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Contessa Marianna De Fusco

Il Santuario

*Cento anni dalla morte della Contess a Marianna

06 Febbraio 2024
Alle 19 di venerdì 9 febbraio, nel Santuario di Pompei, l’Arcivescovo Tommaso Caputo presiederà la santa Messa per celebrare il centenario della morte della contessa Marianna Farnararo De Fusco, consorte del Beato Bartolo Longo e con lui fondatrice della Basilica mariana, delle Opere di carità, delle Suore domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei” e della nuova Città.
Il rito sarà animato dalla Schola Cantorum delle nostre Suore, diretta da Suor Maria Neve Cuomo.
Al termine della celebrazione, dopo la chiusura del Quadro della Madonna del Rosario, si renderà onore alla Contessa con un omaggio floreale alla sua tomba, posta nella cripta del Santuario.
Alla cerimonia interverranno il Sindaco di Pompei, Carmine Lo Sapio, alcune autorità di Monopoli e Latiano, città di origine di Marianna Farnararo e Bartolo Longo, i familiari della Contessa e di Bartolo Longo e altre autorità civili e militari.
9 febbraio 1924 - 9 febbraio 2024
Dispensatrice di carità
Il Centenario della morte della Contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco
Il 9 febbraio, a Pompei, si è tenuta la commemorazione del centenario della morte della Contessa Marianna Farnararo, vedova De Fusco, consorte del Beato Bartolo Longo e con lui fondatrice della Basilica e della Nuova Città. La Santa Messa è stata presieduta dall’Arcivescovo Monsignor Tommaso Caputo. Prima della celebrazione, l’Amministrazione comunale ha intitolato l’attuale via Bartolo Longo alla Contessa ed è stato inaugurato il murales a lei dedicato, realizzato sulla facciata sud di Palazzo De Fusco (sede del Comune), accanto a quello del Beato Bartolo Longo.
(Autore: di Loreta Somma)
La Città di Pompei, nelle sue componenti civile e religiosa, ha reso omaggio venerdì 9 febbraio 2024, in occasione del centesimo anniversario della sua nascita al cielo, alla Contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco in Longo, fondatrice assieme a Bartolo Longo del Santuario, delle Opere di Carità, delle Suore Domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei” e della stessa Città di Pompei. Alla nobildonna pugliese è stata intitolata una strada della Città che va a confluire in piazza Bartolo Longo. Un modo, anche simbolico, per esprimere il profondo legame tra i due coniugi nella grande opera di evangelizzazione, di propagazione del Santo Rosario, di vicinanza ai più fragili, di affrancamento di tante persone dalla miseria. Alla cerimonia, emozionante e semplice, erano presenti l’Arcivescovo Tommaso Caputo, il sindaco Carmine Lo Sapio, la cui amministrazione ha voluto l’intitolazione, e i familiari della Contessa e del Beato. Sulla facciata del palazzo in fondo alla strada, illuminata artisticamente, sono state proiettate immagini dedicate alla Contessa, al Beato, alla costruzione del Santuario e dell’Opera pompeiana. E lo stesso si è ripetuto sulla facciata di Palazzo De Fusco, oggi Municipio della Città mariana, e sul Palazzo della Delegazione pontificia. Sulla facciata retrostante del Comune, che dà sulla Fonte Salutare, è stato inaugurato un murales dedicato alla Contessa Marianna, raffigurata accanto al Beato. Nata a Monopoli (BA), il 13 dicembre 1836, rimase orfana di padre a soli 9 anni. Nel 1850 si trasferì a Napoli, nel palazzo di Caterina Volpicelli. Due anni dopo sposò il Conte Albenzio De Fusco, proprietario terriero in Lettere, Gragnano e Valle di Pompei. Rimasta vedova, a soli 27 anni e con 5 figli, fu ospite di Caterina Volpicelli nella sua nuova abitazione, ove stava sorgendo un cenacolo di preghiera. Qui, nel 1868, aveva conosciuto il giovane avvocato pugliese Bartolo Longo, ritornato alla fede nel 1865. Nel 1872, Marianna chiese a Bartolo Longo di aiutarla a curare i propri interessi nelle proprietà ereditate in Valle di Pompei. L’avvocato vi arrivò nell’ottobre di quell’anno. Nello stesso mese, in località Arpaia, sentì una voce interiore che gli diceva: «Se cerchi salvezza propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». E tutto iniziò, con una pietra di fondazione unica e divina: la preghiera del Rosario. All’inizio della Santa Messa, l’Arcivescovo Caputo ha salutato i familiari dei Fondatori di Pompei, con i quali «è sempre continuato il peculiare legame con il Santuario. Questa sera si rinnova l’amicizia anche con la loro terra di origine. Sono con noi le autorità e altri amici, giunti da Monopoli e da Latiano. È presente anche la professoressa Ada Ignazzi (biografa della Contessa), che ringrazio per l’impegno per far conoscere la storia privata e pubblica, umana e sociale, di Marianna Farnararo». Ha, poi, aggiunto: «È spiritualmente unito a noi il vescovo di Conversano-Monopoli, Monsignor Giuseppe Favale, che mi ha chiamato questa mattina. In questo anno centenario sono molteplici le iniziative previste nella città natale della Contessa. Monsignor Favale sarà con noi a Pompei l’8 maggio, per presiedere la Santa Eucarestia e la preghiera della Supplica in Piazza». Ad animare la liturgia è stata la Schola Cantorum delle Suore Domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei”, diretta da Suor Maria Neve Cuomo. Nell’omelia Mons. Caputo, commentando il Vangelo del giorno, nel quale Gesù guarisce un malato che non parlava né sentiva, ha messo la Parola di Dio in relazione con la vita della Contessa Marianna: «Le non poche sofferenze – ha affermato – avrebbero potuta renderla interiormente sordomuta, chiusa in sé stessa, diffidente nei confronti degli altri. E invece, mettendo in pratica il Vangelo di oggi, ha saputo essere coadiutrice di Dio nell’Opera di Pompei e ascoltare quella parola di Gesù: “Apriti!”. Sorretta da una fede incrollabile, dimentica di sé, si è aperta alle necessità dei più fragili, partecipando alle loro sofferenze, e alle loro attese. Con zelo e perseveranza, ha trovato un rapporto autentico con Dio e con i fratelli nella pace, superando pregiudizi e innumerevoli difficoltà.
E la piena sintonia di ideali tra Marianna De Fusco e Bartolo Longo, ha fatto nascere a Pompei, in Santuario e nelle Opere di Carità, una vita nuova, la comunione, la comunicazione feconda, mentre la misericordia di Dio veniva sparsa a piene mani e decine di migliaia di bambini – orfani e figli di carcerati – rinascevano, nell’ascolto di parole vere e nell’intreccio di dialoghi autentici. Senza l’apporto della Contessa la storia della Nuova Pompei non si sarebbe compiuta negli stessi straordinari termini in cui si è compiuta. Marianna De Fusco non ha soltanto contribuito alla fondazione del Santuario, ma ne è stata parte. Una parte viva e sostanziale, svolta nei due ambiti essenziali della preghiera e del pieno coinvolgimento nel grande cantiere delle Opere subito aperto con Bartolo Longo. Anche questo connubio rappresenta oggi un mirabile tassello del miracolo della “città di Maria”. Possiamo vedere anche in questo aspetto il segno ulteriore della modernità e dell’originalità di un Santuario dal cuore, ma anche dalla mano femminile. Un segno dei tempi nuovi, anticipati da una donna di fede, dispensatrice di una carità senza limiti». Al termine della Celebrazione Eucaristica, l’Arcivescovo Caputo ha presieduto, nella cripta del Santuario, l’omaggio floreale alla tomba della Contessa De Fusco. Il Prelato ha guidato la preghiera, alla presenza del Sindaco Carmine Lo Sapio, dei familiari dei Fondatori di Pompei e delle delegazioni di Latiano e Monopoli. Grande commozione in tutti i presenti e, soprattutto, infinita gratitudine per tutto ciò che la Contessa, assieme al Beato, ha fatto per la Città di Pompei e per i devoti della Madonna del Rosario di tutto il mondo.
Marianna la compagna di vita che il Cielo diede a Bartolo Longo di Beatrice Immediata
Cento anni fa, il 9 febbraio 1924, Marianna Farnararo chiudeva la sua vita terrena. Nei suoi lunghi 88 anni aveva conosciuto esperienze variegate, ma la più importante fu certamente legata al Santuario della Madonna di Pompei che sconvolse la sua vita. Vedova del Conte De Fusco, giovanissima, la Contessa Marianna rimase sola con cinque bambini. Aveva deciso di dedicarsi soltanto a crescere i suoi figli e ad opere di carità in quella Napoli di fine Ottocento con gravi problemi economici e sociali. Ma le vie della Provvidenza sono spesso imprevedibili. A un Cenacolo di preghiera di Caterina Volpicelli, oggi Santa, incontrò un giovane avvocato, Bartolo Longo, originario di Latiano in Puglia; all’epoca il giovane era in ricerca per il futuro della sua vita. Marianna gli diede l’incarico professionale di curare le proprietà che il Conte De Fusco, suo compianto marito, le aveva lasciato nel territorio di Valle di Pompei. Il territorio custodiva i ruderi dell’antica Pompei distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. In tutta la Valle vi erano pochi casolari abitati da gente sotto la soglia della povertà, con bambini abbandonati durante il giorno dai genitori che lavoravano nei campi dal mattino a notte, o si trovavano nelle carceri. Inoltre, vi spadroneggiava il brigantaggio, triste fenomeno dell’epoca. Questa era la realtà di quei territori alle falde del Vesuvio: una desolazione immensa di miseria e di abbandono, che fu per l’Avvocato una rivelazione sconcertante. Egli avvertì un forte invito interiore a fare qualcosa in quella Valle, per quella gente e per la Madonna: aveva trovato la sua vocazione. Cominciò a radunare i bambini, per insegnare loro a leggere e scrivere, per spiegare il catechismo, poi a sera venivano gli adulti. C’era una chiesetta abbandonata nella Valle; provò a restaurarla e insegnò anche a pregare la Madonna. Ma aveva bisogno di collaboratori, ne arrivarono molti. Proprio Marianna De Fusco lo affiancherà per quarant’anni nella storia veramente miracolosa del Santuario e delle Opere che vi fiorirono. Fu questo l’inizio della missione affascinante del Santuario della Madonna di Pompei e delle Opere pompeiane. Una storia di Fede e di Grazia. E furono Opere non solo religiose, come la costruzione del Santuario, ma di promozione umana e sociale: scuole per bambini, scuole serali per adulti (l’analfabetismo era pressoché totale). E poi gli Ospizi per i minori bisognosi, orfani e figli dei carcerati, laboratori di sartoria, falegnameria, tipografia… perché i ragazzi e le ragazze potessero imparare un mestiere che consentisse loro, lasciato l’Ospizio, di sostenersi dignitosamente.
E comparvero anche i servizi sociali fino allora inesistenti: l’acqua corrente, la Stazione ferroviaria, le Poste, il Comando dei Carabinieri, persino la planimetria della città la si deve a questi due Pionieri speciali, inviati certamente dalla Provvidenza in quel periodo di fine Ottocento a Valle di Pompei. Infatti, attorno al Santuario si costruì gradualmente la città: la Nuova Pompei, di cui oggi non tutti conoscono la fondazione. Ma vediamo come Marianna diventerà moglie di Bartolo Longo. L’Avvocato e la Contessa lavoravano insieme, e questo diede adito ad alcune persone di malignare. Secondo costoro, non si trattava soltanto di collaborazione per le Opere religiose e assistenziali. Saputa la cosa, i due decisero di dimettersi per la loro dignità e lasciare tutto. Ma il Papa di allora, Leone XIII, appena informato, li convocò e li ascoltò. A chi sarebbe stata affidata la costruzione del Santuario, gli Ospizi per i figli dei carcerati, delle orfanelle e molto altro ancora? «Lei, Avvocato, è libero? La Contessa è vedova; quindi sposatevi e le Opere continueranno e nessuno avrà più da malignare»
Così, l’avvocato Bartolo Longo e la Contessa Marianna De Fusco si trovarono destinati al matrimonio, e col consiglio di un Papa! Disegni misteriosi della Provvidenza. Il loro fu un matrimonio vissuto in modo particolare, nel segreto della loro comunione di vita. Nonostante le differenze di carattere tra i due, portò a una fecondità che si riversò copiosa nelle tante Opere della missione loro affidata dallo stesso Pontefice. Marianna, donna d’intelligenza acuta, previdente, aveva ricevuto una formazione culturale consona alle ragazze di buon livello sociale dell’epoca. Bartolo era avvocato, possedeva quindi una laurea; Marianna no. All’epoca l’Università era ancora vietata alle donne. Forse sarà stato questo uno dei motivi per cui la storia ha relegato nell’ombra la figura della Contessa rispetto all’Avvocato. Ma bisogna anche ricordare che a quei tempi la figura femminile non aveva peso alcuno nella res publica; e le Opere pompeiane erano una res publica: avevano una visibilità sociale, appartenevano all’interesse di tutti. Opere di promozione umana, socio-culturale, religiosa; ma nella mentalità dell’epoca bastava la presenza maschile, autorevole per antonomasia (!). Per noi oggi, dopo più di un secolo di evoluzione culturale è un anacronismo, ma allora era così. Possiamo dire che la Contessa Marianna ha pagato un “pedaggio” alla cultura obsoleta del tempo. Infatti, gli autori di vari libri (eccetto qualcuno illuminato) che parlano del Santuario pompeiano e delle Opere annesse, si diffondono ampiamente sulla figura del Fondatore: Bartolo Longo. Ed è doveroso e giusto. Ma dimenticano che c’è stata anche una Cofondatrice, una donna di importanza basilare in quel grande progetto religioso e umanitario che fu, ed è, il Santuario della Madonna di Pompei e delle Opere pompeiane. Lo stesso Bartolo aveva grande stima e fiducia in Marianna. Infatti, si consultava con lei prima di ogni decisione; lavoravano in tandem. Un giorno Bartolo, col solito umorismo, disse che Marianna «avrebbe potuto fare lo Zar di tutte le Russie!». Gli erano note le capacità organizzative, imprenditoriali della moglie, e quel quid d’imperio e di lucida lungimiranza che non si arrendeva di fronte alle difficoltà. E, inoltre, un senso pratico invidiabile che le consentiva facilmente una soluzione dei problemi. Aveva quell’esprit de finesse di pascaliana memoria, arrivava cioè al fulcro delle cose, e vi arrivava col suo grande cuore, al di là del suo temperamento piuttosto autoritario. Era lei che disbrigava le varie pratiche per i servizi sociali nel territorio, oltre ad offrire il suo patrimonio per il Santuario e le Opere. Abituata agli agi della nobiltà, si fece povera per questa missione in cui credeva insieme a Bartolo. Anche il suo abbigliamento cambiò, non aveva più gioielli, donati al Santuario, e vestiva in modo dimesso, al punto che talvolta non veniva riconosciuta. All’epoca l’abbigliamento diceva la classe sociale di appartenenza. Non si può parlare del Santuario della Madonna di Pompei e delle tante Opere senza parlare di Bartolo e Marianna insieme.
Lei era «la Compagna che il Cielo mi ha dato», soleva dire l’Avvocato. Si può aggiungere che Marianna è stata la sentinella vigile e previdente: una figura certamente essenziale accanto a Bartolo in quella Missione che entrambi hanno portato a termine con grande fede nella Provvidenza, e con totale abnegazione e generosità pur tra le varie difficoltà e sofferenze che attraversarono.
Marianna morì prima di Bartolo; la loro unione era durata quaranta lunghi anni. Bartolo espresse un desiderio da realizzarsi dopo la sua morte: «Lascio le mie ossa, con la preghiera di farle riposare nel Santuario, a piè del gran trono della mia dolce Regina, da me servita per oltre cinquanta anni, e accanto ai resti mortali della Contessa mia consorte». Segno della loro comunione di vita per la Missione ormai compiuta.
*Centenario della morte della Contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco in Longo
(13 dicembre 1836 – 9 febbraio 1924)
Omelia dell’Arcivescovo-Prelato, Mons. Tommaso Caputo
Introduzione
Un cordiale benvenuto al Sig. Sindaco e alle altre autorità. Un saluto a tutti, sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, pellegrini.
Oggi ricordiamo in particolare la Contessa Marianna Farnararo De Fusco in Longo nel centenario della morte. Desidero accogliere, anche a nome vostro, i suoi familiari, qui presenti. Con loro è sempre continuato il peculiare legame col Santuario.
Questa sera si rinnova l’amicizia anche con la terra di origine dei Fondatori di Pompei: sono con noi alcune autorità e altri amici giunti da Monopoli e da Latiano, tra essi familiari di Bartolo Longo. È presente anche la Professoressa Ada Ignazzi che ringrazio per l’impegno nel far conoscere la storia privata e pubblica, umana e sociale di Marianna De Fusco.  
È spiritualmente unito a noi il vescovo di Monopoli, S.E. Mons. Giuseppe Favale, che mi ha chiamato stamattina. In questo anno centenario sono molteplici anche le iniziative previste nella città natale di Marianna Farnararo. Mons. Favale sarà con noi a Pompei l’8 maggio per presiedere la Santa Eucaristia e la preghiera della Supplica in piazza.
Omelia
1. Il Vangelo di Marco ci ha appena presentato, nei particolari, una guarigione operata da Gesù.
“Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”. Gesù in disparte, “gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua”, quindi, guardando “verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè Apriti!”. Immediatamente “si aprirono gli orecchi” del sordomuto, “si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”.
Gesù guarisce un malato che non parla, non sente, non è capace di comunicare. Gli riapre i canali della comunicazione e l’uomo ritrova la capacità di esprimersi.  
Questa capacità diventa addirittura contagiosa: la parola si espande e provoca stupore, gioia. “E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.  
Questa pagina evangelica riguarda anche noi.
Il sordomuto, un uomo emarginato, può contare sul sostegno di persone che si prendono cura di lui. Il Vangelo dice: “portarono (a Gesù) un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”. Forse sono familiari o amici. Quest’uomo non è solo! Nella sua vicenda dolorosa la compagnia degli altri diventa un elemento decisivo. Gesù compie la guarigione e restituisce all’uomo la sua dignità; ma l’incontro avviene grazie a coloro che lo conducono a Lui.
Il miracolo della vita, quello che tutti possiamo fare, è la carità fraterna, la capacità di prenderci cura degli altri. Quanto è importante che nessuno di noi sia solo. È fondamentale, nel momento della prova, della malattia, della debolezza, sperimentare la condivisione di amici che sanno sostenere e, per noi cristiani, anche accompagnare all’incontro con Gesù Cristo, il solo che può dare senso e valore al dolore.  
Nel Vangelo di oggi, Gesù, nel restituire al sordomuto la capacità di comunicare, ci ricorda, pure, che siamo tutti un po’ sordi e muti. Anche a noi dice: Effatà, Apriti! Desidera riconsegnarci la comunicazione con Dio, la capacità di ascoltarne la Parola e di riconoscere i suoi messaggi.
Oggi Gesù appare come colui che apre il sordomuto alla piena comunicazione e alla comunione. Anche noi, quando ci chiudiamo in noi stessi; quando diventiamo difficili nei confronti degli altri; quando non c’intendiamo, siamo come dei sordomuti.  
Gesù viene a guarirci, a restituirci la comunicazione autentica, a ridarci l’apertura del cuore, che permette di ascoltare Dio e di entrare in comunione con tutti.
2. E Marianna Farnararo De Fusco?  
Nella sua lunga vita ha accolto bene e vissuto in modo straordinario questa parola di Gesù: Effatà, Apriti! Con la sua fede incrollabile, in mezzo a tante difficoltà, si è lasciata modellare da Gesù Salvatore, aprendosi, con il cuore e la mente, alla comunione con Dio e con gli altri.  
Ripercorriamone qualche linea biografica.
Nacque a Monopoli il 13 dicembre 1836 da Biaggio e Rosa Martinelli. Il 16 febbraio 1845 – Marianna aveva nove anni – morì il padre. A poco più di tredici anni, l’8 marzo 1850, si trasferì a Napoli, con la madre e il fratello Francesco, avvocato. Andarono ad abitare in Via Port’Alba, nel palazzo dei Volpicelli, ove viveva la coetanea Caterina, cui si legò di profonda amicizia.
Il 21 febbraio 1852, a poco più di 15 anni, sposò il ventottenne Conte Albenzio De Fusco, proprietario terriero in Lettere, Gragnano e Valle di Pompei. Dopo appena dodici anni di matrimonio, il Conte morì. Era il 26 febbraio 1864. Lasciava Marianna – 27 anni da poco compiuti – vedova con cinque figli. Seguirono tempi molto difficili.
Dal 1870 fu ospite di Caterina Volpicelli nella sua nuova abitazione alla Via Sapienza in Napoli, ove stava sorgendo un cenacolo di preghiera, primo nucleo di una nuova forma di vita consacrata. Qui, in precedenza, nel 1868, aveva conosciuto il giovane avvocato pugliese Bartolo Longo, ritornato alla fede nel 1865. Nel 1870 morì Enrico, ultimogenito, annegando nel pozzo, mentre giocava.
Due anni dopo, Marianna De Fusco chiese a Bartolo Longo di aiutarla a curare i propri interessi nelle proprietà ereditate in Valle di Pompei. L’avvocato vi arrivò nell’ottobre del 1872. Nello stesso mese, in località Arpaia sentì una voce interiore che gli diceva: «Se cerchi salvezza propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». E tutto iniziò, con una pietra di fondazione unica e divina: la preghiera del Rosario.  
Ben presto Donna Marianna si coinvolse nella nuova avventura di fede e di carità, mentre ai piedi della nostra Icona, lei, donna forte, temprata dalle prove della vita, ferma e salda nella fede, imparava ancor di più ad amare la Madre di Dio e diveniva apostola di questo amore.  
I testimoni del tempo l’hanno descritta risoluta, pronta nelle decisioni, abile, intelligente, vivace, non molto tollerante, dal carattere fermo. Bartolo Longo, dal canto suo, era pacifico, placido, sempre in cerca di pareri e consigli, disposto a mitigare difficoltà e contrarietà con una risata. Tra di loro regnava una profonda reciproca stima. Avevano un solo obiettivo: fare del bene al prossimo.
L’Opera di Pompei cresceva sempre più, anche grazie alla benevolenza di Papa Leone XIII. E fu proprio lui, a suggerire ai due di sposarsi. Le nozze furono celebrate il 1° aprile 1885 nella cappella del Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Napoli.
E la nuova Pompei nacque dal loro cuore pieno di fede, guidati dallo Spirito Santo, avendo come modello Maria. È grazie a loro che questa città è il luogo straordinario dove convivono fede e carità.
I coniugi fondarono insieme anche un ordine religioso femminile, le nostre Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario di Pompei.
La Contessa morì a Valle di Pompei il 9 febbraio 1924, all’età di 88 anni.
Portata al cimitero di Napoli con un treno speciale, la salma ritornò a Pompei, in Santuario, il 6 febbraio 1930, per poi essere traslata nella cripta, accanto al consorte, il 3 novembre 1938. Bartolo Longo era deceduto due anni dopo di lei, il 5 ottobre 1926.
3. Soffermiamoci in questo giorno centenario su alcuni aspetti di Marianna De Fusco riportati anche nel Discorso tenuto da Mons. Edoardo Alberto Fabozzi – che ne era stato direttore spirituale per circa vent’anni – in occasione delle onoranze svolte il 12 aprile 1924 nel Santuario, circa due mesi dopo la sua dipartita (RNP, 1924/Gen. Apr.).
«La pia gentildonna – disse Mons. Fabozzi – ebbe l'onore singolare di esser designata coadiutrice di Dio in un’opera grande di luce e di salvezza che la Provvidenza voleva qui spiegare per tutti i popoli. […] Una di quelle creature privilegiate che sono chiamate da Dio ad una missione tanto grande che esse stesse nella loro semplicità non la comprendono».
La Vergine, lo sappiamo, si servì di lei per condurre Bartolo Longo a Valle di Pompei. Nei primi tempi il principale merito della Contessa fu di aver dato il via e di aver portato avanti in modo eccezionale la raccolta di fondi tra i nobili di Napoli e non solo, per la costruzione della nuova chiesa.
Ascoltiamo ancora Mons. Fabozzi: «Lo zelo per il Tempio di Dio nella Contessa De Fusco si manifesterà nell'azione, ma si manifesterà pure nella parola. La sua parola semplice nel narrare le meraviglie della Madonna di Pompei diverrà ben eloquente. […] Sarà soprattutto una parola inesauribile, una parola instancabile. Ella avrà l'arte, ella avrà la forza di narrare lo stesso fatto, la stessa grazia cento e mille volte».
Mons. Fabozzi parlando di altre significative virtù della Contessa diceva: «Il Signore le aveva date doti veramente straordinarie per questa missione: un’avvedutezza che stranamente contrastava con la sua semplicità; una percezione istantanea di tutti gli ostacoli, anche minimi, che si sarebbero incontrati nel cammino di un’opera; […] e oltre a ciò, una rara forza d’impero, una forza d’impero da regina, senza di cui la sua prudenza sarebbe stata vana, perché non sarebbe riuscita ad imporla».
C’è un ulteriore aspetto, segnalato da Mons. Fabozzi: la maternità spirituale che Marianna De Fusco ebbe per tutte le orfanelle affidate alle sue cure, che la chiamavano “Mamma Contessa”: «Quella maternità dello spirito che è come l’anima della carità di Cristo, quella maternità che non solo benefica, ma solleva, che non dona solo il pane ma l’amore, che crede poco alimentare il corpo, vuol trasfigurare l’anima».
Vediamo, allora, realizzato nella vita di Marianna De Fusco ciò che il Vangelo ci ha detto stasera. Gesù è colui che apre il sordomuto, che gli altri hanno portato davanti a Lui, alla piena comunicazione. Egli viene a guarire, a ridare l’apertura del cuore, che permette di entrare in comunione con tutti.
E non è stato forse questo il segreto ideale della Contessa? Le non poche sofferenze avrebbero potuta renderla interiormente sordomuta, chiusa in sé stessa, diffidente nei confronti degli altri. E invece, mettendo in pratica il Vangelo di oggi, ha saputo essere coadiutrice di Dio nell’Opera di Pompei e ascoltare quella parola di Gesù: “Apriti!”. Sorretta da una fede incrollabile, dimentica di sé, si è aperta alle necessità dei più fragili, partecipando alle loro sofferenze e alle loro attese. Con zelo e perseveranza, ha trovato un rapporto autentico con Dio e con i fratelli nella pace, superando pregiudizi e innumerevoli difficoltà.
E la piena sintonia di ideali tra Marianna De Fusco e Bartolo Longo ha fatto nascere a Pompei, in Santuario e nelle Opere di Carità, una vita nuova, la comunione, la comunicazione feconda, mentre la misericordia di Dio veniva sparsa a piene mani e decine di migliaia di bambini – orfani e figli di carcerati – rinascevano, nell’ascolto di parole vere e nell’intreccio di dialoghi autentici.
Senza l’apporto della Contessa la storia della Nuova Pompei non si sarebbe compiuta negli stessi straordinari termini in cui si è compiuta. Marianna De Fusco non ha soltanto contribuito alla fondazione del Santuario, ma ne è stata parte. Una parte viva e sostanziale, svolta nei due ambiti essenziali della preghiera e del pieno coinvolgimento nel grande cantiere delle Opere subito aperto da Bartolo Longo. Anche questo connubio rappresenta oggi un mirabile tassello del miracolo della “città di Maria”.
Possiamo vedere anche in questo aspetto il segno ulteriore della modernità e dell’originalità di un Santuario dal cuore, ma anche dalla mano femminile. Un segno dei tempi nuovi, anticipati da una donna di fede, dispensatrice di una carità senza limiti.
E noi, di fronte a questa pagina del Vangelo e alla mirabile testimonianza dei Fondatori di Pompei, proponiamoci di cercare nelle nostre azioni, con apertura di cuore, solo ciò che favorisce la comunione e la carità fraterna.
Chiediamo l’intercessione della Madonna perché sia vinta la nostra sordità, perché giunga a noi la Parola di Dio e, in docile ascolto, siamo capaci di metterla in pratica nella vita per testimoniarla con amore ai nostri fratelli.

