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Chiunque passi per la via Appia, il tratto di strada tra il Comune di Caserta e quello di Santa Maria Capua Vetere, non può fare a meno di voltare lo sguardo verso questo grande monumento romano. Quasi nascosto dalle abitazioni moderne e affiancato da un supermercato, le Carceri Vecchie è la tomba antica più grande della Campania. Opera composta da un grande corpo cilindrico a cupola, scandito da semicolonne ed archi ciechi che sostengono l’architrave; al di sopra un secondo corpo cilindrico più piccolo scandito da pilastri. Probabilmente carcere di gladiatori. L’interno della cella presenta frammenti di affreschi che testimoniano la presenza di decorazioni scomparse.
Poco fuori Santa Maria Capua Vetere, procedendo lungo l’Appia in direzione di Caserta, sul lato sinistro della strada si incontrano le cosiddette Carceri Vecchie, un edificio a destinazione funeraria cosi definito per la credenza popolare che lo riteneva una galera per i gladiatori che combattevano nel vicino Anfiteatro Campano, quindi un carcere per i gladiatori. In realtà si tratta di un sepolcro di età imperiale,
In base alla tipologia architettonica e alla tecnica muraria si può datare all’età sillana, mentre le decorazioni dell’interno rimandano all’età augustea. Il monumento funerario è costituito da un grande tamburo cilindrico esterno, che racchiude un tumulo tramite diaframmi radiali, e, inscritto al centro, un corpo circolare minore.
Il tamburo esterno, in opus reticulaumi e scandito da doppie file di mattoni, è articolato da semicolonne poggianti su plinto, rivestite di stucco e scanalate, di ordine tuscanico, tra cui si aprono alternate nicchie rettangolari e semicircolari, con coperture a semicalotta rivestite in stucco e decorate a conchiglia.
La pavimentazione esterna è realizzata in cocciopesto. In alto, al di sopra dell’architrave, il tamburo è completato da una Fascia continua scandita da piccoli semipilastri.
Sulla sommità, al di là del riempimento di terreno, un corpo centrale circolare, costituito da otto colonne sosteneva probabilmente una copertura a cuspide, perduta, posta in corrispondenza della camera sepolcrale. Questa era raggiungibile attraverso un corridoio, oggi purtroppo chiuso da una chiesetta moderna.

Proprio nel centro di Santa Maria, nelle vicinanze del Museo Archeologico sono stati rinvenuti i resti di un complesso di epoca romana consistente in un grande ambiente absidato, con copertura a volta, realizzato in opera reticolata.
Questo tipo di tecnica muraria prevedeva il rivestimento di un muro con blocchetti di tufo (tufelli) a forma di piramide a base quadrata che venivano inseriti nel paramento del muro accostandoli per linee oblique in modo da dare l’impressione di un reticolo, una tecnica di età repubblicana.
A nord dell’ambiente voltato si trovava una vasca, ricoperta in signino (cocciopesto con l’inserzione di tessere di mosaico con motivi decorativi), in modo da renderla impermeabile.

Il signino è databile alla fine del II-inizio I secolo a.C.
Sono poi stati rinvenuti i resti di un ambiente ipogeo, probabilmente un criptoportico, a pianta pressoché quadrata, anch’esso con paramento in opera reticolata, cui si accedeva tramite una scala realizzata in un angolo del vano.
Da questo ambiente ipogeo provengono due statue.

Una, acefela, rappresenta una figura di fanciullo, mentre della seconda rimane solamente un frammento di una spalla che regge un cratere è improbabile che si trattasse di un fabbrica, perché posta al centro della città, generalmente gli impianti produttivi sorgevano all’esterno o alla periferia delle città, in luoghi dove fosse facile approvvigionarsi di materia prima e di acqua. Potrebbe essere un luogo di culto ma non ci sono prove.

