1961 Bartolo Longo
*1961 Centro Educativo Bartolo Longo *Responsabile della Comunità *Progetto del Fondatore *Un voto del nostro cuore *Le Suore nell'Istituto Bartolo Longo *Centenario dell'Istituto *Gli auguri del Papa per il Centenario *Versi di Mons. Cuomo *Il Teatro del B.L. *La Messa di Gioacchino Rossini *Un Uomo di Dio *La Carità fondamento d'ogni educazione *
*1961 C.Ed. Bartolo Longo (Pompei - NA)
(Suore Domenicane "Centro Educativo Bartolo Longo" - Via Sacra,39 80045 Pompei (NA) "Campania" Tel. 081/8577717 - E-mail: principia74@libero.it
Fondazione del "Centro Educativo Bartolo Longo"
Le Suore iniziarono a prestare la loro opera in cucina, nella lavanderia, nella stireria, il 25 gennaio del 1961.
Il Centro è diretto dai "Fratelli delle Scuole Cristiane" voluti da Bartolo Longo come educatori dei Figli dei Carcerati fin dal 13 agosto del 1907.
*Responsabile della Comunità "Bartolo Longo"
Madre Nunziatina Del Gatto (Italiana)
Comunità del "Centro Educativo Bartolo Longo"
Attualmente le Suore appartenenti alla comunità sono:
L)
Suor Maria Letizia Seeveli (Indiana)
P)
Suor Maria Pia Laranang (Filippina)
Fondato nel 1892, il "Beato Bartolo Longo" è il fiore all’occhiello dei centri educativi di Pompei. La sua istituzione dimostrò l’inesattezza della teoria lambrosiana circa l’ineducabilità dei figli dei carcerati. Oggi è profondamente cambiata la tipologia degli ospiti ma non lo spirito d’accoglienza e di promozione umana.
"… il campo della carità è così vasto – soleva dire il santo Padre Ludovico da Casoria – che produce svariati, belle e giovevoli frutti di salvezza alla civile famiglia.
Oggi, o fratelli, ci pare giunto il momento opportuno di manifestare – non senza una certa esitazione – un voto segreto del nostro animo, che da tempo chiudiamo gelosamente nel cuore con una perplessità, a volte dolorosa, la quale nasce dalk desiderio ardente di attuarlo, e dall’evidente insufficienza, e, direi quasi, impossibilità dei mezzi, per venirne a capo… Or qual è, a mio credere, la classe più abbandonata dei fanciulli in Italia e fuori?
Sono i figli dei carcerati, e segnatamente i figli dei forzati, i quali condannati a quindici, venti anni di pena, e talvolta alla galera per tutta la vita, non vedranno mai più i loro figlioli, se non forse quando questi, per effetto dei loro delitti, andranno a raggiungere i loro genitori nelle prigioni! ...
Oh, io depongo oggi nel Cuore di Gesù Cristo e nel cuore dei miei amati fratelli e sorelle, questo mio focoso desiderio, questo voto, di fondare qui, all’ombra del santuario, sotto il materno manto di Maria, un’Opera di educazione morale e civile per i figli dei carcerati, per quegli esseri abbandonati, che la sciagura dei genitori getta a languire nella via con tutti i disagi e le amarezze dell’orfano, senza averne il carattere esterno, comunemente riconosciuto, per godere dei pietosi provvedimenti istituiti a salvare l’infanzia abbandonata".
(Autore: Bartolo Longo)
*Un voto del nostro cuore
I figli dei carcerati sotto il manto della Vergine di Pompei
"Fratelli! Abbiam donato a Dio un Tempio, ed alla Madre di misericordia una Reggia, donde spargere i suoi tesori di beneficenza per coloro che gemono ed affannano.
Abbiamo eretto accanto al Tempio della fede, il tempio della Carità, ove abbiam messo in salvo le anime di creaturine infelici, di povere orfanelle, che sono anch’esse altrettanti templi dello Spirito Santo.
Ma la Carità di Cristo, che è "fuoco vivo", intende a dilatarsi sulla terra, e non guarda confini…
Oggi, o fratelli, ci pare giunto il momento opportuno di manifestare…, un voto segreto del nostro animo, che da tempo chiudiamo gelosamente nel cuore con una perplessità, a volte "dolorosa", la quale nasce dal desiderio ardente di attuarlo, e dall’evidente insufficienza, e, dirci quasi, impossibilità dei mezzi, per venirne a capo.
Il giorno indimenticabile dell’8 Maggio 1887, in cui la Regina delle Vittorie entrò solennemente incoronata a prender possesso del suo Trono, elevatole in questo Santuario dalla pietà dei figli suoi sparsi nel mondo, io deposi là, nel Cuore pietoso di Lei, il mio desiderio, di raccogliere intorno quel Trono la classe delle bambine più abbandonate, che si aggirano vagando tra le vie della nostra Italia col prossimo pericolo della perdizione. E cosifatta schiera d’innocenti sventurate, parea a me, che avesse ad essere la Corte eletta della Regina della Misericordia sulla terra di Pompei, che da mane a sera La inneggiasse con la corona del celeste Rosario.
E sì iniziai l’Orfanotrofio femminile, il quale tolse nome dalla vergine di Pompei. La Madonna benedisse l’opera caritatevole: e oggi settantacinque orfanelle vivono ricoverate qui, mediante l’inesauribile pietà vostra, o fratelli dilettissimi.
Quale prova più certa, che veramente la Madonna ci aveva messo in cuore la santa risoluzione di sposare al culto la beneficenza?
Entrando oggi, nell’Anno Quintodecimo, il Cuore divino del Figliuolo della vergine a prendere il possesso del trono anche a Lui apparecchiato, io mi sento sospinto da un’altra forza nuova e occulta a metter fuori una parola, che è pure un desiderio intenso, una fiamma, un voto, che depongono in quel Cuore di bontà sconfinata, e nel cuore pietoso dei miei amati fratelli.
Io ragiono a questa guisa. – Se entrando la Madre di misericordia in questo Santuario si scelse a sua corte una corona formata delle fanciulle più abbandonate; entrando il Figliuolo dell’Uomo, che presenta il suo Cuore riboccante di paterno amore e di compassione agli uomini, vuol certo beneficare alla classe dei fanciulli più abbandonati; …!
Or qual è, a mio credere, la classe più abbandonata dei fanciulli in Italia e fuori?
- Sono i figli dei Carcerati, e segnatamente i figli dei forzati, i quali condannati a quindici, a venti anni di pena, e volta alla galera per tutta la vita, non vedranno mai più i loro figliuoli, se non forse quando questi, per effetto di loro delitti, andranno a raggiungere i loro genitori nelle prigioni! ...
Cotesti fanciulli non sono orfani; e quindi non han diritto a godere dei benefizi civili, e dei ricoveri ed orfanotrofi provinciali o comunali.
