Palazzi storicidi SMCV
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Proseguendo per via Albana, sulla destra, si incontra via degli Orti. A metà della strada, un alto muro ed un ampio cancello proteggono le vestigia di una “domus”, rinnovata alla fine degli anni sessanta durante i lavori di scavo per la costruzione di un asilo, edificato, poi, a poca distanza.
Le vestigia finora portate alla luce mostrano una “domus” che, per le sue rifiniture e la preziosità dei marmi ritrovati, di certo doveva appartenere ad una famiglia facoltosa.
L’antica abitazione non è stata completamente riportata alla luce; di essa sono state esplorate solo le zone del peristilio che racchiudeva il giardino e quella adiacente che ospitava i locali delle terme di cui era fornita.
Il lato anteriore dell’abitazione non è ancora stato indagato; per la disposizione di quanto finora rinvenuto, probabilmente l’abitazione apriva il suo ingresso sul lato est, (ovviamente lungo una strada, parallela alla via Albana e che forse passava anche davanti al macellum. È un’ipotesi che chissà se potrà mai essere verificata).
Si accede al sito entrando dal lato sud. Tracce di muri perimetrali permettono di notare un ambiente di forma rettangolare diviso in due parti.
La prima parte formava l’ingresso, o meglio l’anticamera, e presentava un pavimento di quadrati bianchi e azzurri che si alternavano fra loro.
La seconda parte, più grande, era abbellita da un pavimento di marmi pregiati di diversi colori.
Al centro della sala, utilizzando marmi di vario colore e fra essi il giallo antico, risaltava un quadrato formato da cerchi, quadrati e figure geometriche, incorniciate da marmi di color verde.
Su questa parte centrale della stanza, di norma, veniva posizionata la mensa attorniata dai letti, disposti solo su tre lati, su cui adagiavano i commensali durante i banchetti.
Era il triclinio, la sala più importante dell’abitazione.
Il nostro apriva un intero lato sul giardino, offrendo al padrone di casa e ai suoi ospiti una rilassante visione: la vista indugiava su uno spazio allestito scenograficamente.
Quasi al centro del giardino, ricco di piante e fiori, una stretta e lunga vasca, rivestita di cocciopesto, intonaco che permetteva all’acqua di non disperdersi, doveva ospitare piante acquatiche, e, con molta probabilità, i suoi bordi erano ornati di statue, mentre, allineato sul lato nord, un ninfeo lungo oltre 16 metri, faceva bella mostra di sé. Una serie di nicchie, rivestite di marmo, sorreggevano due vasche sovrapposte e da queste l’acqua scendeva disperdendosi in numerose cascatelle che, formando giochi, davano refrigerio e sollievo dalla calura estiva.
Il lato est del giardino era delimitato da un portico, in cui si aprivano i passaggi per l’accesso alla prima parte della casa.
Sul lato opposto, ad ovest, un altro corridoio, nella struttura simile al primo, pavimentato con lastre di marmo bianco, permetteva l’accesso alla zona termale, formata da tre ambienti fra loro comunicanti. Di questi, il primo vano, posizionato sul lato nord, poteva essere il “frigidariun” per i bagni in acqua fredda.
La stanza posizionata al centro, con l’ingresso aperto sul giardino, presentava la parete di fondo absidata e poteva costituire il “tepidarium” un ambiente mantenuto a moderata temperatura.
Il locale a sinistra era il “calidarium”, destinato ai bagni in acqua calda o ai bagni di vapore.
Nelle pareti e nel pavimento di questo locale erano inseriti tubi cilindrici di terracotta,
(Nota: Il sistema di riscaldamento per mezzo di aria circolare sotto il pavimento e nelle pareti era noto con il nome “ipocausto”, cioè riscaldamento dal basso. Questo sistema era stato introdotto dalla Grecia verso il 100 a.C. da Sergio Orata, e in principio consisteva in tubi di terracotta inseriti nel pavimento e nelle pareti.
Più tardi, i tubi furono eliminati e vennero usati i pilastrini, alti 50 cm. Circa, costruiti con mattoni quadrati di circa 20 cm di lato, detti “suspensurae” posti a breve distanza fra loro che sostenevano il pavimento, formato da uno strato di calcestruzzo e poi rifinito con marmo o decori musivi. I pilastrini permettevano di riscaldare una superficie maggiore. Nelle pareti invece continuò ad adoperare i tubi in laterizio detti “tubuli”)
In cui circolava l’aria calda proveniente dal “prefurnium”, che si trovava dietro la parete di fondo; in esso veniva bruciata la legna necessaria al riscaldamento dell’acqua contenuta in una vasca. Con questo sistema si riscaldava l’ambiente con una temperatura intorno ai 30 – 35 gradi.
