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Luoghi di Culto

Sr.Domenicane > Case in Italia > Città di SMCV

*Cappella degli Angeli Custodi

Posa della Prima Pietra 26 maggio 1880 benedetta dal rev. Giuseppe Maria Buonpane, incaricato dall'allora arcivescovo di Capua card. Francesco S. Apuzzo.
La chiesa - su progetto dell’ing. Francesco Sagnelli fu costruita dalle imprese di maggior lustro operanti nella città, imprese di Ferdinando Troiano e Domenico Aulicino.

Poco appariscente all'esterno, quasi nascosta nella fila di palazzi che si susseguono sul corso Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, questo gioiello di chiesa rivela tutta la sua grazia e la sua forza a chi vi entra.
Dai cittadini indicata come "Chiesa degli Angeli custodi al Corso", in realtà è dedicata anche alla Madre di Dio, come risulta dall'iscrizione nel catino dell'abside.
Su progetto dell’ing. Francesco Sagnelli, la costruzione venne realizzata a cura e a totale spesa di Gaetano Saraceni, ricco possidente locale.
Due piani sovrapposti sormontati da un timpano triangolare caratterizzano la facciata nel primo piano, sopra un grande portone, posta una lapide con dedica; sulla seconda parte si apre un finestrone con arco sovrastante.
Mediante due scalini si accede all’interno del sacro edificio a pianta rettangolare ad una sola navata con volta a botte, molte cappelle laterali e l’altare maggiore in marmi policromi.
Entrando, s’incontra una seconda grande porta in legno che sorregge la tribuna dell'organo, uno strumento a canne con leve manuali per i mantici.
Sotto la tribuna è attaccata una bella tela, raffigurante La Santa Famiglia di anonimo. Sulla parte destra della chiesa si eleva il campanile che mostra caratteristiche architettoniche settecentesche.


*Cappella Corsini (Delle Suore Domenicane di Pompei)
Nell’antico palazzo Corsini vi è una Cappella. Inizialmente era un ambiente piuttosto piccolo; venne ampliato da Francesco Maria Corsini.
Oggi, il tempietto che si presenta ad una sola navata, si trova all’incrocio con via Pasquale Fratta, ed è noto come "Cappella Corsini".
La porta d’ingresso, chiusa da un cancello in ferro, è sovrastata dallo stemma della famiglia Corsini, privo dei suoi colori.
Nel linguaggio araldico il blasone era: "Bandato d’argento e di rosso, alla fascia in divisa d’azzurro attraversante".
Al di sopra del blasone, i lati misti-linea di una finestra ospitano vetri colorati sistemati a formare la Croce.
Più in alto, nel timpano triangolare, si apre una finestra rotonda.
Nella parte interna, sull’architrave della porta, posta in una cornice di stucco a mo’ di cartiglio, una iscrizione racconta di Maria Francesco Corsini, altro membro della famiglia, che ampliò la prima angusta e umile cappella in onore di Maria Madre di Dio, di S. Domenico e di S. Andrea Corsini, aprendola al culto nell’anno 1718.
Sulla parete di fronte all’ingresso è posto l’altare di marmi policroni sovrastato da un quadro, opera datata 1718, di Andrea d’Aste, (pittore nato a Bagnoli Irpino, allievo di Francesco Solimena) raffigurante la Vergine con il Bambino tra San Domenico e Sant’Andrea Corsini.
L’opera è incorniciata da stucchi barocchi che racchiudono l’altare sui tre lati. Il soffitto è a cassettoni.
Le pareti sono abbellite con cornici di stucco e si presentano tutte dipinte di bianco. Il pavimento è formato da mattonelle raffiguranti un fiore stilizzato si fondo chiaro e su fondo scuro in alternanza fra esse.