Sono in condizione peggiore degli orfani, perché invisi ai propri cittadini in odio dei loro colpevoli genitori, portano, senza colpa, il marchio dell’infamia dei loro parenti; e lasciati con una madre per lo più povera, … senza educazione, senza freno, coi pravi esempi paterni dinanzi agli occhi, fra poco si daranno al vizio, e quindi al delitto. E presto o tardi il tetro carcere sarà inevitabilmente la loro casa. Il pane nero dello Stato sarà il loro alimento perenne…
Oh, io depongo oggi nel Cuore di Gesù cristo, e nel cuore dei miei amati fratelli e sorelle, questo mio focoso desiderio, questo voto, di fondare qui, all’ombra del Santuario, sotto il materno manto di Maria, un’Opera di educazione morale e civile pei figli dei carcerati …
Questo ramo di beneficenza cristiana esercita sul mio cuore un’attrattiva irresistibile, e mi apparisce davvero degno della più viva sollecitudine.
Che avviene infatti di una povera famiglia, quando per qualche orrendo misfatto, il padre è condannato o a perpetuo carcere, o a venti anni di pena?
La madre, forse giovane ancora, vedova desolata vivente tuttora il marito, vedendo mancare il pane in casa, è costretta a mendicare per non morir di fame lei e i figli, e diviene a sua volta vittima della seduzione o della prepotenza! …
Ora una nuova istituzione cristiana che intenda a salvare cotesta classe di fanciulli veramente abbandonati, è altamente benemerita della civiltà e della patria: dappoichè eserciterebbe anche, nel medesimo tempo, un’azione altamente educativa e moralizzatrice delle carceri e dei bagni di pena. Quando uno sciagurato… vien condannato ad essere segregato dal civile consorzio per quindici o venti lunghi anni, sottoposto a dure ed obbligatorie fatiche…, il primo effetto che risente della sua condanna è la più orrenda disperazione.
Considerando lo stato suo presente senza libertà, senza dimani, ricordando la moglie, i propri figli, fanciulli ancora; bestemmi la società, che lo ha scacciato, bestemmi Dio che lo ha creato, bestemmia sé stesso, che non sarà mai più felice…
Ora se in tale stato d’inferno il povero condannato ode che la sua famiglia, i figli suoi, non sono al tutto abbandonati; che vi ha uomini pietosi i quali prestano la mano fraterna al loro soccorso; che la "Vergine di Pompei", qual madre tenerissima, li raccoglie sotto il suo manto; oh, allora un raggio di luce squarcia quel fitto tenebrore. L’infelice galeotto al pensiero che vi ha al mondo degli uomini che pensano a lui! Ai figli suoi! Che egli non è da tutti abbandonato; senza avvedersene, diventa più rassegnato, più calmo; obbedisce a superiori, ottempera alle leggi che dapprima gli parean durissime e ingiuste.
Che è avvenuto? – Un raggio di conforto è disceso a mitigare l’inferno del suo cuore. La preghiera a Maria, quella preghiera, che era stata abbandonata dal primo giorno in che fu avvinto da catene, ritorna spontanea sulle labbra. Il povero forzato quindi innanzi, si rammenta i figli, associa involontariamente le memoria di essi con la memoria della Vergine che li ha presi a custodire. E ogni volta che li chiamerà a nome da lungi (senza speranza di risposta), invocherà ancora quel Nome benedetto che forma il conforto di tutti i tribolati. E l’amore de’ propri figliuoli gli detterà nel cuore una fervida preghiera alla celeste Consolatrice degli afflitti.
Ecco la Vergine di Pompei distendere i rami delle sue beneficenze fin dentro i più orrendi abituri de’ galeotti.
Ecco la Vergine di Pompei fatta augusta educatrice delle prigioni!
È questa l’idea, da cui un’opera cristiana al tutto nuova, di cui insino ad oggi non vi ha esempio né in Francia, né nel Belgio, né in altre cattoliche nazioni. L’Italia sarebbe la prima a possederla… pei figli dei carcerati, pei figli dei galeotti, fanciulli abbandonati all’ozio ed alla occasione del delitto, né gli Spagnoli, né altri popoli cristiani vi han rivolto il pensiero. Vi ha pensato la Madonna di Pompei! ... Ecco il voto del mio cuore… Il cuor di Gesù lo vuole! I figli dei Carcerati sono anche i figli della Madonna di Pompei!
(Avv. Bartolo Longo – da: "Il Rosario e la Nuova Pompei 1891. Pp. 274-278)
*Le Suore nell’Istituto “Bartolo Longo”
“L’Ospizio per i figli dei carcerati” fu una delle più geniali creazioni di Bartolo Longo.
La scienza positivistica del secolo scorso proclamava l’ impossibilità di educare i nati a delinquenti, fatalmente predestinati a percorrere la via della delinquenza dei loro genitori, senza che nessuna prevenzione ed educazione potesse avere effetto su di essi.
Egli invece credeva profondamente alla forza redentrice del bene e all’efficacia rinnovatrice dell’educazione e creò questa opera per combattere tale teoria.
L’ imponente edificio sulla Via Sacra, porta oggi il nome del suo fondatore ed ospita ragazzi solo in minima parte figli di carcerati.
Essi frequentano la Scuola Media o l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato..
Alla loro educazione sono preposti i Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali ebbero questo incarico dallo stesso Bartolo Longo.
Ma in esso c’è anche un piccolo manipolo di Suore del Ss. Rosario di Pompei preposte a servizi nevralgici.
La piccola comunità è composta da tre Suore, ciascuna a capo di altrettanti servizi essenziali al funzionamento dell’Istituto: guardaroba e lavanderia, approvvigionamento, cucina e servizi annessi.
Questa piccola comunità mette ogni giorno in pratica quello che Bartolo Longo voleva dalle sue Suore.
E tutti sappiamo bene che quello che vogliono i santi non è sempre facile metterlo in pratica: umiltà, modestia, lavoro indefesso, dedizione, sacrificio…
Esse svolgono una mole imponente di lavoro nascosto, e infatti raramente le si vedono a Casa Madre, ma è un lavoro indispensabile, prezioso e portatore di una grande lezione per tutti. Meritano di essere ringraziate continuamente ed ammirate.
Ve le presento tutte e due ai loro posti:
La Responsabile di Comunità: Madre Agnese Piscopo
La Vicaria: Suor Maria Felice Franzese al delicato impegno della distribuzione delle vivande e alla preparazione di succulente torte per i ragazzi e come se non bastasse è alle prese con le macchine lavatrici e per cucire.
Insomma, il lavoro non manca, ma, fortunatamente, non manca loro né la dedizione né la gioia.
*Centenario dell’Istituto "Bartolo Longo"
Ho sempre pensato che il vero inchiostro con il quale questo periodico è scritto, viene da quell’inesauribile calamaio di carità che Bartolo Longo ha lasciato ai posteri.
Uomo di preghiera anche quando impugnava la penna, il Beato ha lasciato, sotto forma di Opere, molteplici e visibilissimi "appunti" perché di questo flusso di carità, col passare del tempo, niente andasse perduto.
Di tempo, di giorni in cui mattone su mattone si ponevano le fondamenta di un edificio tutto innalzato – in nome del Vangelo – all’amore verso il prossimo, ne è trascorso davvero tanto.
Ma nemmeno lo spazio di un secolo ha fatto ingiallire le foglie di un’attualità germogliata come pianta spontanea dalle robuste radici dell’albero della carità.
È precisamente "vecchia" di un secolo L’Opera per i figli dei carcerati, uno degli "appunti" più illuminati che Bartolo Longo ha inserito in quella grande raccolta di "Miracoli" che è la Nuova Pompei. Del Centenario di questa istituzione viene celebrato, anzi sancita, una naturale e perenne giovinezza. La carità – quando è autentica – è una delle poche merci che non paga dazio di fronte al mutare dei tempi.