I tre locali erano pavimentati con marmo bianco, mentre la zoccolatura delle pareti era rivestita con marmi colorati.
Alle spalle della zona termale, uno stretto corridoio separa altri due ambienti. Il primo è un vano in cui sono state trovate tracce di una scala. Il secondo ambiente, piuttosto piccolo, forse un “cubiculum”, che non ha l’ingresso dal corridoio, è tutto pavimentato a mosaico.
Al centro della stanza, una cornice di tessere bianche e nere racchiude 12 quadrati, (tre sul lato corto e quattro sul lato lungo) con al centro piccoli motivi ornamentali. Su ogni lato dei quadrati insistono dei semicerchi divisi in tre parti. Nello spazio lasciato libero da quattro quadrati vi è una piccola figura cruciforme.
Inoltre le pareti presentano tracce di pittura. La “domus”, per le modifiche apportate nel corso degli anni e per i diversi gusti decorativi in essa riscontrati, sembra essere stata abitata per lungo periodo a partire dal I sec. d.C.
(Autore: Salvatore Fratta)
Il
“Palazzo Auriemma” conserva ancora il nome di chi ordinò la sua costruzione.
Opera dell’architetto Nicola Parisi, fu completata nel 1899, come risulta dalle
iscrizioni visibili sugli stemmi ovali posizionati agli angoli del fabbricato
che in piazza Mazzini offre agli sguardi, l’eleganza della sua facciata in
stile liberty.
Decorazioni
in stucco con motivi floreali rivestono le finestre; le mensole che reggono i
balconi rappresentano figure femminili. Le ringhiere sono realizzate in fusioni
di ghisa.
È un palazzo ben proporzionato.
Sull’ingresso principale si notano un
grande balcone ed alcune finestre, mentre il secondo piano è corredato da
balconi tutti uguali. Le stanze degli appartamenti, tuttora, recano soffitti
dipinti a tempera.
(Autore: Salvatore Fratta)
Su via Albana vi è un piccolo slargo, la cui funzione originaria era quella di permettere il comodo transito dei carri agricoli e delle carrozze in entrata ed in uscita da un antico palazzo, oggi proprietà delle Suore Domenicane di Pompei che gestiscono l’Istituto Antonio Aveta.
Il seicentesco edificio rurale che, in quel tempo, apriva le sue porte in aperta campagna, era proprietà di Francesco Maria Corsini (1658 – 1723), dimorante a Roma, ma con vasti possedimenti in Toscana, Umbria e anche nel Napoletano.
Morto Francesco Maria senza eredi, le proprietà terriere ed il fabbricato nei pressi di S. Maria Capua Vetere, pervennero a Bartolomeo Corsini, erede universale dell’intero patrimonio di famiglia.
Oltre alle attività politiche, Bartolomeo poneva grande attenzione ai commerci della famiglia e con molta cura controllava la contabilità delle sue aziende agricole. Tra i vari commerci, anche il commercio del grano, e, pertanto, nel caseggiato in Santa Maria Capua Vetere, il principe Corsini iniziò l’edificazione di alcuni magazzini utili a preservare il suddetto cereale. Ma, evidentemente, non riuscì a terminare l’opera che venne completata dal pronipote Tommaso, come è ricordato da una lapide posta all’interno dell’ampio cortile:
THOMAS CORSINIUS CASILIANI DUX SISMANI PRINCEPS
HORREA A BARTOLOMEO CORSINIO PARENTESUO INCHOATA
PERFECIT ANNO MDCCLXXXXV
Trad.: Tommaso Corsini, duca di Casigliano e principe di Sismano, i granai incompiuti da Bartolomeo Corsini, suo antenato portò a compimento nell’anno 1795.
Bartolomeo Corsini (figlio di Filippo e di Lucrezia Rinuccini) nacque a Firenze il 9 maggio 1683. Apparteneva ad una casata fiorentina nota fin dal 1300, divenuta ricca con il commercio della lana e della seta.
