Il Beato Bartolo Longo
*Bartolo Longo Leader *B.L. un Santo con la corona in mano *Cavaliere del Santo Sepolcro *Certificato del Moscati su B.L. *Conoscere il Fondatore *Consegna *Cronologia *L'attualità del Beato *La storia del Santo Simulacro *Le Suore di Bartolo Longo *L'uomo della Madonna *Stemma del Beato *Sulle Frontiere dell'uomo
Ogni comunità, religiosa, sociale e industriale, ha bisogno di un capo. La saggezza del leader sta nel saper coordinare persone, cose ed eventi per raggiungere il fine istituzionale.
La Sacra Scrittura presenta molti leaders (Re, Profeti, Patriarchi, Capi) inviati da Dio per guidare il popolo. La letteratura neotestamentaria parla di "carismi" (aiuto particolare per il bene della comunità) dati gratuitamente a delle persone perché siano guide del popolo. Gesù parla di sé capo paragonandosi al buon pastore (cfr. Gv 10) e così dice dei capi inetti: "Lasciateli! Sono guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!" (Mt 15, 14).
Tutte le comunità ed associazioni hanno bisogno di leaders. Anche coloro che prospettano autopistiche soluzioni di vita associata, senza leggi e capi, infine sono guidati "da qualcuno".
Bartolo Longo leader è stato così grande e geniale da vivo che ancora oggi egli "è presente" – quale leader – nella sua Città e nelle sue Opere.
Il Dr. Spina, nei suoi interventi, ha appena aperta la finestra su questa inusitata lettura della vita del Fondatore. Lo ringraziamo per aver fugato i dubbi sulla possibile santità connessa a certe occupazioni e, in positivo, aver indicato un attuale modello a tanti nostri fratelli impegnati nel sociale.
A volte si sente parlare di una generica santità laicale. Va invece riscoperto quotidianamente e nell’impegno abituale il senso della santità. È ancora possibile essere manager e santo, imprenditore e santo, leader e santo.
(Autore: Pietro Caggiano)
Gli studi relativi alla organizzazione aziendale, hanno dedicato particolare attenzione alla funzione direttiva a cui è preposto il manager. Fayol, nel 1908 sosteneva: "La direzione, nella gestione di tutte le attività, grandi o piccole che siano, industriali, commerciali, politiche, religiose, ecc., ha un ruolo importantissimo" (Henry Fayol, Direzione industriale e generale, Franco Angeli, p. 19).
Una recente ricerca sugli aspetti, che portano le aziende al successo ha evidenziato che "alla testa delle aziende di successo c’era quasi sempre un uomo forte (o due) che avevano avuto molta voce in capitolo nel portare quelle aziende ai livelli attuali di eccellenza" (T. Peters, R. Waterman Jr. Alla ricerca dell’eccellenza, edizioni CDE, Milano 1984, p. 51).
Ma nessuno è solo; né i managers né i santi. Ci sono i collaboratori, superiori, guide e gli esperti.
A ben guardare, anche l’ambiente esterno alla organizzazione offre riferimenti oggi più che mai validi: altre aziende o organizzazioni simili, studi, ricerche o uomini.
Don Orione operò attingendo da Don Bosco, al tempo di Bartolo Longo a Napoli erano presenti altre figure splendide come P. Ludovico da Casoria, Moscati, Volpicelli. Al manager inoltre non bastano le sole doti naturali.
Leader si nasce o si diventa?
È un interrogativo ancora ricorrente. Mario Silvano scrivendo di vendita sottende i due estremi con la formula "e gli altri, i più saggi, pensano che venditori si nasca per diventarlo" (Mario Silvano, Successo nella vendita. Hoepli, p. 138).
Drucker, argomentando sull’efficienza del management, sostiene che l’evoluzione delle organizzazioni non consente più l’affidamento sulle persone "naturalmente dotate" (Peter F. Drucker, l’efficienza della direzione, Etas Libri, Milano 1979, p. 3). "L’efficienza si può sempre imparare" (o. c. p. 29). Fabris ci ammonisce che il management deve "imparare ad imparare" (Aldo Fabris, Le dieci "I", in Kybernetes, IFAP, ottobre 1987).
Bartolo Longo cosa ne pensava? Egli si oppose alla teoria dell’atavismo per cui si nasce fondamentalmente delinquente contrapponendo la validità della educazione. B. Longo, Don Orione, Don Bosco, Madre Cabrini, Madre Teresa di Calcutta hanno realizzato grani opere con personalità differenti.
Già i testi sacri registrano che ogni seme si manifesta in un adeguato ambiente che lo aiuta ad esprimersi. E, d’altra parte, è doveroso dare merito a quanti realizzano grazie al proprio impegno ed alla personalità.
Bartolo Longo nacque da famiglia cattolica, dove si recitava il Rosario; la condizione economica era agiata e quella sociale prestigiosa. Ricordando la sua infanzia diceva di essere stato "un frugoletto vivacissimo, impertinente e quasi sbarazzino". Bartolino sapeva produrre alla perfezione movenze e cadenze, timbri e toni di ogni persona che avvicinava" (A. L’Arco, Il Beato Bartolo Longo, Pompei 1987, p. 10). Intelligenza, ingegno unitamente a spirito arguto, esuberante ed umorista lo rendevano consapevolmente un leader.
"I Leaders svolgono un ruolo importante nella formazione dei fini; della ideologia e della scrittura del gruppo, nonché nell’indirizzo dell’attività comune dei vari membri" (O. Kreck-R. Crutfield-E. Ballachey, individuo e società, Giunti e Barbera, Firenze 1964). Essi influenzano l’attività del gruppo, ma sono a loro volta influenzati da gregari. A sei anni entrò nel Collegio di Francavilla. Vi terminò gli studi a 17 anni. Leader tra i compagni, organizzò e diresse la banda musicale dove gli strumenti erano in legno e sonagli di carta velina. Fi leader da studente universitario quando iniziò ad essere un attivissimo divulgatore dell’idea liberale ed anticlericale, prima a Lecce e poi a Napoli dove conseguì la laurea in giurisprudenza.
Il P. Spreafico attesta che in questo senso il giovane Longo fu un vero leader: "Presto riprendeva in Lui il sopravvento quello spirito battagliero, fieramente avverso alla Chiesa e a’ suoi ministri; che gli valse dai colleghi il titolo di "Capaneo degli studenti" dell’Ateneo napoletano. Bartolo si era infatti rivelato non solo come un forte ingegno; parlatore facondo e polemista vivace; ma anche una tempra mirabile di organizzatore" (Rosario F. Esposito, Bartolo Longo e la cultura laicista, in Atti del Convegno storico Bartolo Longo e il suo tempo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1983, vol. I, p. 455).
Fu leader nei salotti di Lecce e di Napoli dove balli, scherma, musica (studiò pianoforte) e goliardia erano di suo gradimento. A Napoli, irretito dallo spiritismo ne divenne leader aderendo all’associazione e divenendone sacerdote. Però abbandonò la ricerca di Dio.
La pratica spiritica gli debilitò il fisico finché accolse l’invito amorevole del suo amico, il professore Pepe, di esporre il suo stato al Padre Radente. Questi, che divenne la sua guida spirituale, lo condusse verso la riconversione al cattolicesimo e, nel 1865, lo confessò. Bartolo Longo da leader diventò gregario ma ritrovò se stesso.
Dal 1865 al 1872 Longo ebbe un periodo di formazione all’ombra di grandi uomini. Si modella per trasformarsi da "tipo in gamba" in manager della provvidenza". Quando, nel 1872 approdò a Pompei osservò un comportamento non più autoritario ma progressivamente coinvolgente.
Per propagandare il Rosario in questa Valle abbandonata e infestata da briganti, ebbe bisogno di farsi conoscere dalla popolazione locale, di farsi accettare e dovette necessariamente ricercare motivi di aggregazione e coinvolgimento.
Non commise l’errore di presentarsi con determinazioni ai locali abitanti incitandoli alla recita del Rosario. Egli analizzò le problematiche, i costumi e le consuetudini della popolazione ed individuò alcune aree di azione: "Divisai quindi, per venirne a capo, che il primo passo per cattivarmi gli animi dovesse essere la "fondazione di una Confraternita del Rosario", la quale intendesse dare pietoso accompagnamento ai morti e, per mezzo della recita del Rosario, a suffragare le anime. Ma l’ostacolo perenne si era il luogo dove radunare la Confraternita (Bartolo Longo, Storia del Santuario di Pompei, 1981, p. 61).
Fu un abile organizzatore di feste che coinvolgessero la popolazione locale. La sua organizzazione subì negli anni continui aggiustamenti in funzione della esperienza che di volta in volta acquisiva e delle necessità nuove che emergevano.
Puntò alla qualità degli uomini e delle cose con attenzione al futuro: si circondò e ricercò uomini con alta moralità e professionalità. Per la costruzione del Tempio si preoccupò della capienza, di eventuali terremoti e per gli arredi commissionò vere opere d’arte. Operò, in sintesi, da manager moderno; con attenzione non a breve o medio termine, ma a lungo termine.
Bartolo Longo quindi assunse in Pompei il ruolo di leader formale/istituzionale. "Il leader istituzionale non deve necessariamente avere tutti i tratti del leader interpersonale (la capacità di mobilitazione emozionale delle energie, la sicurezza di sé, il magnetismo, in senso lato l’ascendente)"
(Pasquale Gagliardi, il processo di esecuzione, in Manuale di organizzazione ISEDI, Milano 1978, pp. 11-25).
Agì ancora in prima persona non per emergere sugli altri bensì per condurre a termine la "missione affidatagli" e ci volle una "medicina celeste" per arginare la sua irruenza.
La sua azione fu immediata ancor prima di ricercare il consenso. A partire dal 1872 il Longo lavorò per tutto il resto della sua vita senza sosta come un potente motore sollecitando non solo la carità ma anche le risorse: ne fu il propulsore. Parimenti seppe cogliere i buoni consigli e le giuste indicazioni con l’umiltà di chiedere ed accettare: - Mons. Formisano, Vescovo di Nola, gli propose di erigere una chiesa (e non un altare come era nelle intenzioni del Longo) suggerendogli, per la raccolta dei fondi, di procurare associati per un soldo al mese. Gli indicò anche il luogo e le modalità contrattuali del terreno su cui edificare:
- l’ing. Antonio Cua si offrì di progettare il Tempio ed assistere alla costruzione senza richiedere ricompensa:
- il commendatore Maldarelli, pittore, si propose gratuitamente di restaurare il Quadro:
- il P. Ludovico da Casoria gli suggerì di impiantare la tipografia regalandogli la macchina per stampare:
- don Bosco gli consigliò di diffondere il giornale "a chi lo vuole e a chi non lo vuole":
- Caterina Volpicelli lo introdusse presso l’aristocrazia napoletana per domandare un "soldo al mese":
- ubbidì al Papa donando tutto alla Chiesa.
Un discorso a parte meriterebbe la Contessa De Fusco che gli fu molto vicino e lo sostenne in tutte le sue azioni.
"Una persona ritenuta "buon capo" in una specifica situazione sociale, non necessariamente riesce a svolgere, o a svolgere altrettanto bene questa funzione in un’altra situazione" (Cesare Kaneklin, Leadership, autorità e potere, in "Manuale di organizzazione" cit., p. 14.2.2).
Bartolo Longo con il cambiamento di stile e di funzione è rimasto leader; ed oggi è un leader simbolo. Non solo ha costruito il Tempio e le Opere sociali, ma forgiò un sistema di valori che permane tutt’oggi l’opera pompeiana.
(Chester Barnard, parlando nell’ottica dell’uomo di vertice (era stato presidente della New Jersey Bell), asseriva che il ruolo del capo di un’azienda è quello di incanalare le forze sociali dell’organizzazione e di forgiare valori" (Alla ricerca dell’eccellenza, in Manuale di organizzazione, cit., p. 27).