Possono cambiare le forme, ma la sostanza, se è tale, travalica anche i secoli.
Di questo centenario, di questa nostra festa, a me tocca parlare con la discrezione di chi ha appena il compito di introdurre e di "aprire" le pagine – come le porte di un’accogliente casa comune – al solenne e attentissimo messaggio inviato per l’occasione da Giovanni Paolo II.
Sono pagine di una nostra storia che, attraverso le parole del Papa, diventano storia della Chiesa universale.
È al centenario, ovviamente, che il giornale "Il Rosario e la Nuova Pompei" dedica il meglio di sé. Un articolo del nostro Prelato, Mons. Toppi.
Del messaggio di Giovanni Paolo II colpisce, tra le altre, un’affermazione: "Bartolo Longo fu tra i pionieri della riforma carceraria e rimane ancora oggi un punto di riferimento per quanti intendono offrire la loro opera al risanamento della società".
Se viene del tutto spontaneo pensare a quale forma di carità ricorrerebbe oggi Bartolo Longo per rispondere alle esigenze di una società così diversa e lontana dal suo tempo, bisogna anche aggiungere che al centro di tutto è la santità.
Solo i santi sanno guardare lontano ed è per questo che la santità finisce per essere la più incisiva delle forme di intervento e di presenza sociale.
Ed è anche per questo che il secolo non pesa su quest’edificio che ha la carità per fondamento.
Eppure anche, anzi soprattutto allora, mettere mano a un’impresa di carità significativa sfidare i tempi, remare controcorrente, andare a cacciarsi in quei "guai" dei quali è inevitabilmente lastricata la strada di ogni buona intenzione. Significava andare a scovare e scavare il bene in una società che mostrava di averne timore quasi quanto il male.
Il positivismo era la barriera che la scienza del tempo innalzava tra uomo e uomo; il confine artificiale e artificioso tra il bene e il male.
Attraverso le celebrazioni del centenario dell’Istituto Bartolo, è possibile ripercorrere oggi l’itinerario di una straordinaria avventura ecclesiale e umana, dalla quale Pompei è insieme protagonista e testimone.
Le pagine de "Il Rosario e la Nuova Pompei", arricchite dal messaggio del Papa, sono a loro volta i fogli di un irripetibile diario che continua ad essere scritto con l’inestinguibile inchiostro tratto dalla perenne carità di Bartolo Longo.
(Autore: Angelo Scelzo)
Primo Centenario Istituto Bartolo Longo
Sono le ore 17,30 circa del 23 maggio quando nel cortile dell’Istituto B. Longo – così come previsto dal calendario delle manifestazioni per il centenario dell’Opera per i figli dei carcerati – cominciano a presentarsi gli invitati alla celebrazione ufficiale.
La banda dell’Istituto è già riunita, accenna a qualche motivo per rendere piacevole l’attesa: ci sono gli ex alunni, ci sono numerosi rappresentanti dei Figli di S. Giovanni Battista de la Salle, venuti da ogni parte d’Italia, ci sono le Figlie del S. Rosario di Pompei con la loro Madre Generale, giungono autorità civili e militari, si presentano via via intere famiglie di cittadini pompeiani.
Intenso è, nell’attesa dell’apertura ufficiale della cerimonia, il via vai delle persone del locale in cui le Poste Italiane hanno predisposto l’annullo speciale concesso per il centenario.
Verso le 18,00 la banda richiama al "silenzio" e giungono il Cardinale Opilio Rossi, il Prelato Francesco Saverio Toppi, l’emerito Arcivescovo Domenico Vacchiano, il primo cittadino di Pompei Giuseppe Tucci, altri rappresentanti della comunità religiosa e civile.
Il corteo si dirige verso la porta d’ingresso del teatro dell’Istituto: è un primo significativo perché la struttura, nella quale Bartolo Longo aveva riposto obiettive speranze di educazione e di animazione culturale, era da alcuni anni inattiva per una serie di interventi di restauro e di ammodernamento, che hanno richiesto tempo per essere realizzati e che hanno anche dovuto saper attendere la generosità dei benefattori.
Il teatro, intitolato ai coniugi Pasquale Di Costanzo e Assunta Mattiello, è stato così riaperto alla sua funzione e si prevede che per esso abbia inizio un periodo di intensa promozione artistico-culturale e ricreativa, anche per il sostegno di una nascente Associazione culturale legata ai due personaggi cui il teatro si intitola.
Mentre il pubblico si sistema nella sala teatro dove in prima fila siedono gli ex Direttori dell’Istituto: Tullio Crocicchia, Pasquale Sorge, Rocco Edelman, Rodolfo Meoli, sul palcoscenico al tavolo della presidenza hanno preso posto il Cardinale Opilio Rossi, il Prelato Arcivescovo Mons. Francesco Saverio Toppi, l’Amministratore del Santuario Mons. Pietro Caggiano, il Vicario generale Mons. Baldassarre Cuomo, il Direttore dell’Istituto Bartolo Longo Fratel Domenico Anzini, il Sindaco di Pompei dott. Giuseppe Tucci: sono i rappresentanti ufficiali che si alterneranno per soffermare l’attenzione dei presenti sulla celebrazione giubilare.
Così il saluto del Prelato al Cardinale Opilio Rossi "per la sua presenza e per la premura attenta e stimolante con cui segue il nostro Santuario e le Opere annesse".
Ci sarà anche l’intervento del Direttore dell’Istituto: "senz’altro oggi è un giorno storico, così come lo è stato il 29 maggio 1892, giorno in cui si pose la prima pietra dell’erigendo Ospizio educativo B. Longo…
Sono cento anni di vita che si sono sgranati come un immenso Rosario con i suoi misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi e potremmo dire che ogni grano è una perla incastonata in questi cento anni di storia".
"Per noi cittadini e figli di Pompei, - ha detto poi il Sindaco Tucci – rimane difficile esprimere e rendere agli altri il significato che riveste l’Istituto B. Longo… Per noi assume un carattere di sacralità… Assistiamo ad un evento che ci rallegra e ci lascia stupiti. Siamo infatti testimoni di una carità inesauribile, che non si consuma perché è alimentata dalla fede… Anche il teatro in cui siamo sorse per volontà di B. Longo: oggi tanti ricordi di infanzia e di giovinezza di molti pompeiani riaffiorano nel rivedere il teatro dell’Istituto… Anche questa inaugurazione nasce dalla carità cristiana…".
Questi interventi ufficiali erano stati tutti preceduti dall’ascolto, per la voce di Mons. Raffaele Matrone, della lettera che il Pontefice ha fatto giungere per l’occasione giubilare al Prelato di Pompei.
La sala si è fatta silenziosa, tutti si sono alzati ed hanno ascoltato: "Ho appreso con gioia che ai memorabili eventi, che costellano la storia di codesto Santuario della Beatissima Vergine Maria del SS.mo Rosario, si aggiunge quest’anno la fausta ricorrenza del primo centenario di fondazione dell’Opera per i figli dei carcerati […] Bartolo Longo fu tra i pionieri della riforma carceraria e rimane anche oggi un punto di riferimento per quanti intendono offrire la loro opera al risanamento della società. Non potendo da solo attendere ad un’attività così vasta ed impegnativa, ricorse all’aiuto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali, da autentici figli di S. Giovanni Battista de la Salle, non hanno cessato di consacrare la loro vita alla nobile causa di tanti giovani desiderosi di acquistarsi una solida formazione spirituale e sociale.