*Cappella dei Lupi

Sul lato destro della chiesa di S. Erasmo, si apre via Verdi, già via Campania, ancora prima, nell’Ottocento, via Cappella dei Lupi. La strada in quel tempo conduceva verso l’aperta campagna e le poche case ivi esistenti erano abitate quasi esclusivamente da pastori. Fino a pochi decenni fa, gli abitanti di via Campania erano indicati come “corachiatti” (coda chiatta) appellativo derivante dalla razza di pecore dalla coda grossa allevate dai suddetti pastori.
Poiché dalle vicine colline, spesso, scendevano i lupi e le mansuete bestiole erano le vittime predestinate, i pastori fecero voto alla Madonna di costruire una cappella a Lei dedicata, affinché potesse essere fermata la strage degli animali con la cattura delle fameliche belve.
Ciò avvenne puntualmente e la cappella fu eretta al margine estremo del rione, sul limitare dei campi, e per molti anni la sacra immagine fu oggetto di venerazione. Probabilmente essa non dovette essere una grande costruzione e ciò si ricava dal fatto che nella memoria popolare il luogo dove sorgeva, ancora oggi, è ricordato come: “abbascio a cappelluccia”.
Negli anni seguenti, vennero a mancare nuove generazioni di pastori.
I nuovi abitanti, in massima parte agricoltori, essendo più numerosi costruirono le proprie abitazioni sui terreni intorno alla piccola edicola che, smantellata, non fu più ricostruita. Col passare del tempo, si perse anche la memoria del luogo in cui sorgeva: sembra sorgesse all’incrocio di via Farias; infatti proprio nei dintorni di questa strada si trovano i caseggiati più antichi.
Negli spazi adiacenti la Cappella dei Lupi, nel mese di giugno 1799, dopo aver commesso, nel paesino di S. Tammaro, eccidi e spoliazioni, si accamparono circa quattrocento sanfedisti, uomini violenti e rozzi, che nei giorni seguenti, perpetrarono diversi soprusi ed omicidi anche a S. Maria: i più noti, quelli di piazza Mazzini.
(I tristi e sanguinosi episodi succitati si ebbero durante la repressione della effimera Repubblica Partenopea. I cosiddetti Sanfedisti, una accozzaglia di persone di basso ceto sociale, a cui si unirono fuoriusciti e briganti, furono messi insieme dal cardinale Ruffo di Calabria sotto le insegne della Santa Fede, per riportare sul trono Ferdinando IV di Borbone.
Unico reggimento di soldati regolari fu quello denominato “Santa Croce”, comandato dal gen. Vito Nunziante. Il reggimento partecipò all’assedio della fortezza di Capua fino alla resa avvenuta il 28 luglio 1799).
Sugli stessi terreni, nella Battaglia del I Ottobre 1860, i garibaldini innalzarono alcuni ripari per ostacolare le truppe borboniche, incrociando il tiro dell’unico cannone a loro disposizione con quelli delle batterie posizionate presso l’Arco e sulla strada ferrata nelle vicinanze dei Quattordici Ponti.

(Autore: Salvatore Fratta)


