Santi dell' 11 Novembre
*Alice Kotowska *Bartolomeo il Giovane di Grottaferrata *Bertuino di Malone *Carlotta della Visitazione *Giovanni l'Elemosiniere *Marina di Omura *Martino di Tours *Menna d'Egitto *Menna del Sannio *Teodoro Studita *Verano di Vence *Vincenza Maria Poloni *Vincenzo Eugenio Bossilkov *Altri Santi del giorno *
*Beata Alice (Maria Jadwiga) Kotowska - Vergine e Martire (11 Novembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Varsavia, Polonia, 20 novembre 1899 - Piasnica presso Wejherowo, Polonia, 11 novembre 1939
La Beata Alice (al secolo Maria Jadwiga Kotowska), professa della Congregazione delle Suore della Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, nacque a Varsavia, Polonia, il 20 novembre 1899 e morì a Piasnica presso Wejherowo l'11 novembre 1939.
Fu beatificata da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Etimologia: Alice = nobile di aspetto, dal germanico
Martirologio Romano: Nella cittadina di Laski Piasnica presso la città di Wejherowo in Polonia, Beata Alicia Kotowska, vergine della Congregazione delle Suore della Risurrezione del Signore e martire, che durante la guerra morì fucilata per avere strenuamente difeso la sua fede in Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Alice Kotowska, pregate per noi.
*San Bartolomeo il Giovane di Grottaferrata (o di Rossano) (11 Novembre)
Rossano, Calabria, 980 c. - 1055 c.
Nacque a Rossano (Cs) nel 980 circa da una nobile famiglia, originaria di Costantinopoli. Fu battezzato con il nome di Basilio e fu istruito ed educato dai monaci del monastero di san Giovanni Calibita di Caloveto. Da qui si spostò da giovane nel monastero di Vallelucio, presso Montecassino, dove si trovava san Nilo, dal quale non si separò più. Nel 994 lo seguì a Serperi (Gaeta) dimorandovi per dieci anni. Sei anni dopo Bartolomeo e Nilo si recarono a Roma per ottenere pietà dal papa Gregorio V nei confronti di Giovanni XVI autoproclamatosi Papa, nato a Rossano; la missione non ebbe però non ebbe successo. Dopo la morte a Grottaferrata di Nilo, nel 1004, Bartolomeo fece costruire in quel luogo il monastero e la chiesa dedicata alla Madonna.
Nel 1044 fu presente al Concilio lateranense, mostrando doti di saggezza e di diplomazia. Morì forse nel 1055 e venne sepolto accanto a san Nilo nella cappella a loro intitolata nel monastero laziale. I loro resti rimasero a Grottaferrata fino al 1300; dopo questa data è scomparsa ogni traccia delle loro reliquie. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel monastero di Grottaferrata nei pressi di Frascati, vicino a Roma, San Bartolomeo, abate, che, nato in Calabria, fu compagno di San Nilo, del quale avrebbe in seguito composto la Vita, e gli fu accanto quando, ormai prossimo alla morte, fondò nel territorio di Frascati un monastero organizzato secondo la disciplina ascetica dei Padri orientali, che egli consolidò durante il suo governo facendone una scuola di scienza e arte.
Nacque a Rossano nel 980 circa da una nobile famiglia discendente da Costantinopoli. Venne battezzato con il nome di Basilio, manifestando sin da piccolo molto interesse per la vita religiosa.
A sette anni venne affidato dai genitori ai monaci del monastero di San Giovanni Calibita di Caloveto ove ricevette un’ istruzione così profonda da superare i colleghi.
Dopo cinque anni si recò a Vallelucio, presso Montecassino; in quel monastero vi era San Nilo, dal quale non si allontanò più.
Nel 994 lo seguì a Serperi (Gaeta) dimorandovi per dieci anni e osservando digiuni e astinenze e dormendo poco.
Sei anni dopo Bartolomeo e Nilo si recarono a Roma per ottenere pietà dal papa Gregorio V nei confronti di Giovanni XVI autoproclamatosi Papa, nato a Rossano; la missione non ebbe però l’effetto sperato, poiché Filogato, dopo atroci tormenti, morì in carcere.
Nel 1004 muore Nilo a Grottaferrata, dove entrambi si erano stabiliti; qui Bartolomeo fece costruire il monastero e la chiesa dedicata alla Madonna consacrata da Papa Giovanni XIX nel 1024.
Intervenne anche al Concilio Lateranense dell’anno 1044; diede prova anche di ottime capacità diplomatiche, riuscendo a placare i dissidi nati tra il duca Adenolfo e il principe di Salerno.
Fu molto amico dei pontifici Benedetto VIII e Benedetto IX, riuscendo a convincere ad abdicare quest’ultimo, che si ritirò poi nel monastero di Grottaferrata.
Bartolomeo morì forse nel 1055, venne sepolto accanto a san Nilo nella cappella a loro intitolata nel monastero laziale. I loro resti rimasero a Grottaferrata fino al 1300; dopo questa data è scomparsa ogni traccia delle loro reliquie.