In seguito, Bartolo Longo fondò la Congregazione delle Suore Figlie del S. Rosario di Pompei, alle quali affidò le figlie dei carcerati. L’attività educativa, svolta con spirito materno da queste Religiose, dedite al servizio di chi vive nella emarginazione, si è rivelata quanto mai opportuna e benefica.
In questi cento anni, nell’Opera fondata dal Beato Bartolo Longo sono passati circa quattromila ragazzi, dei quali il primo, Domenico Pullano, diventò sacerdote. Il 12 aprile del 1909, lunedì di Pasqua, egli celebrò la seconda S. Messa nella Cappella dell’Istituto e, commosso, amministrò l’Eucarestia anche al suo grande Benefattore, Bartolo Longo, che l’aveva amorevolmente accolto mentre si trovava in una situazione di abbandono".
È uno dei passaggi della lettera di Giovanni Paolo II, il quale ha così dato una significativa testimonianza al "Venerato Fondatore, che con animo coraggioso ed intrepido promosse e portò avanti tale opera contro ogni avversità, fidando nell’aiuto di Dio e nella materna protezione della Vergine Santissima del Rosario".
In questi cento anni sono passati circa quattromila ragazzi: ciascuno dei quali è giunto con un proprio vissuto, fatto di dolori, di tristezza, di privazioni materiali e morali.
L’esistenza di questi ragazzi e di queste ragazze sarebbe rimasta senza speranza se non fosse entrata fra le mura dell’Istituto, se non vi avesse trovato gli educatori chiamati da Bartolo Longo, i Fratelli delle Scuole Cristiane e le Suore Domenicane del Santuario, pronti a realizzare l’impegnativo progetto di ridare sorriso e gioie, di offrire un itinerario di educazione e di formazione. In questa ottica di risanamento e di animazione civile e religiosa si sono mossi in questi primi cento anni tutti coloro che hanno proseguito nel cammino intrapreso da Bartolo Longo.
In una cornice rinnovata le persone hanno seguito il messaggio del Pontefice. Da esso i presenti hanno potuto percepire con maggiore chiarezza la funzione di Bartolo Longo: quei quattromila ragazzi divenuti uomini per la fede, per la scuola, per il lavoro, per l’amore cristiano, ci dicono che la "provvida iniziativa" ha trovato nel tempo ulteriori motivi di consenso, presentandosi, all’anno giubilare nella pienezza dei suoi compiti, con una prospettiva anche più ampia, che si apre al contributo associativo esterno.
Una prima espressione di tale contributo, a chiusura della serata, dal concerto offerto dalla professoressa Cristina Mattiello per il primo centenario della fondazione dell’Istituto ed in memoria del cognato Pasquale Di Costanzo Sovrintendente del San Carlo.
Dal coro polifonico Januensis, sotto la direzione del Direttore Herbert Handt i presenti hanno potuto ascoltare la "Messa di Gloria" di Gioacchino Rossini, in una esecuzione vibrante, che ha sintetizzato il senso stesso della spiritualità del centenario.
(Autore: Luigi Leone)
Prima Foto: Le Autorità religiose e civili al loro ingresso nel cortile dell’Istituto Bartolo Longo per la commemorazione del primo Centenario di questa Istituzione.
Seconda Foto: Le Autorità religiose e civili, seguite da tutti gli invitati, fanno il loro ingresso nel teatro.
Terza Foto: Mons. Raffaele Matrone, direttore generale degli Istituti di beneficenza, legge il messaggio augurale che Giovanni Paolo II ha inviato alla Famiglia pompeiana per la fausta ricorrenza.
Quarta Foto: Il Card. Opilio Rossi, che ha presieduto tutti i festeggiamenti per il Centenario, mentre benedice il restaurato teatro dell’Istituto.
Sesta Foto: Da sinistra a destra, l’Arcivescovo di Pompei, Mons. Francesco Saverio Toppi, il Direttore dell’Istituto, Fratel Domenico Anzini e il Sindaco di Pompei, Dott. Giuseppe Tucci mentre pronunciano il loro saluto augurale.
*Gli Auguri del Papa per il Centenario dell’Istituto Bartolo Longo
Al Venerato Fratello Monsignor Francesco Saverio Toppi Delegato Pontificio per il Santuario della Beatissima Vergine Maria del SS.mo Rosario di Pompei.
1. Ho appreso con gioia che ai memorabili eventi, che costellano la storia di codesto Santuario della Beatissima Vergine Maria del SS.mo Rosario, si aggiunge quest’anno la fausta ricorrenza del primo Centenario di fondazione dell’Opera per i Figli dei Carcerati.
La provvida iniziativa, nata dal cuore del beato Bartolo Longo, si è rivelata una geniale intuizione capace di ridare il sorriso e la gioia di vivere a tanti ragazzi e ragazze in difficili condizioni familiari. Essa servì, fin dai suoi inizi, a smentire le teorie di quanti ritenevano che fosse impresa vana tentar di educare al bene i figli di coloro che avevano dato prova di tendenze trasgressive. La società colta dell’epoca, imbevuta di pregiudizi circa l’ereditarietà del carattere, mostrò scetticismo di fronte a tale nobile sforzo educativo, ma il Beato non si lasciò intimidire né indietreggiò. Con ferma costanza egli perseverò nell’iniziativa, riuscendo a conquistare alla sua causa uomini di grande prestigio, i quali giunsero ad offrire il loro contributo per la redazione del regolamento della erigenda Istituzione, basata, per volontà del Longo, sulla religione, sulla scuola, sul lavoro, e soprattutto sull’amore cristiano.
2. È noto che l’Istituto, nel corso degli anni, ha saputo forgiare personalità di grande levatura, le quali si sono distinte, oltre che per impegno cristiano e capacità professionale, anche per ineccepibile correttezza nell’esercizio di pubbliche responsabilità. Meritevole di menzione è pure l’influsso benefico svolto dall’Istituto in modo, per così dire, collaterale. Bartolo Longo, infatti, non si preoccupò soltanto della difesa dei fanciulli, figli dei carcerati, ma s’adoperò anche per recuperare i loro genitori. Sia i ragazzi accolti nell’Opera, sia i genitori carcerati venivano condotti dall’apostolo a scoprire, attraverso l’amore dell’uomo, l’amore di Dio. Nel carcerato, punito dalla società, il Beato Longo vedeva il Signore, sempre memore delle parole del Vangelo: "Ero carcerato, e mi avete visitato" (Mt 25, 36ss). Scriveva a questo proposito: "Abbracciare i figli dei carcerati e sottrarli alla miseria e all’ignominia è il modo più semplice e pratico di mostrare con i fatti ai padri e ai compagni dei padri la bontà della società che hanno offesa, e di avviarli irresistibilmente ad una rapida e completa rigenerazione".