Il Mausoleo della Conocchia, o semplicemente la Conocchia, è il principale monumento di Curti: si tratta di un monumento funerario che si erge imponente e maestoso sul percorso dell'antica Via Appia; il nome popolare deriva dalla forma che ricorda la conocchia, oggetto usato per filare.
Il sepolcro monumentale di Conocchia, cosiddetto per l’aspetto delle forme architettoniche, si trova nel comune di Curti, sul lato destro dell’Appia venendo da Santa Maria Capua Vetere, a poca distanza dal centro urbano e dall’altro monumento funerario delle Carceri Vecchie.
Conosciuta e apprezzata fin dal XVI sec. dato che i primi rilievi compaiono nel Codice napoletano di Pirro Ligorio, la Conocchia fu spesso riprodotta in disegni e incisioni sette-ottocentesche.
Intorno al 1790 se ne interessò di Ferdinando IV di Borbone che, sperando ottenesse un po' del successo di Pompei, la fece restaurare.
Purtroppo dal confronto con le riproduzioni precedenti si notano nel restauro alcune alterazioni degli elementi architettonici: non antica è ad esempio la copertura a cupola che ne ha sostituito una piramidale, e molti particolari decorativi sono andati perduti. Tuttavia le linee fondamentali del monumento sono quelle.
É costituito da tre livelli sovrapposti per un'altezza complessiva di circa 3 m.
Il più basso, che contiene la camera sepolcrale, ha una semplice struttura a dado e sostiene un altro corpo quadrangolare con spigoli arrotondati che formano quattro colonne, con lati a pareti concave, entro cui sono ricavate in ciascuna una nicchia centrale con copertura a timpano.