*Cappella Maria Santissima del Conforto
La Venerabile Congrega di S. Maria del Conforto, che ha sede nel Duomo, ottenne l’approvazione delle Regole con Regio Assenso del 20 luglio 1738. Ma la sua esistenza risale almeno a 100 anni prima.
Don Giovanni Carlo Morelli, canonico del Duomo, nel 1638 scriveva (La Miracolosa Fondazione dell’antica chiesa di Santa Maria di Capua): “Congiunta alla suddetta cappella (quella dei Sorci), similmente sporta fuori, è la Cappella di S. Maria del Conforto, con bellissima icona sulla volta e una stanza ove li Fratelli si congregano per particolari divozioni in tutte le Feste Solenni, come quelle degli Apostoli, della Madonna e del Signore, e nelle domeniche del mese.
I Fratelli per la maggior parte sono preti e altre persone non del volgo; si somministrano elemosine agli infermi bisognosi.
Vi sono maritaggi per le vergini di determinate famiglie. Vi si fanno più volte all’anno le orazioni delle Quarant’ore. Possiede molte reliquie con busti di legno dorato, e anche in argento, e godono i privilegi dei PP. Cappuccini di S. Francesco. Vi sono Messe lasciate dai Fratelli.”
Nel 1692 i Fratelli della Congrega del Conforto decidono di ampliare la sede della Confraternita, acquistando il giardino del Sacro Ospedale.
Il Sacro Ospedale della Collegiata era l’istituzione che provvedeva alla conservazione e alla manutenzione del Duomo e alle spese del culto. Le somme introitate a vario titolo, provenienti da elemosine come anche dalle sepolture nel Duomo, ma anche da lasciti e donazioni. Aveva sede in un immobile che sorgeva accosto al Duomo, i cui locali, un tempo destinati alla cura e assistenza dei poveri, erano all’epoca concessi in fitto per bottega o abitazione.
L’immobile era vecchissimo e nel 1687 ne fu decisa la vendita. Nell’incartamento relativo alla cessione dell’immobile è detto che dalla cessione era esclusa la parte del giardino che si vendette alla Venerabile Congrega di S. Maria del Conforto dentro la Collegiata.
L’acquisto era motivato dalla necessità di ampliazione della stanza di detta congregazione. Nelle Memorie Istoriche del presente anno di giubileo MDCC, pubblicato in Roma nel 1700 Francesco Posterla dà notizia della visita fatta a Roma dalla Congrega in occasione del Giubileo: “Per la suddetta porta (Flaminia) entrò anche in detto giorno (3 maggio) la Compagnia di Santa Maria di Capua, la quale era composta di 33 fratelli, ricevuta all’archiconfraternita delle Stimmate di Roma; li fratelli forastieri vestivano con i soliti sacchi ceneritij con mozzetta simile; portorno un piccolo crocifisso senza ornamento il quale veniva retto da uno che camminava a piedi ignudi, avendo gli altri i sandali; condussero ancora 26 servitori e nel partire colmi di giubilo lasciarono per regalo un calice d’argento di valore scudi 40 in circa” Nel 1766 Francesco Granata (Storia sacra della Chiesa Metropolitana di Capua) scriveva: “Nella medesima Collegiata si veggono erette tre Congregazioni: una di S. Maria del Conforto, nella quale si ammettono persone anche nobili, e civili, e vivono sotto la regola di S. Francesco del Terzo Ordine, e nelle funzioni pubbliche vestono l’abito simile a quello della celebre Arciconfraternita delle Stimmate di Roma, e ha il suo Cimitero: la di lei cappella è molto ben tenuta, adorna di ricche e preziose suppellettili” Uno dei più ricchi confratelli fu Francesco Cusano, morto nel 1676.
Nel suo testamento dispose “che il mio cadavere sia seppellito nella mia congregazione di S. Maria del Conforto eretta dentro della Collegiata Chiesa di S. Maria Maggiore con il tauto, pregando li maestri di detta Congregazione che vogliano rompere l’astreco accosto dell’altare di dentro o dove meglio gli resterà comodo… … inoltre voglio che alla detta venerabile Congregazione li siano dati, et pagati ducati mille dei quali trecento ne possano fare ciò che meglio gli piacerà; e ducati settecento per comprare beni stabili o annue entrate affinché dall’annualità che ne percepiranno detta Congregazione possa far celebrare messe per l’anima mia…”All’inizio del 1800 la Venerabile Congrega del Conforto fu coinvolta nella annosa diatriba sulla precedenza nelle processioni, una vertenza che si trascinerà fino al 1857 quando con decreto reale furono stabilite le singole precedenze in base alla data dei “Regi Assensi”.
Dalla disputa si chiamerà fuori la Congrega del Conforto che in una nota del suo superiore, Mannaro Gagliani del 15 ottobre 1861, chiarirà al Sindaco che la congregazione delle Sacre Stimmate "lungi di essere una congregazione laicale, deve invece considerarsi come ordine religioso, appartenente al Terz'Ordine istituito da S. Francesco d'Assisi fin dal 1221, composto di fratelli cosiddetti Terziari, ai quali non è vietato né il matrimonio, né la proprietà... A questa congrega come istituto di penitenza è vietato intervenire nelle processioni.
Anche nei funerali dei fratelli defunti è proibita ogni pompa funeraria, eccetto il solo accompagnamento dei fratelli. E perciò essa come ordine religioso, e come istituto di penitenza, non può venire in conflitto di precedenza colle altre congreghe, né deve con esse confondersi. Che se talvolta fosse per volontà del superiore ecclesiastico è obbligata ad assistere ed intervenire a qualche processione, in tal caso non può dubitarsi che essa come ordine religioso, e come congrega certamente la più antica, deve a tutte le altre precedere, sia che vada sotto la Croce propria, ovvero sotto quella dei Cappuccini..." E in effetti la distinzione dalle altre congreghe vi era anche nell’abito: mentre queste avevano un abito di vario colore composto da camice e mantellina (mozzetta) quella del Conforto aveva il saio e un cappuccio color cenere. La Venerabile Congrega del Conforto sotto il Titolo delle Sacre Stimmate di S. Francesco ebbe ordinaria vita fino alla fine del secolo scorso con il suo ultimo Priore Antonio Papale. Successivamente, per il ridotto numero dei confratelli e per l’ammissione di nuovi aspiranti contestata dalla curia capuana, la gestione è stata affidata ad un commissario. La Cappella delle Sacre Stimmate di S. Francesco, sede della Congrega, si affaccia sulla navata laterale di sinistra del Duomo.
È preceduta da un atrio dove campeggia un dipinto ad olio del XVII secolo raffigurante la Madonna in trono col Bambino, ai cui piedi sono S. Francesco e S. Simmaco.
Sulla destra vi è un secondo vano con un altare sovrastato da un dipinto ad olio raffigurante La Pietà. Al centro della stanza è stato posizionato un presepe napoletano, realizzato e donato da Ugo Uccella. Da un lato vi è un accesso che porta direttamente nella cripta, realizzato per poter più comodamente trasportarvi i cadaveri dei confratelli da interrare. Sempre nell’atrio, una scala a chiocciola raggiunge la cantoria. La cappella di recente restaurata, conserva nelle pareti laterali sei dipinti del ‘700 dedicati al ciclo della vita di S. Francesco.
Altri due dipinti, dedicati sempre alla vita di S. Francesco, si trovano ai lati dell’altare: uno di essi reca la firma di P. Criscuolo ed è datato 1754. Sull’altare in marmi policromi, in una nicchia è posta la statua di S. Francesco, realizzata da un unico tronco di legno. Dalla sacrestia si accede al Cimitero sotterraneo.

La nascita delle Congregazioni è legata alla necessità di dare una sepoltura ai defunti. L’obbligo di sepoltura in appositi recinti posti fuori dell’abitato arriverà soltanto agli inizi dell’800. Prima di allora a quest’opera pietosa provvedevano le chiese e i Monasteri. Il Duomo accoglieva le spoglie mortali di vescovi e sacerdoti nel suo interno da epoca immemorabile, come nel caso del vescovo di Calvi, Ferdinando, morto nell’anno 837 e tumulato in S. Maria Suricorum.
Ma c’erano anche i morti comuni. Per avere un’idea del fenomeno, si pensi che nel solo decennio che va dal 1731 al 1740, nel Duomo furono tumulati, senza che vi fosse alcuna epidemia, oltre 600 cadaveri.