3. Bartolo Longo fu tra i pionieri della riforma carceraria e rimane anche oggi un punto di riferimento per quanti intendono offrire la loro opera al risanamento della società. Non potendo da solo attendere ad un’attività così vasta ed impegnativa, ricorse all’aiuto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali, da autentici figli di San Giovanni Battista de La Salle, non hanno cessato di consacrare la loro vita alla nobile causa di tanti giovani desiderosi di acquistarsi una solida formazione spirituale e sociale. In seguito, il Beato fondò la Congregazione delle Suore Figlie del Santo Rosario di Pompei, alle quali affidò le figlie dei carcerati. L’attività educativa, svolta con spirito materno da queste Religiose, dedite al servizio di chi vive nella emarginazione, si è rivelata quanto mai opportuna e benefica.
In questi cento anni, nell’Opera fondata dal Beato Bartolo Longo sono passati circa quattromila ragazzi, dei quali il primo, Domenico Pullano, diventò sacerdote. Il 12 aprile del 1909, lunedì di Pasqua, egli celebrò la seconda S. Messa nella Cappella dell’Istituto e, commosso, amministrò l’Eucarestia anche al grande benefattore, Bartolo Longo, che l’aveva amorevolmente accolto mentre si trovava in una situazione di abbandono. (Foto)
4. Auspico che la ricorrenza giubilare serva ad attirare l’attenzione su codesta Casa di educazione, che conserva tutta la sua attualità, esercitando la sua benefica opera a vantaggio di tanti ragazzi e ragazze. Come agli inizi, anche oggi essa vive col sostegno della carità e della solidarietà umana e cristiana. Le celebrazioni centenarie vogliono essere, da parte di tutti, assolvimento di un debito di riconoscenza verso il venerato Fondatore, che con animo coraggioso e intrepido promosse e portò avanti tale Opera contro ogni avversità, fidando nell’aiuto di Dio e nella materna protezione della Vergine SS.ma del Rosario.
A Maria, Madre del Redentore, affidò ancora l’intera Istituzione, mentre, da parte mia, ben volentieri imparto a Lei, venerato Fratello, ai ragazzi, alle ragazze ed ai loro familiari, come pure agli educatori ed educatrici la mia speciale Benedizione Apostolica, in pegno di abbondanti favori celesti.
Dal Vaticano, 8 maggio dell’Anno 1992
Joannes Paulus II
*Mons. Cuomo nel 100° di Fondazione dell’Opera per i figli dei Carcerati
La notte che si muta in luce
Nella Valle un dì bruciata e fosca…
Cala la notte d’improvviso, e la paura
gli animi avvolge
d’incombente squallida vendetta.
I giorni mesti filtrano miseria
al pianto dei piccoli affamati,
al padre che rincorre orrori
tra le macchie e i boschi.
Giace la donna, giovane,
dal petti innanzi tempo inaridito
e gli occhi
che il dolore e l’ansia impietra…
E fugge quel padre
che torbido pensier del sangue fratricida
che or ora ha sparso ad inquinar la terra.
È notte intorno
e più note in cuore
quando, inginocchiato al suolo della Valle
un dì bruciata e fosca,
disperato implora: "Salvatemi i miei figli!"
Eco di Dio che al misero si abbraccia
egli risponde un uomo:
"Spegni i tuoi terrori:
è aperto già il mio cuore ai figli tuoi
e la mia casa.
Ma tu percorri la tua via!..."
S’ode d’allora un’armonia
che i mesti volti tinge di sorrisi.
È un cinguettio di bimbi
che i tortuosi passi della storia
di semi d’innocenza sparge
e i pianti amari
in lacrime di gioia discioglie.
Ferve la prece qui insieme col lavoro,
il nobile squillare degli ottoni
e il libro che il sapere insegna:
gli animi tutti carezza di celeste pace
un cuore.
Mira, mio spirito, e ragiona:
il filo d’erba che il deserto uccide
rechi una pietosa mano
in suolo aprico:
un verde manto bacerà la primavera…
(Autore: Mons. Baldassarre Cuomo)
Prima Foto: L’Istituto Bartolo Longo in una suggestiva visione notturna.
Seconda Foto: Per ricordare il Centenario, gli ex alunni hanno eretto, all'ingresso dell'Istituto, una lapide commemorativa in onore del Beato Fondatore.
*Il Teatro dell’Istituto Bartolo Longo – 1922-1992
Abbiamo ricevuto in lettura la relazione tecnica ed operativa dettagliata inviata alla Direzione del Santuario dallo studio associato responsabile dei lavori di restauro, di adeguamento impiantistico e dell’arredamento del Teatro ubicato nell’Istituto Bartolo Longo restituita il 23 maggio alla sua funzione.
Si tratta di un documento molto interessante, che, nell’esplicitare tutti gli interventi sulla struttura, ne chiarisce gli aspetti tecnici, le modalità, i materiali usati, con le motivazioni dell’uso permettendo al lettore di rendersi conto delle complessità stesse dei lavori, condotti in modo da assicurare funzionalità, sicurezza, stile architettonico e gusto estetico.
Foto a destra: La prof Cristina Mattiello, generosa benefattrice del restauro del teatro dell’Istituto, taglia il tradizionale nastro augurale all’ingresso della sala.
La struttura fu realizzata intorno agli anni ’20 rispettando lo stile liberty, in voga in quel periodo: i lavori attuali si sono resi necessari per consolidarla dopo l’evento sismico del 1980. Alla vecchia struttura sono stati aggiunti due nuovi corpi di fabbrica per ospitare i camerini ed i servizi igienici, da far utilizzare sia dalla platea che dalla galleria.
Anche per il bar ed il foyer, aggiunti in questa fase di ristrutturazione, è stato rispettato lo stile originario. È stata, inoltre, realizzata una sala ingresso con biglietteria, bar e guardaroba ed anche una saletta riservata per accogliere ospiti di riguardo.
L’Istituto, come si sa, si trova nel centro storico di Pompei; di qui la preoccupazione di renderlo accessibile anche per il parcheggio delle macchine.
L’intervento odierno ha realizzato anche questo, attraverso un collegamento interno dalla Via Ospizio con il cortile di rappresentanza.
La sala vera e propria offre una platea con 387 posti a sedere ed una galleria con 107 posti: 494 poltrone in tutto. È dotata di tre uscite di sicurezza, oltre all’ingresso principale e due secondari.
Il palcoscenico si presenta ora tutto rinnovato, con una superficie di 120 mq.; allestita una sala regia, una sartoria e in più parti sono state messe in opera porte tagliafuoco e sistemi di sicurezza.
Siamo dinanzi ad un intervento quasi rivoluzionario rispetto alla situazione originaria, certamente legato ad una prospettiva ricca sul piano culturale e ricreativo.
Molto curata ed ammirata al momento della riapertura inaugurale è stata la nuova definizione architettonica, sostenuta, nell’aspetto decorativo dal marmo di Verona per l’ingresso e dai lampadari di vetro di Murano, con appliques coordinate.
Nel foyer sono stati collocati i due busti dei coniugi Di Costanzo e Mattiello (scultore S. Patti), oltre a due antiche consolle napoletane.
La relazione ci è stata inviata insieme ad uno stralcio, ripreso in fotocopia, "del resoconto annuale dell’Ospizio Pontificio educativo Bartolo Longo", pag. 203, che riportiamo testualmente: "22 Ottobre – L’inaugurazione della Nuova Sala dei Convegni riesce veramente imponente, sia per la presenza dell’Em.mo Card. Augusto Silj, sia per la folla d’illustri intervenuti. Tutti hanno ammirato il discorso del Comm. Guerritore.