Copista di molti codici, Bartolomeo è considerato il più grande innografo del secolo XI. Fra le sue opere, cui si ispirarono anche gli altri scrittori del secolo successivo, ricordiamo il “Typicon”, codice liturgico-disciplinare per il monastero; ma quella che è definita come la principale è la biografia di san Nilo.
Tutta la sua produzione letteraria in manoscritti è tuttora raccolta a Gottaferrata; di san Bartolomeo rimane una biografia di modeste proporzioni, il cui autore probabilmente sembra essere un monaco suo discepolo. Questo testo tradotto in latino e in greco venne pubblicato nel 1684 dal Possin.
Un’altra versione latina e greca venne pubblicata dal padri Maurini nel 1729. Nel 1864 venne edita la terza biografia del santo a cura del cardinale Mai, nella quale è posta in evidenza l’opera benefica di Bartolomeo per la riforma della Chiesa, insieme ad altre future “colonne ecclesiastiche” dell’epoca tra cui: Lorenzo di Amalfi, Ugo di Farfa, Pietro di Silvacandida e Ildebrando di Soana, poi pontefice con il nome di Gregorio VII.
Nella biografia del Santo, si narra anche un miracolo che sottolinea il suo amore per i poveri, accaduto pochi anni dopo la morte.
Il protagonista di questo evento è un monaco di nome Franco, il quale in fin di vita ed incapace di parlare, guarisce miracolosamente. Costui raccontò ai confratelli ormai pronti per la sepoltura che nel sonno aveva visto due colombe, una bianca e una nera, avvicinarsi a lui e guidarlo in un campo pieno di luce in cui vi era Bartolomeo con una moltitudine di poveri.
A tutti diede del pane, entrando poi in un bellissimo palazzo nel quale vi era una donna di irripetibile bellezza, cioè la Vergine Maria.
Qui Bartolomeo rivolgendosi al monaco Franco lo consiglia di ricordare ai rimanenti monaci di Grottaferrata di essere misericordiosi nei confronti dei poveri. La festa di San Bartolomeo è celebrata a Rossano e Grottaferrata l’11 novembre; nel 1858 venne estesa a tutta la Calabria. Pio XII nel nono centenario della morte dell’abate, in un messaggio all’abate di Grottaferrata definiva San Bartolomeo “luminare della Chiesa ed ornamento della sede apostolica”.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bartolomeo il Giovane, pregate per noi.
*San Bertuino di Malone - Vescovo (11 Novembre)
Martirologio Romano: Nel monastero di Malonne in Brabante, nell’odierno Belgio, San Bertuino, venerato come vescovo e abate.
Nato in Inghilterra, Bertuino fu educato nel monastero di Obtell (luogo da identificarsi forse con Outwell, nella contea di Norfolk), che faceva parte del patrimonio della sua famiglia, ed ivi divenne monaco.
Quando il vescovo della diocesi morì, il popolo obbligò Bertuino ad accettare la dignità episcopale: nella sua alta carica di distinse per le sue doti di abile amministratore, per le numerose conversioni di pagani e per la fondazione di parecchi monasteri.
Per ispirazione divina, però, decise di recarsi sul continente per predicarvi il Vangelo e, fedele alle usanze anglosassoni, volle dapprima recarsi a Roma per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Da Roma, attraverso la Gallia, si recò nel Belgio, stabilendosi a Malonne (Namur), ove costruì una chiesa e fondò un monastero, nel quale morì e fu sepolto.
Dalla Vita Bertuini, di cui esistono quattro recensioni, la più antica delle quali potrebbe risalire al sec. VIII, non è possibile dedurre con certezza l'epoca precisa in cui il santo vescovo visse: l'opinione più probabile lo attribuisce al sec. VII.
La sua festa viene celebrata l'11 novembre, ma in alcuni luoghi, recentemente, è stata trasferita al 16 e poi al 27 dello stesso mese.
Il suo culto, che è sopravvissuto alla Rivoluzione francese e alla soppressione dell'abbazia di Malonne, nel corso dei secoli ha ricevuto un notevole impulso dalla ricognizione e dalla solenne traslazione delle reliquie, avvenuta nel 1202, e dalle feste del dodicesimo centenario della morte, celebrato nel 1898 sulla base di computi non sicuri fatti da agiografi, che considerarono il 698 l'anno della morte del santo. Nel 1601 le reliquie di Bertuino furono poste in un'urna, che tuttora le contiene.
(Autore: Antonio Rimoldi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bertuino di Malone, pregate per noi.
*Beata Carlotta della Visitazione (Baudelia Duque Belloso) - Vergine e Martire (11 Novembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Teodoro (Cirilo) Illera del Olmo e 15 compagni" - Martiri
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Nava del Rey, Spagna, 22 maggio 1872 - Barcellona, tra l’11 e il 14 novembre 1936
Baudelia Duque Belloso nacque a Nava del Rey, presso Valladolid, il 20 maggio 1872. A sette anni rimase orfana di padre; era la maggiore di sei fratelli.