*Cofondatrice del Santuario - Marianna Farnararo De Fusco Longo

Cofondatrice Santuario di Pompei
Testimoni
Monopoli, Bari, 13 dicembre 1836 – Pompei, 9 febbraio 1924
La contessa Marianna De Fusco, fa parte di quel numeroso stuolo di anime buone, zelanti, benefattrici, sostenitrici, che in secondo piano, spesso nell’ombra, hanno dato l’occasione, lo stimolo e l’aiuto concreto, a tante figure sante della Chiesa e della Società civile, nel realizzare le loro opere di beneficenza, di culto, di formazione sociale, di assistenza, che le hanno rese celebri e venerate, nel ricordo e gratitudine di tante generazioni e nel tempo futuro.
Infatti, quando si pensa al Santuario Pontificio di Pompei, dedicato alla Madonna del Rosario e alle tante Opere assistenziali e formative, sorte intorno ad esso e il cui culto è mondiale, non si può non abbinare il ricordo del suo Fondatore, la grande figura della santità cattolica laica moderna, il beato Bartolo Longo (Latiano, Brindisi, 10 febbraio 1841 - Pompei, 5 ottobre 1926), avvocato santo, a servizio dell’uomo e della Chiesa.
Ma Bartolo Longo, dal 1885 era sposato con la contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, che come diremo appresso, fu colei che diede l’opportunità, divenendone poi l’anima sostenitrice, della fondazione delle Opere e della devozione mariana a Pompei; a ben ragione ne è considerata la cofondatrice, anche se di lei si parla poco, tutti attirati dalla santità straordinaria di questo professionista cattolico, fra l’altro, lui laico, fondatore della Congregazione femminile delle “Suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei” e ideatore e compilatore della celebre Supplica alla Madonna, che si recita due volte l’anno, con grande solennità e partecipazione di pellegrinaggi, l’8 maggio e la prima domenica d’ottobre.

Le sue origini e il trasferimento a Napoli
Anche Marianna Farnararo era originaria della Puglia, essendo nata a Monopoli (Bari) il 13 dicembre 1836, da Biagio Farnararo e Rosa Martinelli, discendenti da antiche e benestanti famiglie pugliesi; da loro nacquero 4 maschi e 3 femmine.
Quando Marianna aveva 10 anni, morì il padre nel febbraio 1845; rimasta orfana fu collocata in un collegio religioso, per avere un’adeguata istruzione ed educazione.
Aveva 14 anni, quando la madre donna Rosa Martinelli, decise l’8 marzo 1845, di trasferirsi a Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie, probabilmente per sfuggire alla miseria che opprimeva Monopoli in quel periodo, ricordato come la “fame del ‘48” e per allontanarsi dalla città, in preda ad un clima politico antiborbonico; la seguirono l’adolescente Marianna e il figlio Francesco avvocato.
A Napoli la famiglia Farnararo si stabilì in Via Port’Alba n. 30, nel palazzo della famiglia Volpicelli e in questo luogo, Marianna conobbe l’allora quindicenne e futura Beata, Caterina Volpicelli (Napoli, 21 gennaio 1839 – 28 dicembre 1894) a cui si legò da profonda amicizia, partecipando con lei alle attività dell’Associazione del “Cuore SS. di Maria per la conversione dei peccatori”, dedita soprattutto all’adorazione del SS. Sacramento, cui i membri si alternavano durante tutto il giorno, pratica molto diffusa e sostenuta dall’arcivescovo di Napoli, il Servo di Dio card. Sisto Riario Sforza (Napoli, 5-12-1810 – 29-9-1877).