Da parte di padre, era nipote di papa Clemente XII, al secolo Lorenzo Corsini, papa di larghe vedute, di ampia cultura, fondatore dei Musei Capitolini, committente della Fontana di Trevi e di altre importanti opere. Il papa nominò il nipote Bartolomeo, suo prediletto, capitano generale della Guardia Nobile; gli elevò la signoria di Sismano a principato e quella di Casigliano in ducato.
Sismano è una frazione del comune di Avigliano Umbro in provincia di Terni. Casigliano è una frazione di Acquasparta anch’essa in provincia di Terni.
L’altro nipote, Neri, fratello di Bartolomeo fu eletto cardinale.
Bartolomeo, venuto a Napoli al seguito di Carlo III di Borbone, fu nominato Consigliere di Stato e poi dal 1737 vicerè di Sicilia, mantenendo tale carica per dieci anni.
Fu marchese di Casigliano, duca di Santa Colomba e principe di Pitigliano. Si spense a Napoli nel 1752.
La geneologia di Bartolomeo Corsini è la seguente: (limitata solo ai primogeniti)
Bartolomeo (1622-1685) sposò Lisabetta Strozzi – nacquero: Filippo (1647-1705) e Lorenzo (1625-1740) futuro papa Clemente XII.
Filippo sposò Lucrezia Rinuccini – nacquero: Bartolomeo (1683-1725) e Neri (1685-1770) eletto cardinale dallo zio papa.
Bartolomeo Maria sposò Maria Vittoria Altoviti – nacque: Filippo ((1706. 1767).
Filippo sposò Ottavia Strozzi – nacque: Bartolomeo Maria (1729-1792)
Bartolomeo Maria sposò Maria Felice Barberini – nacque: Tommaso Maria (1767-1856).
Tommaso Maria sposò Antonia Walstatten. Da questa unione nacquero otto figli, quattro maschi e quattro femmine. La loro discendenza continua ancora oggi.
Dunque, Tommaso era pronipote di Bartolomeo citato nella lapide. Infatti egli era figlio primogenito di Bartolomeo Maria e di Maria Felice Colonna Barberini, nato a Firenze il 7 novembre 1767.
Nel 1796 Tommaso inizia la sua vita pubblica. Fu ambasciatore del granduca di Toscana presso Napoleone che si trovava a Bologna. Poi fu nuovamente inviato dalla regina Maria Luisa d’Etruria presso Napoleone I che lo nominò senatore e conte dell’Impero. Dopo la Restaurazione fu senatore nel 1818 e nel 1847. Si spense a Roma nel 1856.
Il fabbricato sopra citato era un edificio rurale che si apriva su vasti appezzamenti di terreno, delimitati dalla via Appia, e si estendevano, per grosse linee, da via Albana fino a via Petrara. Su questa tenuta nell’aprile 1734 si accamparono i seimila uomini dell’armata spagnola, al seguito di Carlo III di Borbone venuto per prendere possesso del Mezzogiorno. Il sito, d’allora in poi, fu conosciuto come Campo Vecchio degli Spagnoli.
Dopo l’insediamento del re Borbone sul trono del Regno di Napoli, Bartolomeo Corsini venne nominato viceré della Sicilia e, nei dieci anni (1737-1747) di8 permanenza nell’Isola, concluse lucrosi affari nel commercio del cereale; (il commercio del grano costituiva la principale entrata delle famiglie nobili siciliane).
I granai, di cui ne erano stati costruiti solo alcuni sul totale previsto, servivano per conservare anche il grano che arrivava dalla Sicilia.
In questi dieci anni la famiglia di Bartolomeo Corsini continuò ad abitare a Roma, e dalla corrispondenza con l’amico Bernardo Tanucci emerge la nostalgia del vicerè per la mancanza degli affetti familiari.
Suo diretto discendente, figlio del nipote Bartolomeo Maria, fu Tommaso, che negli anni giovanili si prese cura degli affari di famiglia e quindi anche delle proprietà ubicate a S. Maria Capua Vetere facendole restaurare e completare.
Negli anni 50 dell’Ottocento o nei primi anni del Novecento, la famiglia Corsini vendette alcune proprietà terriere e fra esse anche quella in Santa Maria, che, infine, pervennero al Sig. Antonio Aveta e dai suoi figli esse furono donate alle Suore Domenicane di Pompei.