Utilizzati tutti gli spazi possibili all’interno del Duomo, nel 1787 venne realizzata e benedetta una nuova area, il cosiddetto Cimitero del Campanile, la cui presenza è rivelata oggi da uno sfiatatoio su piazza Matteotti e dallo sprofondamento in corrispondenza dell’ingresso del campanile. Foto del coro ligneo una volta esistente nella Cappella delle Sacre Stimmate ed eliminato con i lavori di restauro perché fortemente danneggiato dalle infiltrazioni d’acqua.

Dai Conti e Atti comunali del 1822 apprendiamo che in quell’anno furono espurgati cantaroni e cimiteri esistenti nella cosiddetta Fossa Comune della Collegiale Chiesa dalle ossa dei cadaveri inumati nella stessa, per renderla suscettibile alla ricezione di altri cadaveri dei defunti poveri del Comune. I trainatori incaricati della triste operazione fecero 13 viaggi per il trasporto delle ossa dalla Chiesa Collegiata a quella parrocchiale del Comune di Savignano I cimiteri delle Congreghe erano generalmente destinate unicamente ai confratelli. Il Cimitero della cappella presenta quattro sepolture a terra, soprastate da altrettante nicchie.
Al centro della sala la botola dell’ossario in cui venivano sversate le ossa dei cadaveri al termine del processo di putrefazione. Sulla parete di fondo un modesto altare con un dipinto di S. Francesco con il Bambino, oggi completamente distrutto dall’umidità.
(Autore: Giovanni Laurenza)


*Cappella di San Giuseppe (Al Duomo)

L’associazione il Giglio di Santa Maria Capua Vetere ha riportato all’antico splendore la Cappella di San Giuseppe, tesoro di inestimabile valore della Chiesa di Santa Maria Maggiore.
Grazie all’intervento di restauro finanziato dall’azienda Macchiavelli dell’ing. Pasquale Rauccio e alla minuziosa opera degli architetti Pina Napolitano e Gianfranco Zarrillo, la statua del Santo, l’altare e la cupola sono tornati a disposizione della comunità di fedeli che ha deciso di partecipare in maniera massiccia alla benedizione di ieri, alla celebrazione Eucaristica di don Mario Miele e don Vincenzo Gallorano e all’emozionante concerto dell’artista sammaritana Fabiana Sirigu. Ecco alcuni momenti dell’iniziativa tenutasi nel Duomo proprio nel giorno di San Giuseppe.


*Cappella Maria SS.della Pietà
XVII (costruzione intero bene)

La costruzione della cappella risale al 1600 e apparteneva alla famiglia Bovenzi di Santa Maria Capua Vetere. Successivamente fu donata alla parrocchia S. Maria Maggiore e San Simmaco Vescovo.
La cappella di piccole dimensioni si presenta a base rettangolare. La facciata principale comprende l'ingresso con porta a vetro e un cancello in ferro posto prima dell'ingresso.

All'interno si trova un altare in marmo con due panche in legno dove è possibile sostare per una preghiera. Incassata nel muro al di sopra dell'altare vi è la statua della Madonna della Pietà in buone condizioni.

Anticamente da questa cappella era possibile accedere ad una cripta sotterranea che oggi è non è più accessibile ai visitatori.

La storia della Cappella della Redenzione inizia il 15 gennaio 1548 quando un gruppo di laici benestanti e di religiosi diede vita al Sacro Monte dei Morti, una congregazione il cui scopo era quelli di assistere i moribondi poveri e di assicurar loro una degna sepoltura sottraendoli all’abbandono nei campi e nei canali che circondavano la nostra Città.

Fu a tale scopo acquistato un terreno accosto alla cattedrale di S. Maria Maggiore nel quale fu realizzato un cimitero sotterraneo: sempre nel Duomo saranno di lì a poco aperti anche i cimiteri delle congregazioni di S. Maria del Conforto e della SS. Annunziata. Dieci anni dopo, nel 1560 iniziò la costruzione di un oratorio al di sopra di questo Cimitero.

La Congregazione ricevette un primo riconoscimento nel 1604 da Papa Clemente VIII. A sostenere la Congregazione erano le offerte dei fedeli: il cardinal Melzi aveva autorizzato a tal fine il posizionamento di un ceppo per tale raccolta. Il Monte dei Morti possa tenere un ceppo dentro il suo oratorio eccetto il giorno della vigilia prima di agosto, possa fare la cerca alle messe dentro del suo oratorio dopo il Corpo di Cristo e della Madonna.