Nell’area a nordest dell’abitato dell’Antica Capua, al confine tra i comuni di Santa Maria Capua Vetere e San Prisco, agli inizi degli anni ottanta, in occasione della costruzione di una nuova rete fognante, furono rimessi in luce alcuni livelli dell’abitato arcaico.
Particolarmente interessante il rinvenimento di una fornace, attiva tra la fine del Vi e gli inizi del V secolo avanti Cristo e molto probabilmente utilizzata per la cottura di tegole piane.
Il Centro Regionale di Incremento Ippico, ubicato alle porte del centro di Santa Maria Capua Vetere, si estende su una superficie di circa 6 ettari. Il Centro si occupa della tutela e della valorizzazione delle razze campane (Cavallo Salernitano, Persano e Napoletano) e di alcune razze asinine (Martina franca e Ragusana) al momento che il Centro svolge anche un ruolo istituzionale come Stazione di monta pubblica, a servizio degli allevatori campani, sono presenti anche cavalli di altre razze (Haflinger, CAITPR, Franches Montagnes, Puro Sangue Arabi), oltre ad un considerevole numero di esemplari di razza Salernitana. Il Centro che nasce come Regio Deposito Cavalli stalloni dei Borbone ha diverse scuderie e paddok e dispone di un locale infermeria e di un reparto mascalcia. Il Centro inoltre ospita un pregevole Museo delle Carrozze, ove sono posti in mostra carri, carrozze, finimenti di pregio, divise e stampe d'epoca.
Presentazione
In Regione Campania le funzioni e le attività istituzionali dell'ex Istituto di Incremento Ippico sono espletate dal Centro Regionale di Incremento Ippico di Santa Maria Capua Vetere (CE). Il vigente ordinamento amministrativo degli Uffici della Giunta Regionale vede incardinato il Centro nell'Unità Operativa Dirigenziale Settore Tecnico Provinciale di Caserta.
Il Centro promuove la salvaguardia, lo sviluppo, il miglioramento genetico e la valorizzazione economica delle produzioni equine regionali. In particolare cura gli aspetti che disciplinano la riproduzione equina nonché le iniziative tese alla tutela delle razze equine autoctone di notevole pregio genetico come la Persana, la Napoletana e la Salernitana.
Il Centro, inoltre, si prefigge l'obiettivo di concretizzare una maggiore integrazione degli interventi realizzati sul territorio in materia di ippicoltura dalla Regione attraverso un collegamento sistematico con le altre istituzioni, le organizzazioni professionali di categoria e le componenti associative di settore nell'ottica di assicurare positive ricadute in termini di valenza ambientale, di miglioramento delle condizioni di benessere degli animali e di sviluppo delle connesse attività economiche degli allevamenti campani.
La storia del centro
Il Centro Regionale di Incremento Ippico di Santa Maria Capua Vetere (CE) - sorto intorno al 1853 come Regio Deposito Cavalli Stalloni - ha assunto la denominazione di Istituto di Incremento Ippico nel 1955 con il D.P.R. 22 Settembre 1955 n.1298. Con la legge 21 Ottobre 1978 n. 641, emanata in applicazione dell'art. 75 del D.P.R. n. 616/77, l'Istituto di Incremento Ippico è stato soppresso e messo in liquidazione.
Le funzioni concernenti l'ippicoltura ed, in particolare, il mantenimento degli stalloni di pregio, l'ordinamento del servizio di monta, la gestione dei depositi di cavalli stalloni nonché gli interventi tecnici per il miglioramento delle produzioni equine, sono state, quindi, trasferite alle Regioni.
In seguito con la legge regionale n. 42 del 2 Agosto 1982 - art. 62 - Provvedimenti per l'attuazione del programma agricolo regionale, le funzioni e le attività del soppresso Istituto di Incremento Ippico, sono state incardinate negli uffici dell'Assessorato all'Agricoltura.
Con deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 8094 del 18 novembre 1996 le funzioni istituzionali sono state, quindi, attribuite all'allora Settore Tecnico Amministrativo Provinciale Agricoltura/Centro Provinciale di Informazione e Consulenza in Agricoltura di Caserta, oggi Unità Operativa Dirigenziale di Caserta.
Gli uffici regionali, in attuazione della predetta deliberazione, hanno assicurato lo svolgimento delle attività in precedenza svolte dall'Istituto, consistenti nel mantenimento e gestione di un numero di riproduttori equini ed asinini adeguato alle esigenze del territorio, nell'impiego degli stessi alla monta, nell'autorizzazione e controllo delle stazioni di monta equina pubblica e privata, ai sensi della legge 30/91, modificata ed integrata dalla legge 280/99 e relativi Regolamenti di applicazione adottati con D.M 172/94 e D.M.403/00.
Negli anni si è provveduto anche all'adeguamento funzionale della struttura ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ambiente e sicurezza, alla rifunzionalizzazione del locale infermeria e laboratorio veterinario ed all'acquisto delle relative attrezzature.
Il Centro Regionale di Incremento Ippico ha ospitato numerose visite guidate al museo delle carrozze ed alle strutture d'allevamento e diverse iniziative turistiche e storico-culturali, come “Maggio dei monumenti”. Le iniziative messe in campo dalla Regione per la promozione, l'incremento e la qualificazione dell'ippicoltura campana, anche attraverso la partecipazione con i propri stalloni alla 110° edizione di Fiera Cavalli a Verona, hanno richiamato numerosi visitatori sia presso lo stand appositamente allestito che presso gli spettacoli ippici a i quali hanno partecipato i cavalli delle razze campane.
Attualmente il Centro si propone la realizzazione di nuove iniziative finalizzate ad incentivare le attività promozionali e di fruizione esterna del Centro anche attraverso la programmazione di un fitto programma di attività destinate alle scuole di diverso ordine e grado nell’ambito delle iniziative legate alle Fattorie didattiche, ma anche ad Associazioni culturali e turistiche interessate agli aspetti storici e culturali che caratterizzano le strutture allevatoriali e il Museo delle carrozze.
Per favorire una maggiore integrazione del Centro con il territorio sono previsti incontri e convegni volti a diffondere la conoscenza delle razze equine autoctone (Salernitana, Persana e Napoletana) e di quelle esistenti in ambito regionale, favorendone anche il miglioramento qualitativo.
Le attività didattiche
*Visita alle strutture del Centro (stalle, paddok, silos, infermeria, locale mascalcia)
*Visita al Museo: i carri, le carrozze, i finimenti, le stampe e le divise. La documentazione storica.
*Laboratorio didattico: Conosciamo il cavallo: razze, attitudine, morfologia.
*Laboratorio didattico: Cosa mangiano i cavalli? Guardiamo, annusiamo e seminiamo insieme.
*Laboratorio didattico di scienze: Utilizzo e trattamento dello stallatico.
*Laboratorio didattico di scienze: La cura del cavallo. Indagini mediche e trattamenti durante il ciclo di vita del cavallo (approfondimenti su richiesta in relazione al corso di studio degli studenti).
*Festa dell’albero: nelle settimane del 21 marzo e il 21 novembre, piantiamo insieme un albero.