"Il leader è in questo senso un agente di istituzionalizzazione, in quanto indirizza un processo che si svolgerebbe altrimenti in modo più casuale e più immediatamente soggetto agli accidenti delle circostanze e della storia" (P. Selznick, in Manuale di organizzazione, cit., pp. 11-25).
Per me Bartolo Longo ha lasciato un modello di managerialità: non per potere fine a se stesso, ma inteso come servizio all’uomo, al lavoratore, all’azienda ed alla società nel suo complesso.
(Autore: Claudio Spina)
*Bartolo Longo, un Santo con la corona in mano
Il Fondatore di Pompei visse pienamente il suo impegno ecclesiale, come espressione compiuta della propria spiritualità e santità di vita, anticipando la magistrale lezione del Concilio Vaticano II sul ruolo e la testimonianza dei laici nella Chiesa e nel mondo.
Per amore di Maria e alla sua scuola, recitando e contemplando i misteri del Rosario, divenne uomo di preghiera e di azione, santificando la sua lunga vita.
La specialità del Beato
Un elemento significativo della produzione mariana di Bartolo Longo fu la preghiera a Maria. Fu questa la sua "specialità" secondo il giudizio di Eduardo Alberto Fabozzi, suo segretario: "… la sua specialità assolutamente personale, era la composizione delle preghiere … Pochi hanno composto preghiere come Bartolo Longo, pochi hanno saputo come lui coniugare la vivacità del sentimento alla schiettezza e alla semplicità dell’anima popolare, ricordando alcune di esse la genialità delle preghiere popolari di S. Alfonso de’ Liguori".
Nella Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae, Giovanni Paolo II inserisce il Fondatore di Pompei tra i Santi che hanno trovato nel Rosario un’autentica via di santificazione: "Uno speciale carisma poi, quale vero apostolo del Rosario, ebbe il beato Bartolo Longo. Il suo cammino di santità poggia su un’ispirazione udita nel profondo del cuore: "Chi propaga il Rosario è salvo". Su questa base, egli si sentì chiamato a costruire a Pompei un tempio dedicato alla Vergine del Santo Rosario sullo sfondo dei resti dell’antica Città…" (RVM, 8).
Uomo della Madonna a servizio della Chiesa
Già in un’altra occasione il Santo Padre aveva espresso il suo autorevole giudizio sull’avvocato pugliese: "Bartolo Longo è l’apostolo del Rosario, il laico che ha vissuto totalmente il suo impegno ecclesiale… "l’uomo della Madonna": per amore di Maria divenne scrittore, apostolo del vangelo, propagatore del Rosario, fondatore del celebre Santuario in mezzo ad enormi difficoltà ed avversità, per amore di Maria creò istituti di carità, divenne questuante per i figli dei poveri, trasformò Pompei in una vivente cittadella della di bontà umana e cristiana; per amore di Maria sopportò in silenzio tribolazioni e calunnie, passando attraverso un lungo Getsemani, sempre fiducioso nella Provvidenza, sempre ubbidiente al Papa e alla Chiesa. Egli, con in mano la corona del Rosario, dice anche a noi, cristiani della fine del XX secolo: "Risveglia la tua fiducia nella santissima Vergine del Rosario… Devi avere la fede di Giobbe! ... Santa Maria adorata, io ripongo in Te ogni mia afflizione, ogni speranza, ogni fiducia!" (Omelia per la Beatificazione, Roma 26 ottobre 19870).
In sintesi, il percorso di Bartolo Longo è quello di un laico che ha vissuto pienamente il suo impegno ecclesiale, come espressione compiuta nella propria spiritualità e santità di vita.
Ne parla con entusiasmo anche Mons. Francesco Saverio Toppi, oggi Arcivescovo emerito di Pompei, nel saluto d’apertura al convegno su "Bartolo Longo alle soglie del Duemila", tenutosi a Pompei nel 1998: "Bartolo Longo è il laico quale viene delineato dal Concilio Vaticano II, che fa sue tutte le opere di evangelizzazione, di catechesi, di formazione spirituale, di vocazioni religiose e sacerdotali.
Un laico che si sente Chiesa nel mondo, impegnata a redimere, ad elevare l’uomo, ogni uomo, a livello stesso di Dio per mezzo dello Spirito nel cristo Gesù, con la mediazione di Colei che è Madre, figura e personificazione della Chiesa. Bartolo Longo è l’uomo evangelico che costruisce la casa sulla roccia della vita interiore, sulla parola di Dio, che egli studia assiduamente, assimila con meditazione intensa e vive fedelmente".
Promotore di una devozione mondiale
Ci si può chiedere, però, quale devozione mariana diffuse Bartolo Longo? Quali furono gli elementi che la caratterizzarono? Che diffusione ebbe?
Nel precedente convegno del 1982 su "Bartolo Longo e il suo tempo", lo storico Gabriele De Rosa definì il Fondatore di Pompei come il più grande promotore laico della devozione alla Madonna del Rosario del ventesimo secolo. Sulla straordinaria capacità del Longo ad evangelizzare su vasta scala a fare della devozione pompeiana una proposta universale è dello stesso parere Francesco Bonini, che ne argomenta nel suo intervento al convegno del 1998.
All’inizio del secolo scorso, a poco meno di un anno dalla sua morte, avvenuta il 5 ottobre 1926, Benedetto Croce lo indica come "il fondatore della Lourdes italiana" (cfr Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari 1927, p. 99).
Anche don Giuseppe De Luca, acuto studioso della religiosità popolare, aveva per il Santuario di Pompei, e, indirettamente, anche per il suo artefice umano, un giudizio lusinghiero: "… La Madonna di Pompei è la Regina delle immagini di Maria in Italia, da almeno cinquant’anni, almeno per gli italiani del Mezzogiorno… In ogni famiglia meridionale questa immagine è presente. Sono partiti a torme gli emigranti, e si sono portati appresso questa immagine e questa devozione. Chi ha una grazia da chiedere la chiede alla Madonna di Pompei, chi vuole un miracolo non trepida, non esita: va a chiederlo alla Madonna di Pompei… Il popolo assiepa prodigiosamente Valle di Pompei… innanzi a quella immagine, tutti confessano tutti i loro peccati. Non si sono visti in nessun luogo più indaffarati confessori, più presi d’assalto i confessionali… dappertutto si è affaccendati per mettersi in regola col Figliuolo di Maria… In nessun luogo si ha più presente che a Pompei quel che doveva accadere intorno a Gesù, allorquando compariva in un paese della Galilea… Un pellegrinaggio rifà le forze di anni e anni…" (in La festa, 7 maggio 1939).
Sono testimonianze concordi nel constatare la diffusione mondiale della devozione alla Vergine di Pompei e la sua efficacia spirituale.
Pubblicista e scrittore Mariano
Per questo impegno di promozione, Bartolo Longo si impegnò non poco, con lo stile e la professionalità di un moderno press-agent.
Chiosando un testo del Croiset (Esercizi di pietà, in Opere Complete, VII, Livorno 1846, 261) Bartolo Longo scriveva: "… qual è la mia vocazione? Scriver di Maria, far lodare Maria, far amare Maria". Avvertì particolarmente la sua vocazione di scrittore mariano, tanto da produrre libri ed opuscoli, alcuni dei quali veri e propri best-seller, come la Novena di impetrazione alla SS. Vergine del Rosario di Pompei (1879), I quindici sabati del Santissimo Rosario (1877) e la Supplica alla regina del SS. Rosario di Pompei (1882).
La sua attività editoriale fu davvero esemplare. Parla di questo percorso massmediale la rivista Il Rosario e la Nuova Pompei, che egli curò personalmente dal 7 marzo 1884, anno di fondazione, al 1926.
Non fu, tuttavia, mariologo di professione.
La sua fu una straordinaria catechesi, di devozione e spiritualità mariana di indole popolare, ma non solo. Al convegno del 1982, Pietro Borzomati affermava: "… alcuni testi di preghiere e di meditazioni di Bartolo Longo… costituiscono una fonte di notevole interesse per far luce sulle motivazioni ed i contenuti della "proposta" devozionale di Bartolo Longo. Sono testi questi che hanno affascinati e coinvolti migliaia di devoti in tempi diversi e tuttora, dopo il Vaticano II, hanno un ruolo non meno importante in ogni parte del mondo, nel rapporto, sempre più intenso, tra i fedeli e la Vergine. Tra Ottocento e Novecento questi testi devozionali hanno offerto spunti interessanti per la formazione religiosa e civile dei credenti, agevolato vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa, all’impegno dei laici nei movimenti cattolici ed alimentato fiducia e speranza in anni di crisi".
Si farebbe, tuttavia, un chiaro torto al Longo, se si parlasse quasi di una esclusività mariana della sua spiritualità. Molti testi, poco noti al grande pubblico, testi che potremmo definire della maturità, nel periodo che va dai primi anni del novecento alla sua morte, sono chiaramente orientati a Cristo e alla centralità del suo ruolo salvifico mai, offuscati o negati dall’avvocato pugliese. Emblema di questo approccio cristocentrico è il libro "Come si deve pregare? Schiarimenti utilissimi alle anime che vogliono far bene l’Orazione, con appendice sulla confessione, sulla comunione quotidiana e sull’amore di Dio". In questo testo, afferma Danilo Veneruso al convegno del 1998, " Il suo cristocentrismo è talmente solido da procedere all’insegnamento della lex orandi per ben 354 pagine fitte senza menzionare Maria, salva la breve citazione…".
A chiusura del convegno del 1998, Mons. Toppi parla di questo volume come del "saggio supremo di Bartolo Longo", quasi a voler indicare la necessità di un nuovo approccio e di una nuova lettura del Beato senza lasciarsi fagocitare da un esclusivismo mariano.
Un santo con la corona in mano
Per questo motivo, l’aspetto più significativo, tuttavia, e forse non sempre opportunamente valorizzato, è l’itinerario di spiritualità e di santità che Bartolo Longo affianca alla recita del Rosario, sottolineandone la dimensione cristologica e contemplativa: "Con l’intera sua opera e, in particolare, attraverso i "Quindici Sabati", Bartolo Longo sviluppò l’anima cristologica e contemplativa del Rosario, trovando particolare incoraggiamento e sostegno in Leone XIII, il "Papa del Rosario" (RVM, 8).
Questo particolare approccio lo si evince, soprattutto, dai suoi commenti. Bartolo Longo è convinto che il popolo imita solo la persona che ama ed è per questo che può dire: "… a quel modo che due amici, praticando frequentemente insieme, sogliono conformarsi anche nei costumi; così noi, conversando familiarmente con Gesù Cristo e con la Vergine, nel meditare i Misteri del Rosario, e formando insieme una medesima vita con la Comunione, possiamo divenire, per quanto sia capace la nostra bassezza, simili ad essi ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto" (I Quindici Sabati del Santissimo Rosario, Pompei 1916, p. 27).
Un percorso di intimità, di conformazione, di assimilazione che diventa una scelta chiara e netta: "Se vogliamo che il Rosario diventi un mezzo di santificazione al cuor nostro, dobbiamo immedesimarci del sentimento del Cuore di Gesù e del Cuore di Maria dobbiamo conformarci ai loro patimenti; dobbiamo trarre pratici ammaestramenti, e rispecchiare nella nostra vita le loro virtù" (Il mese di Ottobre, vol. II, 1918, pp. 38-39).