Possa fare la cerca per la piazza il giorno di mercoledì e di venerdì senza altro riguardo ma il giorno di domenica, di giovedì e di sabato non prima che siano finite affatto le sopradette cerche del Corpo di Cristo e della Madonna rispettivamente. Comandiamo che si osservino gli ordini fatti dalla gloriosa memoria del cardinal nostro zio che sia in Cielo in materia delle cerche che si possiedono dalle altre cappelle con ogni riguardo et discretezza. Dal palazzo di S. Maria 20 di luglio 1666 Gio. Antonio Melzi Arcivescovo di Capua. Con testamento del 30 novembre 1675, Francesco Cusano nominò suo erede universale il "Sacro Monte dei Morti".

Per questa cospicua donazione, di cui ancora oggi benefica la Congrega, vi rimando alla mia ricerca "Cronache del XVII secolo: la S. Maria di Nicola Salzillo" (pag.145/157) La cospicua donazione permise di ampliare il primo oratorio: i lavori iniziarono nel 1722 e terminarono nel 1777 quando assunse la forma attuale.

Lascio a Mario Tafuri, che fu Superiore della Congrega, la descrizione della Cappella, come riportata nel suo testo "La Congrega della Redenzione sotto il titolo della Morte" pubblicata nel 1999. Adiacente la Cappella di S. Giuseppe, sul fondo della navata sinistra del Duomo, si apre il vestibolo antistante la Cappella della "Congregatio Mortis". Sulle pareti laterali: a sinistra una tela ad olio datata 1759 raffigurante S. Filippo Neri, a destra una tela ad olio datata 1925 raffigurante S. Carlo Borromeo fra gli appestati; nel soffitto: un affresco del secolo XIX con "Cristo fra gli Angeli e un’anima purgante" S. Filippo Neri S. Carlo Borromeo tra gli appestati Cristo tra gli angeli e un’anima purgante. Nella parete di sinistra si apre la porta che immette nella Sagrestia e sul fondo il portale d’ingresso della Cappella, con un fregio in stucco dorato raffigurante la Madonna che intercede per le Anime purganti, e più in alto, un Angelo che incorona la Vergine. Sul pavimento, si apre una botola, chiusa da una grata, che immette in una cripta dove la tradizione vuole che si trovino le reliquie di S. Simmaco (422-440). In alto un organo a canne del XVIII secolo con la cantoria completa la parete di fondo. La Cappella, a pianta rettangolare, presenta un coro ligneo del XVIII secolo, decorato negli stalli e nei dorsali, composto di quaranta scanni, oltre a quello riservato ai Presuli della Diocesi e a quello riservato al Padre Spirituale. Sopra il coro, alle pareti di destra e di sinistra quattro affreschi con S. Teresa, S. Rita, S. Chiara e S. Scolastica. La volta, nella parete centrale, presenta un affresco di fine ‘700 raffigurante Cristo Risorto. Sull’arco trionfale che separa l’abside troneggiano due grandi scheletri alati in stucco, che sorreggono uno stemma con la scritta "Omnes enim vivunt in Deo" (tutti vivono nel Signore). L’abside accoglie un altare che, per dimensioni ed imponenza, viene considerato l’apoteosi del barocco napoletano.

Costruito da artigiani napoletani nel 1732, è composto da marmi policromi con volute e fregi intarsiati. Il tabernacolo, anch’esso in marmi policromi intarsiati, presenta una porta a sbalzo di argento massiccio. Sopra l’Altare una grande tela ad olio, datata 1757, con il Pianto sul Cristo morto. È opera del pittore Francesco De Mura, e raffigura la scena della deposizione con Cristo che giace in grembo a Maria in lagrime attorniata dalla Maddalena, da S. Giovanni e dalle Pie Donne. Completa il quadro un’artistica cornice a sbalzo in marmo policromo, finemente intarsiata. Attorno all’abside quattro nicchie accolgono le statue di S. Rocco, S. Vito e S. Liborio. La quarta statua di S. Francesco d’Assisi nel 1901 è stata donata alla Chiesa dell’Istituto Papale di questa Città.

Una balaustra in marmi policromi, impostata su un gradino rococò napoletano, delimita il perimetro dell’abside. Alle pareti laterali due tele del secolo XVIII raffiguranti a destra il Giudizio Universale e a sinistra il Giudizio di Salomone. L’intero pavimento della Cappella, in pregevole maiolica decorata, è datato 1750 ed è opera del maestro ceramista vietrese Giuseppe Mataloni. Un vano nella parete sinistra dell’abside immette nell’ampia sagrestia. Sulla parete in fondo una tela ad olio datata 1813 raffigura la Madonna con Bambino e le Anime purganti.

A sinistra un busto in gesso di Alessio Simmaco Mazzocchi (1684-1771), copia del bronzo esistente nel Duomo e donato alla Confraternita dal fratello Francesco Paolo Storino nel 1928. Ancora nella parete una tela ad olio del XVII secolo raffigurante S. Sebastiano, della scuola di Mattia Preti, ed un cassettone d’epoca con una campana contenente l’Addolorata. Alla parete di destra una lapide in marmo ricorda il grande benefattore del Sodalizio Francesco Cusano (1613-1675). Un armadio del primo ottocento, con una testa di Cristo in gesso di Giuseppe Saggese (1927), completa l’arredamento della Sagrestia.