La giornata si è chiusa con un trattenimento poetico-musicale, nelle ore pomeridiane. Incancellabile resterà il ricordo d’una graziosissima scenetta comica eseguita dai più piccoli alunni, fra i quali destò maggiore ilarità il minuscolo protagonista Cecchino, di cui la scenetta stessa prendeva il nome".
Il progettista dei lavori ed esecutore fu allora fratel Costanzo delle Scuole Cristiane e la decorazione del soffitto venne affidata al prof. Nicola Ascione di Torre del Greco.
Oggi, a distanza di settant’anni, il teatro ha ripreso gusto, ha richiesto un intervento tecnico a più voci, per esigenze e norme sopravvenute, ma rimane una testionianza del passato che vive nel presente e guarda con speranza ad un futuro migliore, che si svolga sotto le luci della ribalta.
*La Messa di Gloria di Gioacchino Rossini
A Pompei, il restauro del Teatro intitolato a "P. Di Costanzo – A. Mattiello" è stato inaugurato con la "Messa di Gloria" di G. Rossini.
Il Teatro inserito nel complesso del Santuario, si presenta come un vero gioiello, per la sobria funzionale eleganza e per l’ottima acustica.
Con i suggestivi Teatri della Pompei romana, con le annuali manifestazioni delle Panatenee, il Teatro "P. Di Costanzo – A. Mattiello" diverrà prezioso centro di attività teatrale e musicale, e quindi sociale, particolarmente per Pompei, per Napoli, per la Campania, ma anche, ne siamo certi, per tutta l’Italia.
È stata felice scelta quella di inaugurare il nuovo Teatro con la "Messa di Gloria": per l’alta sacralità della composizione, perché la "Messa" è stata composta da Rossini a Napoli – allora capitale musicale d’Europa – ed a Napoli ha avuto la sua prima esecuzione, per la ricorrenza del bicentenario della nascita del Compositore, e di quella del centenario dell’Istituto Bartolo Longo.
Senza entrare qui in particolari musicologici, è da rilevarsi la grande importanza dell’esecuzione pompeiana anche per il fatto che l’edizione della "Messa" presentata dal direttore e musicologo Herbert Handt si basa sul materiale musicale che si ritiene fosse utilizzato da Rossini per la prima esecuzione.
Gioacchino Rossini (1792-1868) venne giovanissimo a Napoli, chiamato come compositore e direttore della musica e dei Reali Teatri di San Carlo e Fondo (oggi Mercadante).
È stata la presenza di Rossini a Napoli (1815-1822) fulgente periodo, con la creazione di nove opere per il Teatro – opere che hanno impresso un segno drammatico nuovo e geniale alla ormai inattuale "opera seria" – e con altre composizioni: tra le quali, appunto, la "Messa di Gloria".
La "Messa di Gloria" venne eseguita per la prima volta nella napoletana Chiesa di S. Ferdinando (24 marzo 1820).
Così, di quella prima, scrive il Giornale del Regno delle Due Sicilie (31 marzo 1820): "Rossini si è mostrato dotto, grave, sublime compositore di una sua musica scritta per la messa solenne, cantata […]
Tra le bellezze originali di quella nuova composizione si annoverano quelle soprattutto della Gloria. Rossini immaginò che quell’inno immortale venisse cantato da un Coro di Angeli, lieti di annunziare la gloria dell’Eterno e la pace degli uomini.
Questo felice pensiero, reso fecondo da viva immaginazione e da profondo sentire, fu espresso con tanta sublimità, che i meno facili ammiratori del compositore pesarese, dovettero riconoscervi una delle felici ispirazioni che distinguono di tempo in tempo le opere de’ sommi ingegni".
La "Messa di Gloria" – la prima musica sacra della maturità di Rossini – rappresenta, come ben sottolinea Philip Gossett, "uno degli esempi più raffinati della musica sacra italiana della prima metà dell’Ottocento".
Il purismo accademico confonde spesso il concetto di "religioso" con quello di "liturgico". Certo, la musica è ottocento, l’ottocento italiano vòlto al teatro: così egualmente "teatrale" è la musica del "Requiem" di Verdi.
Soltanto una errata concezione estetica può portare a credere che, in arte, il divino debba concentrarsi attraverso sistemi particolari. Nella "Messa" rossiniana il canto dell’anima si eleva a Dio in una forza stupenda e commossa.
Non è modo "liturgico", ma è "fede" sentita alla maniera tipica del Compositore; ed è "religione" universale dell’uomo.
Bellissimo il Kyrie (Coro), la parte più vasta di tutta la composizione, nettamente tripartita col Christe, affidato alle due voci tenorili. Fascinoso il Gloria, in cui insieme con il Coro cantano i solisti, con i due temi contrapposti: gioioso, per i pastori, etereo, per gli angeli. Seguono il Laudamus (soprano), aria ben ardua per virtuosismo ed espressività, il Gratias, dove Rossini lascia l’impronta del suo genio nell’intervento del corno inglese accanto al tenore, il Domine Deus (soprano, tenore, basso), il Qui tollis (tenore e Coro), il Quoniam, dove ancora una volta splende il genio rossiniano nell’intervento del clarinetto accanto al basso, ed infine il finale fugato Cum Sancto Spiritu (Coro) – attribuito a Pietro Raimondi – dal risolutivo effetto.
Degna di ogni elogio è risultata l’esecuzione pompeiana della "Messa". Bravissimi tutti: i solisti Anna Zoroberto (soprano), Antonello Palombi (tenore), Eugenio Favano (tenore), Maurizio Morello (basso); l’orchestra – Unione Musicisti Napoletani – e i suoi solisti (Visone, corno inglese, Russo clarinetto) ed il Coro Polifonico Januensis, guidato dal M° Luigi Porro. Ha diretto, con nobile rigore e tensione esecutiva, il M° Herbert Handt.
(Autore: Bruno Cagnoli)
Prima foto: l’orchestra durante l’esecuzione della "Messa di Gloria" di Gioacchino Rossini.
Seconda foto: il nuovo ingresso del Teatro dell’Istituto Bartolo Longo.
Terza foto: l’esecuzione della "Messa di Gloria" è stata diretta dal M° Herbert Handt.
*Un uomo di Dio
Il ciclo delle Conferenze su Bartolo Longo
La conoscenza del Fondatore di Pompei passa attraverso una lettura contestualizzata del suo retroterra storico, sociale e religioso. Ma il motivo fondamentale del suo successo va ricercato nella sua particolare esperienza dello Spirito e della Carità, centro propulsore di tutta la sua attività di manager, costruttore, promotore della devozione mariana ed educatore.
Con le due relazioni "Bartolo Longo e il suo tempo" e "Bartolo Longo servitore della carità", la prima del Dott. Domenico Lamura di Trinitapoli, l’altra di Mons. Pietro Caggiano, Amministratore del Santuario, si è concluso l’interessante ciclo di conferenze, promosso dall’Assessore cittadini della cultura, Guglielmo Loster in collaborazione con la Direzione del Santuario, in occasione del Primo Centenario (1892-1992) dell’Istituto voluto dal Beato Bartolo Longo per i figli dei carcerati.