Sposa, madre, contessa
A 16 anni, il 21 febbraio 1852, Marianna Farnararo andò sposa al conte Albenzio De Fusco (1824-1864), giovane ventottenne di Lettere (Napoli), proprietario terriero, probabilmente era un matrimonio preparato dalle famiglie, com’era usanza fra i ceti nobiliari del tempo.
Gli sposi andarono ad abitare a Lettere e il loro matrimonio fu allietato dalla nascita di cinque figli: Giovanna (1852), Francesco (1853), Biagio (1856), Vincenzo (1859), Enrico (1862).
Divenuta contessa De Fusco, Marianna Farnararo, s’inserì bene nella nobiltà napoletana, si fece conoscere ed apprezzare, frequentando con assiduità la società mondana della capitale, quindi i balli ed i passatempi dei nobili; grazie al marito Albenzio, poté allacciare amicizie e relazioni sociali di rango, che successivamente sfruttò abilmente per la realizzazione delle Opere pompeiane.

Vedovanza e amicizia con la Beata Caterina Volpicelli
Dopo 12 anni di matrimonio, la morte colpì il conte Albenzio De Fusco il 26 febbraio 1864 a soli 40 anni, lasciando vedova Marianna, ancora giovane di 28 anni e cinque figli in tenera età; il decesso era avvenuto a Napoli alla Via Medina, 17, dove da qualche tempo la famiglia De Fusco si era trasferita da Lettere.
I primi anni di vedovanza furono molto duri per la giovane Marianna, che si trovò sola ad allevare ed educare i cinque figli, dei quali ben quattro maschi, inoltre ad amministrare i beni terrieri ricevuti in eredità dal defunto marito.
Con gli anni i tre figli maggiori le procurarono molte amarezze e preoccupazioni, tutto era ingigantito dalla solitudine della vedovanza, e nel 1870 Marianna ritornò nel palazzo Volpicelli, ospitata dall’amica Caterina, abitando con i due figlioletti più piccoli un modesto appartamento; qui si dedicò alle pratiche religiose, affinando la sua spiritualità e desiderio di Dio.
Intanto Caterina Volpicelli non era più la semplice giovinetta di un tempo, era diventata a Napoli l’apostola del Sacro Cuore di Gesù, tramite “l’Apostolato della Preghiera” di cui era zelatrice, coinvolgendo comunità religiose, chiese e parrocchie; aveva dato inizio alla Pia Unione delle Ancelle
ed Oblate del Sacro Cuore, per giungere poi alla fondazione dell’Istituto religioso delle “Ancelle del Sacro Cuore”, approvato nel 1874 dall’arcivescovo Sisto Riario Sforza.
La contessa Marianna le fu sempre vicina e l’aiutò nell’avvio delle sue opere e fu tra le prime cinque compagne che si consacrarono al Terz’Ordine del Sacro Cuore; la vicinanza e il carisma della futura beata Caterina Volpicelli, fu essenziale per accrescere l’educazione religiosa e la spiritualità di Marianna, i cui primi germi erano maturati nelle Confraternite religiose della natia Monopoli, particolarmente quella domenicana del Santo Rosario.
Si avvicinò sempre più alla pratica della recita del Santo Rosario in gruppi di preghiera; ogni sera partecipava alla recita della preghiera mariana in casa Volpicelli e fu durante queste frequentazioni, che conobbe tra il 1867 e il 1868, l’avv. Bartolo Longo, il quale poi nel 1870 andò in pensione nello stesso palazzo della Volpicelli; anch’egli partecipava al gruppo di preghiera e alla recita del Rosario serale.
L’avvocato Bartolo Longo
L’avvocato Bartolo Longo, oggi Beato, era originario di Latiano (Brindisi) e dopo il periodo della fanciullezza e adolescenza, trascorso in un collegio gestito dai Padri Scolopi, nel 1864 a 23 anni si trasferì a Napoli, per completare gli studi di Giurisprudenza già intrapresi a Lecce, laureandosi in Legge.
Conquistato dallo spirito anticlericale del tempo, si allontanò dalla Chiesa e conobbe esperienze di spiritismo e partecipando a manifestazioni contro il clero e il papa.
Per sua fortuna, incontrò saggi e prudenti consiglieri e amici, come il domenicano padre Alberto Radente, che l’aiutarono a tornare in seno alla Chiesa Cattolica e a ritrovare l’originaria genuina fede.
Fu invitato a diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù, indirizzato per questo alla Beata Caterina Volpicelli e alla sua zelatrice contessa De Fusco.
Ecco perché ogni sera partecipava alla recita del Rosario in casa Volpicelli, dove incontrò e conobbe Marianna Farnararo vedova De Fusco.

Trasferimento dal palazzo Volpicelli e incarichi amministrativi a Bartolo Longo
La coabitazione di entrambi nel palazzo Volpicelli, durò un anno, perché nel 1871 Marainna De Fusco e Bartolo Longo, dovettero lasciare quella residenza per trasferirsi in un palazzo di Largo Salvator Rosa, aiutati in ciò dal padre confessore della contessa.
I motivi di tale trasferimento, furono senz’altro la diversificazione dell’azione di apostolato di Marianna e di Longo prettamente mariano, mentre Caterina Volpicelli proseguiva e consolidava quello al Sacro Cuore di Gesù; inoltre restare in quel palazzo, acuiva ogni giorno di più il dolore subito dalla contessa De Fusco per la morte, il 10 maggio 1870, del piccolo figlio Enrico di 8 anni, annegato nel pozzo che era in costruzione.
A tutto ciò si associò una ristrettezza economica della contessa, dovuta alle scarse rendite del suo patrimonio in Valle di Pompei, tanto che una ricca zia materna, venuta da Corato (Bari) e associata all’Istituto della Volpicelli, la soccorse con un assegno mensile di 50 ducati.
Conosciuto così l’avvocato Bartolo Longo e apprezzandone le doti umane, spirituali e organizzative, Marianna De Fusco gli affidò l’amministrazione delle sue proprietà terriere a Lettere, Gragnano e Valle di Pompei, nel tentativo di farle fruttare a dovere e togliersi dallo stato di indigenza in cui si trovava.

A Valle di Pompei
A Valle di Pompei il terreno era fertile, grazie ai periodici straripamenti del vicino fiume Sarno che lo concimavano; ma anch’essa come molte zone del Meridione, era infestata da briganti.
Bartolo Longo giunse per la prima volta a Taverna di Valle, presso il “Casino di campagna” del fu conte De Fusco nel 1872, rimanendo colpito dalla miseria del luogo e degli abitanti, compreso la decrepita chiesa parrocchiale.
Come era ormai sua abitudine, anche a Valle di Pompei volle diffondere la recita del Rosario, e in pieno accordo con il parroco don Giovanni Cirillo, invitava i coloni ogni sera, a casa De Fusco per la recita del Rosario.
Qui dopo alcuni giorni, fu invaso da una profonda crisi al ricordo dei peccati commessi, che lo fece disperare nell’incertezza del perdono del Signore, ma mentre vagava senza meta in preda allo sconforto, sentì una voce che gli sussurrava: “Se cerchi la salvezza propaga il Rosario. Son promesse di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!”.
Al suono di una campana che annunciava l’Angelus a mezzogiorno, egli si inginocchiò e si sentì pervaso da una pace interiore e una tranquillità mai provata prima; per Bartolo Longo fu un segno divino e decise allora di stabilirsi definitivamente a Valle di Pompei.
Da quel momento la sua vita cambiò in un crescendo di impegni religiosi e di apostolato, prima come catechista, poi organizzatore di feste religiose, collaboratore della parrocchia e infine promotore del Tempio dedicato alla Santa Vergine del Rosario.
Ada Ignazzi, nel suo libro “Marianna Farnararo, contessa De Fusco” (Ediz. Giuseppe Laterza, Bari, 2004), così descrive l’unione d’intenti della contessa e di Bartolo Longo:
“Quando Bartolo Longo iniziò il suo apostolato tra la gente abbandonata di Pompei, trovò in Marianna un’abile, intelligente e preziosa collaboratrice. Insieme iniziarono un cammino di vita e di fede che li vide uniti e con un solo intento: la cura delle anime dei contadini della Valle e la promulgazione del culto mariano con la recita del Rosario. Pur tuttavia i loro caratteri erano molto differenti; la contessa era risoluta, pronta nelle decisioni, vivace, ma nello stesso tempo poco tollerante; l’avvocato era pacifico, placido, sempre in cerca di pareri e consigli e ben disposto a mitigare ogni difficoltà e contrarietà con una filosofica risata. Fra loro si venne a determinare una stima profonda che li affratellava. Perseguivano con modalità diverse un solo obiettivo: far del bene al prossimo”.
Ma questa comunione di attività, l’utilizzazione dei ricavi del loro patrimonio per fini di apostolato e volontariato, peraltro svolta da un avvocato che aveva fatto voto di castità e da una nobildonna appartenente al Terz’Ordine del Sacro Cuore, non era ben vista; suscitò critiche per tanto entusiasmo e dedizione e ben presto si formularono contro di loro opinioni malevoli, tanto che le volgarità da solo pensate, divennero dicerie e le dicerie mormorazioni e poi calunnie.
A questo punto Marianna decise di ritirarsi dall’azione diretta di volontariato e apostolato, contro il parere dello stesso Bartolo Longo; si ricorda che l’opera a Pompei era già ben avviata, il 13 novembre 1875, era stato portato a Pompei dall’avvocato il quadro della Madonna del Rosario, regalatogli da una suora di Napoli, il trasporto avvenne “su un carro di letame”; dal 1876 era in corso una questua pubblica per raccogliere fondi, che coinvolgeva Napoli e dintorni; l’8 maggio 1876 c’era stata la posa della prima pietra del Santuario, il quadro della Vergine aveva avuto due restauri nel 1876 e 1879.

Il matrimonio di Bartolo Longo e Marianna Farnararo
Tutta l’opera dei due generosi apostoli pugliesi a Pompei, era conosciuta ed approvata dalle Autorità ecclesiastiche diocesane e dalla stessa Santa Sede, il papa li riceveva spesso, e fu proprio papa Leone XIII, informato della situazione determinatasi con le calunnie e maldicenze, a
consigliare loro di sposarsi per porre fine alle dicerie, dispensandoli dai voti assunti in precedenza.
Il matrimonio si celebrò il 1° aprile 1885, nella Cappella privata del Vicario Generale di Napoli, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Vergini; Marianna Farnararo aveva 48 anni e Bartolo Longo 44.
Nel volume “Bartolo Longo e il Santuario di Pompei” di Scotto di Pagliara D., Pompei, 1943, si legge: “Marianna De Fusco, restò anche allora per Bartolo Longo La contessa, la donna cioè che cooperava alla sua intrapresa e spesso gliene spianava il sentiero; nel modo stesso che l’avvocato Longo restò per lei don Bartolo, l’uomo provvidenziale, l’apostolo del Rosario, il salvatore dell’infanzia più sventurata, colui che meritava ogni stima e ogni venerazione”.
Come già detto, di caratteri diametralmente opposti, duro, fermo e autoritario quello della contessa, dolce, benevolo, generoso, quello dell’avvocato; la loro unione si dimostrò comunque salda, perché fondata sulla profonda stima, sul reciproco rispetto, la comune fede religiosa, sull’impegno per le opere di carità e la divulgazione del Rosario.
Per questo Marianna Farnararo, è considerata unanimemente cofondatrice del Santuario e delle Opere a Pompei, da dove non si allontanò più fino alla morte.

Le tappe finali delle realizzazioni a Pompei
Il 6 aprile 1887, i coniugi Longo furono ricevuti da papa Leone XIII, che benedisse la corona e gli altri addobbi preziosi del quadro, ormai molto venerato della Madonna del Rosario.
L’8 maggio, sempre del 1887, ci fu l’inaugurazione dell’Orfanotrofio femminile della Vergine del Rosario a Valle di Pompei; il 29 maggio 1892 si ebbe la posa della prima pietra dell’edificio per i figli dei carcerati.
Il 13 marzo 1896, i coniugi cedettero alla Santa Sede il Santuario e le altre Opere pompeiane, papa Leone XIII le accettò, dichiarando Pontificio il Santuario e separandolo dalla giurisdizione della Diocesi di Nola.
Il 4 maggio 1901, lo stesso pontefice elevò il Santuario di Valle di Pompei al ruolo di Basilica Pontificia, privilegio goduto solo da pochi altri santuari in Italia.
Il 12 settembre 1906, i coniugi Longo - Farnararo, che erano rimasti curatori ed amministratori delle cose del Santuario, ormai pontificio, cedettero definitivamente l’amministrazione, compreso le Opere assistenziali al papa s. Pio X (le due cessioni del 1894 e del 1906, sono artisticamente raffigurate in due medaglioni affrescati, posti alla base della magnifica cupola).
La morte della contessa Marianna
La contessa De Fusco, morì a Pompei il 9 febbraio 1924 all’età di 88 anni, precedendo il marito Bartolo di poco più di due anni (15 ottobre 1926 ad 85 anni); aveva trascorso a Pompei insieme al futuro Beato, più di 50 anni.
La salma esposta nella sua casa, dove era solito ricevere i devoti della Madonna e quanti si interessavano delle Opere di carità, fu salutata per tre giorni dalle Suore del Terz’Ordine Domenicano, dalle Orfanelle di Pompei, dalle Figlie dei carcerati, dagli alunni del Pontificio Ospizio “Bartolo Longo”, dai sacerdoti del Santuario e dei Comuni Vesuviani e da una folla di visitatori commossi.
I funerali furono solenni, con la partecipazione di autorità civili, militari e religiose; poi con un treno speciale della Circumvesuviana, la cui stazione pompeiana è situata nelle adiacenze del Santuario, la salma fu trasportata nel cimitero di Napoli e tumulata nella Cappella della Congregazione del Rosario, per sua disposizione, ritenendo di non essere degna di riposare nel Santuario.
Ma sei anni dopo, il 6 febbraio 1930, i suoi resti mortali furono di nuovo portati a Pompei e tumulati presso il monumento in bronzo, che le venne dedicato nella Basilica, a destra di chi entra.
Il 3 novembre 1938, i suoi resti furono definitivamente tumulati nella vasta cripta del Santuario, accanto al marito Bartolo Longo, dove riposa tuttora, anche se le reliquie del Fondatore, proclamato Beato il 26 ottobre 1980, sono state poi sistemate in una apposita cappella, adiacente le navate superiori, per la venerazione dei fedeli.
Questa panoramica, forzatamente veloce, sulla vita e sull’influenza determinante di Marianna Farnararo, nella realizzazione del meraviglioso Santuario e delle imponenti Opere sociali realizzate a Pompei, è certamente riduttiva, esiste comunque oltre la già citata opera libraria di Ida Ignazzi, una vasta bibliografia, inerente la vita e le attività di Bartolo Longo e di Marianna Farnararo contessa De Fusco, a cui si rimanda per un eventuale approfondimento.
Nelle Opere a carattere sociale, da loro progettate e realizzate, oltre 60.000 tra ragazzi e fanciulle, sono stati tolti dalla strada e preparati alla vita, con adeguata formazione professionale e spirituale, grazie alle offerte provenienti da tutto il mondo, che giungono ogni giorno al Santuario, che è stato ampliato nella sua storia per ben cinque volte; il culto e le attività assistenziali sono diffusi anche attraverso il periodico da loro fondato nel 1874, “Il Rosario e la Nuova Pompei”, che si stampa attualmente in alcune centinaia di migliaia di copie mensilmente.
Nella Basilica, meta di numerosi pellegrinaggi e centro della devozione mariana ed eucaristica, Marianna Farnararo contessa De Fusco e moglie di Bartolo Longo per 39 anni, è ricordata con varie lapidi; a conclusione di questa scheda, ne riportiamo solo una, posta sull’iniziale sepolcro:

“Fu donna forte
di prudente sapienza
di pietà tenerissima
di attività singolare
provata dal clemente Iddio
con grandi trionfi e con grandi dolori
predicatrice delle glorie del Rosario
fino all’ultimo giorno,
all’età quasi nonagenaria
con la benedizione del Sommo Pontefice
si spegneva nel sonno dei giusti”.

(B. Longo).