Infine, in dotazione alla Sagrestia, una serie di oggetti di argento a sbalzo della prima metà del ‘600 in stile barocco: un ostensorio, una pisside, due calici, un campanello, un turibolo per l’incenso, un secchiello con l’aspersorio, un incensiere, due porte di tabernacolo di cui una in argento massiccio.
(Autore: Giovanni Laurenza)


*Cappella Santa Maria Suricorum (o dei Surechiu)  

1620 – Sulla scia dell’entusiasmo suscitato da alcune prediche quaresimali, volte ad accrescere la devozione del popolo verso la Vergine Maria, si sentì la necessità di costruire una cappella a lei dedicata, che potesse degnamente ricordare l’antico miracolo della Madonna compiuto con l’aiuto di umili bestiole come i sorci.
Forse all’edificazione della nuova cappella contribuì anche la volontà del Canonico Morelli che, fedele sostenitore del miracolo dei sorci, in questo modo volle riparare alla distruzione dei sette quadri e di quello più antico che si trovava al di sotto di essi. A quel tempo, sulla parete della navata sinistra, esistevano due cappelle di piccola ampiezza, appartenenti a due diverse famiglie: la prima era dedicata a San Michele Arcangelo e la seconda a San Martino.
Per poter procedere ai lavori, si dovette stipulare una convenzione con i proprietari delle cappelle, i quali, in quella nuova, non potevano più ricostruire gli altari, ed ebbero solo la possibilità di porre la tela raffigurante San Michele Arcangelo, restaurata, all’ingresso sulla parete sinistra, e il quadro di San Martino, anch’esso rifatto, sulla parete di destra.
Eliminate, dunque, le due cappelle si ottenne lo spazio necessario per l’edificazione di quella nuova, dedicata a Santa Maria "Suricorum" o dei "Surechi".
Oggi si notano le pareti dell’intera cappella ricoperta da una decorazione a stucco molto ricca eseguita circa cento anni dopo la costruzione, nel 1725, da Nicola Ferraro, di Napoli.
La cappella è divisa in due parti: la prima parte è a pianta quadrata; le pareti sono formate da quattro archi a tutto sesto; il primo ospita l’ingresso delimitato da una balaustra marmorea su cui è innalzata una inferriata di ferro con decori in ottone.
Sulle pareti laterali sono esposti i due quadri sopradescritti, incastonati in cornici di stucco, su cui campeggiano testine di puttini.
Lungo i lati delle cornici sono rappresentati angeli e figure intere. Negli angoli lasciati liberi dalle curve degli archi8 sono rappresentate quattro figure della Santa Vergine, fra cui il Cuore Immacolato di Maria, e la Madonna dell’ulivo.
Inserita nel pavimento di ceramica, è visibile una lapide, che già si trovava in una delle due cappelle demolite, ed indicava la tomba di famiglia di Giovanni Cipullo, da lui fatta restaurare nel 1590:

AVITUM SACELLO HOC SEPULCHRUM
JOHANNES CEPULLUS REPARANDUM CURAVIT
ANNO MDXC

Trad.: Giovanni Cipullo restaurò questo sepolcro tomba di famiglia nell’anno 1590.

Questa prima parte è sormontata da una cupola con tamburo chiusa in alto da un lanternino. Nella cupola si aprono otto finestrelle separate da lesene binate di piperno.
Fra le due lesene, vi sono stucchi che rappresentano fiori e nastri; gli stipiti sono decorati nello stesso modo. Negli architravi delle finestre vi sono leggiadre figure di angioletti.
L’arco di fronte all’ingresso permette l’accesso alla seconda parte della Cappella, anch’essa delimitata da una balaustra marmorea con il passamano inclinato per uso di inginocchiatoio, chiusa da un basso cancello di ferro battuto.
Di fronte, solenne, è sistemato l’altare e sopra esso l’edicola dove è conservato il simulacro della Vergine con in braccio il Bambino. La statua è quella realizzata poco prima del 1300 di cui diede notizia Giò P. Pasquale. Oggi è rivestita con abiti settecenteschi di seta, abbelliti con motivi floreali ricamati in oro.
La nicchia in cui è esposta la statua è racchiusa fra due colonne che reggono un timpano curvilineo nel cui centro si apre un finestrone. Ai lati due angioletti, statuette a tutto tondo, ne reggono la cornice. Sulla parete dietro gli angioletti sono dipinte figure di Santi.
Al soffitto un affresco raffigura l’Incoronazione della Vergine da parte del Figlio sotto l’atte3nto sguardo del Padre Celeste seduto in trono in atto benedicente; opera di scuola napoletana, risalente alla seconda metà del XIX sec.
Negli angoli altri angeli sono in atto di reggere la cornice del dipinto. Nelle pareti laterali due nicchie delimitate da colonne scanalate sormontate da capitelli corinzi, racchiudono le statue di S. Antonio e S. Simmaco.
Sulla colonna che si innalza davanti alla cappella è dipinta una immagine della Vergine. Nel 1624 furono realizzate le opere in marmo nella Cappella della Madonna dei Surechi (dei sorci), dal maestro Costantino Marasi, appartenente ad una famiglia di scultori e marmorai provenienti da Carrara, che in quel periodo lavoravano a Napoli.
Per le interessanti opere che sono in essa, la cappella è considerata monumento nazionale, ed è assoggettata, pertanto, a vincoli particolari.