Nel 1886 madre Maria del Monte Carmelo del Bambino Gesù, fondatrice delle Suore Francescane dei Sacri Cuori (beatificata nel 2007), aprì una casa nella sua città. Baudelia, affascinata dallo spirito e dallo stile di vita di quelle religiose, a quindici anni domandò di entrare nel noviziato ad Antequera. Col nome di Carlotta della Visitazione, emise i primi voti in febbraio di 1889 e, nel 1893, quelli perpetui.
A ventuno anni ottenne il diploma di maestra nella Scuola Normale di Siviglia. Occupò diversi ruoli di responsabilità nella sua congregazione: segretaria della madre fondatrice, Segretaria e Consigliera Generale, Superiora di Comunità e Direttrice di Scuole della Congregazione.
La persecuzione religiosa collegata alla guerra civile spagnola la raggiunse a Vilanova di Bellpuig, vicino Lerida. Dopo che la sua comunità fu espulsa dalla casa del luogo, fu accolta dagli abitanti del paese, ma, non volendo metterli in pericolo, si rifugiò in una casa di Barcellona.
Tuttavia, la portinaia la denunciò come religiosa: fu arrestata da alcuni miliziani della Falange Armata Iberica (FAI) Venne fucilata nel quartiere marittimo di Casa Antunes a Barcellona, tra l’11 e il 14 novembre 1936. Inserita in un gruppo di sedici candidati agli altari vissuti nella diocesi di Barcellona, quasi tutti religiosi, è stata con loro beatificata il 10 novembre 2018, sotto il pontificato di Papa Francesco.
Baudelia Luisa Duque Belloso nacque il 20 maggio 1872 a Nava del Rey, presso Valladolid. Era la primogenita dei sei figli di Julián Duque Zarzuela, professore di Lettere, e di Laureana Cándida Belloso Martínez. Fu battezzata il 25 maggio 1872 nella chiesa parrocchiale dei Santi Giovanni (dedicata quindi sia a san Giovanni Battista, sia a san Giovanni Evangelista). Il 23 settembre dello stesso anno ricevette la Cresima.
Quando non aveva ancora otto anni, rimase orfana di padre. Col resto della famiglia, partecipava alle funzioni religiose, specie al pellegrinaggio notturno, illuminato da grosse candele dette “pegotes”, che preparava alla festa dell’Immacolata Concezione.
Nel 1886 arrivò a Nava del Rey madre Maria del Monte Carmelo del Bambino Gesù, che da pochissimo aveva fondato le Terziarie Francescane dei Sacri Cuori (poi Suore Francescane dei Sacri Cuori). Era intenzionata ad aprire una comunità che fosse al servizio dell’ospedale di San Michele, per la cura dei malati e l’educazione di bambini e adulti.
Baudelia, che all’epoca aveva quattordici anni, la conobbe e parlò con lei. Rimase subito affascinata dall’amore per Gesù che la fondatrice mostrava, insieme alla tenerezza che provava verso tutti e alla dedizione che insegnava alle suore della sua congregazione.
Così, ancor prima che fosse trascorso un anno dall’arrivo delle Suore Francescane dei Sacri Cuori a Nava del Rey, Baudelia cominciò il postulandato nella loro casa madre di Antequera, presso Malaga, dedicata a Nostra Signora della Vittoria.
Il 6 gennaio 1888 ricevette l’abito religioso e, con esso, il nuovo nome di suor Carlotta della Visitazione. Pronunciò i voti temporanei il 20 febbraio 1889, nella stessa celebrazione in cui madre Maria del Monte Carmelo professò quelli perpetui, che emise a sua volta il 29 agosto 1893.
Fece parte del gruppo che accompagnò la fondatrice a Marchena, dove la congregazione si assunse la responsabilità del Real Collegio di Santa Elisabetta.
La situazione era di estrema povertà: le suore avevano un materasso a testa, ma dovevano stare sotto una sola coperta in due.
Nonostante questo, suor Carlotta si gettò nella missione educativa che le spettava: in particolare, era organista e maestra dei bambini piccoli. Nell’aprile 1894 terminò gli esami di Magistero alla scuola normale di Siviglia: era la prima maestra diplomata della Congregazione.
Poco dopo, venne destinata alla scuola Sant’Angela, dove lavorò come professoressa qualificata e direttrice dell’istituto scolastico. Nel 1897 venne inviata a dirigere la scuola annessa alla casa madre di Antequera.
A venticinque anni venne nominata segretaria della congregazione e, a volte, fungeva da segretaria della madre fondatrice. La prudenza, la fedeltà e la carità con cui svolse quel compito le valse piena fiducia da parte di lei. Ricoprì altri incarichi di responsabilità: nel quarto e nel quinto Capitolo Generale, venne eletta Consigliera generale.