*Museo Archeologico dell'Antica Capua

L’edificio ottocentesco dell’Incremento Ippico Borbonico ospita il Museo Archeologico, costruito nell’area della Torre di Sant’Erasmo, dove nacque nel 1278 Roberto d’Angiò. La Torre sorse dopo che S. Erasmo, vescovo di Formia venerato col nome di Sant’Elmo, costruì una cappella sulle rovine del tempio di Giove; in epoca longobarda divenne, insieme all’Anfiteatro, una fortificazione che Carlo D’Angiò destinò a residenza reale estiva e regia scuderia.

Nella stessa Torre nacque Roberto D’Angiò. Nel Museo archeologico, inaugurato l’11 ottobre 1995, vi sono esposti materiali capuani, risalenti al periodo compreso tra il XIV e il III secolo a.C., provenienti da sepolture e da abitati.
Le prime tre sale sono allestite con reperti che testimoniano il passaggio dall’età del Bronzo a quella del Ferro. Sono in mostra corredi dalla necropoli villanoviana del Nuovo Mattatoio e da quella dell’età del ferro di Fornaci, che si estendeva nella zona dell’Anfiteatro.

Nella quarta sala prevale l’elemento etrusco con il "bucchero", una ceramica che durante la cottura assumeva un omogeneo colore nero.

Notevoli anche i grandi recipienti di bronzo, di produzione locale e di importazione greca, esposti nella quinta sala. Statue e decorazioni risalenti al periodo tra il VI e il III secolo a.C. sono conservate nella sesta sala.

Trovano spazio nella settima sala alcune sepolture di fine VI sec. a.C. L’ottava sala è dedicata alle sepolture dei Sanniti e nella nona è ricomposta una tomba a cassa. Al suo interno vi sono vasi del corredo. L’ultima sala raccoglie reperti provenienti dal santuario del Fondo Patturelli, terrecotte architettoniche, votivi e statue delle Madri.