La Congregazione delle Suore Domenicane del Santo Rosario di Pompei fu voluta da Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei. Il 26 ottobre 1980, fu beatificato da Sua Santità Giovanni Paolo II.
Il nome “Suore Domenicane” fu scelto dal Beato Bartolo Longo, per ricordare che S. Domenico univa la vita contemplativa alla vita attiva.
Il 25 agosto del 1897 la congregazione ricevette l’approvazione diocesana e venne aggregata all’ordine dei Predicatori.
La missione della Congregazione è quella di:
* Divulgare la devozione verso la Vergine del S. Rosario di Pompei
* Istruire ed educare cristianamente e civilmente la gioventù loro affidata
*Accogliere minori in difficoltà
* Assistere le persone anziane
L’Istituto presente a S. Maria fu voluto da Monsignor Giovanni Aveta, cappellano militare, il quale chiese alle Suore che accudivano i familiari dei carcerati di assistere le sue nubili sorelle, Anna e Adelina, rimaste sole dopo la morte del genitore e ormai divenute anziane. Per la cura prestata loro, lo stabile venne donato alla Congregazione.
L’Istituto venne fondato nel 1958 e intitolato ad Antonio Aveta, genitore di Anna, Adelina e Giovanni, ricordato, nel corridoio dell’Istituto, con una scultura in marmo.
Il primitivo edificio ha cambiato completamente aspetto: è stato allargato, allungato, ripristinata la facciata e il proficuo lavoro svolto in tutti questi anni dalle Suore di Pompei appare in tutta la sua realtà.
(Autore: Salvatore Fratta)
La
facciata ospita due stemmi contrapposti raffiguranti un leone eretto con le
zampe anteriori sorreggente un castello di tre torri.
Gli
stemmi indicano la famiglia gentilizia dei baroni Morelli…
(Nota: Fra i componenti della famiglia si ricorda il barone Gabriele
Morelli, nato nel 1751 da Tommaso, barone di Molognise, (uno dei più ricchi
abitanti del Casale”, e Isabella Bovenzi.
Abitavano in platea Riccio. Nel 1791 il Morelli fu eletto
capocedola, cioè espletava le funzioni di sindaco. Nel 1799 fu presidente della
Municipalità locale e rappresentò il Governo Provvisorio quando anche nella
nostra città fu innalzato l’Albero della Libertà. Per questo, al ritorno dei
Borbone, fu carcerato ma poco dopo posto in libertà con il primo reale indulto.
Nel 1806 si adoperò moltissimo per far sì che S. Maria fosse la
capitale di Terra di Lavoro).
Il
palazzo si affaccia lungo la strada con l’alternanza di due balconi e due
finestre, ricche di stucchi e di conchiglie inserite al centro di timpani
curvilinei. All’interno si apre un ampio cortile circondato dai molti ambienti
dove, un tempo, erano sistemati carrozze e cavalli.
Si
racconta che l’intero caseggiato ospitò un convento in cui potevano trovare
diritto di asilo i colpevoli di reati che riuscivano a toccare le catene.
In
alcune delle sue numerose stanze trovarono accoglienza le prime orfanelle
assistite da Don Donato Giannotti.
Nel
1865 il Palazzo Morelli ospitò le aule del Liceo ginnasio intitolato ad Alessio
Simmaco Mazzocchi.
Nel
primo cinquantennio del Novecento, nei grandi spazi di cui era corredato il
palazzo, fu installato un pastificio condotto dai fratelli Buffolano. Oggi
ospita alcuni uffici pubblici.
Poco
più avanti si incontra il quadrivio formato da via Saraceni, via Albana, via
Cappabianca e via Melorio.
(Autore: Salvatore Fratta)
Verso
la fine di Via Gramsci, sulla sinistra, s’incontra un altro notevole esempio di
architettura ottocentesca: il “Palazzo della Valle”, fatto edificare da
Girolamo della Valle, patriota e sindaco della città, nato nel 1819 da Michele
e da Cecilia Speltri.
Il
padre Michele, durante la rivoluzione partenopea del 1799, aveva tradotto in
francese quanto detto dal frate Alfieri e per questo era stato arrestato, ed
aveva trascorso un intero anno nelle galere borboniche nel Castello del Carmine
a Napoli.
Nei
giorni precedenti la Battaglia del Volturno, su ordine del generale Sirtori,
datato 14 settembre 1860, a Girolamo della Valle, a cui era stato conferito il
grado di capitano, vennero affidate le funzioni di comandante di piazza.