Intanto passò per le comunità di Calasparra, Sentmenat e Papiol, Torregrossa e Miralcamp, Valladolid e Boadilla de Rioseco, Maçanet de Cabrenys. In tutte queste destinazioni s’impegnò a servire il Signore con fedeltà.
Dopo aver terminato il suo servizio scolastico, diede ancora qualche lezione di pianoforte; a volte ricamava. Tra il 1934 e il 1935 scrisse una biografia di madre Maria del Monte Carmelo, la cui fama di santità non era venuta meno dopo la morte, avvenuta nel 1899 (è stata beatificata nel 2007). La sua ultima destinazione fu la scuola di Villanova de Bellpuig, presso Lerida.
Da qualche tempo soffriva di problemi respiratori, ma anche per alcune incomprensioni verso la sua persona.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel luglio 1936, anche a Vilanova si verificarono azioni mirate a una vera e propria persecuzione religiosa. Le Francescane dei Sacri Cuori vennero cacciate dal convento. Alcune famiglie rischiarono per averle accolte nonostante fosse stato proibito. Suor Carlotta, proprio per questa ragione, si diresse a Barcellona. Trovò rifugio in un appartamento al primo piano del palazzo al 367 di Avenida Diagonal.
Tra l’11 e il 14 novembre 1936, tuttavia, la portinaia dell’edificio la denunciò in quanto religiosa e segnalò ai miliziani l’appartamento dove si trovava. Quando la catturarono, con lei c’era una giovane serva: madre Carlotta fece presente di essere lei una religiosa, ma la ragazza non lo era.
Venne quindi trasportata sulla spiaggia del quartiere marittimo di Casa Antúnez. Insieme a lei, davanti al plotone d’esecuzione, c’era un sacerdote, Enrique Sebastiá Bayón. I carnefici le offrirono la libertà se avesse rinunciato alla fede, ma lei gridò: «Viva Cristo Re!», mentre le sparavano.
Madre Carlotta è stata inserita nella causa di beatificazione e canonizzazione volta ad accertare il martirio di tredici candidati agli altari, morti nella medesima persecuzione e vissuti nella diocesi di Barcellona. A capo del gruppo è stato posto padre Teodoro Illera del Olmo, superiore della comunità di Sant Feliu de Llobregat della Congregazione di San Pietro in Vincoli.
Il nulla osta per l’avvio della causa rimonta all’8 marzo 2006. Il 26 ottobre dello stesso anno è stato emesso il nulla osta anche per tre laici che avevano ospitato e aiutato alcuni religiosi della Congregazione di San Pietro in Vincoli, che sono stati inclusi nella causa.
Il processo diocesano per padre Teodoro Illera del Olmo e quindici compagni, dunque, è stato aperto a Barcellona il 25 gennaio 2007 e concluso il 26 novembre 2010. Il decreto di convalida degli atti dell’inchiesta porta la data del 27 giugno 2012.
La “Positio super martyrio”, trasmessa nel 2016, è stata quindi esaminata dai Consultori Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, poi dai cardinali e dai vescovi membri della stessa Congregazione.
Il 18 dicembre 2017, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui i sedici Servi di Dio, incluse quindi le tre Cappuccine della Madre del Divin Pastore, potevano essere dichiarati martiri.
La loro beatificazione è stata celebrata nella basilica della Sagrada Familia di Barcellona il 10 novembre 2018. A presiedere il rito in qualità d’inviato del Santo Padre, il cardinal Giovanni Angelo Becciu, successore del cardinal Amato come Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Carlotta della Visitazione, pregate per noi.
*San Giovanni l'Elemosiniere - Vescovo Patriarca di Alessandria d’Egitto (11 Novembre)
Cipro, 556 - Alessandria d’Egitto, 617
San Giovanni Elemosiniere nasce intorno al 556 nell'isola di Cipro, ad Amatonte.
Sin dall'infanzia si manifestarono nel piccolo Giovanni i segni della santità.
Ma ubbidendo alle volontà dei suoi genitori, venne avviato agli studi e al matrimonio, sebbene egli fosse riluttante.
Ebbe due figli che, però, prematuramente morirono insieme alla moglie.
Libero da ogni legame terreno, Giovanni si dedicò a Dio e ai poveri, «i miei padroni e signori».
Alla morte del Patriarca di Alessandria d'Egitto, Giovanni, per acclamazione del popolo, salì sulla cattedra vescovile, trasformando la città in un centro di studi e di virtù cristiane. (Avvenire)
Patronato: Casarano (LE)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Ad Limassol nell’isola di Cipro, transito di San Giovanni l’Elemosiniere, vescovo di Alessandria, insigne per la misericordia verso i poveri: pieno di carità verso tutti, fece costruire in gran numero chiese, ospedali e orfanotrofi e si adoperò con somma sollecitudine per alleviare il popolo da ogni miseria, facendo a tal fine uso dei beni della Chiesa ed esortando assiduamente i ricchi alla beneficenza.