Il ciclo di conferenze aveva come obiettivo la promozione della conoscenza del Fondatore di Pompei soprattutto nelle nuove generazioni pompeiane e il rilancio di un nuovo dibattito sulla vocazione della città che, pur nelle mutate condizioni storiche e sociali, non può prescindere, oseremmo dire, dal suo statuto fondamentale di cittadella della Fede e della carità.
Le due relazioni finali hanno per questo riproposto con chiarezza alcuni aspetti centrali del problema.
Bartolo Longo e il suo tempo
Interessarsi alla figura del Fondatore di Pompei significa innanzi tutto conoscerne non solo gli aspetti più evidenti e facilmente registrabili, quanto piuttosto il retroterra storico per valutarne appieno la personalità, o comunque gli elementi che hanno contribuito a maturarla, e conseguentemente comprende meglio, o comunque nel modo più attendibile, il segreto del suo operato ed eventualmente, ma è il caso di dire evidentemente, le cause e i motivi del suo successo relativamente al tempo in cui la sua Opera è nata, cresciuta e sviluppata.
È quando ha cercato di proporre il Dott. Lamura che, da studioso della Storia del Mezzogiorno, non ha esitato ad affermare che ogni lettura, ogni approfondimento, di Bartolo Longo al di fuori del suo contesto storico-sociale-culturale-religioso sarebbe fuorviante.
In questo senso va ricordato che il Beato, nato a Latiano nel 1841 e morto a Pompei nel 1926, vive l’arco della sua vita in pieno Ottocento e nel primo quarto del Novecento. Un arco di tempo molto significativo, soprattutto molto effervescente, per la molteplicità degli avvenimenti e delle situazioni: il travaglio politico-sociale (i moti risorgimentali e l’unità d’Italia); il travaglio culturale (positivismo, hegelismo, etc.), ricordiamo, ad esempio, che all’Università di Napoli il Longo conobbe, come illustri cattedratici, il Settembrini, l’Abignente, Bertrando Spaventa, Salvatore Tommasi; ma anche tempo della massima prostrazione per la Chiesa che doveva difendersi su più fronti e soprattutto da una cultura tenacemente laicista, atea e anticlericale: e infine tempo di fioritura di forti testimonianze di santità di vita e di impegno nel sociale del laicato cattolico. Situazioni, avvenimenti e incontri con personaggi, credenti e non credenti, che in un modo o nell’altro lasceranno un’impronta indelebile sul giovane Longo e sul suo successivo cammino di convertito, prima, e di testimone della fede, poi.
Il fatto più significativo in quest’epoca contrassegnata da profonde lacerazioni e da spaccature, che emarginarono non poco il mondo cattolico all’interno della sua stessa realtà, e che il Beato seppe coniugare con equilibrio le istanze dei nuovi fermenti risorgimentali, delle nuove idee e delle giuste rivendicazioni sociali con la carità e la visione cristiana della vita.
All’Ottocento e alla sua inquieta ricerca della verità, protratta fino al punto di vanificare e rifiutare la Fede, il Longo risponderà proprio con la Fede in nome della quale fu aperto al dialogo con tutte le culture del suo tempo e chiamò a raccolta, come consiglieri e collaboratori, credenti e non credenti. La filantropia si trasformava, così, in Carità e le istanze antropologiche e sociali dei nuovi tempi diventavano tanti canali per umanizzare e cristianizzare l’umanità.
Servitore della Carità
E, tuttavia, se tutto ciò ci indica un contesto illuminante per comprendere meglio contenuti e dinamiche dell’operato di Bartolo Longo, non ci offre, d’altra parte, il motivo fondamentale che ha reso possibile al Fondatore di Pompei di diventare un grande testimone della Fede, un Santo della nuova assistenza sociale o uno dei più grandi promotori e diffusori della devozione mariana.
Entriamo qui, in quell’affascinante avventura dello Spirito che non finisce di stupire mai e che la storia del Santuario registra con fedeltà pagina dopo pagina. Mons. Caggiano, dopo una breve introduzione d’indole statistica per evidenziare, diremmo materialmente, la pregnanza e la corposità dell’Opera pompeiana ha offerto immediatamente questa chiave di lettura: "Bartolo Longo – fu condotto dallo Spirito", di volta in volta, nel deserto o nella messe abbondante; nel buio della notte o nella luce radiante del meriggio. Egli era cosciente di questa avventura e la volle vivere integralmente.
Scriveva nel 1891, prima della consacrazione della nuova Chiesa: "Nel corso di quindici anni meravigliammo sempre di un fenomeno che accadeva dentro di noi, senza che ci fosse chiara la sua legge o si rivelasse completa la forza e l’indole della sua finalità. Che cos’era quell’impulso segreto, persistente, infaticabile, che ci ha sospinti per tanti anni a lavorare per l’edificazione di questo Tempio?".
Lo Spirito di Dio ha trovato nel Longo, dunque, un terreno fertile, una persona docile, dove poter operare senza per questo alterarne la sua specificità di laico e di avvocato: "Sono convinto che se il Fondatore di Pompei fosse stato un sacerdote o un frate non avremmo avuto questo tipo di città, di Santuario, di istituzioni sociali. Non c’era un progetto urbanistico precostituito; ma la sensibilità alle varie necessità ed urgenze guidò B. Longo nello sviluppo della borgata che diveniva sotto i suoi occhi paese e città".
La causa efficiente della santità, della duttile e versatile genialità del Fondatore di Pompei è di ricercare, quindi, nella sua disponibilità e lasciarsi sedurre dallo Spirito di Dio-Amore. Lo dimostra la sua risposta forte ed amante. A Dio che lo ha amato teneramente e che gli ha manifestato il suo progetto d’amore, Bartolo Longo ha risposto con Amore, con Carità, facendosi egli stesso dono per gli altri, dovunque e dappertutto.
La carità è stata il motore propulsore che ha animato tutta la sua vita, a tutti i livelli: come manager, costruttore, promotore della devozione mariana ed educatore.
La Carità era per lui una vera e propria forma mentis, ma non nel senso di elemosina da elargire, come egli stesso afferma: "E quando io dico questa parola carità non voglio dire, come taluni ignoranti credono, che carità significa l’elemosina; no, carità vuol dire amore perfetto, amore divino, amore che parte da Dio, involge la creatura e ritorna al suo principio".
Non sarà mai possibile interpretare correttamente B. Longo senza pensare necessariamente al ruolo e al primato che la Carità ha avuto nella sua straordinaria avventura. L’eredità da riscoprire è questa. Si tratta solo di tradurla in forme più attuali e più rispondenti alle urgenze contemporanee. Ogni altra memoria del Beato sarebbe solo uno sterile ed arido feticismo. (Autore: Pasquale Mocerino)
*La Carità Fondamento d’ogni educazione
1892 – 1992: Un secolo di Redenzione
I cento anni dell’Istituto per i figli dei carcerati ci ripropongono il carisma di un uomo, il Beato Bartolo Longo, che seppe trarre dalla sua vita, fortemente evangelica, i motivi conduttori e fondamentali della sua iniziativa educativa. In un’epoca fortemente segnata dal positivismo scientifico, egli seppe vincere la sua battaglia di educatore perché credette fino in fondo che il Cristo è il vero Redentore degli uomini.