*Museo Civico e Archivio Storico

Il Museo Civico di Santa Maria Capua Vetere fu istituito con deliberazione di Consiglio Comunale dell’08 novembre 1870 per la conservazione delle "antichità" ed ebbe come sua prima sede il Palazzo Municipale sito nell’attuale via Cappabianca.
Tale scelta nasceva dalla volontà degli amministratori di conservare e salvaguardare la notevole quantità di reperti archeologici raccolti negli anni e, soprattutto, da mosaici ed iscrizioni rinvenuti durante i lavori di costruzione del nuovo campanile del Duomo nella piazza antistante la Chiesa Madre.
Suo primo Direttore fu il cav. Giacomo Gallozzi. Nel 1910, in occasione del cinquantenario del plebiscito che sancì l’annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna veniva organizzata a Napoli, a cura di Salvatore Di Giacomo, la "Mostra dei ricordi storici del Mezzogiorno d’Italia".
L’amministrazione comunale, guidata dal Sindaco Corrado Fossataro, aderì all’iniziativa affidando al professore Ernesto Papa la ricerca e la raccolta di cimeli e documenti, che furono esposti alla Mostra inaugurata il 25 maggio 1911.
Al termine delle celebrazioni i reperti, in gran parte di proprietà privata, furono conservati presso la Casa Comunale di via Cappabianca, andando a costituire la "sezione risorgimentale" del Museo.
I reperti furono nuovamente esposti alla "Mostra Garibaldina" di Roma del 1932, allestita in occasione del 50° anniversario della morte di Garibaldi. Nel 1961, dopo la partecipazione alla Mostra "il Risorgimento in Terra di Lavoro" organizzata nella Reggia di Caserta in occasione del 100° anniversario dell’Unità d’Italia, i reperti furono riallestiti nel Salone degli Specchi del Teatro Garibaldi, dove rimasero fino al 1990.
Dopo varie peripezie la raccolta museale fu traslocata in questo edificio nel 1999.
Il complesso demaniale che attualmente ospita i beni culturali della Città (Archivio Storico, Biblioteca Comunale "Pezzella" e Museo Civico) fu Convento degli Alcantarini, costruito tra il 1677 ed il 1684.
La Chiesa, intitolata a San Bonaventura ospita un dipinto di Luca Giordano e un cimitero sotterraneo.
* Nel 1866 il Convento passò in proprietà dello Stato ed ebbe dal 1880 destinazione a riformatorio.
* Nel 1999 fu parzialmente concesso al Comune per ospitarvi i suoi beni culturali.
* Dal 2000 è sede del Museo Civico.
Proprio nel centro della città, alle spalle del Teatro Garibaldi, nel 1994, durante i lavori di costruzione di un edificio per civili abitazioni sono stati rinvenuti i resti di un edificio di imponenti dimensioni che nel periodo compreso tra il II sec. a.C. ed il primo dopo, venne utilizzato come laboratorio per la lavorazione del bronzo.
Il Teatro vede la sua inaugurazione nel lontano 1896 e grazie alla sua bellezza, ben presto, viene ribattezzato "Il piccolo San Carlo". Dopo la chiusura a causa del sisma del 1980, lavori di restauro, in epoche recenti, lo restituiscono allo splendore originario. Oggi il teatro, gioiello della Città, rappresenta il palcoscenico indimenticabile di molteplici eventi.
É possibile usufruire della struttura per l’organizzazione di spettacoli teatrali, musicali e di danza oppure del Salone degli Specchi, splendida cornice per la celebrazione di matrimoni civili, incontri, convegni, mostre e dibattiti.
Cittadini e turisti potranno visitare gli spazi allestiti all'interno di uno dei simboli culturali della città appunto il Teatro Garibaldi. La mostra permanente, che vuole essere la dimora della memoria storica del Teatro, prevede l’esposizione di reperti e documenti dell’Archivio Storico recuperati nei depositi del Museo Civico. Il percorso espositivo consentirà anche di immergersi nell’affascinante storia del Teatro Garibaldi attraversando le tanti fasi storiche in ognuna delle quali ha lasciato un segno indelebile.