Il
palazzo Della Valle, esisteva già alla fine del Settecento, ma fu riedificato
in stile neoclassico verso il 1850. La muratura fu realizzata in tufo.
Il
portale d’ingresso è un arco a tutto sesto e la chiave di volta ha un elemento
scultoreo. Due semicolonne scanalate, in pietra calcarea, sono sistemate ai suoi
lati. Sulla facciata insiste una lunga balconata. Nell’androne, un’ampia e
comoda scala sulla destra, conduce ai due piani superiori, mentre nel vasto
cortile si aprono i vani all’epoca adibiti a ricovero di carrozze e cavalli.
Da
esso si accede al giardino che accoglie piante di agrumi in aiuole delimitate
da sentieri che convergono verso il centro, dove è posizionata una fontana
attorniata da alcune statue a mezzobusto. In fondo al giardino, uno spazio
absidato accoglie panchine in piperno e nel muro perimetrale un grande
finestrone, chiuso da una artistica cancellata in ferro, si affaccia, con
discrezione, sulla piazza della Valle.
Il palazzo ospitò Garibaldi e Alessandro
de Mibiltz, divenendo il quartiere generale dei garibaldini durante i giorni
che precedettero e seguirono la battaglia del Volturno. Voluta dal Comune, una
lapide posta sulla facciata principale del palazzo il 1 Ottobre 1886, ricordava
gli avvenimenti con la seguente iscrizione:
GIUSEPPE GARIBALDI
IL DI XXVII SETTEMBRE MDCCCLX
STETTE IN QUESTA CASA
DOVE ALESSANDRO DE MILBITZ
DURANTE LA GLORIOSA CAMPAGNA DEL VOLTURNO
ALLOGGIO’ E TENNE IL COMANDO DELLA PIAZZA
IL COMUNE
A DURABILE MEMORIA DI QUEL GIORNO
A CUI MIRABILMENTE CREBBE LA FEDE
NELL’OPERA
REDENTRICE DEL DITTATORE
POSE
IL I OTTOBRE MDCCCLXXXVI
Dopo
il terremoto del 1980, il fabbricato fu oggetto di restauri e la lapide venne
smontata; purtroppo, nel 1990 un botto sparato durante i festeggiamenti di fine
anno, la mandò in frantumi e non fu più ripristinata.
Di questa famiglia, oltre
gli illustri antenati citati, si deve ricordare il Prof. Eugenio Della Valle,
(1904 – 1993) noto e fine grecista, apprezzato in tutta Europa, amico di
Benedetto Croce che lo ebbe fra i suoi amici più cari.
Egli fu “geniale
interprete dei tesori della poesia greca, uomo di raffinato gusto estetico …”
(Alberto Perconte Licatese).
(Autore: Salvatore Fratta)
Così
popolarmente chiamato, perché acquistato dal Vescovo Francesco Cassano Serra…
(Nota: Francesco Cassano Serra, figlio di Luigi e di Giulia Carafa nacque
a Napoli il 21 febbraio 1783. Compì i suoi studi a Roma e fu ordinato sacerdote
il 1 marzo 1806. Ritornato a Napoli si dedicò all’istruzione dei fanciulli e
alla loro assistenza. Fu nominato vescovo di Nicea e Nunzio Apostolico in
Baviera.
Il 3 luglio 1826 il papa Leone XII lo nominò coadiuvatore
dell’arcivescovo di Capua Baldassarre Mormile, a cui succedette nello stesso
anno. Fu eletto cardinale da Papa Gregorio XVI il 15 aprile 1833. Morì il 17
agosto 1850 a 67 anni di età).
…
nel 1830 e lasciato in uso al vescovado per lungo tempo. Nel 1925, il palazzo
ospitò il Conservatorio di Musica “G. Verdi” almeno fino alla seconda Guerra
Mondiale e in quegli anni in esso furono alloggiati militari del Regio Esercito
Italiano. Successivamente, per qualche tempo servì da Caserma dei Vigili del
Fuoco, e, dismesso come caserma, accolse negli anni Sessanta alcune classi
delle Scuole Elementari del plesso dei Sacri Cuori.
Chiuso
e abbandonato al degrado, venne demolito e negli anni novanta del Novecento,
sul suolo lasciato libero, fu costruito un moderno fabbricato.