1. La vita
San Giovanni Elemosiniere nasce, intorno al 556, nell’isola di Cipro, precisamente nella città di Amatonte, dove il padre Epifanio è il governatore.
Sin dall’infanzia si manifestano nel piccolo Giovanni i segni della santità e della pratiche di carità verso i poveri e i diseredati.
Ubbidendo alle volontà dei suoi genitori, viene avviato agli studi e ben presto anche al matrimonio, sebbene egli fosse riluttante.
Dal matrimonio nascono due figli che, però, prematuramente muoiono insieme alla moglie.
Libero da ogni legame terreno, Giovanni si dedica a Dio e ai poveri che egli è solito chiamare “i miei padroni e signori”.
La santità della sua vita si diffonde in tutto l’Oriente e alla morte del Patriarca di Alessandria d’Egitto, Giovanni, per acclamazione del popolo, sale sulla cattedra vescovile. Trasforma la città in un centro di studi e di virtù cristiane, istituisce ospedali e case di riposo.
Ogni giorno distribuisce l’elemosina a circa 7.000 poveri e da qui l’appellativo di “Elemosiniere”.
Muore intorno al 617, ultrasessantenne.
La fama della sua santità si diffonde ben presto in tutto il mondo orientale e ben presto arriva anche in Europa, grazie all’espansione militare ed economica di Venezia, che dal 1500 ospita il venerato corpo nella chiesa di San Giovanni Battista in Bragora.
2. Il culto
In Italia, il culto di San Giovanni Elemosiniere è concentrato esclusivamente nelle comunità di Casarano e Morciano di Leuca, nel Salento, e Venezia. Nei primi due centri, il Santo è invocato come patrono principale mentre nella città lagunare, dove riposa il corpo, sorge una chiesa in suo onore.
La devozione più importante è, sicuramente, quella presente nella città di Casarano, sviluppatasi intorno all’anno 1000 grazie all’opera dei monaci basiliani, rifugiatisi nel Salento per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste.
Enorme è stato nel corso dei secoli il culto dei Casaranesi nei confronti del loro Patrono.
A lui si additano numerosi miracoli, quello della lacrimazione nel 1715, il prodigioso spegnimento di un disastroso incendio, l’allontanamento di un turbine, questi ultimi avvenuti tra il 1730 e 1750, e il più famoso avvenuto il 31 maggio 1842, quando la città fu risparmiata da incessanti piogge.
Nella Chiesa Madre della città, intitolata all’Annunciazione di Maria (ma in alcuni documenti anche a San Giovanni) sono conservati due spettacolari dipinti della vita del Santo, ubicati nel coro, dietro il presbiterio.
La statua in legno veneziano, probabilmente del 1600, fa bella mostra di sé in una nicchia posta in “cornu epistolae” dell’altare del Santo, sublime e prezioso esempio del barocco leccese. Altre immagini del Presule abbondano nel tempio.
Nella chiesa sono accuratamente conservate, inoltre, alcune reliquie come l’intero dito pollice della mano destra, un dente e un pezzo di costola, il fazzoletto impregnato di sudore, col quale fu asciugato il viso durante il miracolo del 1842 e la tonacella appartenuta al Santo che la utilizzava durante le funzioni liturgiche.
Casarano festeggia San Giovanni Elemosiniere per ben tre volte nel corso dell’anno: il 23 gennaio, giorno della solennità liturgica, la terza settimana di maggio (con un sfarzosa festa civile e religiosa) e il 31 maggio, per la commemorazione del miracolo del 1842.
La statua viene ulteriormente portata in processione durante i festeggiamenti della Madonna della Campana, patrona secondaria.
La città è piena di immagini del Santo Patrono: tra esse spicca per la bellezza e per l’originalità, la colonna barocca di San Giovanni, simbolo cittadino, che sorge nel centro geografico del paese, con la statua bronzea sul pinnacolo.
Molte associazioni cittadine portano il nome del Santo; la più importante è la confraternita, eretta nel 1914 e conta tuttora oltre 800 iscritti fra uomini e donne.
In chiesa Madre, sono conservati i testi originali della messa propria con prefazio e dell’ufficio di San Giovanni, concessi nel 1741 dalla Santa Sede.
Prima del Concilio Vaticano II, la messa era celebrata in rito duplex di 1a classe con ottava sia per il 23 gennaio che per la terza settimana di maggio; in seguito alla riforma liturgica, oggi la messa è officiata con il grado di solennità per il 23 gennaio, mentre dal 1995 la Sacra Congregazione dei riti, che ha rivisto i testi liturgici del 1974, ha concesso l’indulto per la festa di maggio, istituendo la messa col grado di memoria.
Nel 1974, la città di Casarano ebbe l’onore di ospitare temporaneamente il venerato corpo di San Giovanni Elemosiniere.