Un percorso, quindi, che consentirà una costruzione identitaria del Teatro: dal momento della sua nascita, appunto il 12 aprile del 1896, con la rappresentazione de "La forza del destino" di Giuseppe Verdi al quale inizialmente voleva essere intitolato il Teatro, fino ad arrivare ai lavori di recupero del secondo millennio, resistendo a due guerre e rinascendo alla fine del XX secolo, dopo un letargo durato quasi 20 anni a causa dei danni del terremoto del 1980.
Storia
Il 28 ottobre 1864 il municipio di Santa Maria Capua Vetere bandì un concorso di progettazione per la realizzazione di un teatro pubblico, essendo il comune deciso ad aumentare il proprio prestigio e sprovvisto di un qualsiasi teatro stabile a differenza di città dalla più consolidata tradizione come Caserta ma soprattutto Capua. Furono presentati 17 progetti, 8 dei quali furono ammessi e presi in considerazione dalla Commissione appositamente nominata; nessuno di questi però rispondeva pienamente alle indicazioni del bando.
Per tale motivo la Commissione non scelse alcuno dei progetti presentati ma si riservò la possibilità di nominare un architetto, tra quelli concorrenti, cui affidare la progettazione secondo le norme previste dal programma. La scelta cadde sull'architetto Luigi Della Corte che "rispondendo con zelo all'invito presentò nel 18 giugno 1865 una pianta topografica modificata e un novello stato estimativo delle spese".  
I lavori per la costruzione dell'edificio avrebbero dovuto cominciare il 1º gennaio 1867 ma non si riuscì a trovare un imprenditore che, per il prezzo previsto, volesse appaltare l'opera.
Dopo circa vent'anni, il 1º marzo 1887, fu bandito un altro concorso per un progetto dalle caratteristiche simili (3 ordini di palchi invece di 4 e un minor numero di sale) e, tra i progetti presentati, fu scelto quello di Antonio Curri che si ispirò all'Opéra Garnier di Parigi. I lavori, iniziati il 13 agosto 1889, furono aggiudicati alla ditta D'Agostino e Casella di Salerno (che per i lavori in muratura si avvalse della locale impresa di Pasquale Angiello) e furono terminati nell'arco di sette anni. La spesa complessiva, originariamente stimata in lire 200.000, risultò, a lavori ultimati, pari a Lire 450.000, più del doppio di quanto inizialmente previsto. Il 12 aprile del 1896 il teatro, intitolato a Giuseppe Garibaldi anche per via dell'importanza della Battaglia del Volturno nel processo dell'Unità d'Italia, fu inaugurato con la messa in scena di La forza del destino di Giuseppe Verdi, diretta dal maestro Vincenzo Grandine.
Per la ricercata facciata architettonica e per la fama che andava ad acquistare nel corso degli anni fu soprannominato piccolo San Carlo, anche se fu l'ultimo teatro lirico ad essere costruito in Campania, essendo il comune di Santa Maria Capua Vetere relativamente giovane.
Numerose le rappresentazioni di opere liriche. Tra le tante si ricordano il Camoens di Pietro Musone del 1897, con il tenore Luigi Ceccarini e il soprano Anna Franco, il Mefistofele di  Arrigo Boito, la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, La Gioconda di  Amilcare Ponchielli, oppure le "prime" de Il trovatore nel 1901, del Rigoletto, della Norma, o ancora i  Pagliacci del  Leoncavallo nel 1904, la Cavalleria rusticana di  Pietro Mascagni, l'Andrea Chénier e  lt La bohème con il maestro Guido Serrao e il tenore Amedeo Rossi. Il 4 giugno del 1910 vi esordì il baritono Raffaele Aulicino in una rappresentazione della Traviata di Giuseppe Verdi. Non mancavano anche rappresentazioni di operette che consentirono all'impresario di superare la crisi serpeggiante dal 1902 quando era stato necessario sospendere le rappresentazioni per il loro costo elevato, che costringeva a praticare prezzi dei biglietti al di sopra delle possibilità medie dei cittadini Sammaritani.
Fu così che vennero messe in scena "La vedova allegra" e "Geisha" nel 1910, con Gianni e Lina Sartori, Margherita Abbadia-Lindi, i maestri U.Bellini e Gambardella e "I pescatori di perle" nel 1914 con il debutto di Maria Reichenbach.