(Autore: Salvatore Fratta)
Negli
spazi dove venne eretto il palazzo, erano ubicate alcune modeste abitazioni (in
esso nacque Alessio Simmaco Mazzocchi e solo verso la fine del Seicento o il
principio del secolo successivo fu costruito il palazzo, forse, su progetto o
disegno dell’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice.
In
origine, era un fabbricato ad un solo piano con due ingressi aperti uno sul
vicolo adiacente e uno sulla strada principale dove si apre un portale a tutto
sesto abbellito da stucchi barocchi.
La facciata al primo piano mostra,
alternativamente, balconi e finestre sormontati da timpani arcuati. Nei primi
anni del Novecento fu sopraelevato e il secondo piano si ottenne rialzando di
poco il sottotetto e trasformando i finestroni esistente in finestre e balconi
anch’essi sistemati in successione alternata.
Sul
soffitto dell’androne è visibile uno stemma nobiliare, ancora in buono stato e
di buona fattura, raffigurante un albero ed un uccello, appartenente
probabilmente alla casata di chi fece costruire la nobile dimora. All’interno,
il fabbricato gode di un ampio cortile dove è sistemato un abbeveratoio per i
cavalli.
In una parete è murata un’epigrafe di epoca romana. In questi spazi
nacquero: Alessio Simmaco Mazzocchi e Antonio Tari. Per ricordare i due
importanti personaggi, nel 1855 il Comune pose sulla facciata due iscrizioni
marmoree. La prima, sulla sinistra del portone, dedicata ad A. Simmaco
Mazzocchi, recita:
IN QUESTA CASA IL 21 OTTOBRE 1684
NACQUE
ALESSIO SIMMACO MAZZOCCHI
ARCHEOLOGO E FILOLOGO SOMMO
PER LA SUA DOTTRINA E PER LE SUE SCOPERTE
PROCLAMATO MIRACOLO
IL MUNICIPIO
LIETO DI TANTA GLORIA
A PERENNE RICORDO ED ESEMPIO
IL 29 APRILE 1885
QUESTA LAPIDE POSE
La
seconda, a destra del portone, incorniciata da un ramo di alloro, fuso in
ghisa, presenta un bassorilievo raffigurante il profilo del filosofo Antonio
Tari. Così tramanda:
IN QUESTA CASA
DOVE UN SECOLO INNANZI ERA NATO A. S. MAZZOCCHI
NACQUE IL 1 LUGLIO 1809
ANTONIO TARI
CRITICO FILOSOFO ARTISTA
CHE INNOVANDO DALLA CATTEDRA I PRINCIPI NAZIONALI DELL’ARTE
ISPIRO’ AI GIOVANI IL CULTO DEL BELLO
I DISCEPOLI GLI AMICI I CONCITTADINI
IL 15 NOVEMBRE 1885
QUESTA MEMORIA POSE
(Autore: Salvatore Fratta)
L’edificio
che, imponente, occupa il lato della piazza esposto a nord è il Palazzo Melzi.
Fu costruito, sulle rovine di alcuni modesti edifici che si trovavano dietro il
muro dell’atrio della Collegiata, nella prima metà del Seicento, per volere di
Camillo Melzi, patrizio milanese, Cardinale Arcivescovo di Capua dal 1636 al
1661.
Il nuovo fabbricato doveva essere utilizzato come Mensa Arcivescovile,
cioè come sede dell’ente che amministrava le proprietà della diocesi.
Nelle
sue forme originali, costruito in forma quadrata, si presentava con un piano
terr5a con un cortile centrale, e due piani alti. L’entrata principale era sul
lato verso la piazza; il passo carraio era su via Mazzocchi e permetteva l’accesso
ad un cortile circondato da un porticato.
In esso si aprivano gli ambienti per
i servizi essenziali: le scuderie e la vasca in marmo per abbeverare i cavalli,
la cucina, il forno, il pozzo. Sulla strada altri ambienti erano destinati a
varie attività. Al piano nobile si accedeva tramite un elegante scalone, ornato
da figure a mezzo busto in marmo.
Nei due lati esposti a sud e ad est erano
situate le stanze dell’appartamento del vescovo, definite maestose, con le
volte in tela dipinte con fregi e pavimenti con mattonelle colorate. Inoltre, vi
era una Cappella a pianta circolare che ospitava un altare in marmo colorato.