(Autore: Nicola Avellino - R.n.P. gennaio/febbraio 1985)

*Donna ancora da scoprire - Prima Parte
La Contessa De Fusco: una protagonista della storia di Pompei ancora da scoprire
"Dietro le insistenti domande de' "divoti", così, poco più su, si legge sul frontespizio del libricino dettato al suo confessore dalla Contessa Donna Marianna. Il testo è "dettato", l'età avanzata e le infermità invalidanti non le permisero di scrivere il racconto di proprio pugno, forse vi fu costretta non sopportando più la fatica del parlare a lungo.
Episodi carichi di emozione, momenti sublimi oscurati da crisi di sconforto. Vicende divine ed umane: il miracolo e la severa calunnia. La fede immensa nella Madonna – il Rosario – il Tempio di Pompei – gli orfani – i derelitti – la carità: questi i temi dei discorsi che ella con il suo linguaggio colorito, eloquente e semplice, ma profondamente devozionale, ripeteva ad ogni visitatore. Per oltre mezzo secolo uomini di scienza e del popolo ascoltarono la testimone più vicina di una vicenda di cui era stata appena seconda, compagna del grande Avvocato: il Protagonista.
Non si conoscono suoi scritti; nel Periodico "Il Rosario e la Nuova Pompei", non si parla di lei se non dopo la morte e sporadicamente. Una delle piccole letture scritte da Bartolo Longo, la 68ª: In morte della Contessa Marianna De Fusco, è introvabile: restano tuttora arcane le ragioni della sua scomparsa.
Donna Marianna, figura di primissimo piano nel grandioso scenario dell’opera di Pompei è un po’ in ombra, abbagliati forse da più intensa luce, ci siamo lasciati sfuggire l’occasione per una più puntuale considerazione: non fu lei il principale strumento della Provvidenza? Non è retorica, è storia.
Ma leggiamo il suo dettato a cui timidamente abbiamo aggiunto delle noticine.
Correva l’anno di grazia 1872, il giorno 2 del mese di Ottobre
1, ed io ero venuta ne’ miei possedimenti a Valle di Pompei insieme con la mia famiglia 2, col mio santo confessore. Il P. Giovanni Trinitario 3, di Napoli di v. m. e col mio consorte in secondi voti 4, l’Avv. Bartolo Longo, di Latiano, il quale già da molto tempo erasi dingannato della scuola spiritistica ed era diventato una conquista della Madonna; e dovunque andava, cercava di propagare la divozione dei quindici Misteri del SS. Rosario.
Il mio consorte, in quei giorni che stemmo a Valle a sbrigare i nostri affari, osservò lo stato miserando, in fatto di religione e di vita cristiana, degli abitanti, dispersi a grandi distanze per la campagna; e si prese pensiero di rialzarne la sorte e provvedere al bene delle loro anime.
C’era una Chiesa
5, angusta e cadente che conteneva appena cento persone, e gli abitanti superavano i trecento. Egli li invitava in casa mia e faceva recitare il S. Rosario e cantare le canzoncine della Madonna, in pieno accordo col Parroco locale, Don Cirillo 6. E così incominciò le sue opere di zelo per il bene spirituale e morale di Valle di Pompei, la quale finì di perdere la sua fama di covo di briganti.
In queste opere di zelo si passava sempre parola e si stava al consiglio di S. Ecc. Ill.ma  e Rev.ma Mons. Giuseppe Formisano, Vescovo di Nola; e fu colla sua approvazione che si invitarono qui tre Sacerdoti (de’ quali vive ancora il Sac. Gentile di Castellammare di Stabia)
7, per dare una Missione, la quale si risolvette in un vero trionfo della grazia di Dio. A chiuderla venne l’Ecc.mo Mons. Vescovo Formisano che v’amministrò la S. Cresima; e prima di partire, ci confortò della sua benedizione per aver tenuto in casa nostra i Missionari  e ci esortò a voler pensare di fabbricare una Chiesa 8, atta a raccogliere tutti gli abitanti di questo luogo e così conservare i frutti della Missione.
Alle molte difficoltà egli ci suggerì di cercare un soldo al mese presso le molte nostre conoscenze, ma noi, diciamo la verità, ci rifiutammo, dichiarando che la cosa era impossibile: Fondare una Chiesa in campagna, con un soldo al mese, e con tante opere a Napoli che assorbivano tutte le risorse di quella città! – Ma egli non cedette e disse con franchezza episcopale a me: Voi siete egoista – noi cominceremo e quelli che verranno, lo termineranno.
Alle insistenze di Mons. Vescovo io soggiunsi le testuali parole: Se la Madonna mi farà una grazia, farò quel che posso.
Ottenni la grazia, e allora per la parola data, andai da S. Ecc.za Mons. Vescovo e gli dissi di essere pronta a fare quello che potevo per la Chiesa di Pompei.
Ed egli se ne mostrò lieto, ma volle premunirmi contro quello che mi sarebbe successo nel promuovere l’opera di un soldo per tale Chiesa, affinché non avessi poi a venir meno, e mi disse: - Benedico la vostra impresa, la Madonna vi assista, ma state apparecchiata a ricevere ripulse, a sentirvi dare della ladra, della mariola, ecc. ecc., ad andar soggetta a continue contrarietà, ma ricordatevi che dove sarete cacciata e calunniata, avrete poi il doppio merito.
In base alla volontà di Mons. Vescovo, l’avvocato D. Bartolo diede forma legale all’Opera, stampando i moduli relativi per gli zelatori e le pagelle
9, da rilasciarsi a chi dava il soldo mensile, e sottopose tutto a Monsignor Vescovo, il quale fece lui cassiere, a me zelatrice in capo presso le molte ricche famiglie di Napoli che conoscevo, a domandare il soldo, e a dispensare i moduli per i zelatori. Vi andavo accompagnata sempre da qualche mia amica, e specialmente dalla Signorina Ernestina Freda 10. Il primo soldo mi fu dato in casa della Ven. Caterina Volpicelli, fondatrice delle Ancelle del Cuore di Gesù e mia intima amica, e dove si raccoglievano molte signore per provvedere di arredi sacri le chiese povere, alla quale opera appartenevo io pure, che ero confortata ed istruita nelle cose religiose da quella pia Signora della quale ora si sta promuovendo la causa di Beatificazione.
Mi presentai pure alla Nobile Signora, la Marchesa Filiasi
11, santa creatura e tutta spesa a pro di opere caritatevoli, le quali a Napoli stavano, si può dire, tutte in sua mano. Essa al sentire che Mons. Vescovo Formisano mi aveva eccitato a fabbricare una Chiesa cercando l’offerta di un soldo al mese, - ma questo è impossibile – esclamò.
Ma poi mi incoraggiò a fidar della Madonna; essa intanto mi avrebbe fatta accompagnare presso le signore cattoliche di sua conoscenza, perché ciascuna si sottoscrivesse insieme a lei per dieci soldi al mese.
Contemporaneamente si cercava un quadro della Madonna del Rosario, atto a ispirare devozione ai Pompeiani.

Note
1)
Modesto lapsus di memoria della narratrice (da perdonarsi peraltro). La Contessa aveva la veneranda età di 84 anni quando dettava a Mons. Vincenzi, il suo "racconto". Bartolo Longo infatti nella sua storia del santuario di Pompei, edizione 1924, ci dice: "Ricordo con precisione il giorno che posi il piede in questo piano luttuoso. Erano i primi di ottobre 1872. Qui mi recava per rinnovare i fitti della grande masseria della famosa Taverna di Valle; giacché mia moglie la Contessa De Fusco non veniva quivi mai a vedere i suoi fondi". (Si ricordi che tutta la Valle in quell’epoca era infestata da briganti, malandrini e ladri che mettevano in pericolo persino la vita di chiunque vi si avventurasse). Curatore dei beni della Contessa De Fusco, Bartolo Longo quindi da solo venne a Valle di Pompei nel 1872 come si deduce da quanto lui stesso scrisse nella storia del Santuario, 11ª edizione 1885: "Or quivi (Valle di Pompei) appunto nell’ottobre 1873 ci recammo noi per la prima volta a villeggiare insieme con la famiglia della Contessa De Fusco da Napoli".
2) I cinque figli: Francesco, Biagio, Vincenzo, Errico e donna Giovanna.
3) Padre Giovanni della Santissima Trinità; genovese, nato a Porto Maurizio. Fu amico fedele della famiglia De Fusco e per moltissimi anni confessore della Contessa: Morì il 18.3.1889 "… la voce di Dio sincera ed amica che ci confortava e ci sorreggeva nella nostra ardua intrapresa". (B. Longo).
4) Marianna Farnararo sposò a quindici anni il conte Albenzio De Fusco e ne restò vedova nel 1864.
"In secondi voti" sposò l’Avvocato B. Longo nel 1885, la sera del primo aprile.
Il matrimonio fu celebrato nella più intima semplicità da Mons. Giuseppe Carbonelli, vicario generale dell’Archidiocesi di Napoli.

5) La Chiesa intitolata al SS. Salvatore era stata eretta subito dopo il 1740. "Era così angusta e povera e mal tenuta… E però non deve recar meraviglia che topi, lucertole e scarafaggi vi avevano la loro pacifica dimora". (B. Longo).
Nel 1884, per ragioni di pubblica sicurezza ne fu ordinata dal sindaco di Torre Annunziata la demolizione risultando la struttura pericolante. Sul sagrato della Basilica, incassata nel pavimento, si può vedere oggi, segnata da una scritta, quale fu la soglia di ingresso a quella Chiesa.

6) Don Giovanni Cirillo da Boscoreale fi parroco dal 19.12.1843 sino al 7.2.1887, epoca della sua morte.
7) Il canonico Santarpia, il canonico don Giuseppe Rossi ed il sacerdote don Michele Gentile, morto nel 1925. La missione ebbe inizio il giorno 2.11.1875, martedì.
8) "Ancora un’altra volta che il pio Vescovo di Nola, ritornato in Valle di Pompei due giorni dopo (la conclusione della missione) e venuto sul nostro casino ripeté il suo Santo consiglio.
Erano le dieci del mattino del 15.11.1875.
Il pastore della Chiesa di Nola, affacciato alla finestra della stanza di mezzo che guardava la vecchia Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore, accennando con la mano al campo contiguo alla Parrocchia, in tono profetico esclamò: - Quello è il luogo, dove deve essere edificato un Tempio in
Pompei. – Quel Vescovo fu veramente profeta. Ma egli non sapeva quel che dicesse". (Bartolo Longo).

9) La scheda numero uno non fu sottoscritta dalla principessa di Belmonte che si impegnò a versare la quota annua di lire 5.
10) "Ernestina Freda accolse sempre con silenzio tutti i rimbrotti, i visi duri e le parole fredde o amare, che sovente, nel corso di cinque anni andando per famiglie ignote, si rivolgevano contro la Contessa De Fusco da persone che naturalmente non potevano mai credere che con un soldo potesse costruirsi una Chiesa, e per giunta, in una campagna deserta ed abbandonata.
Ernestina Freda era, nella piccolezza della sua persona, tipo di donna forte, instancabile, di volontà ferrea ed indomita; onde con il corpo affranto da continue infermità, superava se stessa, tutto sprezzando per lavorare alla gloria del Signore" (B. Longo).

11) Torna dolce, dopo quarantacinque anni ricordare le parole di un dialogo che ebbe luogo in quel giorno, donde procedé un gran fatto: cioè che l’aristocrazia napoletana fosse, tra tutte le condizioni sociali, la prima a promuovere e a sostenere l’Opera che Dio voleva nella terra di Pompei. La Piissima dama, (la marchesa Filiasi) adunque, ci accolse con una gentile e benevole familiarità, come ci conoscesse da tempo".
(B. Longo)

(Autore: Nicola Avellino - R.n.P. gennaio/febbraio 1985)

*Donna ancora da scoprire  - Seconda Parte
La Contessa De Fusco: una protagonista della storia di Pompei ancora da scoprire
"É da notare che D. Bartolo fin da principio quando si accinse a promuovere la divozione del SS. Rosario fra questi popolani, aveva esposto nella piccola Chiesa parrocchiale una Immagine di carta 1 della Madonna del Rosario. Ma naturalmente non soddisfaceva alla divozione, com’egli avrebbe voluto, e non vi potevano9 guadagnar le indulgenze 2, e allora si mosse in cerca di una Immagine migliore e ne fece parola al suo Confessore a Napoli, il Rev.mo P. M. Radente 3, Domenicano, perché gli volesse indicare dove potesse trovare un quadro di poco prezzo, non avendo potuto acquistare quelli che aveva veduto ne’ magazzini perché troppo costosi.
E il suo Confessore lo mandò da Suor Maria Concetta De Litala
4, domenicana, nel Monastero del Rosario a Porta Medina, alla quale egli aveva dato 5 un suo quadro vecchio della Madonna del Rosario, comperato per sette carlini (£. 3 circa) 6.  
D. Bartolo comunicò a me la possibilità di avere il quadro che desiderava, e insieme andammo da quella Suora, e le domandammo se teneva ancora quel quadro della Madonna del Rosario, che le aveva donato il P. Radente.
Essa lo andò a prendere e ce lo portò davanti. Ma noi appena veduto quel quadro non potemmo nascondere la nostra dolorosa sorpresa, perché era vecchio, tarlato e sembrava dipinto apposta per far perdere la divozione alla madonna del Rosario
7, ma la Suora ci incoraggiò e ce lo volle dare a qualunque costo, sciogliendo la difficoltà che noi  adducevamo per non prenderlo, fra le altre anche quella che essendo troppo grande 8, non si sapeva se si poteva trasportare per ferrovia. Ed essa ci disse: "Anche se doveste andare in quarta classe, portatelo con voi".
E ringraziando ce lo prendemmo e ce lo portammo in carrozza a casa a Napoli
9.
Noi eravamo in pensiero del come far arrivare il quadro alla cadente chiesuola di Valle, quando ci ricordammo di Angelo Tortora
10 di Pompei, persona di nostra fiducia e che veniva a Napoli per prendere il letame dalle stalle e venderlo ai contadini per coltivare la terra 11, e lo pregammo di voler egli assumersi il trasporto.