Anzi, la preghiera mariana è un vero ed utile insegnamento per incamminarsi verso la vita eterna. Il Rosario è infatti: "…il magistero della vita, un magistero pieno di dolcezza e di amore; onde l’uomo sotto gli sguardi di Maria, quasi senza accorgersi, trova che va facilmente educando se medesimo al conseguimento della seconda vita, di quella che è vita vera, perché non è destinata ad aggirarsi in pochi anni, ma in una interminabile eternità" (ivi, p. 68); "Venite, o figlioli ascoltatemi, dice Maria. Venite alla mia Scuola del mio Rosario e v’insegnerò il santo amore e la Via breve e sicura di pervenire al cielo" (Il mese di Ottobre, 1920, p. 39).
Qualche anno dopo, quasi al culmine della sua vita terrena e, quindi, nella pienezza della sua maturità, Bartolo Longo scrisse per il suo periodico un interessante paragone tra Pompei e Lourdes: "Ridestare la fede ecco la missione di Lourdes.
Ridestare la preghiera: ecco la missione di Valle di Pompei. A Lourdes la Vergine fa miracoli, perché la fede si risvegli e nel risveglio abbia il suo Trionfo; a Pompei la vergine fa miracoli, perché si risvegli l’orazione. Sono due missioni non separate, ma convergenti in un solo disegno di Provvidenza, disegno non saprei se più sapiente o amoroso di salvezza: a Lourdes ridestare la fede, a Pompei dare alla più bella e la più possente delle sue voci, la preghiera. E fra tutte le preghiere la più facile, la più opportuna, la più popolare, quella che è ripetizione ritmica delle più belle voci dell’anima ed è insieme contemplazione rapida di tutta l’epopea cristiana, quella che dà insieme fiori al cielo e rugiada alla terra, incenso a Dio e luce alle anime: il Rosario" (Il Rosario e la Nuova Pompei, 1922, p. 184).
Siamo in piena consonanza con la Rosarium Virginis Mariae. Il Rosario è preghiera semplice, popolare, meditativa, contemplativa, che sa mettere in circuito il cielo e la terra, Dio e le anime: un vero cammino di spiritualità e di santità!
Innamorato di Maria
La straordinaria statura di santità di Bartolo Longo, la sua operosità l’impegno catechetico, la promozione della devozione mariana e una vita autenticamente cristiana, maturata con la corona del Rosario in mano, sono tali da poterci far dire con lui e con il suo stesso linguaggio di innamorato della Madonna: "Beato chi ama Maria! E più beato chi notte e giorno siede alle porte di sì amabile Regina. Ed ogni giorno ascolta i consigli di lei, ed ogni giorno eleva il suo cuore a FDio" (Il Rosario e la Nuova Pompei, 1891, p. 535).
Fiducia assoluta nella Vergine
Per Bartolo Longo, Maria, Madre degli uomini, non può venir meno a questo suo ruolo materno. È talmente convinto di ciò, che la sua considerazione diventa un invito pressante: "Invoca Maria! Il suo nome non si levi mai dal tuo labbro, non mai si parta dal tuo cuore. Seguendo Maria, non ti perderai. Se pensi a Maria, non fallirai. Se ti tieni stretto a Maria, non cadrai. Se Maria ti protegge, non potrai temere. Se Maria ti guida, non ti stancherai. Se Maria ti soccorre, certamente arriverai al cielo".
(La guida del carcerato alla sua morale riabilitazione, 1899, p. 443).
(Autore: Lucio Giacco)
Il Beato Bartolo Longo un esempio mirabile di essere "Cavaliere del Santo Sepolcro"
Bartolo Longo fu cavaliere del Santo Sepolcro e le sue spoglie mortali sono conservate a Pompei ancora ricoperte del bianco mantello dell'ordine del Santo Sepolcro.
Il Beato Bartolo Longo nacque a Latiano, in provincia di Brindisi, l'11 gennaio del 1841, dotato di eccellente memoria, ancora giovanissimo comincia, con ottimi risultati, a frequentare la facoltà di Legge all'Università di Napoli.
Attraverso amici e professori si avvicinò al mondo dello spiritismo, abbandonando completamente la fede cattolica nella quale era stato educato.
Grazie al professor Vincenzo Pepe ed al domenicano padre Alberto Radente, tornò sulla via del bene.
Lo convinsero a confessarsi e comunicarsi, e per Bartolo cominciò una nuova vita al servizio della Santa Vergine. Grazie alla beata Caterina Volpicelli, conobbe la Contessa Marianna Farnararo de Fusco, rimasta vedova in giovane età con cinque figli piccoli.
Proprio per curare le sue proprietà, giunse, nel 1872, in Valle di Pompei.
Trovandosi per le campagne intorno a Pompei, venne tormentato da un forte dubbio, che ormai era ricorrente: "come avrebbe fatto a salvarsi, a causa delle esperienze poco edificanti della vita passata?" Era mezzogiorno e al suono delle campane si accompagnò una voce: "Se propaghi il Rosario, sarai salvo!".
Capì, allora, quale era la sua vocazione e si propose di non allontanarsi da Valle di Pompei, senza aver diffuso il culto alla Vergine.
L'incarico che ebbe dalla contessa Marianna lo portò a contatto con la miseria morale e materiale del popolo.
Per cercare di porvi rimedio, fondò subito la "Congregazione del Santo Rosario", cominciò a distribuire medagliette e coroncine, visitando le campagne e insegnando alla gente la preghiera e, su consiglio del Vescovo Nola, costruì una chiesa, consacrata a Maria, mettendo sull'altare il prodigioso quadro della S. Vergine, che giunse da Napoli il 13 novembre del 1875.
Cominciarono a moltiplicarsi i miracoli, che attirano numerosi pellegrini e portano un considerevole afflusso di denaro che venne subito impiegato per la costruzione di un orfanotrofio, per accogliere orfani e figli di detenuti, assicurando loro un'educazione, l'apprendimento di un mestiere e la conoscenza della fede.
Tuttavia, la fraterna collaborazione fra Bartolo e la contessa fece nascere pettegolezzi e calunnie. Così, su consiglio di papa Leone XIII, decisero di sposarsi, pur lasciando invariati i loro rapporti.
L'opera, intanto cresceva, con il continuo sorgere di nuovi edifici e servizi pubblici, allontanando sempre di più lo spettro della miseria da quei luoghi.
Il 5 maggio 1901 fu inaugurata la facciata della Basilica, eretta con il contributo di fedeli di ogni parte del mondo e dedicata alla Pace Universale.
Purtroppo il figlio maggiore della contessa, a seguito di incauti affari, sull'orlo del fallimento si appropriò delle offerte dei fedeli.
Per far terminare lo scandalo seguitone, Bartolo Longo rinunciò a tutte le sue opere, affidandole alla S. Sede. Morì a Pompei il 5 ottobre del 1926, all'età di 85 anni, colpito da polmonite bilaterale. Le sue ultime parole furono:
"Il mio unico desiderio è quello di vedere Maria, che mi ha salvato e mi salverà dalle grinfie di satana" .
L'opera del Longo ha avuto il suo solenne riconoscimento con la sua Beatificazione da parte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 26 ottobre 1980.
*Certificato medico di Moscati su Bartolo Longo
Nell’archivio Bartolo Longo un documento poco conosciuto
La storia di due Santi in un certificato medico redatto dal Moscati su Bartolo Longo
"Ma pura e pia conserverò la mia vita e la mia arte" (dal Giuramento di Ippocrate)
Gli scritti su Moscati sono numerosi e copiose le notizie sulla sua vita; si cominciò a studiarne la grande figura subito dopo la sua morte e, pur continuandosi fino ad oggi la puntuale interpretazione di ogni aspetto della sua fecondissima attività, sicuramente non si può considerare esaurito l’approfondimento e lo studio di un personaggio che in contempo fu medico valentissimo e cristiano tra i più ferventi.
Parecchi gli scritti lasciati da Moscati, tutti di natura scientifica, di indole medica: il frutto di sue attente e tenaci ricerche nel campo della chimica biologica, della fisiologia, della clinica.
Lavori sempre originali, suoi acuti concetti sull’arte medica, scoperte nuove; non tutte però più valide oggi, atteso lo sconfinato sviluppo della scienza e della tecnica. Quegli scritti restano comunque a testimoniare il suo impegno nella ricerca; denotano la perenne ansia di un uomo che non si è mai attestato sui prestigiosi traguardi raggiunti anzi, mostrano essere Egli sempre teso a coltivare con passione un campo della scienza così vasto, spesso oscuro, sempre difficile. Brevi cenni su argomenti sociali e caritativi. L’epistolario – peraltro non vasto -, frammenti dei suoi pensieri, considerazioni sulla morale e sulla fede, alcuni versi augurali: le sole poche cose, oltre le pubblicazioni sui temi scientifici, che possediamo del maestro santo.
Nell’archivio Bartolo Longo "spigolando" tra lo scarno materiale che si conserva del Moscati – già peraltro edito -, abbiamo trovato un autografo del Medico Santo che riteniamo inedito o per lo meno poco conosciuto: una certificazione sanitaria attestante lo stato di salute mentale di Bartolo Longo. Il testo lo riproduciamo affiancato ad analogo certificato redatto da altro medico per lo stesso scopo ed in pari data, al fine di consentire al lettore di trarre qualche valutazione nel comparare attentamente i due documenti e considerare inoltre che essi ci danno preziose notizie sulle meravigliose condizioni creative di Bartolo Longo all’età di 85 anni, appena sei mesi prima della sua morte.
Primo certificato
Io sottoscritto A.F. (…) attesto di tenere affidato alle mie cure sanitarie da oltre dieci giorni, il Comm. Avv. Bartolo Longo, domiciliato in Valle di Pompei, il quale è affetto da lieve catarro bronchiale postumo ad influenza.
In tutte le visite fatte a varie ore, nei giorni passati, per seguire tutte le fasi della malattia dell’Illustre Infermo, ho sempre riscontrato in lui la più perfetta lucidità di mente. Anche questa mattina, immediatamente prima della stipulazione della procura speciale, (…) alla quale stipulazione io ho assistito in qualità di testimone, il detto infermo è stato da me visitato ed ho accertato in lui la perfetta e costante lucidità di mente che ha sempre conservata durante tutta la stipulazione.
Valle di Pompei, il 3 aprile 1926 ore 12,30.
Dott. A. F.
Secondo certificato
Atteso, in sicura coscienza, che il Sig. Comm. Avv. Bartolo Longo fu Bartolomeo, fondatore del Santuario e delle opere annesse di Beneficenza, in Valle di Pompei, conserva una lucidità intellettuale mirabile, un perfetto senso critico, un’ottima memoria, in breve una così meravigliosa integrità di tutti i poteri mentali, da lasciare stupiti quanti lo avvicinano, me stesso, che ho avuto ed ho occasione di intrattenermi con lui, e conservare, e riconoscere la bontà e sottigliezza di tutti i rilievi, che egli compie sugli argomenti, che si trattano.
Valle di Pompei, 4 aprile millenovecentoventisei.
Dott. Prof. Giuseppe Moscati
Entrambi i sanitari sono stati chiamati per constatare e quindi certificare sulla perfetta lucidità mentale di Bartolo Longo; il tema è univoco, i due giudizi, sebbene equivalenti sul piano tecnico-giuridico, appaiono notevolmente diversi nella forma. Il primo medico in previsione forse che un giudice avesse potuto esaminare la sua documentazione, si attiene ad un formulario tecnico stereotipo: è minuzioso, puntuale, perfino ripetitivo. Il secondo medico per nulla è turbato da tali preoccupazioni, il suo giudizio pertanto non appare nella fredda veste medico legale, è bensì un apprezzamento, caloroso ed entusiastico, sulle condizioni psichiche di Bartolo Longo. L’aggettivazione infatti è scelta, efficacemente risalta la proprietà del linguaggio per nulla tecnico-giuridico.