Nel celebrare questo centenario vogliamo individuare e sottolineare quella che ne fu e dovrà ancora essere l’ispirazione fondamentale: riconoscere il Signore Gesù presente e operante col suo amore nell’uomo bisognoso di redenzione.
È questo il contenuto essenziale, costitutivo dell’Opera per i figli dei carcerati e questo deve essere il traguardo da raggiungere con le celebrazioni centenarie in programma. Dobbiamo attualizzarne il messaggio centrale con una rivisitazione della metodologia pedagogica e una rilettura dei testi originali.
È universalmente riconosciuto che Bartolo Longo fu un pioniere coraggioso, audace nel volere ad ogni costo una istituzione come questa. La scienza allora dominante sosteneva drasticamente l’irricuperabilità dei figli dei criminali; egli si batté con un anticonformismo eroico per la tesi contraria e riuscì a dimostrarla non solo in teoria, ma soprattutto con i fatti, fino a strappare il plauso e l’ammirazione degli stessi avversari.
Non si può non restare profondamente commossi dinanzi ai risultati meravigliosi raggiunti da questa geniale iniziativa, additata dai competenti del settore come soluzione emblematica di un problema acutissimo che da sempre tormenta la società.
A noi qui ora indicare e approfondire l’idea-forza che la volle e la realizzò.
La base da cui partì il nostro santo Fondatore era la fiducia nella Grazia redentrice del Cristo e nella capacità di ogni uomo di lasciarsi plasmare da una pedagogia, fondata innanzi tutto sulla componente religiosa ed espressa con un amore sincero e affettivo. "Con questo amore e per questo amore – egli affermava – si ottiene educato il fanciullo, ancorché incorreggibile, o come dicono loro, delinquente nato. Fategli comprendere che lo amate, perché è sventurato, che lo educate solo perché lo amate, ed egli vi amerà per amore si sforzerà di corrispondere alle vostre assidue e amorevoli cure che voi spendete per educarlo. E voi troverete nei fatti che la Carità supera tutti i mezzi suggeriti dalla pedagogia e dalla scienza… essa che è il fondamento d’ogni educazione" (Longo B. Il triplice trionfo della Istituzione a pro’ dei figli dei carcerati, Valle di Pompei 1902).
L’amore a cui si riferisce il Beato, è l’amore del Cuore di cristo che si comunica nell’eucarestia e permea tutta la sua pedagogia. Il grande segreto del suo sistema educativo, "ignoto del tutto ai materialisti" era la Comunione "a lungo preparata e costantemente frequentata"" (ivi, 84-85). "Nell’incontro intimo e personale della santa Comunione, che apre alla comunione e alla solidarietà con tutti, Gesù stringe a sé il piccolo reietto, si associa incredibilmente alla sua condizione di abbandono e di rifiuto, ne condivide nella Passione la maledizione, prendendo su di Sé lo stesso delitto del padre e l’avvilimento della madre, Lui che proprio nell’Eucarestia si fa pane per tutti". "E questo è lo stesso Gesù abbandonato – annota Bartolo Longo – che a me poveretto chiede di essere accolto, rispettato e amato in questi stessi orfanelli della Legge: "Chi accoglie uno di questi, accoglie Me" (Mc 9,37). Ecco la tesi che io provo luminosamente: la sacra Comunione con Cristo è il più potente mezzo di educazione dei fanciulli. Il primo elemento di educazione è l’incontro e l’amicizia lunga con Gesù" (ivi, 78).
E aggiunge ancora con entusiasmo: "Gesù Cristo vive, opera, parla, s’insinua nel cuore, produce effetti inusitati, magnanimi anche nei cuori più tiepidi, nei cuori più vili, perché Egli è vivo e vero là, nel Sacramento dell’amore, nell’Eucarestia, ed è in mezzo a noi" (ivi 82). Gesù vuole bene ai fanciulli presi dalla strada, ad essi presta le parole del "Padre nostro", le sue parole e anche il suo sentimento di Figlio. Scrive testualmente: "Così ho fatto per i figli dei carcerati. La loro educazione si diceva difficile per molti, per molti impossibile; il loro avvenire si prevedeva tristissimo, ed io… ho presentato loro e ho fatto amare Gesù" (ivi, 82).
Contrariamente ai positivisti che si fermano al padre delinquente, Bartolo Longo attraverso Gesù arriva al Padre e raccomanda di educare il fanciullo ad una continuata intimità quotidiana col Padre celeste" (ivi, 80).
Bisogna a tal fine insegnare e pregare, far "imparare Dio" e cioè che Dio è "Padre, il Padre nostro" e che noi siamo avvolti dall’abbraccio della sua paternità universale come figli e quindi fratelli tra di noi, fratelli di tutti gli uomini. Siamo nel cuore del Vangelo, in piena atmosfera soprannaturale. In essa vive, respira, opera il Beato e realizza meraviglie in tutti i campi, dal religioso al sociale, dal pedagogico all’artistico, al culturale.
Ci siamo soffermati un po’ ad ascoltare, a leggere le sue parole, i suoi pensieri dominanti e abbiamo potuto constatare come tutto in lui parte dalla fede, dalla visione cristiana della realtà e quindi dall’adozione di una metodologia interamente permeata di spiritualità.
Alla radice di tanti mali che ci affliggono e che non riusciamo a superare, c’è una mentalità secolarizzata, estranea e indifferente alla realtà di Dio, aliena dalla fede e dalla pratica religiosa. Siamo allarmati oggi particolarmente dal fenomeno della criminalità che si allarga paurosamente anche ai ragazzi.
Occorre ripresentare in termini attuali il carisma del Beato Bartolo Longo, incarnarlo con spirito di profezia nelle urgenze che premono oggi da ogni parte. Abbiamo bisogno del suo fervore, del suo zelo ardente, del suo entusiasmo, del suo slancio missionario per la diffusione del Vangelo.
Abbiamo soprattutto assoluto, estremo, urgente bisogno di cogliere il suo segreto più profondo e di farlo nostro: il rapporto personale d’amore con Gesù, che è poi il costitutivo essenziale della vita cristiana.
Da quando abbiamo riferito dobbiamo concludere che lo spirito di Bartolo Longo è completamente assorbito e comandato dal Cristo Gesù. La sua stessa devozione appassionata per il santo Rosario è motivata dalla certezza che vi riscontra il mezzo più pratico ed efficace per completare, vivere e irradiare nel mondo intero il Mistero del Cristo Gesù.
Nel Mistero del Cristo Gesù fiorisce la speranza dell’intervento dello Spirito che rinnova la faccia della terra e trasforma il cuore dell’uomo. Nel Cristo Gesù si esalta la dignità della persona umana, di ogni uomo, anche il più meschino, elevato come figlio a partecipare alla stessa vita del Padre celeste.
Nel cristo Gesù tutta l’umanità diventa una famiglia e gli uomini, tutti gli uomini, fratelli tra di loro con la legge suprema dell’amore. La Vergine Matia ci ottenga con suo Rosario questa grazia suprema: conoscere, amare e far amare il Signore Gesù, nostro Dio e nostro fratello, nostro Salvatore e nostro tutto!
(Autore: Mons. Francesco Saverio Toppi)