Ed egli ci disse: "Non posso che metterlo sul mio carro già carico di letame". Noi involgemmo bene il quadro in un lenzuolo e glielo consegnammo, e sovra un carro di letame fece il suo ingresso a Pompei quel Quadro della Madonna, dal quale poi si sarebbe diffuso per tutto il mondo il fonte delle sue misericordie e a pie’ del quale quanti poi sarebbero venuti sul carro delle proprie miserie per vedere trasformate nelle gemme della sua Corona e del suo manto!
Il quadro fu collocato nella piccola Chiesa parrocchiale mal tenuta e cadente.
Devo tornare un po’  indietro per dire che ancora prima che fosse portato qui e messo in onore il quadro datoci da quella Suora, già si ottenevano grazie
12 da chi le dimandava a nome della Madonna del Rosario che D. Bartolo aveva introdotto a Pompei e in nome del quale si domandava il soldo per la edificazione di quella Chiesa.
È pure qui da notare che portata l’Opera iniziata da noi del soldo mensile alle orecchie del Cardinale Sanfelice
13, questi permise che in tutte le Chiese venisse promossa insieme con l’opera del soldo mensile anche la divozione alla Madonna del Rosario e che sempre più si venne a chiamare la "Madonna del Rosario di Pompei", titolo che poi venne imperniato nel quadro suddetto.
Note
1. Nell’ottobre 1873 in occasione della prima festa del Rosario: "non avendo una immagine acconcia a far venerare, tolsi dal mio capoletto una litografia della Vergine del Rosario, che avevo comprata in Napoli e la esposi alla pubblica venerazione. E con questo apparato aspettai l’alba della terza domenica d’ottobre". L’anno successivo per la seconda festa di ottobre il problema non è risolto; "neppure in quell’anno io aveva un’immagine acconcia del Rosario da esporre alla pubblica venerazione. Per questa seconda festa del Rosario in Valle di Pompei esposi nella cadente chiesuola parrocchiale, sotto un baldacchino, un’altra litografia della Vergine che aveva attorno impressi in piccoli riquadri i quindici misteri. L’avevo comprata in Napoli dal cartolaio Altavilla; e la lasciai in Chiesa, in memoria della festa, a quel reverendo parroco".
2. "Ma per essere un quadro esposto alla pubblica venerazione, e per poterci guadagnare le Indulgenze, conforme è ordinato e ordinato nella liturgia ecclesiastica, esso (il quadro) deve essere dipinto ad olio".
3. "Padre Maestro Fra Alberto Radente dei Predicatori, nacque a Napoli il 30 marzo 1817, domenica delle Palme; ivi morì la domenica del 5 gennaio 1885. "Quest’uomo di Dio conobbi la prima volta e lo ricordo perché fu un dono del Signore, il lunedì 29 maggio 1865 in sull’Ave Maria della sera. Il suo incontro fu per me provvidenziale". Il primo quaderno del Periodico dell’anno 1885 inizia con un accorato annunzio funebre. La Morte di Padre Radente. Bartolo Longo esprime l’immenso suo dolore: "il cordoglio che ci trafigge il cuore, le lagrime velano gli occhi, c’impediscono di esporre questa volta il cumulo di virtù eroiche, che adornarono per lo spazio di sessantotto anni la vita di quell’anima al tutto verginale e delle quali siamo stati noi stessi testimoni; poiché per ben venti anni il Padre Radente è stato il nostro amico verace, il consigliere unico, il vero angelo custode dell’anima nostra. Egli non è più tra noi: ma tutto questo suolo, innaffiato dai sudori del suo apostolato, predica la sua inarrivabile umiltà e semplicità, la sua eroica carità, il disinteresse così raro ai nostri tempi, la benignità e la misericordia, precipue sue doti, e l’orazione continua che giorno e notte era il pascolo dell’anima sua. E noi sentiamo ancor presente il suo spirito , siccome son vive innanzi alla nostra mente ed ai nostri occhi le eroiche sue virtù e le massime di una semplice ed altissima perfezione". Le spoglie mortali dell’insigne frate riposano nella Cripta del Santuario. Traslate dal Cimitero di Napoli furono tumulate con solenne cerimonia il giorno 13 luglio del 1938.
4. Suor Maria Concetta De Litala nacque all’Aquila il 14 maggio del 1831. Nel novembre del 1906 chiese ed ottenne di essere accolta nel Monastero di Pompei. Morì il 27 gennaio 1913; è sepolta con alcune orfanelle nella Cripta del Santuario.
5. Padre Radente, costretto dalle leggi eversive ad abbandonare chiesa e monastero, il 7 ottobre 1865 affidò il quadro in custodia a Suor Maria Concetta De Litala.
6. Moneta pari a Lit. 0.245, così detta da Carlo I d’Angiò, che la fece coniare nel 1278.
7. "Ohimè!, m’intesi una stretta al cuore al primo vederlo. Era non solo una vecchia e logora tela, ma il viso della Madonna, meglio che di una Vergine benigna, tutta santità e grazia, pareva piuttosto quello di un donnone ruvido e rozzo. Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia! – Non potei io trattenermi dall’esclamare, con aria tra lo spavento e la meraviglia".
8. Il quadro attualmente misura cm. 135x 92 (ultimo restauro 1965). Le dimensioni originali con buona approssimazione si aggiravano su cm. 150 x 100. È da notare che la tela, sin dall’epoca in cui Bartolo Longo la prelevò a Napoli, ha subito restauri non sempre eseguiti da mano esperta.
9. Bartolo Longo in quel tempo (1875) abitava a Napoli alla via Salvator Rosa n° 290.
10. "Angelo Tortora è proprio quegli che ebbe parte nelle mie fatiche dei primi anni. Era uno dei capi di tutti i coloni della Valle, e dei più ricchi. Grande persona, tarchiate le membra e le spalle quadrate, di voce forte e sonora, era uso di parlare sempre alto come parlasse a sordi".
11. Si consideri che tutti i benestanti di Napoli, possedevano una carrozza con cavalli. L’automobile era ancora in fase sperimentale e si conoscevano appena pochi prototipi. Il Tortora assolveva così a due compiti: pulizia delle stalle e recapito ai contadini dello stallatico, unico e più efficace concime.
12. La più strepitosa fu ottenuta da Clorinda Lucarelli da Napoli, era affetta da gravissima epilessia.

13. Il cardinale Guglielmo Sanfelice, arcivescovo di Napoli offrì Lire Una al mese; sulla pagellina di impegno per l’offerta così scrisse di suo pugno "16 novembre 1878. L’Arcivescovo loda e approva e benedice di gran cuore questa opera ed invita i fedeli a concorrere perché subito si compia". (Il corsivo è di Bartolo Longo)
(Autore: Nicola Avellino)

*Donna ancora da scoprire - Terza Parte
La Contessa De Fusco: una protagonista della storia di Pompei ancora da scoprire

Sette anni dopo - I primi arredi sacri
Nel 1881 il tempio era coperto di ristico 1 e si era fabbricata la sacristia al lato occidentale dove oggi è la cappella di S. Caterina da Siena e S. Cecilia 2.
Venuto Mons. Vescovo Giuseppe Formisano, questi chiamò D. Bartolo e me, e ordinò che il quadro fosse tolto dalla chiesa parrocchiale e fosse collocato in questa sacristia
3 e disse che avrebbe mandato il suo Vicario a benedire la cappella, perché, dispostovi un altare, questa dovesse servire per il culto, finché fosse finita la Chiesa.
E il Vicario Vescovile venne, e si compì la funzione non senza qualche preoccupazione del Parroco che si vedeva portar via il Quadro, già prima, dato che si è detto, a Napoli in possesso nostro
4.
L’Altare di marmo di questa cappella, fu regalato dalla Signora Raffaela Scala 5, e tutto si dispose per poter celebrare i divini misteri, ma mancavano gli arredi sacri.
Andai a Napoli dalla mia amica Caterina Volpicelli
6 con la certezza che vi avrei trovato quanto occorreva, perché la pia Signorina presiedeva l’opera istituita proprio per provvedere di arredi sacri le Chiese povere, come si è detto; ma non la trovai a casa e niente potei avere.
Scoraggiata me ne stavo per tornare a Pompei, quando il portinaio della mia casa di Napoli, mi consegnò un biglietto, col quale venivo invitata a recarmi alla strada Ottocalli a Foria per ricevere un oggetto.
Credetti che si trattasse di qualche oggetto per la lotteria
7 che doveva farsi a Pompei e me ne andai alla contrada e alla casa indicata; e al terzo piano mi incontrai con un sacerdote di piccola statura che stava in piedi sulla porta aperta e al vedermi disse:
- Contessa, tengo certi arredi sacri per Pompei.
E a me, sorpresa per tale inaspettata provvidenza, perché né io conoscevo quel sacerdote, né quel Sacerdote conosceva me e il mio bisogno di arredi sacri, consegnò tutto l’occorrente per la celebrazione della Santa Messa; e me ne tornai festante a Pompei.
Il dì seguente
8 si celebrò la prima Messa davanti al Quadro della Madonna voluto dal vescovo in quel luogo che poi doveva restare nella Cappella di S. Caterina, al lato destro della Basilica Pontificia 9. (Autore: Nicola Avellino)
Note
1)
La prima pietra del Tempio fu benedetta il giorno 8 maggio 1876; il Vescovo di Nola aveva suggerito di far cadere la cerimonia, che si prospettava tanto solenne, in un giorno festivo al fine di consentire a tutti, non esclusi i contadini della Valle e dei dintorni, di essere presenti alla funzione; indicò così la data del 7 maggio. Bartolo Longo dal canto suo propose con ferma decisione l’8 maggio, sebbene lunedì, giorno sacro all’arcangelo Michele; la scelta non era dettata da ragioni di opportunità o logistiche: "E come quel celeste principe cacciò dal cielo Lucifero, angelo ribelle, così son certo, scaccerà da valle di Pompei Satana, che qui vi ha avuto per tanti secoli la sua signoria". Erano all’incirca le undici di quel mattino, il Vescovo di Nola, tracciata con una punta la Croce sulla pietra, la benedisse. Nel fosso, scavato per alloggiarvi le fondamenta del pilastro principale del Tempio – il primo dell’arco maggiore, a sinistra per chi entra nel Tempio – fu deposta una cassettina di rame contenente alcune monete d’oro, d’argento e di bronzo ed un astuccio di vetro per custodire una pergamena su cui erano scritti i nomi di Bartolo Longo, della Contessa Marianna De Fusco e dei più ardenti zelatori della Madonna. Il seme, benedetto, scendeva fecondo nelle viscere della terra e nel volgere di soli cinque anni il rustico Tempio era già stato portato a compimento.
2) La Contessa de Fusco qui racconta quanto era accaduto nel 1881. Tra quella data e l’epoca della presente narrazione intercorrono circa cinquant’anni segnati da avvenimenti storici intessuti da molteplici vicende umane e divine: il periodo sicuramente più denso e più esplosivo della grandiosa nascita e crescita del Santuario e delle Opere. Qualche inesattezza nel racconto va perdonata, attesa l’età della narratrice, sempre peraltro misticamente impegnata al caloroso racconto esteso con toni narrativi così efficaci.
Ogni episodio è scavato nel suo ricordo e riemerge nello scritto quasi fosse il racconto di una favola a cui ella sembra essersi abituata a credere da sempre, nonostante avesse partecipato, ricoprendo un ruolo determinante, alla vicenda ed in prima persona, da co-protagonista.
Per esattezza storica i locali da adibire a sacrestia furono costruiti sul lato orientale del Santuario – alla destra cioè di chi guarda la facciata -. A sinistra invece, (ad occidente) era ubicata la Cappella dedicata a Santa Caterina ed a Santa Cecilia già aperta al culto dei fedeli.

3) La piccola e vetusta Chiesa del SS. Salvatore era in stato di grave fatiscenza e, secondo i rilievi dell’ingegnere Cua, nonostante i puntelli e le continue riparazioni, non avrebbe tardato a crollare. Per assicurare la cura delle anime si rendeva pertanto necessario, sebbene in termini di provvisorietà, allestire un nuovo locale per assicurare la continuità del culto e l’assistenza religiosa ai Valligiani. Di tanto si era personalmente occupato Mons. Formisano, Vescovo di Nola, al punto da chiedere egli stesso a B. Longo e alla Contessa Marianna De Fusco, curatori e responsabili dell’erezione del Tempio, il beneplacito per il trasporto della Parrocchia in quei locali, erigendovi naturalmente un altare sul quale venisse esposto alla venerazione il quadro miracoloso. Il tredici novembre 1880, il vecchio Parroco don Giovanni Cirillo, prese canonico possesso della nuova, anche se provvisoria, sede della Parrocchia.
Assicurare la continuità del culto rappresentava la scrupolosa osservanza del mandato per il vecchio Parroco, un dovere pastorale per il Vescovo di Nola.
Di altra levatura erano le premesse e gli scopi di B. Longo: "se è vero che tu rivelasti a san Domenico, che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò; perché, no, non uscirò da questa terra senza aver riveduto il trionfo del Tuo Rosario!" Così pronunciate, queste parole, rivestono il carattere di un solenne giuramento.

4) Senza dubbio il Vescovo plaudiva all’opera di B. Longo e, pur condividendone i principi di fede, palesava una certa sua cautela quando dal campo spirituale si travalicava, per forza di cose, in quello logistico-amministrativo: nel senso che assumendo su di sé ogni responsabilità per l’operato strettamente mistico-religioso dell’Avvocato, si esimeva da ogni impegno finanziario richiesto per l’opera che si stava edificando. Tra i due protagonisti, il vecchio Parroco: solo una comparsa. Stupito seguiva il corso degli eventi e, sebbene ne subisse il fascino, non riusciva a spingere l’occhio oltre il suo angusto orizzonte, al punto da mostrarsi persino dispiaciuto, quando il quadro della Madonna, peraltro non di sua proprietà, viene rimosso dalla cadente chiesuola parrocchiale per essere trasferito in una sede decorosa e più degna. Più esplicitamente: il Vescovo ed il Parroco miravano a ricostruire la parrocchia per garantire la cura delle anime residenti nella vallata: la casetta della Madonna con il suo altare.
B. Longo, invece, aveva pronunciato un giuramento che lo impegnava in un’opera di vastissima portata: un Tempio ed il Trono per la Regina del Rosario. Ciò, era infatti inciso, nel disegno della Provvidenza.

5) Su incarico della Contessa, B. Longo si reca a Napoli per consegnare alle sorelle La Rocca, zelatrici e profondamente devote della Madonna, i libretti di ascrizione, il libro dei Quindici Sabati e le immagini della Vergine di Pompei. Giunto all’indirizzo segnato, sale le scale alla ricerca di una scritta che indicasse l’abitazione cercata; non la trova. Si rincresce di riscendere per chiedere informazioni al portiere e bussa alla prima porta in cerca di notizie. Una signorina apre l’uscio e "favorite, favorite di entrare, vado a chiamare la mamma, che vi aspetta da un anno, che vi deve dire una cosa. (Poche volte mi è occorso di essere ricevuto con tanta festa, da che vado girando per le case a far l’accattone per la Madonna!). Oh! – esclamò la signora – è un anno che desiderava vedervi. Non sapeva come fare per vedervi, per invitarvi a venire da me. Io ho promesso un altare di marmo, il primo altare alla vostra Chiesa di Pompei… Ora che la Madonna vi ha mandato, finalmente, tutto sarà fatto, e al più presto. Per la festa del Rosario nell’ottobre prossimo il mio altare sarà a Pompei. Seppi allora che mi trovavo in casa della piissima signora Raffaela Scala".
6) Caterina Volpicelli, ora venerabile, propagava la devozione del Cuore di Gesù in Napoli. Nel proprio palazzo aveva fondato le Ancelle del Sacro Cuore: opera pia le cui associate portavano il conforto e l’aiuto alle famiglie bisognose, attendevano all’istruzione catechistica, erano presenti nelle parrocchie coadiuvando i sacerdoti in opere di fede e di carità; non trascuravano di raccogliere biancheria ed arredi sacri per le chiese più bisognose.
7) "Parte principale della festa sarebbe per essere un gran lotto di un soldo per ciascuna polizzina. I primi cinque premi sarebbero di oggetti di oro napoletano, cioè di grossa vista e di poco valore (data la bassa caratura): un anello, un paio di orecchini; uno spillo aperto, e somiglianti: Altri ottocento premi sarebbero di crocifissi, corone e quadretti della Vergine del Rosario". Lo scopo? "…il più importante, e che riuscì a meraviglia fu quello di sollecitare questi villici ad intervenire come interessati nella festa. Ed in fatto, non vi fu neppure uno che non venisse a goderla. Da parte mia io non debbo fare altro che propagare il Rosario" e con ogni mezzo, aggiungiamo, anche istituendo umili lotterie.
8) Era il giorno 18 ottobre 1881.
9) Si rilegga quanto descritto alla nota 2.

*Donna ancora da scoprire (Quarta Parte)
La Contessa De Fusco: una protagonista della storia di Pompei ancora da scoprire
Val bene che si ripeta quale fu il primo pensiero della fondazione di questo Santuario prodigioso: fu di dare a questa Valle una Chiesa parrocchiale 1 meno indegna del Culto divino, e più capace de’ coloni abitanti, secondo le insistenti raccomandazioni che ci faceva Sua Eccellenza il nostro Vescovo, Monsignor Formisano di s. m. 2, il quale anzi firmò con noi lo strumento 3 della compera da noi fatta del terreno dove sorge ora il Santuario.
Quando poi la SS. Vergine cominciò a profondere da questo luogo la devozione al Rosario e le sue grazie a tutto il mondo, sorse il pensiero a me e al mio consorte di poter fondare un Santuario da mettersi in mano al vicario di N.S.G.C., Capo della cristianità. Fu questo il pensiero che venne in mente a me, quando del Santuario si mise la prima pietra
4, pensiero confortato a viva voce dal Venerabile P. Ludovico da Casoria 5, ma io venivo burlata per tale idea come cosa impossibile ad eseguirsi, ma che sempre mi continuò, finché ci facemmo coraggio di esporla a Leone XIII, perché Egli ricevesse il Santuario e le Opere annesse in sua proprietà per assicurarne l’esistenza che a noi sembrava minacciata dalle contraddizioni e guerre continue e così morire noi tranquilli, sapendo che ne restava padrone il Vicario di G. C. Egli invece ci confortava a non temere e a lavorare sempre con retto fine per piacere alla Madonna; e mostrandoci un monte di giornali spediti contro di noi 6, ci diceva: vedete questi giornali? Son tutti contro di voi, ma non temete: (e prendendoci affettuosamente la mano) avete il Papa con voi e più ne dicono o ve ne fanno e più vedo che è opera di Dio, e ai vostri contraddittori rispondo: la Madonna non ha scelto né me, né voi, ma ha scelto l’avv. D. Bartolo Longo e la sua consorte Contessa de Fusco.
E quindi volle che restasse ancora tutto in nostra mano pur accettandone la diretta giurisdizione ecclesiastica
7.
Ma noi sospiravamo quella grazia per morire tranquilli e contenti, stimando assicurata l’Opera solo se veniva assunta dalla Santa Sede.
E finalmente la Madonna ci fede la grazia delle grazie sotto il Pontificato del suo Successore, Pio X 8.
Quale conforto migliore di vedere assunta a opera di Dio e, ancor vivi noi, assicurata, se a Dio piace, finché durerà la Chiesa, l’Opera che per mezzo di noi due povere e meschine creature volle compiere la Madonna in questa Valle di Pompei!

