro.
San Viatore è raffigurato in varie opere d’arte; nell’androne dell’antico palazzo dei vescovi, è affrescato nitidamente accanto a San Narno in un’opera del XIII secolo. Poi in una tela del 1742 del pittore bolognese Francesco Monti, posta nel coro del duomo di Bergamo e ancora è raffigurato nel grandioso affresco della cupola e in una tela posta in sagrestia, sempre rivestito dagli abiti episcopali.  

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Viatore di Bergamo, pregate per noi.

*Beato Zacarias Cuesta Campo - Giovane laico, Martire (15 Gennaio)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
a) Beati Martiri Spagnoli del Patronato di San Giuseppe (15 gennaio)
b) Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Villasidro, Burgos, Spagna, 10 giugno 1916 – Suances, Spagna, 15 gennaio 1937
Zacarías Cuesta Campo, nativo di un piccolo paese presso Burgos in Spagna, rimase zoppo a cinque anni. Fu quindi affidato alle cure di don Valentín Palencia Marquina, che dirigeva a Burgos il Patronato di San Giuseppe per bambini e ragazzi orfani o abbandonati; si specializzò nel mestiere di calzolaio.
Quando il sacerdote, durante la guerra civile spagnola, venne arrestato, il ventenne Zacarías volle condividerne la sorte insieme ad altri tre giovani, Donato Rodríguez García, Germán García García ed Emilio Huidobro Corrales. Tutti e cinque vennero quindi uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016, nella cattedrale di Burgos.
Zacarías Cuesta Campo nacque il 10 luglio 1916 a Villasidro presso Burgos, in Spagna. A cinque anni, a causa di un’iniezione sbagliata, rimase zoppo. La gamba gli faceva molto male specie in inverno, ma lui non perse il suo buon carattere, che lo spingeva ad esempio a prendere le difese delle bambine, quando i maschi le prendevano in giro. Inoltre, insieme ai fratelli, andava a recitare il Rosario.
I suoi genitori erano molto amici di un sacerdote, don Valentín Palencia Marquina, direttore a Burgos del Patronato di San Giuseppe per bambini e ragazzi orfani o abbandonati. Lui li invitò ad affidargli il bambino perché imparasse il mestiere di sarto e di calzolaio: l’istituto, infatti, aveva anche un laboratorio artigianale.
Secondo il suo metodo educativo, aveva grande importanza anche l’insegnamento della musica, così Zacarías imparò anche a suonare. Aveva anche un’ottima grafia, con la quale copiava nei suoi quaderni i testi di poesie o di canti religiosi.
Nell’estate del 1936 era già pronto per avviarsi alla professione di calzolaio e gli era stato suggerito dal suo istruttore di non andare in vacanza, ma don Valentín gli chiese di accompagnarlo per badare ai ragazzi che partecipavano, come ogni anno, alla colonia estiva del Patronato nella località marittima di Suances, nella comunità autonoma della Cantabria. La serenità di quel momento venne interrotta il 18 luglio, con la dichiarazione della guerra civile spagnola.
Don Valentín venne in seguito denunciato al Fronte Popolare e arrestato. Sei giovani vennero chiamati a deporre, ma Zacarías e altri tre, Donato Rodríguez García, Germán García García ed Emilio
Huidobro Corrales, vollero accompagnarlo più da vicino. Tutti e cinque vennero quindi uccisi il 15 gennaio 1937 sul monte Tramalón, nei pressi di Suances. Zacarías aveva 20 anni.
Il sacerdote e i suoi quattro giovani, che qualcuno non a torto ha definito "martiri dell’amicizia", sono stati oggetto di un processo di beatificazione. La causa, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 21 agosto 1996, è stata aperta nella diocesi di Burgos il 30 settembre 1996 e conclusa il 18 marzo 1999; l’8 novembre dello stesso anno ha ottenuto la convalida. La "positio super martyrio" è stata consegnata a Roma nel 2003. A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, l’8 novembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 30 settembre 2015 il decreto che riconosceva ufficialmente il martirio di Zacarías Cuesta Campo e dei suoi quattro compagni. La loro beatificazione congiunta è stata fissata per il 23 aprile 2016, nella cattedrale di Burgos.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Zacarias Cuesta Campo, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (15 Gennaio)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

Torna ai contenuti