(Autore: Salvatore Fratta)


*San Nicola di Bari

Studiosi ritengono che S. Pietro proveniente da Antiochia, sia sbarcato a Brindisi ed abbia raggiunto Capua seguendo la via Appia.
Superato l’incrocio, si imbocca via Mazzocchi. Nel Settecento, la strada faceva parte della Platea della Croce e il primo tratto di strada, che giungeva fino alla piazza Maggiore, aveva appunto come nome: Via della Croce, ed era "una delle vie principali del Comune dove abitano gran numero di cittadini ed ove sono grandiose abitazioni…".
(Casiello – Di Stefano – S. Maria C. V. pag, 103)
Venne denominata via Mazzocchi nel 1871; anno in cui il Comune modificò l’intitolazione di molte strade.
Qualche centinaio di metri dopo l’incrocio, sulla destra si trova la chiesetta di San Nicola di Bari sede dell’omonima Congregazione.
A lato della cappella si apre il vicolo Mazzocchi, un tempo, vicolo di S. Nicola. In una delle abitazioni di questo vicolo, nel 1884, nacque lo scultore Raffaele Uccella.


*Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale ADI

Chiesa Cristiana Evangelica Assemblee di Dio in Italia - Santa Maria Capua Vetere (CE), via degli Artisti, 9
Riunioni: Mercoledì 19:30 - Riunione di Preghiera Venerdì 19:30 - Riunione di Studio Biblico Sabato 18:00 - Riunione dei Giovani Domenica 17:00 - Scuola Domenicale Domenica 18:00 - Culto al Signore.


*Chiesa delle Vittime Espiatrici

Alle spalle della chiesa di S. Erasmo, lungo via Verdi (ex via Campania), apre le porte agli alunni della scuola materna ed elementare, l’Istituto delle Vittime Espiatrici fondato nel 1914, e retto con dedizione e notevole zelo da un piccolo numero di suore.
La loro deliziosa chiesetta presenta una facciata neoclassica realizzata in mattoni rossi intervallata da pietre di travertino.
Il portale, protetto da un cancello, è sovrastato da un timpano emiciclo elegantemente scolpito che contiene un affresco: due angeli in Adorazione del SS. Cuore di Gesù.
Al di sopra si aprono tre finestre su cui insiste un timpano triangolare.
L’interno è ad una sola navata con una doppia volta a crociera. Nell’abside è conservata una tela del pittore De Lisio, raffigurante l’Ultima cena.
La chiesa venne consacrata nel 1921 dall’arcivescovo Gennaro Cosenza che resse la cattedra vescovile dal 1913 al 1930.
La congregazione delle Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato, dette Sacramentine, venne fondata nel 1878, a Napoli, da Madre Maria Cristina Brando, su consiglio di Padre Ludovico da Casoria. Madre Maria Cristina era stata novizia presso il convento delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento a Napoli, ma, per la sua cagionevole salute, fu costretta a lasciare il convento.
Tuttavia riuscì a fondare il nuovo ordine, e oltre all’Adorazione Perpetua, si dedicò anche all’istruzione delle fanciulle.
Le istituzioni dell’ordine vennero definitivamente approvate in data 23 marzo 1913.

Gli istituti delle Vittime Espiatrici sono diffusi in America Latina: Brasile e Columbia, ed in Asia; Indonesia e Filippine. Suor Maria Cristina è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II nel 2003, e proclamata Santa il 17 maggio 2015 da Papa Francesco.
(Autore: Salvatore Fratta)



*Cappella della SS.Vergine Assunta

La statua dell’Assunta di Antonio Migliorini

Il simulacro di Maria SS.ma Vergine Assunta in Cielo, patrona di Santa Maria Capua Vetere e vanto del popolo Sammaritano, fu donato nel 1837 dall'Università di Santa Maria Maggiore (oggi Comune di S. Maria C. V.) all'insigne chiesa collegiale di Santa Maria Maggiore, a titolo di devoto ringraziamento per la cessione di una cappella, di proprietà del capitolo dei canonici, situata sulla strada che da S. Maria conduce ad Aversa, necessaria ad allocarvi un posto della Guardia nazionale. La statua fu commissionata allo scultore Antonio Migliorini, al quale l'Università pagò un compenso per l'esecuzione di 300 ducati d'oro.