Note

1 "E trattando con questa gente (i pochi abitanti della Valle; siamo nel 1873), fummo presi da sommo stupore nell’avvederci, che la più parte ignorava il Rosario ed i principii essenziali della Religione". (B. Longo).
"Per tanta gente non v’era che una poverissima parrocchia ma così malconcia e cadente e così piccola, che a mala pena conteneva cento persone. E nell’ottobre del 1880 questa crollante parrocchia fu demolita per ordine dell’autorità politica per pubblica sicurezza". (B. Longo).
"E la più parte (degli abitanti), non potendo usare la Chiesa, né ascoltare la parola di Dio, restava in tale ignoranza della fede che era una vera pietà. … certuni non si erano giammai confessati, altri ignoravano persino il segnarsi della Croce". (B. Longo).

2 Mons. Giuseppe Formisano (1810-1890), uomo dotto e pio, autore di validi scritti teologico-morali, benefattore dei poveri, già da circa venti anni al governo della diocesi di Nola, conosceva bene le condizioni di degrado morale, civile e religioso degli abitanti della Valle. Sovente dimostrava il suo dolore rammaricandosi di non potere intervenire recando il suo aiuto di pastore a quei poveri contadini. La diocesi contava più di duecento mila fedeli, sparsi su un territorio vastissimo; sopportava il peso pastorale di ottantacinque parrocchie con circa settecentocinquanta chiese, situate la più parte in zone persino impervie ed appartenenti a quattro province diverse. Si comprende in pieno come gli giungesse gradita la notizia dell’iniziale ferventissimo apostolato mariano svolto da B. Longo in quella Valle desolata e come in cuor suo, il vecchio Prelato, provasse gioia nel vedersi affiancato e sostenuto con tanto zelo da un laico che gli porgeva aiuto, operando proprio nel punto più lontano e perciò più trascurato della sua diocesi.
Sotto questa angolazione bisogna considerare la facile propensione del Vescovo a condividere, anzi infervorare, gli intenti di B. Longo la cui opera, sebbene appena iniziata e condotta tra mille difficoltà, mitigava il profondo rammarico del Vescovo impotente a realizzare il pieno adempimento del suo ministero pastorale in una terra quasi priva di ogni assistenza religiosa.

3 Riportiamo in estratto l’istrumento di compra-vendita della terra, ritenendolo documento di eccezionale importanza storica segnatamente per le assertive in esso contenute.
"Innanzi a noi Domenico Vitelli, notaio, il giorno 30 Aprile 1876,
(a) in Torre Annunziata, si sono costituiti da una parte: Mons. Giuseppe Formisano, Vescovo di Nola; il Rev. Giovanni Cirillo, (b) parroco della Chiesa sotto il titolo del SS. Salvatore dell’antica Terra di Valle; la signora Marianna Farnararo vedova De Fusco; l’avvocato Bartolo Longo. Dall’altra parte: i coniugi Luigi De Vivo e Carolina Cirillo. Assertive: Mons. Giuseppe Formisano ha dichiarato che divenuta ormai troppo angusta ed esigua la vecchia Chiesa parrocchiale sotto il titolo del SS. Salvatore (c) dell’antica Terra di Valle nella sua diocesi per numero cresciuto degli abitatori di quella contrada, riconosceva indispensabile, per il bene di quella popolazione, costruire accanto alla vecchia una nuova parrocchia ove potessero adempiere i doveri di religione ed anche poter diffondere la devozione alla Vergine del Rosario. Non potendo questo pio Prelato tutta a sue spese compiere tale intrapresa, perché ad altre simili opere ha dato mano, ha manifestato tale suo desiderio alla principale proprietaria della contrada: (d) Signora Contessa De Fusco nata Farnararo, offrendo da parte sua l’oblazione di lire cinquecento. E questa Signora ha dichiarato, che appartenendo al Terzo Ordine della Penitenza di San Domenico stabilito in Napoli, di gran cuore ha accettato l’onorevole incarico di rendersi promotrice per l’impiantamento della nuova Chiesa Parrocchiale, che sarà intitolata al SS. Salvatore e SS. Rosario, con la condizione che fosse ivi dedicato uno degli altari principali alla Vergine Maria (e) e quivi traslocata la Società del SS. Rosario, (f) con tutte le indulgenze e privilegi, quali oggi si trova stabilita economicamente nella piccola e vecchia parrocchia di Valle. Il signor Bartolo Longo appartenente anch’esso al medesimo Terzo Ordine di Napoli (g), nel medesimo intendimento e confidente nell’aiuto che verrà loro prestato dagli altri loro fratelli e sorelle ha pure promesso la sua cooperazione e versa oggi per se e per i suoi le somme che in appresso saranno specificate. Per la costruzione della nuova Chiesa non si è riconosciuto meglio adatto che il suolo contiguo alla vecchia Chiesa Parrocchiale. Il prezzo della compravendita del suolo per l’estensione di metri quadrati 1127 è di accordo stabilito a lire 1600 nette. Tale prezzo si paga dai tre sopra costituiti come segue: Mons. Formisano lire 500, le quali si versano da lui per semplice sussidio alla edificazione della prefeta Chiesa; la Contessa Marianna de Fusco ed il signor Bartolo Longo per le altre 1100 lire. I coniugi Luigi De Vivo e Carolina Cirillo hanno accusato ricezione della somma mediante plenaria e solenne quietanza, dichiarando di non aver altro a pretendere.
Siccome l’acquisto è fatto per l’interesse e nel vantaggio della Parrocchiale Chiesa del Salvatore e del Rosario nella Terra di Valle, così la voltura catastale del territorio comprato sarà eseguita al nome della Parrocchiale Chiesa medesima a cui sarà intestata".
(Firmato Domenico Vitelli, notaio).

(a) Per il grande e santo affetto e per la devozione verso la Madre del Terz’Ordine domenicano, B. Longo volle che l’atto di acquisto del terreno si redigesse il giorno 30 aprile, sacro appunto a santa Caterina da Siena.
(b) "Fu il primo con cui potei scambiare una parola in lingua intellegibile, poiché gli abitanti di questa contrada (Valle di Pompei) parlano il dialetto largo napoletano, ed il con la stretta pronuncia leccese, sicché non ci intendevamo a vicenda". (B. Longo).
(c) La Chiesa del SS. Salvatore fu dichiarata parrocchia fin dall’anno 1511.
(d) La contessa infatti possedeva a Valle di Pompei alcune case e diversi moggi di terreno.
(e) Si ricordi che il quadro della Vergine, portato da B. Longo a Valle di Pompei il 13-11.1875, era stato esposto al culto nella vecchia parrocchia con sistemazione del tutto provvisoria. Si comprende così la "condizione" imposta dalla contessa di un altare, su cui esporre il quadro, dedicato esclusivamente alla Madonna.
(f) B. Longo con pubblico bando, fece notificare a tutti i valligiani di raccogliersi nella parrocchia il giorno 13 febbraio 1876, per fondare a voce di popolo, (secondo l’uso di allora), la Congregazione del SS. Rosario. Il diploma di costituzione della Confraternita fu letto da P. Radente tra le acclamazioni dei convenuti e nello stesso giorno tredici persone furono rivestite dello scapolare del terzo Ordine, per primo il vecchio parroco Giovanni Cirillo.
(g) "Presi lo scapolare del Terziario Domenicano e feci la professione nelle mani di P. Radente Domenicano, nella chiesa del Rosario a Porta Medina in Napoli, il giorno ricordevole della solennità del Rosario, 7 ottobre 1871, anniversario della battaglia di Lepanto. E il P. Radente mi impose il nome di Fra Rosario, quasi vaticinando l’ufficio e l’apostolato che dovevo compiere, di propagare cioè il SS. Rosario". (B. Longo).
(4) Appena otto giorni dopo l’acquisto del terreno e precisamente lunedì 8 maggio 1876 fu posta la prima pietra per l’edificazione della nuova chiesa.
"Sul suolo di fresco comprato coperto di erbe e smosso da solchi, piantammo una tenda; e sotto di essa, sopra due botti distesa una assita coverta di drappi e di pannilini formammo una mensa ed un altare. Un Crocifisso e sei candelieri, ecco il superbo apparato che doveva servire di primordio alla fondazione del Tempio di Pompei". (B. Longo).
Mons. Formisano prescrisse che la nuova chiesa dovesse assumere un doppio titolo: dedicata cioè al SS. Salvatore ed al SS. Rosario. Il vescovo in tal modo assicurava la perpetuità della funzione
dell’antichissima parrocchia del SS. Salvatore e nel contempo premiava lo zelo e l’ardente desiderio di B. Longo di propagare il Rosario a Valle di Pompei, erigendo un altare dedicato alla vergine.
Pochi anni dopo, prima che si ultimasse la costruzione del Tempio, B. Longo, cedendo alle insistenze degli oblatori desiderosi di vedere le loro offerte impiegate esclusivamente al culto della Miracolosissima Vergine del Rosario, ottenne dal Vescovo di Nola la separazione della parrocchia dal Tempio. Di fatto però la Parrocchia restò ancora contigua e comunicante con il Tempio, finché B. Longo, a sue spese e cura, non provvide alla costruzione, poco più lontana dal Santuario, della nuova Parrocchia benedetta il 30 maggio 1898.

(5) Padre Ludovico da Casoria, al secolo Arcangelo Palmentieri. (Casoria 11-3-1814 Napoli 30-3- 1885).
L’esempio delle caritatevoli istituzioni del mirabile frate francescano, influì moltissimo sull’animo di B. Longo; il Beato ne divenne ben presto amico intimo scegliendolo a modello ed ispiratore per la fondazione delle opere pompeiane. Fu sua la prima idea del Periodico, il consiglio di accogliere gli orfanelli derelitti, l’istituzione della via Crucis a Pompei (17 marzo 1884), l’invito all’impianto di una tipografia ad esclusivo servizio del Santuario. Apostolo verace della carità, dal tratto schietto e familiare, fu sempre circondato da popolarità, profondo affetto ed ammirazione. "Oh, se l’umanità tutta quanta potesse comprendere quale sciagura si è quella di perdere un uomo santo che non mancò mai di stimolarci alla via di beneficare il prossimo e spendere tutta la vita per la carità". (B. Longo).
Il 17 marzo 1884 Padre Ludovica da Casoria venne a Pompei pellegrino riconoscente alla vergine per una grazia ricevuta. Dopo essere stato lungamente in orazione, conversando con Bartolo Longo disse testualmente: "Bartolo, tu devi lavorare per il Papa. Oggi i figli hanno spogliato il Papa dei suoi domìni; ebbene altri figli debbono ridarglieli. Quali sono i domìni del Papa? Le Chiese e i conventi. Oggi hanno tolto tutto al Papa e chiese e conventi. Ebbene, in questa terra devi erigere una Chiesa Monumentale, devi fabbricare un convento e devi dare tutto al Papa".

(6) La Contessa qui allude ai miscredenti che accusarono B. Longo di impostura, di turlupinatura, di sfruttamento del sentimento religioso, di inganno della gentarella ignorante al solo vilissimo scopo di lucro e di bassa speculazione. Anche sui giornali dell’epoca si fantasticava di ricchezze ingenti accumulate, di pseudo miracoli dovuti sia ad occulte forze magnetiche sia a fenomeni di ipnotismo creati dall’antico spiritista. Da più parti invidie, gelosie, malvagità si addensarono sul capo di B. Longo: una vera tempesta dalla quale si difese con il silenzio e con la preghiera.
(7) Il Papa Leone XIII accettò il dono del Santuario e delle opere annesse offertegli dai coniugi Longo-De Fusco ed a testimonianza del suo gradimento emise il Breve "Qua Providentia" (13 marzo 1894) da cui ci piace riportare un solo passo che riteniamo il più significativo: "… perché poi viepiù si conosca e sia chiaro quanto noi siamo ben disposti verso i coniugi Longo, vogliamo che, finché vivano, abbiano essi la cura di tutto quel patrimonio, sicché come finora tennero l’amministrazione dei doni e delle collette in denaro, così la tengano in seguito in vece e di autorità Nostra e del Romano Pontefice".
(8) Il giorno 9 febbraio 1906 il Papa Pio X ricevette in udienza privata B. Longo e la Contessa. I due coniugi solennemente consegnarono al Capo della Chiesa l’atto di rinuncia a favore della Santa Sede di tutte le opere di beneficenza, dei beni mobili ed immobili esistenti in Valle di Pompei nonché di quelli pervenuti in donazione al Santuario. La donazione comprendeva ancora la proprietà letteraria di tutta la vastissima produzione di B. Longo.
"Il mio vivo scopo in trentatré anni di lavoro è stato quello di salvare l’anima mia e quella del prossimo diffondendo il Rosario ed educando figli di carcerati, orfanelli, e fanciulli".

(Autore: Nicola Avellino).

*Il genio intraprendente di una donna moderna
La Contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, che il Beato Bartolo Longo sposò il 1° aprile 1885, nella chiesa napoletana di Santa Maria dei Vergini, fu una donna decisa, determinata, razionale, coraggiosa, autorevole, rigorosa. Lei era la concretezza, lui l’intuizione. Fondarono insieme il Santuario, le Opere di Carità e la Congregazione delle Suore Domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei".
Il 1° aprile 1885, Bartolo Longo sposa la Contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, nella cappella privata del Vicario generale di Napoli, all’interno della chiesa partenopea di Santa Maria dei Vergini. Spesso noi definiamo il Beato un profeta, un anticipatore dei tempi, figura ancora attualissima anche sotto l’aspetto sociale e civile.
Le Opere di carità in favore dell’infanzia sola e abbandonata, tanto per fare un esempio, sono le realizzazioni concrete di una pedagogia all’avanguardia. Per i suoi contemporanei, il figlio di un carcerato non sarebbe potuto diventare altro che un delinquente. Per Longo, l’educazione nell’amore quotidiano avrebbe potuto indirizzare quel bambino sulle vie del bene. Ma, come quella del suo consorte, è figura altrettanto moderna quella della Contessa Marianna, una donna controcorrente ed emancipata. Un modello di riferimento.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, alle donne era riservato solo il ruolo di mogli e mamme, dedite alla cura dei figli, del marito, della casa. Al massimo, alle più nobili o danarose era concesso di portare avanti attività benefiche. Di certo era loro precluso l’impegno intellettuale (non potevano accedere all’istruzione superiore e universitaria) e, ancora di più, un compito di governo.
E né un certo spirito illuminista si era mai preoccupato di estendere alle donne una presenza più attiva al timone della storia.
Bartolo Longo, invece, aveva un orizzonte diverso e guardava oltre il presente come tutti coloro che hanno un dialogo continuo con le pagine del Vangelo, sempre in grado di aprire prospettive sul futuro. Tra don Bartolo (così la Contessa continuò a chiamarlo) e Marianna s’instaurò un rapporto paritetico e complementare.
Lui era l’intuizione, lei la concretezza. I contemporanei la descrivono decisa, determinata, razionale, coraggiosa, autorevole, rigorosa. "Oggi, con le mutate condizioni socio-culturali – scrive Beatrice Immediata in "Marianna e Bartolo, Pompei e le opere pompeiane", un volume pubblicato dalle Paoline nel 2011 – potrebbe essere dirigente d’azienda, direttrice di un quotidiano, regista, imprenditrice, deputato in parlamento. Insomma, una donna di potere".
Certo, la sua vita non fu facile. Nata a Monopoli il 13 dicembre 1836, Marianna restò orfana di padre a soli otto anni. Nel 1850, si trasferì a Napoli insieme alla sua famiglia e, a soli quindici anni, sposò il Conte Albenzio De Fusco, nobile proprietario terriero, che morì presto, nel 1864, lasciandola vedova con cinque figli piccoli.
Eppure non si arrese, rimboccandosi le maniche, confidando sempre in Dio e nella Vergine, divenendo così un modello di riferimento per la forza e la fede che non vacilla nemmeno al
soffio impetuoso degli eventi infausti. Nel 1868, grazie alla sua amica Caterina Volpicelli, oggi santa, conobbe il giovane avvocato Bartolo Longo, cui chiederà di amministrare le proprietà ereditate dal marito a Valle di Pompei. La sua parola, i suoi consigli, il suo "mantenere i piedi per terra" sono essenziali. Non a caso, è considerata a pieno titolo cofondatrice del Santuario, delle Opere di carità, della Congregazione delle Suore Domenicane "Figlie del Santo Rosario di Pompei".
È anche grazie a lei che 60 mila ragazzi e ragazze sono stati sottratti alla strada e indirizzati alla "vita buona del Vangelo". Non solo, in molti casi, assicura i mezzi necessari alle opere, ma interviene allorquando ce ne sia bisogno.
Uno strumento della Provvidenza come lo fu il Beato Longo. Le sue conoscenze le consentono di coinvolgere la nobiltà napoletana nel sostenere la costruzione del Santuario e degli Istituti di beneficenza, di premere sulle autorità pubbliche per ottenere l’acqua potabile a Pompei così come l’istituzione della stazione ferroviaria. E sono solo tre esempi, ma se ne potrebbero proporre tanti.