I
lati esposti a nord e ad ovest, formavano una grande terrazza. Il palazzo,
inoltre, era corredato di un “giardino grande, anzi delizioso per la posizione,
e per l’abbondanza di scelte piante e di squisitissime frutta”. (F. Granata –
Storia sacra di Capua – vol. III p. 57). In esso vi era un pozzo e la relativa
vasca di raccolta per l’acqua usata per innaffiare.
Lo spazio era diviso in
quattro parti; lungo il viale centrale si innalzavano una dozzina di pilastri
su cui venivano posizionati i pali per l’appoggio del pergolato che con la sua
ombra dava tregua alla canicola nelle giornate estive.
Il
palazzo venne ampliato e abbellito dal successore dell’Arcivescovo Camillo: il
nipote Giovanni Antonio Melzi titolare della cattedra vescovile capuana dal
1661 al 1686.
(Nota: In questo edificio, fu ospite dell’Arcivescovo, Antonio
Giovanni Rho, il Padre provinciale della Compagnia di Gesù, che essendosi
interessato a quanto riportato in una iscrizione letta nel Duomo, (il miracolo
dei sorci) permise a Giò P. Pasquale di scrivere l’Historia della prima Chiesa
di Capua, edita nel 1666 e dedicata appunto all’arcivescovo Melzi).
Nel
1728, il palazzo Melzi accolse l’Arcivescovo Mondillo Orsini appena insediato.
L’anno successivo ospitò nei suoi appartamenti il Papa Benedetto XIII, zio dell’Arcivescovo,
che vi soggiornò per un paio di giorni e ripartì dopo aver celebrato la Santa
Messa nella Cappella del palazzo.
Nel 1734 ospitò nuovamente l’Arcivescovo
Mondillo Orsini, per il seguente motivo: Durante la guerra tra Austria e Spagna
per la successione al regno di Polonia, che alla fine vide la casa Borbone sul
trono del Regno di Napoli, l’ultima battaglia si svolse nei pressi di Capua e
le truppe austriache, dopo un lungo assedio, meritando l’onore delle armi, si
arresero il 24 novembre 1734 e firmarono la resa nella nostra città dove, fin
dal mese marzo, era alloggiato il comando spagnolo.
Qualche mese prima, quando
le truppe spagnole erano prossime a Capua e la città si apprestava alla difesa,
l’Arcivescovo Mondillo preferì trasferirsi nel Palazzo Melzi.
(Autore: Salvatore Fratta)
Posizionato
all’angolo di via Mazzocchi, costruito nel Settecento. Durante i lavori
eseguiti per congiungere il Corso Garibaldi a via Mazzocchi non venne demolito
del tutto, ma fu molto modificato e nell’occasione, forse per compensare la
perdita delle superficie abbattute, venne soprelevato di un piano.
L’ingresso e
la facciata principale insistono su via Vittorio Emanuele. Oltre al portone
d’ingresso, affiancato da alcuni vani, sulla facciata si aprono cinque balconi
per ogni piano.
I balconi
del primo piano sono coronati da timpani triangolari intervallati con timpani
arcuati. Le facciate sono decorate da fasce verticali con motivi floreali e
terminano con motivi corinzi.
(Autore: Salvatore Fratta)
Questo edificio prende il nome dall’Ing. Nicola Parisi, noto a S. Maria per i tanti lavori eseguiti fra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento.
Il palazzo risale alla fine del Seicento, come buona parte dei palazzi lungo questa strada, e venne acquistato dall’Ing. Parisi nei primi anni del secolo scorso.
Dal nuovo proprietario furono apportate consistenti modifiche sia sulla facciata che nel lato destro dell’ampio cortile che venne sopraelevato.
Ma la caratteristica maggiore delle succitate modifiche fu l’aggiunta di quella decorazione floreale eseguita secondo i nuovi concetti dello stile Liberty, tanto caro all’Ing. Parisi.
(Autore: Salvatore fratta)
Sul
lato sinistro di piazza Bovio si trova il “Palazzo Ricciardi” realizzato verso
la fine del XIX sec. Il portone d’ingresso presenta un arco a sesto ribassato
ed immette in un androne con volta a botte su cui è affrescato il blasone della
famiglia Ricciardi: un leone rampante.
Sulla destra, è collocato il vano scale
impreziosito da decorazioni lungo le pareti. La ringhiera è di ferro battuto e
riproduce gli stessi elementi decorativi dei balconi sulla facciata.