Il Teatro ospitava anche rappresentazioni di prosa, concerti da camera e sinfonici. Nella stagione 1896/97 ospitò la "Drammatica Compagnia" diretta da Antonio Grisanti, Attila Ricci e Virginia Campi; nell'autunno del 1897  Eduardo Scarpetta e la sua compagnia; nel 1898 la compagnia di Achille Torelli; nel 1899 Amalia Ferrara, Lena Botti-Bello e Lina Montis in "Un viaggio in Africa" e " Donna Juanita" di Suppé, Il venditore di uccelli di Zeller e "L’usignolo" di Chapy e, nel 1900, la Compagnia di Ferruccio Garavaglia, Achille Maironi, Gina Favre in "Tristano e Isolda" e "La scuola delle mogli" di Molière.
Nel dicembre del 1914, a seguito di un incendio che distrusse il Cinema Mascolo dove si esibiva, Salvatore De Muto, l'ultimo Pulcinella della scuola dei Petito, fu autorizzato, non senza polemiche ed opposizioni, a tenere spettacoli al Garibaldi, molto apprezzati dal pubblico popolare.
Durante la Prima guerra mondiale il teatro chiuse per la prima volta a causa del conflitto in corso. Da allora verrà utilizzato solo sporadicamente, determinandone un lento ed inevitabile declino. Nel 1939 l'impresario Mario Del Piano ottenne l'autorizzazione per trasformarlo in sala cinematografica, mentre successivamente, durante la Seconda guerra mondiale e l'occupazione alleata della città, il teatro fu requisito e divenne palcoscenico per le esibizioni di alcuni artisti americani (tra cui Cole Porter e Coleman Hawkins). Al termine del conflitto, nonostante le difficoltà di gestione, il teatro vanterà le presenze di Arturo Toscanini, Totò, Nini Taranto, Raffaele Viviani, Carlo Dapporto, del fratelli Maggio, di Erminio Macario e delle sorelle Nava.
Nel 1980, a seguito del terremoto dell'Irpinia, il teatro venne dichiarato inagibile e per oltre vent'anni è rimasto chiuso al pubblico.
Finalmente nel gennaio 2002 iniziarono, sotto la direzione della Soprintendenza per il Patrimonio storico-artistico di Caserta e Benevento, i lavori di restauro della struttura, finanziati con oltre quattro milioni di euro.
Terminati i lavori, il 27 maggio del 2004 il Teatro Garibaldi ha riaperto i battenti e nello stesso anno è ripresa la programmazione della stagione teatrale, prevalentemente con spettacoli di prosa.
Architettura
La facciata, chiaramente ispirata all'Opera Garnier di Parigi, presenta, al piano terra, una zoccolatura in pietra calcarea che si alza per oltre 1,50 metri sul livello della strada e tre portoni d'ingresso con ai lati due nicchie che ospitano le statue in gesso di Carlo Goldoni (a destra) e Vittorio Alfieri (a sinistra), atti a simboleggiare la Commedia e la Tragedia. Sopra le porte d'ingresso ci sono quattro medaglioni che raffigurano Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini,  lt Giovanni Battista Pergolesi e Domenico Cimarosa.
Al primo piano, invece, cinque balconi non sporgenti con balaustra, chiusi da finestroni e separati da colonne corinzie binate che reggono la trabeazione al di sopra della quale è il frontone con il nome del teatro, ai cui lati svettano due timpani arcuati con bassorilievi in gesso.
La sala, a ferro di cavallo, con pavimento in legno leggermente in discesa, è in stile tardo-neoclassico e presenta, sul soffitto, un dipinto di Gaetano Esposito raffigurante "L'Apoteosi della Poesia: Torquato Tasso che esce dal Tempio delle Muse. La platea ospita 150 poltroncine numerate disposte su 11 file mentre i 42 palchi, disposti su tre ordini, hanno una capienza complessiva di 168 posti cui vanno aggiunti i circa 60 posti del cosiddetto "loggione" che occupa tutto il quarto ordine. Interessante anche il "Salone degli Specchi", destinato ad attività culturali.
Il MUTEG (Museo "del Teatro e del Cinema" del Teatro Garibaldi
Dal 21 giugno 2017 il Teatro Garibaldi ospita la mostra permanente dedicata al Teatro e al Cinema. Essa è una sezione distaccata del Museo Civico cittadino. Nella mostra sono esposti reperti e documenti dell'Archivio Storico che ripercorrono la storia del teatro e del cinema in generale ma anche dello stesso Teatro Garibaldi.
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