È per tali motivi che, nel 1924, l’anno della sua scomparsa, avvenuta il 2 febbraio, Monsignor Edoardo Alberto Fabozzi, Abate della Cesarea di Napoli, suo direttore spirituale per circa venticinque anni, la tratteggiò così sulle sue pagine de "Il Rosario e la Nuova Pompei": "(Ebbe) un’avvedutezza che stranamente contrastava con la sua semplicità: una percezione istantanea di tutti gli ostacoli, anche minimi, che si sarebbero incontrati sul cammino di un’opera; a colpo d’occhio mirabilmente sicuro, d’un tratto comprendeva gli uomini e leggeva nei loro pensieri più intimi; oltre a ciò, una rara forza d’imperio, senza di cui la sua prudenza sarebbe stata vana, perché non sarebbe riuscita a imporla. Ella quindi nell’istituzione delle opere di beneficenza non fu il genio intraprendente, ma fu il freno necessario".

(Autore: Giuseppe Pecorelli)

*La Contessa Marianna de Fusco

La Contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco in Longo è nata a Monopoli (BA), il 14 dicembre 1836 da Biagio e Rosa Martinelli. Rimase orfana di padre all’età di dieci anni e fu mandata presso un istituto religioso, dove ricevette un’educazione morale e scolastica, volta principalmente alla pratica religiosa e al sociale, che influenzò in gran parte tutta la sua esistenza. Promessa sposa al Conte Albenzio de Fusco di Lettere, che sposerà il 21.02.1852, Marianna si trasferì a Napoli con la madre e con il fratello Francesco.
Dal matrimonio col conte Albenzio nacquero 5 figli. La Contessa De Fusco si fece molto apprezzare nell’ambiente nobiliare napoletano, dove coltivò numerose amicizie, dalle quali, in seguito, ricevette aiuti per la realizzazione delle opere pompeiane. Dopo dodici anni di matrimonio, il 27.02.1864 all’età di 28 anni, rimase vedova e, tra le proprietà che ereditò dal defunto marito, c’era anche quella in Valle di Pompei, per la cui gestione chiese aiuto al giovane avvocato Bartolo Longo, conosciuto a casa di Caterina Volpicelli, la fondatrice della “Ancelle del Sacro Cuore”, oggi beata.
Assieme a lei si dedicò a numerose attività di beneficenza e ricevette lo scapolare di novizia del Terzo Ordine del Sacro Cuore, avvicinandosi sempre più alla religione e alle pratiche di pietà.
Quando Bartolo Longo, chiamato dalla Vergine a propagare il Rosario, cominciò la sua opera fondatrice trovò in Marianna un’abile, intelligente e preziosa collaboratrice. Insieme iniziarono un cammino di vita e di fede che li vide uniti e con un solo obiettivo: la cura delle anime dei contadini della Valle e la diffusione del culto mariano con la recita del Santo Rosario. Tutto questo però fece nascere calunnie e maldicenze attorno ai due, che, il 1° aprile 1885, su consiglio di Papa Leone XIII, si sposarono.
Essi non si allontanarono più da Pompei e per cinquant’anni continuarono la loro opera al servizio della Chiesa e a favore degli ultimi e degli emarginati. La Contessa De Fusco, in particolare, sollecitò i suoi amici nobili napoletani ad offrire un “soldo al mese” per il nascente Santuario ed ella stessa contribuì, con i suoi averi, alla costruzione del tempio.
L’impegno al quale dedicò, però, tutta la sua esistenza è stato la diffusione del culto mariano. Il contributo specifico della De Fusco all’opera pompeiana fu, invece, la realizzazione dell’Orfanotrofio Femminile, inaugurato nel 1887, e l’amministrazione dei beni del Santuario, amministrazione “temporale”, dopo la cessione alla Santa Sede del Santuario e delle opere di Valle di Pompei.
Le diverse opere realizzate dai coniugi Longo videro sempre un impegno diretto e particolare di Marianna Farnararo.  Morì a Pompei il 9 febbraio del 1924. A buon diritto le si attribuisce il titolo di Cofondatrice del Santuario di Pompei.

*Pensieri della Contessa De Fusco
1. Don Bartolo, diceva talvolta indispettita la Contessa, merita bene d’essere chiamato Longo, e voleva dir che, secondo lei, la prendeva sempre per… le lunghe.

*Silenziosa testimone e artefice del sogno di Bartolo Longo
L’anniversario della nascita in Cielo di Marianna Farnararo-Contessa De Fusco in Longo
Ada Ignazzi, biografa e concittadina della consorte del Fondatore del Santuario, la ricorda traendo spunto dai giornali che, nel 1924, ne tratteggiavano la figura.
Il 9 febbraio 1924 fu un sabato in cui Valle di Pompei pianse la figura di Marianna Farnararo, contessa De Fusco in Longo, "Fondatrice del Santuario e delle Opere Pompeiane". La scomparsa ebbe notevole risonanza tra i suoi contemporanei. Testimonianza di ciò si ritrova in molti giornali dell’epoca, di appartenenza cattolica e laica. Il fatto fu ampiamente riportato da testate edite nella provincia partenopea: il "Corriere di Napoli", "Il Mezzogiorno" di Napoli, "Il Mattino" di Napoli, il "Roma" di Napoli; nella regione Campania: "Il Risorgimento Nocerino" di Nocera Inferiore
(Sa); in altre regioni: "La Provincia" di Lecce, "L’Epoca", "Il Mondo" e "Il Messaggero" di Roma, "L’Unità Cattolica" di Firenze e "L’Assunta" di Como.
Una riflessione che emerge dopo la lettura di questi giornali è la concorde identificazione della fede religiosa e dello spirito di carità di Marianna, quali meccanismi promotori dell’azione di apostolato religioso e civile.

Un ultimo significativo omogeneo aspetto è quello relativo al ruolo giocato da Marianna Farnararo: anche se Bartolo Longo è riportato come colui a cui si deve riconoscenza per le realizzazioni religiose e sociali in Valle di Pompei, Marianna è definita come la ispiratrice, la ausiliatrice, la cooperatrice di Bartolo Longo, sino ad essere citata quale Fondatrice del Santuario della Madonna del Rosario di Pompei, Santuario Mariano di fama mondiale. Con fede e amore, in nome della
Madonna del Rosario di Pompei, il Santuario fu costruito con le offerte di tutti i fedeli sparsi per il mondo, ai quali i coniugi Longo avevano saputo parlare. La convinzione nell’opera intrapresa, la tenacia, la costanza, unite alla prudenza, permisero a Marianna di bussare personalmente alla porta di numerose famiglie aristocratiche della Napoli "bene", incoraggiandole a chiedere grazie alla Madonna, e a donare "Un soldo al mese".
Fu così che l’8 maggio 1876 fu posta la prima pietra della chiesa. I giornali, nel giorno dei suoi funerali, scrissero pensieri di gratitudine nell’affermare come Marianna, nella vedovanza, si era dedicata ad opere di beneficenza e di volontariato con spirito gratuito ed era stata la prima educatrice
dell’Orfanotrofio Femminile di Valle di Pompei. In questa istituzione ella aveva messo tutto il suo cuore di madre tanto da essere chiamata dalle orfanelle stesse "mamma contessa". Gli articoli citati sono leggibili, per esteso ed in appendice, nella biografia "Marianna Farnararo Contessa De Fusco.
Cofondatrice del Santuario di Pompei", libro che pubblicai per l’editore Giuseppe Laterza nel 2004. Fino ad allora non esistevano, nella Biblioteca di Pompei, libri sulla Fondatrice del Santuario ma solo tanti documenti, foto e giornali.
Madonna del Rosario di Pompei, il Santuario fu costruito con le offerte di tutti i fedeli sparsi per il mondo, ai quali i coniugi Longo avevano saputo parlare. La convinzione nell’opera intrapresa, la tenacia, la costanza, unite alla prudenza, permisero a Marianna di bussare personalmente alla porta di numerose famiglie aristocratiche della Napoli "bene", incoraggiandole a chiedere grazie alla Madonna, e a donare "Un soldo al mese".
Fu così che l’8 maggio 1876 fu posta la prima pietra della chiesa. I giornali, nel giorno dei suoi funerali, scrissero pensieri di gratitudine nell’affermare come Marianna, nella vedovanza, si era dedicata ad opere di beneficenza e di volontariato con spirito gratuito ed era stata la prima educatrice
dell’Orfanotrofio Femminile di Valle di Pompei. In questa istituzione ella aveva messo tutto il suo cuore di madre tanto da essere chiamata dalle orfanelle stesse "mamma contessa". Gli articoli citati sono leggibili, per esteso ed in appendice, nella biografia "Marianna Farnararo Contessa De Fusco.
Cofondatrice del Santuario di Pompei", libro che pubblicai per l’editore Giuseppe Laterza nel 2004. Fino ad allora non esistevano, nella Biblioteca di Pompei, libri sulla Fondatrice del Santuario ma solo tanti documenti, foto e giornali.
Il mio desiderio, al ritorno nel 1991 da un pellegrinaggio nella città di Pompei, fu quello di scoprire il perché una mia concittadina monopolitana fosse stata sepolta nel Santuario. Nel leggere sulla pietra tombale "Monopoli 13-12-1836" legato a "Pompei 9-2-1924" si generò in me una incontenibile curiosità sino a iniziare una ricerca durata 13 lunghi anni: sostenuta, incoraggiata, aiuta aiutata, consigliata dall’illustre professor Monsignor Antonio Illibato, direttore dell’archivio storico Bartolo Longo di Pompei e di Napoli.
Fu un impegno costante e determinante al fine di conoscere gli eventi che condussero questa donna del Sud, dalla mia città a Valle di Pompei, ove rimase fino alla sua morte. La vita di questa figura femminile, vissuta a cavallo tra Otto e Novecento, protagonista della storia della "Nuova Pompei", è stata tale che il libro dopo altri dieci anni venne trasformato in "Mostra
Documentaria Fotografica Itinerante", composta da venti pannelli, avvalendosi come consulente storico sempre dell’instancabile compianto Monsignor Illibato.
Il fine dei due lavori è stato sempre lo stesso: quello di far conoscere alle future generazioni che, per vivere il presente, è indispensabile prendere in considerazione il passato per costruirne il futuro. Mai come in questo momento storico, è necessario avere esempi di vita come quello di Marianna, che è stata antesignana della laicità cristiana, precorrendo i tempi e dimostrandoci che la sua attiva opera per i bisognosi, per le orfanelle e per i figli dei carcerati si è ben conciliata con la vita di madre nell’educazione dei suoi cinque figli.
Tale impegno attivo e manageriale la potrebbero vedere ben inserita nel mondo d’oggi tanto da poterla considerare donna del terzo millennio. Fedele allo spirito della cronaca del passato, nell’anniversario della morte di Marianna Farnararo, l'augurio è che possa crescere l'interesse per questa donna costruttrice di pace e amore.

(Autore: Ada Ignazzi)

*Tutto per i poveri

L’Arcivescovo Tommaso Caputo, nella sua omelia, ha commentato il Vangelo nel quale il Signore esorta ad accumulare «un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma». Guardiamo al loro esempio per non far diventare i beni materiali una «divinità o un vanto da ostentare».

La Festa del Beato Bartolo (ott. 2023) Longo si è conclusa con la Santa Messa, presieduta dall’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, all’Altare maggiore del Santuario. «È giusto – ha detto il Prelato, commentando il Vangelo (Lc 12, 32-34) – che a tutti noi venga dato di che vivere secondo principi di giustizia sociale. Abbiamo bisogno di cibo per nutrirci, di un tetto per vivere, di abiti per vestirci, di risorse per curare la salute, di mezzi per vivere anche la convivialità e momenti di serenità in famiglia.

Il problema sorge quando i beni posseduti diventano divinità o vanto da ostentare. Non può esserci Dio tra le pieghe di una vita solo orientata alla materia e dimentica dello spirito. Che vita è quella di chi non leva mai lo sguardo al Cielo?».
Anche in questo senso i Fondatori del Santuario sono modelli di riferimento. «Per noi, il Beato Bartolo Longo è un esempio irripetibile – ha continuato l’Arcivescovo – morì poverissimo. Nulla gli apparteneva.
Il 9 febbraio 1906, in udienza da Papa Pio X, il nostro Fondatore rinunciò a tutto ciò che ancora possedeva e che gli era intestato a Valle di Pompei e lo donò alla Santa Sede.
E la sua consorte, la Contessa Marianna Farnararo De Fusco, della quale il prossimo anno celebreremo il centenario della nascita in Cielo, non donò forse i suoi averi per l’edificazione del Santuario e il sostentamento delle Opere di Carità?
Bartolo Longo e la consorte, i pompeiani più illustri, hanno ascoltato e messo in pratica la parola del Signore nel Vangelo di oggi: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma”. Quanto è grande il loro tesoro nel Cielo». Al termine della Messa, la giornata si è conclusa con i fuochi artificiali offerti dall’associazione “Amici di Bartolo Longo”.
(D.L.)