L’eccezionale trasferimento fu possibile tramite l’interessamento del Patriarcato di Venezia, in queltempo guidato dal Cardinale Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I.
La teca contenente i sacri resti giunge in città il 19 gennaio e vi rimase fino al 2 giugno dello stesso anno.
Per l’occasione, furono organizzati grandiosi festeggiamenti e al termine fu redatto l’atto di gemellaggio fra le comunità di Casarano e Venezia, in duplice originale, di cui uno si conserva nella sagrestia maggiore della Chiesa Madre e l’altro è affisso nel cappellone della Chiesa della Bragora, vicino alla tomba del Santo.
(Autore: Gruppo “Amici di San Giovanni Elemosiniere” - Casarano (LE) Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni l'Elemosiniere, pregate per noi.
*Santa Marina di Omura - Vergine e Martire (11 Novembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene
"Santi Martiri Domenicani in Giappone"
+ Nagasaki, Giappone, 11 novembre 1634
Giapponese di nascita, già giovanissima divenne terziaria con voti privati religiosi. Fu accusata di collaborazionismo con i missionari occidentali, venne così arrestata e bruciata viva sulla santa collina di Nagasaki l'11 novembre 1634.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, Santa Marina di Omura, vergine e martire, che, gettata in prigione, fu pubblicamente esposta alla derisione della sua castità e infine bruciata sul rogo.
Marina era originaria di Omura, nei pressi di Nagasaki in Giappone. In giovanissima divenne terziaria domenicana emettendo i voti religiosi in forma privata.
La sua amata patria fu ripetutamente attraversata da feroci persecuzioni contro i cristiani ed anche lei venne accusata di collaborazionismo con i missionari occidentali domenicani dei quali era ospite.
Nel 1634 venne dunque arrestata ed incatenata, poi pubblicamente oltraggiata e violata nel pudore ed infine bruciata viva a fuoco lento sulla santa collina di Nagasaki l’11 novembre dello stesso anno.
Per procedere alla sua elevazione agli onori degli altari Marina fu aggregata ad un gruppo complessivo di sedici martiri domenicani di varie nazionalità, tutti uccisi in terra giapponese, capeggiati da Lorenzo Ruiz, primo santo di origini filippine.
Il gruppo fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1981 a Manila nelle Filippine e canonizzato a Roma dal medesimo pontefice il 18 ottobre 1987.
Mentre la commemorazione della singola Santa Marina di Omura ricorre nel Martyrologium Romanum nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 28 settembre.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Marina di Omura, pregate per noi.
*San Martino di Tours - Vescovo (11 Novembre)
Sabaria (ora Szombathely, Ungheria), 316-317 - Candes (Indre-et-Loire, Francia), 8 novembre 397
Nasce in Pannonia (oggi in Ungheria) a Sabaria da pagani. Viene istruito sulla dottrina cristiana ma non viene battezzato.
Figlio di un ufficiale dell'esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia.
È in quest'epoca che si colloca l'episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l'esercito nel 356, già battezzato forse ad Amiens, raggiunge a Poitiers il vescovo Ilario che lo ordina esorcista (un passo verso il sacerdozio).
Dopo alcuni viaggi Martino torna in Gallia, dove viene ordinato prete da Ilario.
Nel 361 fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours.
Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell'altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier.
Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne.
Muore a Candes nel 397. (Avvenire)
Patronato: Mendicanti
Etimologia: Martino = dedicato a Marte
Emblema: Bastone pastorale, Globo di fuoco, Mante
Martirologio Romano: Memoria di San Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell’odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero.
Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers.
Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore.
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale.
Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo.
Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia.
É in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima.
Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio.
Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier.
Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora "il Dio che si adora nelle città".
Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni.
Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire.
La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Martino di Tours, pregate per noi.
*San Menna d'Egitto - Eremita (11 Novembre)
+ 300 circa
Nonostante la sua figura sia storicamente discussa, Menna è tuttora il santo più popolare in Egitto.
Sul suo sepolcro si sviluppò una città (in arabo Karm Abu Mina), detta per i miracoli «la Lourdes paleocristiana».
Secondo alcune fonti fu un militare del III secolo, che rinunciò alla carriera per farsi eremita e fu martirizzato sotto Diocleziano.
Per altre in Egitto arrivarono le reliquie di un martire della Frigia (Turchia). Altre ancora lo ritengono del secolo IX.
Un Santo omonimo, eremita del VI secolo, si festeggia, sempre oggi, a Sant’Agata dei Goti, nel Sannio. (Avvenire)
Patronato: Pellegrini, Mercanti, Carovanieri del deserto
Emblema: Cammello
Martirologio Romano: Oltre il lago Mareotide in Egitto, San Menna, martire.
Il culto di San Menna è assai antico, purtroppo non supportato da provi storiche, ma la sua esistenza pare non essere messa in dubbio.