Si colgono i segni dell’affetto che il medico nutre per il proprio paziente, chiaro si avverte il fraterno legame di stima, di rispetto, di venerazione che sussiste tra il sanitario e il suo assistito. Entrambe le certificazioni sicuramente sono da ritenersi valide ai fini della valutazione medico legale circa le condizioni di salute mentale di Bartolo Longo, ciò tuttavia non ci esime dal dover considerare il primo certificato un attestato di salute sì della mente ma "materialmente" espresso, solo una legale valutazione di sanità psichica: l’integrità fisiologica.
Nell’altro certificato la forma è ben diversa. La sanità della mente è attestata sotto il profilo creativo, è letta in chiave prettamente spirituale: è mirabile quel cervello, lascia stupiti quanti lo ascoltano, è perfetto il suo senso critico. Più che ad un giudizio medico-legale, siamo di fronte al meraviglioso ritratto di un’anima.
Costretti dal paragone, non ci sfugga che il primo medico, ancorché validissimo ed esperto nella sua arte, resta un uomo; il secondo, invece, parimenti meritevole nel campo professionale, è un Santo.
"Beati noi medici, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia, beati noi se ricordiamo che oltre ai corpi, abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali, ci urge il precetto evangelico di amarli come noi stessi leggiamo in una sua lettera. A questi precetti, fin da giovane, Moscati ha informata la sua vita professionale; egli è il medico del corpo vivificato dalla luce dello spirito; il suo paziente è creatura di Dio.
Perciò la malattia, la sofferenza, il dolore lo angustiano, mai lo sgomentano, mi è atterrito al pensiero della morte.
Sono questi soltanto epifenomeni contingenti, ma necessari; episodi umanizzanti la vita terrena giacché essa è solo un lampo nell’eterno, quasi un utile pretesto: il diritto ad un passaggio obbligatorio per entrare in quella dimensione che trascende la materia e prelude alla comprensione di un mistero tanto più complesso: L’Eterno.
(Autore: Nicola Avellino – da: il Rosario e la Nuova Pompei di gennaio – febbraio 1988)
In margine al Centenario dell’Opera per i figli dei carcerati
Il Santuario e il Comune di Pompei hanno, di comune accordo, dato inizio ad un ciclo di conferenze per promuovere, soprattutto nelle nuove generazioni, la conoscenza delle origini della Nuova Pompei e dell’opera del Beato Bartolo Longo.
In occasione del centenario dell’istituzione dell’Opera per i figli dei carcerati, ci si è giustamente impegnati a meglio conoscere il Beato Fondatore. Una lodevole iniziativa del Santuario e del Comune per presentare a noi di oggi le origini della Nuova Pompei.
Questo ciclo di conferenze mensili è stato finora condotto da Don D. Rinaldi, l’Avv. F. Sicignano, il Dr. Nicola Avellino, il Prof. Luigi Leone, il Dr. L. Barbato e Don Adolfo L’Arco.
Temi vari ed affascinanti sulla personalità, le idee, la spiritualità, l’imprenditorialità del Fondatore. Il 20 gennaio il Dr. Barbato parlò del "Profilo psicologico del giovane Bartolo Longo" e Don L’Arco di "Bartolo Longo e lo spiritismo. Itinerario di una conversione".
Non è facile riassumere i due testi, senza correre il rischio di sottacere aspetti importanti. Cominciamo con il primo. Dal biografo Eufrasio M. Spreafico emerge la figura di B. Longo quale fanciullo e poi giovane intelligente, vivace, irrequieto e pio. Tutti vorrebbero un figlio del genere. Ma è proprio questa caratteristica della pietà che non aiuta a capire come mai, in un tempo relativamente breve, egli sia passato all’altra sponda divenendo "sacerdote dello spiritismo".
Così si descrive egli stesso per questo tempo: "Travolto anch’io nel bollore di mia giovinezza, negli errori contro la fede e contro la vera Chiesa, quali seminavansi in questa, un dì celebre Università di Napoli, blandito da sorrisi di professori, cristiani snervati o peggio sfratati ed apostati, adescato all’amo della libertà di coscienza e di pensiero, sedotto dalle novità delle scienze, e fatto sicuro dal rombo di certi nomi di professori, che echeggiavano fino nelle università di Parigi e di Berlino, discordanti è vero tra di loro nelle opinioni, ma tutti d’accordo nel negare la persona di Dio, […] odiai anch’io…".
Bartolo Longo ci dice che egli fu adescato dalla "libertà di coscienza e di pensiero": vuol dire che non viveva ancora in libertà di fede, non aveva ancora una fede, bensì gli erano stati insegnati i rituali dell’uomo di fede. Essere è diverso dal fare.
Quando Bartolo si trovò all’Università di Napoli, avrebbe potuto orientare la sua affannosa ricerca della verità in altre direzioni e non credere allo spiritismo. Tale sbandamento prova che la sua formazione era carente e la sua pietà superficiale.
Nel brano di cui sopra vi è una prima conferma: "fatto sicuro dal rombo di certi nomi di professori…". È la dichiarazione non solo di un’insicurezza personale, vi è di più. In questa frase egli ci esplicita anche quale fi la difesa a quest’insicurezza: fu il seguire il rombo. La sicurezza fu cercata nel fare l’hegeliano e poi lo spiritista. Lui che non era libero poteva solo seguire una grancassa.
Altri fatti ed atteggiamenti della sua vita confermano questa sua carenza. Naturalmente quanto egli fece di positivo in seguito è da ammirarsi più intensamente, perché maggiore fu lo sforzo di superare le limitazioni dell’educazione dell’infanzia.
Fin qui il Dr. Barbato, chiudendo il suo intervento con la prospettiva di un’educazione umana equilibrata: "Vogliamo concludere proponendo l’idea che è opportuno, più dell’insegnare, il permettere quelle condizioni tali da favorire lo sviluppo nell’individuo, a partire dai suoi processi interiori, del suo sentimento di giusto, di ingiusto, di fiducia. Egli, così, svilupperà un suo senso morale e non avrà grancasse da seguire, non conoscerà dei rituali per lui vuoti, ma potrà essere Uomo e trovare Dio".
Don L’Arco, che ha pubblicato una vita del Nostro Beato (Il beato B. Longo, Mediatore tra il Vangelo e l’uomo moderno), spiega così questa crisi giovanile. Bartolo era un predestinato a compiere ciò che poi ha fatto. Il diavolo compie la sua azione di tentatore adeguandosi alle condizioni della persona. Sceglie, per così dire, il campo per far "scivolare più facilmente" la creatura umana.
Non ci fu un suo successo nel campo della morale e dei costumi ma in quello della religione. Bartolo nella sua enorme passione per il soprannaturale e la ricerca della verità finì nella rete dello spiritismo. Altri suoi amici slittarono nell'hegelismo ed idealismo.
Così scriveva: "Peggio per chi non vuol credere – diceva ad un prelato -. Ma non si sa dunque che io sono stato unto sacerdote dello spiritismo? Unto con l’olio non so da dove preso? Non vengano a parlare con me di trucchi. Che ce ne siano lo credo. Ma quello che è successo a me non erano trucchi. So quello che dico; so quello che ho fatto io. Al demonio preme di far passare per trucchi anche quello che non è. Alla Chiesa il giudizio: ma i fatti sono fatti: io l’ho sperimentato e per miracolo della Madonna sono stato liberato. E basta" (op. cit. pag. 6).
Scongiura i curiosi a tenersi lontano dallo spiritismo: è una strada secondaria, dove è più facile incontrare il demonio che Dio: "Il giovane si piantò qualche passo lontano dal domenicano che confessava. Padre Radente sbirciò lo spiritista spiritato, con la barba alla moschettiera, e si insospettì. Prima di ascoltarlo, andò in sacrestia e disse al sacrista: - Questo giovane non mi persuade: mettiti a discreta distanza e guardami". Il santo sacerdote invitò il penitente a ritornare per l’assoluzione e corse dalle terziarie domenicane a chiedere preghiere per una conversione d’eccezione. Egli poi si impose un digiuno rigoroso di tre giorni. Per la conversione delle anime bisogna pagare di persona! Finalmente il figliuol prodigo poté ricevere l’assoluzione che fu per lui come un secondo battesimo. Il convertito, alludendo a quella confessione; scriverà: "In quel giorno che mai si cancellerà dalla mia memoria, la madre dei peccatori, la Regina delle rose celesti, operò un gran prodigio nella persona di quel colpevole, e, con un tratto di quella magnificenza che solo Dio possiede, elesse quel medesimo sciagurato a promulgare le Sue glorie, a fondare un Santuario, ove altri colpevoli trovassero il perdono e la pace". (op. cit. pag. 31).
Da convertito, in tono ironico soleva dire agli intimi: "Che bel S. Michele era quello che mi parlava a Napoli!".
È comunque interessante notare l’azione di Maria in tutto questo sbandamento: sembra che egli mai tralasciò la recita del Rosario. In questa occasione è tornato sul tavolo l’eterno dilemma dell’equilibrio pedagogico tra essere e fare, tra formalità e sostanza, tra metodo dell’imposizione e metodo del consiglio. Nel piccolo Bartolo avverò quello che soleva accadere in tutti i bambini. Oggi l’orientamento educativo è diverso, ma quali saranno (e sono già) i frutti?
Nelle domande e commenti a seguito dei due interventi non si è approfondito l’aspetto teorico ma si è continuato a sottolineare la grande esperienza religiosa e mistica del Beato.
È rimasta insoluta la domanda iniziale: lo sbandamento giovanile è stato conseguenza dell’errato metodo educativo o un momento provvidenziale per il trionfo della grazia? Forse, come in altri casi analoghi, la chiave di lettura è una sola: non dimenticare che l’uomo è anima e corpo, due realtà in tensione secondo le proprie leggi, ma destinate all’armonia totale dell’essere umano.
(Autore: Pietro Caggiano)
Il mio testamento è questo:
Raccomando al vostro cuore queste Orfanelle e questi Figli dei Carcerati che insieme abbiamo salvato.
Sotto lo scudo della Madonna di Pompei, ed ai raggi benefici della vostra carità, quelle e questi si educhino al bene, all’onestà e al lavoro; e con la vostra carità cresca ogni dì il numero dei beneficati salvando tanti altri fanciulli derelitti e miseri.
*Cronologia della vita del Beato Bartolo Longo
Anno Descrizione
1841 10 Febbraio – Nascita di Bartolomeo Maria Longo, a Latiano (Br), da Bartolo e Antonia Luparelli di Mesagne.
1841 13 Febbraio – Battesimo nella Chiesa Matrice di Latiano (Br) – Ricevette la Cresima a tre mesi dalla nascita
1846 Entrata nel collegio dei Padri Scolopi di Francavilla F.na (Br)
1851 Morte del Padre – breve periodo a casa e ritorno a Francavilla
1853 La madre, Antonia Luparelli passò in seconde nozze con l’Avv. Giovanni Campi di Mesagne.
1858 25 giugno – Conseguimento del diploma di ammissione agli esami di grado di Dottore in qualunque facoltà e l’abilitazione all’insegnamento dei rudimenti grammaticali - Definitivo ritorno a Latiano
1859-60 A Lecce per seguire corsi privati di studi in giurisprudenza – Primi approcci allo Spiritismo
1860 Ritorno a casa – Affidato alle cure dell’amico di famiglia: il letterato e filosofo arcidiacono Minnuri di Brindisi
1861 In giugno – data della morte di Cavour alla cui memoria dedico un salmo – fece ritorno a Lecce sino a novembre dello stesso anno – Studiava pianoforte sotto la guida del Maestro leccese Ermenegildo Lusitani
1861 Nell’ultimo mese dell’anno sprecò a Napoli per iscriversi all’Università, ma dovette aspettare sino al 1863 insieme al fratello Alceste che si iscrisse alla Facoltà di Medicina
1861-63 A Napoli continua a praticare lo Spiritismo – Incontro con l’amico e concittadino Prof. Vincenzo Pepe che insegnava presso il Ginnasio superiore a Maddaloni (Na)
1863-65 Frequenti discussioni tra Bartolo Longo e il Prof Vincenzo Pepe sullo spiritismo come disordine morale, si fece appello anche al giudizio di Crocifissa Capodieci di Latiano che godeva fama di santa.