Un
tempo gli appartamenti erano decorati; oggi è conservata solo una scena che
raffigura le tre Arti: la Musica, la Poesia, la Pittura: tre fanciulle che
rispettivamente recano in mano un libro e una tavolozza di colori.
La scena è
incorniciata da decorazioni con foglie e ovali in cui si notano le iniziali del
nome del proprietario.
Continuando
la passeggiata lungo il c.so Garibaldi, si incrocia l’antico cardo “Via Alberto
Martucci” sulla sinistra. Questi nomi rivestono notevole importanza nella
storia della nostra città.
(Autore: Salvatore fratta)
Per
buona parte della prima metà dell’800, il tratto della strada di S. Francesco,
che andava dall’incrocio con via Torre fino alla piazza, si mantenne in uno
splendido isolamento. Praticamente, non vi erano abitazioni.
Quando
la corte del regio palazzo, divenuta proprietà del demanio, venne messa in
vendita, una parte di essa venne acquistata dall’Avv. Filippo Teti, abruzzese
di origine, il quale con i proventi del suo lavoro, vi costruì, nel 1839, prima
fra tutte, la sua residenza.
Nella
chiave d’arco del portone un marmo riporta quanto segue nella nota:
(Nota: Non dono di Cerere o di Nettuno, ma in verità coloro che
rischiavano il nome, la libertà, la vita, a Filippo Teti venuto dall’Abruzzo
fra i capuani difensore benemerito ricompensarono con la casa e con il
giardino. Anno 1839).
L’abitazione
si distingueva per l’ampio cortile e lo splendido giardino impiantato sul
pavimento marmoreo dell’orchestra e il semicerchio delle file di sedili dell’antico
teatro di Capua.
In
esso, fra le ben curate, artistiche aiuole, facevano capolino rocchi di
colonne, capitelli ed altre testimonianze di antichi monumenti.
La
dimora dell’avv. Teti, ospitò Garibaldi durante i giorni di fine settembre e i
primi di ottobre 1860, ed in essa venne firmata la resa di Capua il 2 novembre
1860, come ricorda una lapide sulla facciata posta dai cittadini sammaritani
nel giorno dell’anniversario della battaglia del 1 ottobre 1886.
IN QUESTA CASA NEL 1860
GIUSEPPE GARIBALDI
EBBE ALLOGGIO ED ACCOGLIENZA OSPITALE
QUI IL 2 NOVEMBRE
FU SOTTOSCRITTA LA RESA DI CAPUA
CHE ASSICURO’ IL TRONO D’ITALIA
E DEL SUO DIRITTO
I CITTADINI DI S. MARIA C.V.
PER RICORDARE QUEI GIORNI DI PALPITI E DI GLORIA
IL 1 OTTOBRE 1886
POSERO
Il
palazzo Teti, oggi, versa in precarie condizioni; e il giardino non offre più
la fresca quiete di un tempo. Il Comune si sta adoperando per riportarlo allo
stato di una volta e, secondo quanto progettato.
Ripristinato,
accoglierà un Museo che ospiterà le nostre memorie risorgimentali. Di fronte
all’ingresso della villa, e sempre di proprietà del signor Teti, si apriva un
grande spazio coltivato ad orto.
In
esso, alcuni studiosi del Settecento, ipotizzarono l’ubicazione di uno dei
circhi dell’antica città. Infatti, il Pratilli riferisce che nell’archivio
Capitolare di Capua si trova un documento del 1091 in cui è riportato: “In
pertinentiis Villae S. Erasmi, et proprie ubi dicitur ad Circui”.
Anche
Giacomo Rocca, arcyheologo e nostro concittadino, cita una scrittura “risalente
al 1537, ove sta espresso che il giardino, che si disse una volta dei Musti, e
poi del signor Giuseppe Tummolo, che corrisponde a quello posseduto oggi dai
signori Teti, veniva anticamente chiamato “ad Circum ubi ejus antiqua cernuntur
vestigia”. “Tali vestigia si ravvisano nelle fondazioni di un muro circolare,
che era stato riconosciuto da Camillo Pellegrino e dal Vecchioni, quando il
Pratilli, per assicurarsene meglio, fece scavare e scoperse un gran muro di
forma circolare”. Gli studiosi moderni, però, non citano nessun circo.
La
strada termina in piazza S. Francesco d’Assisi.
(Autore: Salvatore fratta)