La sua storia originale è andata persa e fu riscritta successivamente sfruttandone un’altra, forse quella del martire San Gordio.
Essendo stata inoltre arricchita di ulteriori dettagli fantasiosi nel corso di generazioni, risulta impossibile ricavare da tale racconto la realtà dei fatti.
Tra le poche cose che si possono affermare con certezza sul suo conto è che fosse egiziano e nella patria fu martirizzato e sepolto.
Assai più ricca di dettagli è invece la leggenda, secondo la quale fu soldato nell’esercito romano e fu colto dallo scoppio della persecuzione indetta da Diocleziano quando era in servizio militare a Cotyaeum in Frigia.
Decise dunque di lasciare l’esercito ed intraprese una vita di preghiera ed austerità come eremita fra le montagne. Un giorno entrò nell’anfiteatro di Cotyaeum durante i giochi dichiarandosi cristiano, fu immediatamente arrestato ed il presidente del tribunale ordinò di torturarlo e decapitarlo.
Le sue spoglie mortali furono riportate in Egitto ove ricevettero sepoltura. Sulla tomba si verificarono non pochi miracoli ed il suo culto, quale Santo guerriero, si estese in tutto l’Oriente.
Alcune chiese furono edificate in suo onore, anche a Cotyaeum.
Il sepolcro costruito sulla sua tomba del Santo a Bumma (Karm Abu-Mina), nei pressi di Alessandria d’Egitto, fu una frequentatissima meta di pellegrinaggi sino all’invasione araba del VII secolo.
Tra il 1905 ed il 1908 furono scoperte le rovine di una basilica, un monastero, delle terme ed anche alcune piccole fiale con l’iscrizione “Ricordo di San Menna”, tutto ciò a testimoniare l’antico culto tributatogli.
Le fiale erano utilizzate per attingere acqua da un pozzo attiguo al reliquiario.
Fiale simili, ritrovate in Africa ed Europa, pare fossero utilizzate per custodire l’olio di San Menna prelevato dalle lampade della basilica del Santo.
Nel 1943 il patriarca ortodosso alessandrino Cristoforo II attribuì a San Menna la sconfitta dell’esercito di Rommel ad El Alamein e la conseguente salvezza dell’Egitto, proponendo di restaurare il diroccato sacrario del Santo in memoria dei caduti in battaglia. San Menna è particolarmente invocato per ritrovare gli oggetti smarriti.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Menna d'Egitto, pregate per noi.
*San Menna del Sannio - Eremita (11 Novembre)
Martirologio Romano: Nel Molise, commemorazione di San Menna, eremita, le cui virtù sono ricordate dal Papa San Gregorio Magno.
Le notizie pervenutaci su questo santo eremita appartengono a San Gregorio Magno, il quale era contemporaneo e quindi essendo l’unico testimone è anche il più autorevole e veritiero, altre notizie successive provengono da Leone Marsicano in particolare riguardo le successive traslazioni.
Nativo di Vitulano nel Beneventano, di nobili origini, fu eremita o “solitario” sui monti del Sannio, conducendo una vita poverissima, piena di aspre penitenze e meditazioni, alloggiando in una grotta.
Morì verso il 3 novembre del 583, data in cui il suo corpo fu portato nella città di Sant' Agata dei Goti, dove ricevette da subito un culto generale, della di lui vita poco si sa, ma doveva essere molto conosciuto dagli abitanti dei paesi nei dintorni del monte dove stava; secondo la ‘Vita’ di Leone Marsicano nel 1094 il suo corpo fu trasferito nella città di Caiazzo; sulle alture di Vitulano esiste ancora un antichissimo oratorio sorto sul luogo della sua morte, meta di pellegrinaggi.
Anche a Sant' Agata dei Goti esisteva un’antica chiesa intitolata al suo nome e quando nel 1114 per interessamento di Roberto il Normanno fu completata e consacrata la cattedrale da Papa Pasquale II, essa fu intitolata oltre al Salvatore, alla Madonna e ai SS. Pietro e Paolo anche a San Menna confessore.
Nel 1705 il vescovo di Sant'Agata dei Goti Filippo Albini, nobile cultore delle arti, rinnovò nella diocesi il culto di San Menna elevandolo a “Santo protettore meno principale” dedicandogli nel Duomo una cappella con altare e facendo dipingere una pala che lo raffigura in meditazione, dal pittore Tommaso Giaquinto.
É anche patrono della città di Vitulano; la sua festa liturgica originariamente al 10 novembre, così come registrata in antichi codici, fu poi trasferita all’11 novembre, forse per la coincidenza nello stesso giorno del grande Santo Menna martire in Egitto.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Menna del Sannio, pregate per noi.
*San Teodoro Studita - Abate (11 Novembre)
Costantinopoli, 758 – Calkite, Bitinia, 11 novembre, 826
San Teodoro Studita fu un monaco cristiano divenuto famoso per la sua zelante opposizione all’iconoclastia, per la regola monastica da lui introdotta e per il gran numero di liturgie da lui composte, in particolare la “Lenten Triodion” che è ancora oggi molto usata nella Chiesa ortodossa.