1864 Il 12 dicembre - Consegue la Laurea di Dottore in utroque iure
1865 23 giugno - Desiderio di ascoltare una Santa Messa – Confessione nella chiesa di San Domenico Maggiore in Napoli dal dotto teologo domenicano Padre Roberto Radente indicatogli dall’amico Prof. Vincenzo Pepe. – Prima comunione dopo la conversione
1865-75 Un decennio intenso di studi teologici sotto la guida di Padre Radente
1868 Ritorno nostalgico a Latiano – Non tralasciava di ascoltare la S. Messa ogni giorno e la visita serotina al SS. Sacramento. A Latiano vi fu una proposta di matrimonio con la Baronessa Caterina Scazzeri e a Bari con la figlia del Direttore del Banco di Napoli , la Signorina Annina Guarnirei Alcalà
1869 25 ottobre – Padre Ribera lo consiglia di non prendere i voti religiosi ma di rimanere laico altrimenti non si sarebbero compiuti in lui i disegni di Dio
1868-71 Dall’ 11 dicembre 1868 al 1871 – Segue le lezioni di letteratura italiana e latina del Rodinò e di filosofia dell’ Abate Giuseppe Prisco, su suggerimento dell’ Abate Vito Fornari in seguito anche allievo del famoso Cardinale Capecelatro
1871 7 ottobre (Anniversario della Battaglia di Lepanto) – Prese lo scapolare del Terso Ordine Domenicano facendo la professione di fede nelle mani di Padre Alberto Radente, nella Chiesa di Porta Medina in Napoli. S’impose il nome di Fra Rosario.
1872 Il 2 ottobre pose piede, per la prima volta, in Valle di Pompei per interessarsi dei terreni di proprietà della vedova Marianna Farnararo De Fusco. All’epoca, Valle di Pompei era abitata da circa 1200 persone – Sul finire d’ottobre decide di non uscire dalla Valle di Pompei senza aver propagato il Rosario
1873 Nel mese di ottobre incominciò a dispensare corone, crocifissi e immagine sacre, raccolte l’anno precedente – Padre Radente tenne una predica su invito di Bartolo Longo nella chiesetta di Valle di Pompei
1874 Sempre nel mese di ottobre fu festeggiata per la prima volta la Regina del Rosario con una Messa solenne. B.artolo Longo aveva portato da Napoli una stampa della Madonna, ornata dei 15 Misteri della corona
1875 In ottobre vi fu una grande festa con un sermone tenuto dal Direttore Domenicano; il 13 Novembre – Gli fu consegnata la vecchia immagine della Vergine del SS. Rosario da Suor Maria Concetta De Litala , acquistata nel 1865 per 3 lire e 40 cent. Da Padre Radente– Immagine che fu portata a Valle di Pompei su un carro di letame condotto dal carrettiere Angelo Tortora– Il 14 Novembre, Mons. Giuseppe Formisano, Vescovo di Nola, somministrò il sacramento della cresima e si incontrò per la prima volta con B. Longo proponendo di erigere una chiesa alla Vergine del Rosario e non un altare come B. Longo aveva pensato in un primo momento.
1876 Alla fine di gennaio, padre Guglielmo Galella finì di restaurare il quadro della Vergine di Pompei, eliminando strappi e scrostature di colori – Il 13 febbraio fu eretta La Confraternita della Madonna del Rosario - Il 30 Aprile, Mons. Formisano, B. Longo e Marianna De Fusco comprarono un piccolo terreno (di circa 300 passi) accanto alla cadente Parrocchia per la somma di lire 1.700. – L’8 maggio fu posta la prima pietra per la costruzione del futuro Santuario di Pompei
1876 13 Febbraio – Primo miracolo della Vergine di Pompei – Guarigione della nipotina della Signora Anna Maria Lucarelli
1876 Il 12 marzo riceve tre telegrammi da Latiano per una grave malattia della madre per cui tornò a Latiano prendendo il treno per Lecce – Il 19 luglio muore la madre, Antonia Luparelli
1877 Il 15 agosto pubblicata la prima edizione dei Quindi Sabati di B. Longo. Un’idea avuta dalla Marchesa Filiasi di Somma che aveva mostrato a B. Longo, all’inizio dell’anno, un libricino tradotto dal francese e che parlava dei Quindi Sabati in onore del Rosario di Maria Vergine
1879 Da Giugno ad Agosto il Comm. Federico Maldarelli, insigne pittore napoletano, con l’aiuto del Sig. Francesco Chiariello, riparò il quadro mutando l’immagine di Santa Rosa in quella di Santa Caterina da Siena, donandogli tutto lo splendore possibile come ancora oggi si può ammirare nel Santuario – Nell’agosto fu pubblicata la Novena alla Prodigiosa Vergine del Rosario per impetrar grazie nei casi più disperati – Il 15 agosto fu posta per la prima volta una corona d’oro sul capo della venerata Immagine, mentre B. Longo era a letto con il Tifo
1883 Il 2 febbraio viene lanciata una crociata per le campane e l’8 maggio dello stesso anno le due campane: Maria Rosaria e Caterina da Siena suonarono a festa. – 14 ottobre venne recitata, per la prima volta, la Supplica, alle ore 12, da un coro di 20.000 pellegrini.
1884 Il 7 marzo – Festa di S. Tommaso d’ Acquino viene pubblicato il periodico Il Rosario e la Nuova Pompei
1884 In giugno per l’interessamento di Padre Ludovico da Caloria arrivano le macchine per la stampa – Nascita della Tipografia sotto la direzione di Ludovico Pepe – In tre anni diviene una perfetta tipografia.
1885 5 Gennaio muore Padre Radente – 30 Marzo muore Padre Ludovico – Il 1 aprile a Napoli nella cappella dell’Arcivescovado ci fu il matrimonio tra la Contessa De Fusco e Batolo Longo
1885-1902 Dal 10 marzo 1885 al 6 agosto 1902 fu sotto la direzione spirituale del Liquorino, Padre Leone – dopo la morte di Padre Leone il sommo Pontefice, Pio X, gli diede come direttore spirituale Padre Antonio M. Losito che morì il 18 luglio del 1917.
1886 8 Maggio era stato fissato per la triplice festa dell’incoronazione, dell’intronUna gustosissima scena di tiro alla fune tra alcuni dei primi ragazzi ospiti dell'Istituto Bartolo Longo.izzazione e della inaugurazione della Nuova Città, ma fu rimandata all’anno successivo a causa del colera
1887 7 maggio Il Cardinale Raffaele Monaco La Valletta consacrò il nuovo altare dichiarandolo privilegiato – L’incoronazione fu fatta il giorno dopo, in piazza a causa di una moltitudine di fedeli
1887 8 Maggio con la piccola Maria ed nell’ottobre con altre 14 orfanelle, ebbe inizio l’Orfanotrofio Femminile di Valle di Pompei
1890 Collaudo dell’Organo Monumentale del Santuario – Costo 140.000 lire
1891 8 Maggio – Il Santuario di Pompei dopo 15 anni dall’inizio dei lavori per la costruzione era ultimato e fu consacrato solennemente dal Card. La Valletta, legato del Papa Leone XIII – Nell’ottobre usci la prima edizione del libro di Don Francesco Romanelli col titolo:<<Bartolo Longo nella sua vita e nel suo apostolato>>: una biografia romanzata che non fu condivisa da B. Longo – Romanelli procurò molti dispiaceri al Beato, ma alla fine, ci fu il perdono e la riconciliazione. Venuta a Latiano, in settembre, per interessarsi dei poveri e dell'ospizio
1892 29 Maggio fu collocata la prima pietra per l’Ospizio educativo per i figli dei carcerati. Venuta a Latiano, sempre in settembre, per interessarsi dell'ospizio dei poveri
1894 13 marzo – Con il Breve Qua Providentia, Leone XIII accettò in dono Il Santuario, mettendolo sotto la giurisdizione della Santa Sede e lasciando come amministratori i fondatori. Venuta a Latiano per festeggiare il secondo anniversario della fondazione dell'ospizio dei poveri (L'attuale casa di riposo "C. Scazzeri" sita in viale Cotrino)
1897 Il 25 agosto il Card. Gazzella in qualità di Vicario del Papa dichiara canonicamente eretta la Congregazione Regolare delle Suore del Terzo Ordine di Pompei, sotto il titolo di Figlie del Rosario di Pompei
1898 7 maggio il Cardinale Gazzella apriva le porte del Monastero ad otto giovani, ammettendole alla prova della vestizione.
1901 5 maggio inaugurazione della facciata monumentale ; il giorno prima il Papa aveva dichiarato il Santuario Basilica Pontificia – il 21 ottobre 1979 dalla “loggia papale” costruita dal Beato si affacciò Giovanni Paolo II per salutare la Madonna con l’Angelus, per benedire il mondo
1905 Il Santuario e le annesse Opere di carità passarono sotto l’Amministrazione Pontificia
1906 31 gennaio B. Longo consegna a Mons De Lai l’atto di rinuncia totale di tutte le opere pompeiane includendo anche quelle di sua proprietà – il 12 settembre, con atto notarile, attuando il saggio consiglio del rimpianto P. Ludovico da Caloria, donarono tutto al Papa.
1907 28 luglio – L’ultimo degli Scolopi Padre Giannini lascia Pompei – Secondo la regola della Congregazione gli scolopi ricevevano ordini solo dal Padre Generale per cui non potevano essere condizionati dalla nuova gestione amministrativa sotto il Delegato Pontificio – Vengono sostituiti dai Fratelli delle Scuole Cristiane
1908 Venuta a Latiano per interessarsi del conventino presso il Santuario della Vergine di Cotrino
1912 Maggio fu posta la prima pietra per il campanile che fu inaugurato il 24 maggio 1925
1922 15 ottobre inizia la costruzioneper l'Istituto delle Figlie dei Carcerati
1924 Il 9 Febbraio muore la Contessa Marianna De Fusco – consorte di Bartolo Longo
1925 Nel mese di marzo lascia Latiano per far ritorno a Pompei il 23 aprile dopo un breve soggiorno a Napoli
1926 Febbraio – morte del Cardinale Silj alcuni giorni dopo la sua visita a Valle di Pompei
1926 5 Ottobre – Morte del Beato Bartolo Longo – Aveva ricevuto gli ultimi conforti religiosi da Mons. Giuseppe Vincenti che il Papa Benedetto XV aveva inviato a Pompei quale confessore della Contessa De Fusco e di Bartolo Longo.
1926 18 ottobre inaugurazione del nuovo edificio per le figlie dei carcerati fatta dal Cardinale Cremonesi.- L’Istituto “Sacro Cuore” l’ ultima opera del Beato Bartolo Longo
1934 Il 7 maggio inizia il processo canonico per la sua Beatificazione.
1975 Il 3 ottobre viene pubblicato il Decreto sull'eroicità delle sue virtù.
1979 21 ottobre – Visita a Pompei del Papa Giovanni Paolo II
1980 26 Ottobre - Beatificazione di Bartolo Longo in Piazza San Pietro da Papa Giovanni Paolo II.
*L'attualità del Beato
Vangelo, solidarietà e pietà mariana sono i tre cardini dell’esperienza di Bartolo Longo. Un valido esempio per i nostri tempi, che trova riscontro in tantissime altre testimonianze.
Il Beato Bartolo Longo, a meno di tre anni dal 2000? Come "rileggere" la sua figura? Pur nei limiti di un’opinione personalissima, vi si può rintracciare un cammino segnato da tre paletti: Vangelo, solidarietà e "pietas" mariana, intesa quest’ultima come capacità di "compassione" nel senso alto e nobile del termine ovvero condividere la sofferenza di chi ci sta a cercare di alleggerirla.