La Madonna Assunta è rappresentata come una giovanetta, dalle delicate e vaghissime fattezze, che con un braccio proteso verso l'alto e uno rivolto verso il basso, volge lo sguardo al Cielo, verso il quale si accinge circondata di nuvole ed attorniata da puttini e cherubini. La scultura è interamente realizzata in legno di olmo, decorato alle estremità delle gambe, delle braccia e del volto.
Il nuvolato fu realizzato in cartapesta decorata con polvere bianca e azzurra di lapislazzuli. La cornice della base è dorata con la tecnica cosiddetta di argento a mistura. Le statue dei puttini e dei cherubini, sacrilegamente trafugate nei primi anni ottanta dello XX secolo, sono state scolpite nuovamente nell'anno 2005 dagli scultori Rosario ed Antonio Lebro, sulle fattezze di quelle elaborate dal Migliorini. La statua della Vergine, durante l'ultimo restauro del 2010, è stata invece sottoposta a procedimento per consolidare e rendere inattaccabile il legno dagli agenti biologici (cosiddetta "mineralizzazione"), riacquistando lo splendido nitore del volto. È rivestita di quattro preziosi abiti serici dei colori bianco e celeste, corrispondenti alla classica iconografia dell'Immacolata Concezione.
Il primo - composto di veste bianca, manto celeste e velo di tulle ricamato in oro -, è adornato di sobri ed eleganti ricami in stile neoclassico, risale alla prima metà del XIX secolo e nella foggia, fedelmente riprodotta in tutti gli abiti successivi, è modellato sullo stile delle vesti usate all'epoca dalle donne della Casa reale e della grande nobiltà del Regno delle Due Sicilie (curiosamente la scrittrice Matilde Serao, in una novella di fine ottocento ambientata a S. Maria durante la Festa dell'Assunta, racconta che la Madonna era rivestita di rosso e di azzurro: di un abito di tale colore rimane memoria anche nell'edicola dedicata all'Assunta eretta sulla facciata dell'edificio dell'Istituto "Regina Carmeli" in Piazza 1º Ottobre, sul lato opposto all'Anfiteatro Campano).
Il secondo è detto "abito dell'Incoronazione", in quanto fu confezionato in occasione dell'Incoronazione dell'Assunta, celebrata nell'anno 1937 su decreto del Capitolo Vaticano, dall'Arcivescovo Metropolita di Capua Gennaro Cosenza, in occasione del centenario della dedicazione al culto del Venerato Simulacro (cfr. immagine). Tale abito, particolarmente prezioso, nella parte "bianca", la veste - simbolo dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria (cfr. Lc. 1, 28) -, è realizzato interamente in seta laminata d'argento puro - che ancora oggi si produce esclusivamente nelle seterie di san Leucio con telai funzionanti a mano -, alla quale è sovrapposta una fitta rete d'oro, su cui sono applicate pietre dure e ricami di splendidi motivi floreali in filo d'oro.
Le sopramaniche sono pure in rete d'oro. Il manto azzurro - simbolo della Grazia Divina che ha ricoperto la Vergine Maria (cfr. Lc. 1, 35) - è poi adornato di stelle e gigli d'oro. Pure il velo - simbolo dell'umiltà e della verginità di Maria -, è realizzato in tulle tessuto a mano, su cui sono applicati ricami di stelle e gigli d'oro.
La corona usata per l'Incoronazione - simbolo della vittoria di Maria Santissima sul dragone satanico e della sua partecipazione alla vittoria finale di Gesù Risorto, e, insieme all'abito d'oro, simbolo delle nozze eterne di Cristo con la Chiesa, prefigurata in Maria, nella Gloria del Paradiso (cfr. Ap. 12; Ps. 44, 10) - è realizzata secondo l'uso del tempo in oro 12 kt, così come le dodici stelle - simbolo delle dodici tribù del Nuovo Israele (cfr. Ap. 12,
1) - che contornano il capo della Madonna. Dei due rimanenti abiti uno è in seta laminata d'argento e ricamata finemente in oro e pietre dure, confezionato negli anni '70 del '900 a devozione della Congregazione laicale della SS. Vergine Assunta e privo di manto, mentre l'altro, "quotidiano", è realizzato in seta bianca per la veste, ed azzurra per il manto, con ricami in oro più semplici, ed una corona e un'aureola con dodici stelle in argento.
Fra i numerosi ori votivi - offerti alla Vergine quale testimonianza perpetua delle numerose grazie elargite per sua intercessione -, è degno di particolare nota il prezioso "collare", in medaglioni d'oro e corniola, offerto alla Madonna nel 1854 dal "1° Lancieri" dell'Esercito delle Due Sicilie, di stanza a S. Maria (a tale reparto era assegnato il padre di quella Giulia Salzano, nata a S. Maria il 13 ottobre del 1846, fondatrice della Congregazione delle Suore Catechiste del Sacro Cuore, proclamata Santa dal Papa Benedetto XVI il 17 ottobre del 2010).
Al di sotto degli abiti, similmente agli usi femminili della nobiltà meridionale nell'800, la Statua della Vergine è rivestita di numerosi capi di finissima biancheria antica.

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