*Una coppia speciale e un miracolo che dura da un secolo e mezzo

Il Beato Bartolo Longo e la Contessa Marianna Farnararo - vedova De Fusco
Nessuno avrebbe scommesso che in quella palude solitaria, infestata di zanzare, di malaria e di briganti là a “Valle di Pompei”, come si chiamava all’epoca, sarebbe sorto quel miracolo di fede e di promozione umana che è il Santuario della Madonna di Pompei e le Opere annesse. Non solo, ma quel miracolo avrebbe raggiunto i vari Continenti del mondo col sorriso di una madre: la Madonna del Rosario. Sono i disegni di Dio che spesso investono la vita degli uomini, anche a loro insaputa.
È il 1872. Bartolo Longo, oggi Beato, è un giovane avvocato con esperienze variegate alle spalle e confuso sul suo avvenire. Per motivi professionali, si occupa degli interessi terrieri di una giovane contessa, Marianna De Fusco. La donna è vedova per la morte improvvisa del marito, e con cinque bambini. Poiché non può amministrare i vasti possedimenti nel territorio pompeiano ne affida la cura all’avvocato.
Questi, nel corso del suo lavoro, osserva i contadini che lavorano con orari massacranti e vivono nella miseria; analfabeti, e senza una istruzione religiosa. Inoltre, i loro bambini sono abbandonati a sé stessi tutto il giorno, senza scuole: un popolo di esclusi da ogni relazione sociale. E ne è preso da sconcerto. Un giorno, attraversando le terre della contessa alle falde del Vesuvio, riflette sul suo futuro. La sua tristezza, come lui stesso racconta anni dopo, fu cupa e senza speranza. Ad un tratto gli tornano in mente le parole di un suo amico sacerdote: Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Questo pensiero fu come un baleno che rompe il buio di una notte tempestosa.
Con l’audacia della disperazione sollevai la faccia e le mani al cielo e rivolto alla Vergine gridai: «Se è vero che tu hai promesso a san Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa Valle di Pompei senza aver propagato qui il tuo Rosario». Dalla calma che successe alla tempesta dell’animo mio, compresi che quel grido di ambascia sarebbe un giorno esaudito. Oggi in Via Arpaia, a qualche chilometro dal Santuario, c’è una stele in marmo che ricorda il luogo dove avvenne nel giovane quella lontana esperienza interiore, che diede inizio al prodigio del Santuario della Madonna del Rosario e delle opere pompeiane. Da quella ispirazione, infatti, nasceranno scuole per i bambini, scuole serali per gli adulti, asilo infantile, case per gli orfani, per i figli e le figlie dei carcerati, laboratori di arti e mestieri, e il grande Santuario. L’avvocato si adopera presso le Autorità civili per ottenere strutture pubbliche: acqua potabile, ufficio postale, stazione dei carabinieri (vi era diffuso il brigantaggio), stazione ferroviaria, totalmente assenti nel territorio, e mille altre cose di utilità sociale. Vi concorre anche la generosità della gente con offerte dalle varie parti del mondo, dove viene conosciuta la grande esperienza pompeiana. Si verificano grazie particolari attribuite alla Madonna del Rosario, guarigioni insperate da parte di diverse persone che, per riconoscenza alla Madre di Dio, offrono quanto possono per contribuire a queste opere. Ma l’avvocato non è solo nell’impresa, ha l’aiuto prezioso della contessa Marianna De Fusco. La donna condivide l’ideale dell’avvocato e si spende anche lei per quell’Opera meravigliosa di promozione umana, religiosa e sociale per la gente di quel territorio. Purtroppo, questa donna è stata dimenticata. Molto è stato scritto dell’avvocato, un genio intelligente e indiscusso della carità, ma nulla della contessa. Tuttavia, è innegabile che la presenza di questa donna accanto a don Bartolo, è stata provvidenziale per la nascita e la crescita delle numerose opere. Marianna mette da parte il suo status nobiliare e si prodiga con grande dedizione in ogni necessità. Sarà lei la prima educatrice delle bambine orfane che la chiamavano Mamma contessa, e continuò a esserlo per molti anni, nonostante fosse madre di cinque figli che le davano anche qualche preoccupazione. Pur avendo ricevuto una buona formazione culturale come le ragazze nobili del tempo, Marianna non aveva una laurea come don Bartolo.
All’epoca gli studi universitari non erano permessi alle donne. Forse fu questo a lasciarla in ombra; infatti non compare mai nelle cerimonie ufficiali, o fu la mentalità dell’epoca che considerava le cose soltanto “al maschile”. Personalità dalla tempra volitiva, di grande intuizione e piuttosto sbrigativa, e di grande cuore. Offrì tutti i suoi gioielli per il Santuario, si spogliò di tutto a favore delle opere. Mobilitava le sue conoscenze nella nobiltà partenopea a favore del Santuario in costruzione. Talvolta, invitata, andava a qualche festa solo per parlare del Santuario e reperire fondi.
Poiché ormai, per scelta vestiva in modo dimesso, una volta un domestico non voleva farla entrare: non l’aveva riconosciuta, ma lei era la contessa di un tempo quando, elegantissima, vi partecipava col conte, suo marito. Fra i tanti eventi di Grazia e di generosità di questa storia, ve ne fu uno che rivoluzionò le vite tranquille di queste due persone. L’avvocato Bartolo Longo dopo la sua conversione, perché è un convertito, vive dell’esperienza interiore dell’Arpaja, affascinato dalla Madonna e votato totalmente alla cura delle tante opere. La contessa Marianna De Fusco, vedova, ha scelto di dedicarsi soltanto ai figli e a una intensa vita spirituale e di carità verso i bisognosi.
Queste due persone hanno fatto una scelta di vita e lavorano a un progetto di evangelizzazione e di miglioramento sociale. Sono due consacrati laici, diremmo oggi. Ma gli orizzonti dello spirito non sempre sono compresi dalla miopia delle grettezze umane. E si insinua qualche dubbio sulla loro collaborazione fino alla calunnia. Costernati e con grande sofferenza, ambedue decidono di dare le dimissioni da quelle opere e tutelare la loro dignità.
Ma le opere sono molte e piuttosto avanti e il Papa Leone XIII, che da Roma seguiva tutto, si preoccupa per la loro continuità se i Fondatori se ne vanno. E si informa se i due interessati fossero liberi. L’avvocato lo è; anche la contessa. «Allora sposatevi», dirà il Sommo Pontefice «e più nessuno avrà da malignare e le Opere andranno avanti». Don Bartolo sarà rimasto esterrefatto ricordando le vicissitudini del suo passato: desiderava sposarsi ma gli era precluso; ora glielo consiglia addirittura un Papa! Ma la sua fede è grande e accoglie nella pace il consiglio del Pontefice. E lo accoglie anche la Contessa. Sarà questa coppia particolare a portare avanti per cinquant’anni la grande Opera di fede e di promozione umana a Valle di Pompei. Una coppia bene assortita: di fronte al carattere energico e sbrigativo della contessa, faceva da contrappunto la dolcezza e la pazienza di don Bartolo. Lavoravano in tandem; anzi, don Bartolo abitualmente si consultava con lei prima di una decisione. Vi furono varie difficoltà. Quest’Opera socio-religiosa stupiva sempre di più; tra l’altro si trattava di due laici e non di religiosi, cosa che aumentava stupore e disapprovazione nelle menti più conservatrici.
Questo perché il Concilio Vaticano II (1962- 65) col Decreto Apostolicam actuositatem sul ruolo dei laici nella Chiesa, era ancora lontano. Ma è la Provvidenza a tessere i fili di quell’ordito particolare, e il Santuario ancora oggi è un faro di fede e di speranza nel mondo, specialmente per i tanti emigrati italiani all’estero. Le opere sono state poi modificate negli anni e adattate alle necessità del tempo, e sono tutt’ora operanti. Bartolo e Marianna ebbero l’intuizione di fondare una Congregazione di religiose che seguissero le Opere pompeiane per garantirne la continuità. Ancora oggi, le Suore Domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei” garantiscono il loro prezioso servizio nelle varie istituzioni, coadiuvate anche da persone laiche. L’antica città romana, distrutta dal Vesuvio nel ‘79 dopo Cristo, ha visto fiorire accanto alle sue rovine una Nuova Pompei. È una grande storia mariana che proietta la sua luce in tutti i Continenti, che guardano con fede al grande Santuario dove è venerata la Madonna del Rosario di Pompei, madre che veglia sui figli vicini e lontani.

     

(Autore: Beatrice Immediata)

*Una scuola intitolata alla Contessa Marianna

A maggio scorso, a Nocera Inferiore, è stato inaugurato, su proposta della Dirigente Scolastica Anna Cristiana Pentone, un Plesso dell’infanzia dedicato alla Consorte del Beato Bartolo Longo. «Da questo connubio tra la Contessa e il Beato

– ha commentato Monsignor Giuseppe Giudice, Vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, presente all’inaugurazione – riceviamo due grandi insegnamenti: le città possono essere costruite e ricostruite se c’è la fede e la carità».
È stato intitolato alla Contessa
Marianna Farnararo, vedova De Fusco, il Plesso dell’infanzia dell’Istituto Comprensivo “Angelo e Francesco Solimena”, di via Origlia a Nocera Inferiore. Il 30 maggio scorso, i piccoli alunni, assieme alla Dirigente Scolastica, Anna Cristiana Pentone, alle insegnanti e a tutto il personale scolastico, hanno festeggiato l’intitolazione del loro Plesso alla cofondatrice del Santuario della Vergine del Rosario di Pompei che, assieme al Beato Bartolo Longo, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, diede vita non solo al Tempio mariano, ma anche a numerose Opere di Carità e alla nuova Città di Pompei.
Alla cerimonia erano presenti, tra gli altri, il Vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, Monsignor Giuseppe Giudice, la madre generale delle Suore Domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei”, Suor Ermelinda Cuomo, e il sindaco di Nocera Inferiore, Paolo De Maio. «Una storia che continua», ha detto Monsignor Giudice. «Da questo connubio tra la Contessa e il Beato – ha, poi, continuato il Presule – riceviamo due grandi insegnamenti: le città possono essere costruite e ricostruite se c’è la fede e la carità».
A promuovere l’iniziativa è stata proprio la Dirigente Scolastica, molto devota della Madonna di Pompei, che, nelle numerose visite al Santuario mariano, ha avuto modo di conoscere sempre di più la figura della Contessa De Fusco che ha contribuito con la sua vita e la sua abnegazione alla storia religiosa e civile del nostro Paese.
«Intitolando il Plesso dell’Infanzia alla Contessa Marianna De Fusco – ha detto Anna Cristiana Pentone – abbiamo voluto offrire un tributo di riconoscenza a una delle tante donne che, seppur ancora troppo poco conosciute, hanno dato un enorme contributo alla nostra società. Spero che la Contessa sia sempre più apprezzata per il ruolo che ha avuto come cofondatrice del Santuario e della Città di Pompei ma, soprattutto, come madre dei suoi cinque figli e dei tanti bambini orfani, soli o abbandonati che, assieme a Bartolo Longo, accolse negli Istituti di Carità da loro stessi fondati nella nascente Pompei».
L’iniziativa, dunque, rappresenta un omaggio alla “dimensione femminile” dell’Opera pompeiana, alla dedizione assoluta della Contessa De Fusco all’opera fondatrice di Bartolo Longo, alla quale contribuì con il suo prestigio sociale e le sue conoscenze nella borghesia e nella nobiltà napoletana, tra le quali raccolse innumerevoli preziose offerte, ma soprattutto con la sua personalità intuitiva e intraprendente, tenace e previdente. Ad animare la cerimonia sono state le esibizioni di Solimena Choir e Solimena Orchestral.
(Autore:Marida D’Amora)

*Un'umile Coadiutrice di Dio Padre
180 anni dalla nascita della Contessa Marianna Farnararo de Fusco, cofondatrice del Santuario di Pompei
Martedì 13 dicembre 2016, Pompei celebra i 180 anni della nascita della Contessa Marianna Farnararo De Fusco, consorte del Beato Bartolo Longo e cofondatrice del Santuario, nata a Monopoli nel 1836 e scomparsa a Pompei il 9 febbraio 1924. Nata da genitori di famiglie benestanti pugliesi, rimase orfana di padre a soli dieci anni. A quattordici, la madre decise di trasferirsi a Napoli. Il 21 febbraio 1852 sposò il conte Albenzio De Fusco e, dalla loro unione, nacquero cinque figli. Ben inserita nell’ambiente della nobiltà napoletana, la Contessa restò vedova il 26 febbraio 1864.
I primi anni di vedovanza furono particolarmente duri: la giovane Marianna si trovò a dover crescere ed educare cinque figli nonché ad amministrare i beni del conte Albenzio. Vicina a Caterina Volpicelli, poi santa, ne sostenne l’opera di apostolato della carità. A Napoli frequentò gruppi di preghiera. Fu in uno di questi incontri che, tra il 1867 e il 1868, conobbe Bartolo Longo, cui nel 1872 affidò la cura dei suoi beni. Il 1° aprile 1885, Marianna Farnararo De Fusco e l’Avvocato Longo si sposarono nella cappella privata del Vicario generale di Napoli. Per delineare la figura della Contessa appare utile riprendere l’intenso e bellissimo discorso funebre che, durante le esequie dell’11 febbraio, tenne Monsignor Edoardo Alberto Fabozzi, abate della Cesarea di Napoli. “La pia gentildonna che oggi piangiamo estinta – si legge nel testo, pubblicato integralmente nel primo numero de “Il Rosario e la Nuova Pompei” del 1924 – ebbe l’onore singolare di essere designata coadiutrice di Dio in un’opera grande di luce e di salvezza che la Provvidenza voleva qui spiegare per tutti i popoli. Una donna che non dev’essere studiata solo in sé e nella sua vita, ma che interessa il mondo in quando la si presenta nella luce della sua missione, ne’ divini fulgori di questa grande Opera.
Una di quelle creature privilegiate che sono chiamate da Dio ad una missione tanto grande che esse stesse nella loro semplicità non la comprendono: una di quelle creature privilegiate che
nella loro vocazione divina trovano di conseguenza il loro Thabor, la loro trasfigurazione” Sono tre i termini che emergono da queste parole del grande oratore, il primo è “coadiutrice” di Dio. Non solo ha accolto la volontà del Padre, ma è andata oltre, aiutando la Provvidenza a realizzare il suo progetto, divenendo madre di migliaia di bambini ed adolescenti abbandonati e ponendosi a servizio della “Carità”, altro nome del Padre. La seconda parola cui porre attenzione è “semplicità”: è il tratto comune degli uomini e delle donne di Dio.

Compiono grandi opere, ma non vogliono per sé fregi o medaglie, restano nascosti perché portatori di Dio e non di sé. È quell’umiltà del cuore, così rara per l’umanità in ogni momento della sua storia, che già da sola merita ammirazione e dà testimonianza. Nel suo testamento, ricorda ancora monsignor Fabozzi, “supplicò che come la Madonna su di un carro di letame fosse portata al cimitero, per ricordare ai peccatori che per quanto si sia miserabili, si può sempre ottenere misericordia”. Per quanto Dio, nella sua onnipotenza, chieda aiuto alle mani degli uomini, l’opera è sempre sua. Non a caso Marianna Farnararo è definita “coadiutrice di Dio”, non di Bartolo Longo. La Contessa e l’avvocato di Latiano restano in disparte, evitano ogni elogio: tutto è opera del Padre. La loro grandezza è, prima ancora che nelle opere realizzate, nel “sì” alla chiamata di Dio. Un sì continuo, che conosce ostacoli da superare – quante volte Marianna Farnararo, col proprio intervento, “spiana” la strada al Longo! – ma che non ha incertezze o ripensamenti. La terza parola è “mondo”.
L’opera pompeiana, grazie al “genio intraprendente” del Longo e alla “prudenza moderatrice” della contessa, diviene universale. Il nome di Pompei è conosciuto in tutto il mondo come terra di carità e di fede, costruita sulle fondamenta dell’aiuto ai più poveri e della preghiera, con particolare riferimento al Santo Rosario. “Dinanzi a’ pellegrini che traevano senza posa a visitarla, elle – scrive ancora il Fabozzi riferendosi alla Contessa – esaltava sempre la misericordia della Madonna, che, per fondare l’Opera mondiale di Pompei, si era servita di due oscuri secolari e, aggiungeva lei, di due miseri peccatori”.
Le spoglie mortali di Marianna Farnararo De Fusco riposano nella cripta del Santuario perché i devoti possano, per un verso, pregare sulla sua tomba e, per l’altro, perpetuarne il ricordo e rinnovarne la testimonianza.

I fedeli di Maria Santissima le esprimono così, ogni giorno, la loro riconoscenza. Si racconta che la Contessa fosse instancabile nel raccontare ai pellegrini le straordinarie opere di Maria. “La sua parola semplice nel narrare le meraviglie della Madonna di Pompei – racconta ancora Fabozzi nel suo discorso funebre – diverrà ben eloquente. La sua semplicità, la sua estrema semplicità sarà anzi il segreto della sua eloquenza, e sarà soprattutto una parola inesauribile, una parola instancabile. Ella avrà l’arte, elle avrà la forza di narrare lo stesso fatto, la stessa grazia cento e mille volte.
Dopo di aver narrato una grazia a dieci, a venti gruppi di pellegrini per un’intera mattinata, al sopraggiungere di nuovi visitatori comincerà daccapo, sempre con la stessa ansia di dire”.
Oggi Marianna De Fusco continua a raccontare le meraviglie della Madonna e le narra soprattutto ai giovani, cui dedicò la vita e per cui offrì ogni risorsa materiale ed energia fisica con spirito di madre.

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