Il 19 giugno, in Vaticano, durante una sobria cerimonia, papa Wojtyla ha consegnato il "Premio internazionale Paolo VI" a un Bartolo Longo dei nostri tempi: il canadese Jean Vanier.
Brillante ufficiale di marina, nel 1964, spinto dal Vangelo ha dato una sterzata alla propria vita. Ha mollato tutto e a Trosly-Breuil, un piccolo centro a un centinaio di chilometri da Parigi (Francia), ha fondato la prima "Comunità dell’Arca". Essa oggi è una grande rete di più di cento comunità, in 30 nazioni dei cinque continenti, nelle quali volontari e non, condividono la propria vita con persone colpite da handicap mentale.
"Condividere – ha commentato Vanier il 18 giugno alla vigilia dell’assegnazione del premio – non è difficile, basta rinunciare a una quota del proprio potere. "Fare comunione" è molto più difficile se non ci si pone in ascolto degli altri e se non c’è l’assistenza e l’aiuto di un Altro…".
Il tutto detto con una gioia macinata giorno-dopo-giorno, messa alla prova anche da momenti di incertezza e di sconfitte. E, pur tuttavia, la rete dell’Arca tiene.
Una delle comunità più recenti "Il Chicco" è sorta nei mesi scorsi, a Ciampino, una località non distante da Roma… Ma una parte della strada percorsa da Bartolo Longo la si può ritrovare pure nell’esperienza di quell’ingegnere di origine torinese che, da molti anni, a Khabul la capitale dell’Afganistan (in Asia) si è trasformato in un mago delle protesi artificiali.
Egli, sfruttando le sue capacità tecniche e materiali di varia lega fortunosamente ritrovati, costruisce "protesi" cioè braccia, mani, gambe, caviglie di metallo per bambini e per bambine di quella sfortunata nazione resi invalidi dallo scoppio di mine-antiuomo (spesso travestite da bambolotti sorridenti) disseminate in decine di migliaia, un quindici anni fa, dalle truppe d’invasione russe, per colpire la popolazione musulmana. Con ogni probabilità questo testimone della solidarietà e della fratellanza, non è spinto da un ideale religioso. Eppure è tutt’ora là, in quell’ospedale nel quale, ogni giorno, arrivano corpi e persone devastate, mutilate, per le quali ogni sforzo nei limiti dell’umano è tentato.
Rientrando nei nostri confini, in provincia di Arezzo c’è ancora la comunità di "Nomadelfia", fondata da un coraggioso sacerdote, don Zeno Saltini, del quale, nel 2000, si celebrerà il primo centenario della nascita. Egli è stato tra i primi in Italia a fondare una famiglia "allargata", nella quale coppie regolarmente unite si sono dedicate a seguire figli e figlie di altri affidati loro oppure giunti in adozione.
Don Zeno Saltini, in anni molto difficili, quelli degli anni cinquanta detti della "guerra fredda", per salvare la sua comunità si autosospese, per circa 10 anni, dal sacerdozio, si è dedicato fino alla fine alla sua strada, nella quale l’attenzione per Maria – la madre di Gesù Cristo – occupava un ruolo particolare. D’altra parte se ci guardiamo intorno nelle nostre strade, nei nostri quartieri, ci accorgiamo che il distintivo dell’aiuto e dell’incoraggiamento è, sempre più, al femminile. Basti qui citare, senza nessuna pretesa d’essere completi, l’anno di Volontariato Sociale promosso da diverse diocesi.
Durante questi 365 giorni, un certo numero di ragazze si mette a servizio di chi più arranca la vita e di chi, più di altri, è tentato dal richiamo che vivere è un peso insostenibile.
Attraverso questi sentieri dell’aiuto vicendevole al femminile, si attivano scambi di esperienze e di riflessioni che portano molto lontano. Un esempio tra i tanti: quello di Giuliana Martirani, docente di geografia economica all’università di Napoli. Ella è la presidentessa della sezione italiana del "Movimento Internazionale per la Riconciliazione" (MIR); un’esperienza che ha anticipato l’esperienza del dialogo ecumenico tra donne cattoliche e di altre religioni.
Ebbene il "MIR" italiano fa parte di una costellazione di piccole organizzazioni di donne (spesso animate da suore) che cercano le strade per scoprire una scienza da parte della donna, una tecnologia cioè un modo di organizzare la vita quotidiana, veramente rispettose della dimensione umana e non solo legate a prospettive di profitto e di arricchimento.
Sono frammenti rispetto a necessità e a nuove povertà spesso grandi come gli oceani, ma sono anche una testimonianza che la strada aperta dal Beato Bartolo Longo ha ancora una sua validità per l’oggi.
(Autore: Maurizio Di Giacomo)
*La storia del Santo Simulacro
Dinanzi alle spoglie di Bartolo Longo, permanente luogo di memoria e preghiera, estasi di fede
“Alcuni rintocchi della più grande delle campane annunziarono alla città di Pompei la morte dell’ insigne Benefattore”, erano le ore otto e trenta circa del giorno 5 ottobre 1926, martedì.
Abitava in una casa di sua proprietà posta di fronte al Santuario, attualmente vi zampilla la grande fontana.
Nella stanza accanto alla sua si stava celebrando la Messa, era il momento dell’Elevazione.
Il Vegliardo, stretta tra le scarne mani la sua corona, guardò la Madonna e, fissato l’occhio verso l’infinito, lasciò la terra per sempre.
In quell’istante un duplice sacrificio si compiva: l’uno divino sull’altare, l’altro tanto umano su di un lettuccio di sofferenza.
Morì di broncopolmonite, la diagnosi posta dal Prof. Giuseppe Moscati che l’aveva visitato la sera precedente; gli apprestava amorevolmente le cure l’egregio dottor Alberto Fienga, medico curante.
Le spoglie mortali furono composte in quella stessa stanza; sul petto faceva spicco lo scapolare Domenicano, tra le mani la inseparabile corona.
Il giorno 7 ottobre i funerali: il feretro portato a spalla dai figli dei carcerati tra immense ali di folla entrò nel Santuario: la sua casa spirituale.
Nella pace del Tempio si concludeva la sua parentesi terrena, compiendosi il mito di un uomo che aveva già incisa una vigorosa pagina nella storia dell’umanità.
La sera stessa del 7 ottobre fu tumulato.
È utile una digressione: l’interno del Tempio della Madonna di Pompei era a quell’epoca di struttura alquanto diversa da quella naturale.
Esisteva la navata centrale, mentre al posto delle due navate laterali si aprivano delle cappelle.
La tomba di Bartolo Longo fu ricavata appunto nella cappella dedicata a Santa Caterina, occupava la prima parte dell’attuale navata sinistra del Tempio.
Un loculo semplice, chiuso da lastra di marmo, piuttosto in alto ed alla destra di chi entrava nella cappella stessa; fu scavato nel pilone portante della cupola.
In un tale sito remoto e quasi nascosto del Santuario che fu suo, egli rimaneva così occulto allo sguardo dei fedeli. Fu necessario quindi provvedere ad un monumento.
Mons. Carlo Cremonesi, destinato al governo del santuario da Papa Pio XI, affidò l’incarico al Comm. Tonnini, romano. – L’artista aveva già fuso il grandioso monumento a S. Francesco, sulla piazza di S. Giovanni in Laterano. – Il monumento fu inaugurato il 5 ottobre 1928, venerdì; il tempio rigurgitava di un’immensa folla di devoti, pellegrini e benefattori. Vi fu il discorso di Mons. E. A. Fabozzi.
Chi entra oggi nel Tempio, dalla navata centrale in alto a sinistra vedrà quel monumento; esattamente alle spalle di esso ebbero la prima sepoltura le spoglie del Beato.
Corre l’anno 1937: l’ampliamento del santuario volge al compimento – i grandiosi lavori gli doneranno lo splendore e la magnificenza attuali -. Sotto il trono della vergine è stato ricavato un locale: la Cripta. “… spero, pochi palmi di spazio sotto il trono della madonna, lì dove desidero di essere seppellito …”.
L’ultimo voto del grande cuore si realizza. Martedì 24 agosto 1937, festa di S. Bartolomeo, promotore il Patriarca A. Rossi, si adempie la estrema volontà del Fondatore: le sue spoglie dopo undici anni riposeranno sotto il Trono della vergine, le ricopre una bianca pietra di marmo con la scritta BARTOLO LONGO MDCDXXVI.
Nell’anno successivo, il 23 luglio P. Alberto M. Radente ed il 3 novembre la contessa De Fusco, nella stessa Cripta ricostituiranno la triade.
Il padre, il consigliere, l’amico giacque accanto al suo figliuolo spirituale; un altare proveniente dal vecchi Santuario, mistico tramite tra due tombe, ricomponeva nel segno della preghiera un’antica unione.
Intanto si accresce la devozione per Bartolo Longo, si ottengono favori e grazie per sua intercessione, si avvera il prodigio: il primo miracolo.
Siamo nell’anno 1966, nella Cripta si completano i grandiosi lavori di restauro.
Ampliata ed ornata con decoro, accoglie quanti chiederanno il conforto che si riceve dal mistico raccoglimento in preghiera.
Alla destra dell’altare una pesante lastra di granito rosso copre e suggella la terra il cui cavo accoglie il feretro di Bartolo Longo.
Sarà questa l’ultima dimora materiale dell’insigne uomo?
Il processo di beatificazione è alla svolta decisiva, all’orizzonte si intravede sempre più netta e luminosa la figura del Beato.
Il Santo Padre Paolo VI ordina la ricognizione canonica dei resti mortali del Servo di Dio Bartolo Longo.
Le operazioni iniziate l’11 febbraio dell’anno 1967 terminano il 4 di marzo.
I resti vengono custoditi in due cassette di zinco, recano il suggello dell’Ordinario della Curia; la perizia medico-legale è esperita. – L’avvocato Bartolo Longo ascenderà l’altare - !
Il tributo di una gloria ampiamente meritata. La Sacra Congregazione per le Cause dei Santi ordina una nuova ricognizione canonica dei resti mortali.
Si effettua il 1° settembre 1980.
La data fatidica è imminente, le autorità della Curia Pompeiana non contengono la loro intima commozione: l’evento che si preannuncia è straordinario.
È doveroso a questo punto fornire alcuni dati essenziali circa la struttura ed il contenuto dell’attuale simulacro del Beato.
Nel corso della seconda recente ricognizione le due cassettine, dissuggellate, mostrarono contenere l’una tutte le ossa del Beato nonché una piccola teca d’argento che custodiva esigui residui di meningi di cervello mummificati; l’altra, quanto, stando a stretto contatto col corpo del Beato, era residuato nel feretro.
Il contenuto di quest’ultima, considerato come reliquia “a contactu corporis”, viene custodito a parte e con la dovuta venerazione.
Tutte le ossa invece vengono racchiuse nel simulacro.
È suggestivo quanto vero pensare che la stupenda maschera di argento accoglie il cranio osseo ed i frustoli cerebrali mummificati del Beato e che il simulacro strutturato con impasto di resina bianca contiene nel suo cavo tutte le sue ossa.
Il vestito ed i calzari riproducono il colore e la foggia dell’epoca, tra le mani la sua “dolce catena”.
Quanta tenerezza ispira quel Santo Vegliardo!
Pieghi il capo raccolto in meditazione profonda, una spinta che viene di dentro, irrefrenabile, ti conduce oltre l’angusto confine, verso il trascendente.
E' l'attimo sublime in cui l'uomo si trasumana. Hai attinto l'acme. Hai creduto.
Le Suore di Pompei "perpetuano la straordinaria e spirituale eredità del Fondatore, il suo messaggio e i suoi esempi di fede e di carità... intorno al Santuario, nelle opere educative e caritative in particolare a favore dei bambini e delle bambine bisognosi..." (Giovanni Paolo II - Visita a Pompei - 7 Ottobre 2003)
La Congregazione delle Suore Domenicane “Figlie del S. Rosario di Pompei” fu fondata a Pompei (NA) nel 1895 dall’Avvocato Bartolo Longo, ora Beato, con le finalità specifiche dettate dal fondatore nel 1900 e che ancora oggi restano attuali e urgenti ovunque nel mondo:
- divulgare la devozione verso la Beata Vergine del S. Rosario di Pompei;
- curare la promozione umana e cristiana dei fanciulli e delle fanciulle, ospiti delle varie opere annesse al Santuario di Pompei, accogliendo i portatori delle nuove povertà;
- favorire l’educazione e l’istruzione civile e cristiana della gioventù;
- promuovere la pastorale della famiglia e dei giovani nelle comunità parrocchiali;
La Casa Madre della Congregazione ha sede in Pompei, presso il Santuario.Le Suore di Bartolo Longo realizzano il carisma del Fondatore a:
Pompei:
- responsabili di alcuni settori
- educatrici delle nuove strutture di accoglienza
- docenti nelle scuole del Santuario
- animatrici della liturgia nel Santuario della B. Vergine
In Italia
Maiori (SA), Minori (SA), Padula (SA), Santa Maria Capua Vetere (CE), Paola (CS), Roma, Camposano (NA), Agerola (NA), Parrelle - Pompei (NA), Fidenza (PR), Busseto (PR), Macerata Campania (CE), e Latiano (BR).
All'Estero
l'Apostolato delle Suore di Pompei è finalizzato alla promozione umana e cristiana della popolazione alla luce del Vangelo e del Rosario di Maria, anche nelle scuole dell'Infanzia e Primaria delle Filippine (Manila, Mindanao, Lianga, Pampanga e Bago), Africa (Camerun e Nigeria), India (Kottuwally e Kannur), Indonesia (Ruteng).
"... Figlie del Rosario di Pompei,
perché queste son chiamate con particolare vocazione ad amare e servire e glorificare così Buona Madre nella stessa sua casa, nel luogo medesimo dei suoi prodigi, come altrettante figlie che convivono con la propria madre poste, a custodia della casa di Lei, a servizio del Tempio a Lei dedicato".
(Bartolo Longo, 16, Costituzioni)
Il fondatore della Nuova Pompei nacque il 10 febbraio 1841 a Latiano, tipica cittadina pugliese che sorge a 98 metri sul livello del mare e a 22 Km. da Brindisi.
L’infanzia di Bartolo fu felice, sapeva riprodurre alla perfezione movenze e cadenze, timbri e toni di ogni persona che avvicinava.
Il successo del piccolo comico impensierì non poco il babbo, il quale dovette subire parecchie brutte figure con gli amici.
Bartolo Longo attorniato dai suoi ragazzi.Questo fu il motivo per cui dovette entrare in collegio. A soli sei anni fu affidato alle cure degli Scolopi del Collegio di Francavilla Fontana, questi erano aperti alle nuove idee che conciliavano l’amore alla Chiesa con l’amore per la Patria.
La coesistenza dei due amori fu in lui operosa per tutta la vita.
Bartolino ereditò dal nonno paterno; il carattere energico ed estroso, volitivo e sincero: l’ingegno acuto dal padre e dalla madre quella confidente bontà e tenerezza verso la Madonna. Se ne caratterizzerà la vita e l’azione.
Prima in Lecce e poi a Napoli attese agli studi di giurisprudenza, laureandosi a pieni voti il 12 dicembre 1864.
Durante il primo anno di vita napoletana mantenne, pur con qualche discontinuità, fedeltà alla messa domenicale; poi quando l’atteggiamento anticlericale, sociale, patriottico, pieno di fermenti, trovò terreno propizio nella sua mente e nella sua dialettica, allora la ruppe con la Chiesa e con la ideologia e la pratica cristiana.
Si credette idoneo al volo ed abbandonò il nido della fede semplice, quella di Mamma Antonia Luparelli e … cadde, prima di poter volare, tra le spine, il vischio e la pania della vita di Gesù scritta dal razionalista Ernesto Renan, che era il best-seller negli Atenei.
Ahimè! «galeotto fu il libro e chi lo scrisse»! dirà in seguito «Ma bruciavo di ritrovare la verità».
Si allontana coscientemente dalla Chiesa Cattolica, senza però pensare di allontanarsi da Cristo e dalla Madonna.
Era stato consacrato perfino sacerdote da due pontefici dello spiritismo: Inoltre esperimenti di magnetizzazione gli avevano procurato una specie di lavaggio al cervello; ed egli si confortava credendo di aver imboccato la via della verità e di navigare e di volare per i mari e per i cieli della pura gioia.
Non si accorgeva che il suo volo era un misero starnazzare e la sua stessa persona era ridotta ad un robot obbediente ad impulsi e suggestioni esterne. Si sottoponeva a digiuni e penitenze strazianti.
Un giorno di «lungo digiuno» si recò a far visita all’amico e concittadino Prof. Vincenzo Pepe; egli fu l’amico dell’anima, che il Signore gli mandò incontro in tutti i momenti critici e decisivi della sua vita.
Il fedele e caro amico Pepe gli fa conoscere l’illuminata persona di Padre Radente (domenicano). Il figliol prodigo potè ricevere l’assoluzione.
Così scriverà: «In quel giorno che mai si cancellerà dalla sua memoria, la Madre dei peccatori, operò un grande prodigio nella persona di quel colpevole, e con un tratto di quella magnificenza che Dio solo possiede, elesse quel medesimo sciagurato a promulgare le Sue glorie, a fondare un Santuario ove altri colpevoli trovassero il perdono e la pace».
Si presentò alla seduta spiritica, consegnò la medaglia di aggregato, ripudiò vigorosamente l’ignobile beffa ed esortò tutti a seguirlo.
Alcuni lo imitarono, altri si irritarono e lo derisero, dicendo: «Si è fatto santo il lupo». Decise di farsi santo, mettendosi contro corrente, egli scrive «Sentivo una brama (che era quasi un’angoscia, uno spasimo) di agitarmi, di lavorare, soprattutto di scrivere, per promuovere il trionfo del regno di Dio».
Nel settembre del 1871 fece un corso di esercizio spirituale. Li chiuse con un atto di offerta di sé a Dio, che rinBartolo Longo all'età di 50 anni.novò il 7 ottobre nella chiesa del Rosariello a Porta Medina nelle mani del Padre Radente che lo accoglie nel Terzo Ordine Domenicano col nome di Fratel Rosario.
D’ora in poi il Rosario sarà il palpito primo della sua anima e di tutta la sua vita che metterà a disposizione degli altri.
Frequentava la cappella privata della marchesa Caterina Volpicelli, Fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore. In seguito fu ospitato nella foresteria dell’Istituto dove abitava la vedova del Conte De Fusco e il nostro BartBartolo Longo all'età di 82 anniolo Longo fu affidato alla sue cure.
La contessa aveva ereditato dal marito dei terreni a Pompei, ma non se ne occupava, anzi non aveva neppure conoscenza.
Bartolo sente di compiere un atto cristiano a prestare la sua opera di avvocato, gratuita, per sciogliere i nodi della confusa matassa. Pompei, fino qualche anno prima, era stata il feudo incontrastato del brigante Pilone ed era percossa da tre flagelli: ignoranza, miseria, brigantaggio.
Erano i primi di ottobre 1872 giungeva per la prima volta, in Valle di Pompei il nostro Bartolo. Gli abitanti ignoravano le preghiere più semplici e le più rudimentali nozioni di catechismo.
Di sacramenti nemmeno a parlare; nelle superstizioni però s’erano ingolfati fino alla testa. L’avvocato osserva, annota, interroga, ma il cuore gli piange e la tempesta l’assale e si domanda come venire incontro a tante miserie e ignoranza? Decide: «Non uscirò da questa terra senza aver veduto il trionfo del Rosario di Maria». I contadini di Valle hanno trovato, finalmente, il catechista e il missionario.
Su quel lembo di terra, s’è posato l’occhio di Dio, e per quei contadini palpita di materno amore il cuore della Madonna.
Nella parrocchRara foto do Bartolo Longoia mancava un’immagine della Madonna del Rosario. L’occhio vuole la sua soddisfazione e la visione infiamma il cuore. Bartolo Longo corre a Napoli per l’acquisto.
Persona dai gusti raffinati, si orientò subito verso l’arte autentica, ma i quattrini erano pochi. Si raccomandò alla Madonna perché gli facesse incontrare Padre Radente e così avvenne.
Il buon Padre aveva tolto un’immagine dalla bottega di un rigattiere per appena 8 carlini e per non distruggerla l’aveva affidata ad una suora, e questa Concetta Delitolia, la teneva appesa alla porta della sua celletta.
A vederla Bartolo Longo ebbe una stretta al cuore e la Contessa borbottò: «Pare dipinta apposta per far perdere la devozione»! Sotto la pressione della suora, che ebbe forti parola di presagio, fu caricata sul carro pieno di letame di un tale Angelo Tortora di Valle di Pompei.
La sera del 13 novembre del 1875 – sabato – fu accolta dagli onori impacciati di una dozzina di contadini. Nel maggio del 1876 l’avvocato escogitò un nuovo sistema per eccitare l’anima infiammabile dei napoletani e, in seguito, di tutto il mondo a concorrere all’erezione di una chiesa al vero Dio sulla terra delle rovine pagane.
Egli ossequiente alla voce del Pastore della Diocesi, iniziata con l’obolo di un soldo al mese da lui raccolti con tenace animo e grande fede, per quel sontuoso tempio che è oggi il Santuario di fama mondiale.
Alla VergiTipica iconografia di B.L.con la corona tra le manine del Rosario erigeva un trono monumentale, e faceva germogliare intorno al Tempio le rose della Carità: le Orfanelle, i Figli e le Figlie dei Carcerati, asili, scuole e laboratori per i fanciulli pompeiani e per queste opere istituiva la Congregazione delle Suore “Figlie del S. Rosario di Pompei”.
Con zelo indefesso si adoperava a far conoscere Maria attraverso la stampa, in modo speciale col periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei”.
Oggi, a milioni, fedeli d’ogni nazione pregano con la novena, i Quindici Sabati e la Supplica, dettati dal cuore del fedele servo di Maria.
Tante spine soffocarono le opere meravigliose sorte a Pompei. Avversari crudeli e calunniatori infamarono la sua persona, ma più di tutti un beneficato, tolto da uno stato di miseria, divenne l’accusatore di Bartolo presso la S. Congregazione del Concilio.
La gravità delle accuse, mal filtrate da chi le raccolse colpirono il papa Pio X che lo chiamò ladro nel Natale del 1904. Ma la divina Provvidenza che ha sempre regnato e ancora regna su Pompei ha fatto riconoscere la sua innocenza.
Il 31 gennaio 1906 cedette al Papa non solo le opere di beneficenza, ma anche tutto ciò che era di sua esclusiva proprietà.
Non aveva più nulla, né beni, né autorità, ma gli rimanevano ancora la corona, il cuore e la penna.
Baciando il Crocifisso e stringendo il suo Rosario, che sempre aveva tenuto tra mano in vita, il 5 ottobre 1926 ore 8,05 chiudeva la sua operosa giornata, il papà degli orfani, il salvatore dell’infanzia abbandonata, l’uomo dalle tre virtù del successo: la Fede, l’Amore, la Speranza.
*Stemma del Beato Bartolo Longo
Lo stemma di Bartolo Longo è costituito da uno scudo ovale sul quale sono tracciati i seguenti elementi:
La Croce, il Rosario, la stella e, in basso, un mare su cui sono incise le iniziali del fondatore: il Beato Bartolo Longo che, più volte, introduceva dei simboli che sintetizzassero la vita ed i valori umani che erano propri della istituzione pompeiana.
Molti di questi simboli li ritroviamo all’interno della Basilica.
Nel suo stemma collocato in basso a sinistra dell’altare maggiore, troviamo il mare in tempesta, la croce e la corona del rosario: elementi questi ultimi che, intrecciati tra loro simboleggiano gli amori più grandi della sua vita, mentre il mare in tempesta vuole rievocare lo stato d’animo della sua giovinezza: un mare in tempesta perché agitato dall’anticlericalismo spietato e dallo scetticismo.
Dopo la conversione, la croce è stata la sua fedele compagna di viaggio e le sue mani solitamente intrecciate alla corona hanno rappresentato l’àncora di salvezza.
Difatti, Bartolo Longo, era un uomo di preghiera e con l’aiuto del Rosario trovò conforto e guida per la costruzione delle Opere pompeiane, per la edificazione del Tempio perciò dedicato alla Regina del Rosario.
Era uno spettacolo vederlo guidare il Rosario in Basilica.
“Mi recava stupore ed insegnamento – dice un teste alla causa di beatificazione – vederlo recitare il S. Rosario con una lunga corona di quindici poste nelle mani, sempre con lo sguardo fisso alla Madonna, assorto così nella preghiera, da non accorgersi di quanto gli era intorno; pareva che se ne andasse in estasi”.
Il Beato definiva il rosario “inno di un arcangelo ripetuto da un coro di milioni di cuori”. La corona è quindi simbolo di guida e compagnia in ogni momento della storia di Pompei; ma, oltre a questo segno, che è compagnia e guida per il Beato, ritroviamo altri simboli, apparentemente meno importanti quali l’assegnazione della fascia sul braccio del giovanetto, che era un premio ambito di fine anno. Sulla fascia vi erano incise le iniziali di Bartolo Longo perché diceva:”io vi darò il mio nome: sul braccio voi apporrete le mie iniziali come segno d’affetto”. Un segno davvero tangibile e stimolante per la crescita della dignità umana.
E ancora, la stella. Un simbolo che ricorre frequente come appellativo di Maria: “tra le tempeste che mi avevano sommerso, levai gli occhi miei a te, nuova stella di speranza, apparsa ai dì nostri sulla valle delle rovine”. Bartolo Longo ne esalta la luce perché: “due sole luci restavano a lungo fra le tenebre: la fulgente corona intorno al capo della Vergine sul frontone della Basilica, e quella della finestra di Bartolo Longo”. Infatti, il Beato sottraeva gran parte del tempo al sonno per dedicarsi alla preghiera.
Infine, ma non da ultimo, diventato Terziario Domenicano, volle chiamarsi Fra Rosario, e fu rosario vivente per le sue vicende dolorose, gaudiose e gloriose, con due strumenti di lavoro: la penna ed il rosario: “apostolo della penna, in ascolto della parola”. Anche Giovanni Paolo II, nel proclamarlo Beato, il 26 ottobre del 1980, lo presentava al mondo cattolico dicendo: “Egli con la corona del rosario, dice anche a noi, cristiani della fine del XX secolo: Risveglia la tua fiducia nella SS. Vergine del Rosario. Devi avere la fede di Giobbe! Santa Madre, io ripongo in Te ogni mia afflizione, ogni speranza, ogni fiducia”.
*Sulle frontiere dell’uomo
Bartolo Longo "buon samaritano" dei nostri tempi
… cioè ai margini dell’esistenza … tra … figli di carcerati, orfani, deboli, sofferenti, emarginati, ignoranti, in quelle situazioni o in quelle condizioni dove la capacità di resistenza della creatura umana rischia di saltare e dove, per effetto contrario, è di casa la debolezza, la rassegnazione, il senso di frustazione, la sconfitta, spesso la disperazione. Bartolo Longo scelse questa difficile e complessa "fascia umana" ritenuta da alcuni benpensanti quasi una fisiologica espressione della società, entrò in questo mondo, tristemente accartocciato in se stesso, con riverenziale discrezione congiunta a coraggiosa consapevolezza, si mosse seguendo alcune certezze non dimostrabili con umani argomenti persuasivi, si confrontò con la realtà e con i progetti che dal di dentro lo premevano con una intelligenza che i santi definiscono semplicemente "fiducia e speranza" in Chi – Cristo – ti agita il cuore e ti resta vicino quando cominci a fare la Sua strada.
Perché è su queste frontiere che l’uomo può perdersi nell’anonimato e nella depersonalizzazione e può sentire crescere il suo potenziale di odio, di vendetta, di aggressività, di rifiuto, l’uomo diventa meno uomo, la vita meno umana. Su queste frontiere la sofferenza, di ogni genere, può inasprire, inasprirsi e vanificarsi nella subita fatalità della propria condizione sociale: l’uomo si vede assediato dal cerchio del distacco o del rifiuto degli altri, fino a sentirsi emarginato, dimenticato da tutti e da… Dio. Su queste frontiere il cristianesimo, purtroppo, spesso, giunge fiacco o con la sola ufficialità della istituzione, con cristiani senza messaggio o con messaggio senza testimonianza, cioè senza anima; in questo spazio difficile si doveva operare secondo il pensiero di Cristo come risposta alla invocazione di aiuto dell’umanità dolorante e come accoglimento della sfida che veniva dalla complessità dei problemi.
La gloria di Dio e l’uomo vivente
Se i problemi erano evidenti, il pensiero di Cristo era chiaro: ogni uomo è creatura di Dio, quindi bisogna rispettarlo; ogni uomo merita che sia liberato dai bisogni e dalle necessità, il messaggio evangelico nella sua integralità è operativo perché è sequela di Cristo, la progressiva vita di Fede avvicina sempre più Dio, conforme al pensiero di S. Ireneo: "La gloria di Dio è l’uomo vivente"; il coinvolgimento di altri non può mancare quando il Signore vuole un’opera che esige collaborazione e complessità di iniziative.
Per Bartolo Longo, quindi, Cristo era attualità, affronto dei problemi della vita, ingresso nel vissuto, aiuto effettivo, liberazione conseguita; un Cristo oleografico e una Fede quietistica o narcotizzante non dicevano niente a Lui che per temperamento e per carisma aveva bisogno di facce umane nelle quali leggeva una storia umana da riscattare o elevare in Cristo con interventi, opere, iniziative, rischi, avventure secondo l’immagine del buon samaritano, o, se si vuole, di Cristo stesso, che entra nella storia dell’altro per modificare la situazione dando del proprio accettando fastidi, sofferenze, incomprensioni. Tutto questo – è bene ricordarlo – sempre su quelle frontiere dell’uomo dove non si sta volentieri, non si guarda con gusto, non ci si offre facilmente, tutt’al più si applaude a quanto fanno altri, ci si esalta per il sensazionale intrapreso o compiuto.
Fiduciosa costruttività
Preferire alla tranquillità e alle sicurezze della fede intimistica l’avventura della novità e del rischio, senza dubbio è di quei santi che fanno della storia il campo di Dio, delle creature umane il luogo privilegiato nel quale Cristo si mostra amico, delle istituzioni caritative il convito della fraternità dove le persone hanno volti precisi, portano con sé una storia vera, esprimono il misterioso rapporto fra la trama della loro esistenza e il silenzio di Dio che in quelle opere diventa parola e presenza. È di quei santi, come Bartolo Longo,, la serenità con la quale offrono al soggetto umano, nel nome di Cristo, una risoluzione quando sembra che il problema superi le operazioni progettate, o propongono una buona ricomposizione della vita quando sembra che essa abbia in sé evidenti segni di devastazione e di sfacelo. Ciò è possibile perché il santo, contemporaneamente all’idea, alla realizzazione e alla affermazione delle iniziative, avverte il passo di Dio accanto al suo, in quella dimensione della Fede che muove le montagne e trapianta gli alberi, ma tutto in un clima spirituale e psicologico di ordinaria straordinarietà.
Ed è ancora possibile, questo atteggiamento di fiduciosa costruttività, per una certa imitazione dello stesso Cristo, che guardando l’uomo nel suo futuro – specialmente i fanciulli – pone sempre implicitamente, positive possibilità di risposta alla voce del Creatore, perché nella pagina bianca del futuro, al di là dei vari condizionamenti, tutto deve essere ancora scritto, e molte mani, molti cuori contribuire a scrivere, nonostante le amarezze delle sconfitte, la storia di tante speranze e di molte risurrezioni: al versante sconosciuto del nostro futuro l’operatore della Provvidenza non può mai negare spazi isolati e strade che vanno nella giusta direzione.
Una presenza: quella di Cristo e quella del credente
Sulle frontiere dell’uomo emarginato, insicuro, sopportato e compatito che si presenta nel nome di Cristo sa che ha il compito di aprire le finestre nella grigia stanza della solitudine, di rendere la parola dialogo, di abilitare gli occhi a ricevere e a comunicare messaggi in quella dimensione di vita umana e cristiana che porta a incontrarsi con il "tu" o "altro": si tratta veramente di ridare alla persona la sua compiutezza potenziale nei confronti con l’esterno, ma anche e soprattutto di testimoniare che la "verità dell’uomo", quella voluta da Cristo, è che nessuno è destinato ad essere un astro spento, o errante, nello spazio dell’umana famiglia, perché tutti sono "una vera famiglia".
Questa verità dell’uomo porta subito a rendere riconoscibile Cristo nella vita dell’uomo, nostro fratello, che ha bisogno di essere amato: chi ama l’uomo annuncia Cristo nel gesto d’amore che compie, chi è amato in Cristo manifesta la verità di quelle parole "Quel che avrete fatto ad uno di voi l’avrete fatto a me". La bellezza e grandiosità di questo "rendere riconoscibile Cristo" è evidente e commuovente: non una Fede teorizzata, quindi un Cristo da paradigma, ma una presenza salvante, liberante, di effettiva compagnia nella vita dell’altro; non una fede che cerca consolazioni in settori di facile affronto ma una scelta di radicalità evangelica che rifiuta gli accomodamenti e le riduzioni della saggezza troppo umana; si esprimeva in Bartolo Longo la Chiesa nella sua autentica e integrale identità cioè nella sua autentica e integrale identità cioè nella sua originaria capacità di manifestare Cristo al mondo; la scelta dei deboli voleva dire che nella riuscita delle opere4 non poteva mancare la potenza di Dio, la sua Grazia; la sfida del male fisico e morale, causa di lacrime e di sangue nella vita delle creature umane, non poteva vincere su Cristo, aveva assicurato che proprio in mezzo alle sventure si sarebbe presentato per essere riconosciuto: spettava però ai cristiani presentarlo per farlo riconoscere.
Fino alla fine del mondo noi credenti getteremo lo sguardo su queste frontiere dell’uomo chissà con quanti interrogativi ancora, oggi soprattutto che questa periferica umana si estende sempre più con l’ampliarsi dei problemi. L’esempio di Bartolo Longo, sulla scia di altri santi che lo precedettero, ammonisce a non ritenere inadeguata la Fede, cioè il Cristo preso nella sua persona e con le sue opere la potenzialità della Chiesa, nella sua natura e nella sua incarnazione storica, ogni credente, ogni comunità cristiana, ogni chiesa locale può far propria la testimonianza di questo santo, almeno come richiamo a credere, quindi a non dubitare, che sulle frontiere di ogni uomo, o dell’uomo, nei suoi problemi, nel suo decadimento o nelle sue vampate di disperazione, negli spazi di vita che avverte come alienanti o spettralmente silenziosi. Cristo può essere reso visibile o riconoscibile mediante noi.
(Autore: Giuseppe Oliva)