Martirologio Romano: A Costantinopoli, San Teodoro Studita, abate, che fece del suo monastero una scuola di sapienti, di santi e di martiri vittime delle persecuzioni degli iconoclasti; mandato per tre volte in esilio, ebbe in grande onore le tradizioni dei Padri della Chiesa e per esporre la fede cattolica scrisse alcune celebri opere su temi fondamentali della dottrina cristiana.
Teodoro nacque a Costantinopoli intorno al 758 e sin dalla gioventù si batté coraggiosamente in difesa delle sacre icone presenti nella capitale dell’impero bizantino, minacciate dall’avversa politica religiosa imperiale.
Nel 794 succedette a suo zio Plato, che dieci anni prima lo aveva persuaso a prendere i voti monacali, nella direzione del monastero di Sakkoudion in Bitinia. Poco tempo dopo tuttavia fu mandato in esilio a Tessalonica per aver scomunicato l’imperatore Costantino VI, poi venerato anch’esso come santo, che aveva divorziato dalla moglie Maria per sposare Teodota.
Nel 797, dopo la morte dell’imperatore, Teodoro fu richiamato in patria con tutti gli onori, lasciò Sakkoudion che nel frattempo era stata saccheggiata dagli Arabi e si trasferì nel monastero di Studion in Costantinopoli, dal quale prese il suo soprannome.
Qui intraprese una forte campagna in favore dell’ascetismo e di radicali riforme monastiche. I punti focali della sua regola, utilizzata in seguito sia nei monasteri bizantini che in quelli russi, come Pečerska Lavra e Pocaiv Lavra, furono la clausura, la povertà, la disciplina, lo studio, i servizi religiosi ed il lavoro manuale.
L’abate Teodoro viene ricordato anche per aver autorizzato i suoi monaci a sbriciolare noce moscata, una delle spezie più costose all’epoca, sulla loro zuppa di piselli quando questi erano costretti a mangiarla.
Nel 809 Teodoro fu nuovamente bandito a causa del suo rifiuto di ricevere la comunione dal patriarca Niceforo, il quale aveva reintegrato il sacerdote Giuseppe reo di aver officiato le nozze tra Costantino e Teodota.
Due anni dopo l’imperatore Michele I, sul quale aveva molta influenza, lo richiamò dall’esilio, ma fu di nuovo bandito nonché flagellato nel 814 a causa della sua strenua opposizione all'editto iconoclasta promulgato dall’imperatore Leone V, col quale si proibiva la venerazione delle immagini sacre.
Liberato nel 821 dall’imperatore Michele II, promosse nel 824 un’insurrezione contro lo stesso, dal santo giudicato troppo indulgente nei confronti degli iconoclasti.
Quando però i suoi piani falliriono, Teodoro ritenne allora opportuno allontanarsi da Costantinopoli.
Da quel momento visse peregrinando fra vari monasteri in Bitinia e morì in quello di Calkite l’11 novembre 826.
Sepolto inizialmente propiro in tale monastero, il suo corpo fu successivamente traslato nel monastero di Studion il 26 gennaio 844.
É festeggiato come Santo dalla Chiesa cattolica nell’anniversario della morte, mentre nell’ortodossia si dedica alla sua memoria anche l’anniversario della traslazione.
San Teodoro compose parecchie opere letterarie: lettere la cui importanza è costituita dal quadro della vita e del carattere del Santo che in esse si desume e facenti inoltre luce sulle dispute teologiche cui intervenne, opere di catechesi suddivise in due collezioni rivolte ai monaci e contenti moniti e consigli connessi con la vita spirituale e con l’organizzazione monasteriale, orazioni funerarie per la propria madre e per lo zio Plato, opere teologiche incentrate sull’adorazione delle immagini sacre, epigrammi su vari soggetti, alcuni dei quali dimostrano una considerabile originalità, ed alcuni inni sacri.
Inoltre, come tutti i monaci dello Studion, San Teodoro fu inoltre celebre per la sua calligrafia e per la sua bravura nel copiare manoscritti.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teodoro Studita, pregate per noi.
*San Verano di Vence (11 Novembre)
Sec. V
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Vence in Provenza, commemorazione di San Verano, vescovo, che, figlio di Sant’Eucherio vescovo di Lione, fu educato nel monastero di Lérins e scrisse una lettera al Papa san Leone Magno, ringraziandolo per la fede nel Verbo incarnato da lui difesa nella lettera a Flaviano.
Nome insolito, quello del Santo di oggi: pochissimo diffuso, eppure suggestivo, se è vero che deriva dalla parola latina ver, cioè dal nome della primavera.
A Roma esiste il " Campo Verano ", il campo cioè della primavera. Oggi vi si distende, accanto alla gloriosa basilica di San Lorenzo, il cimitero più caro al cuore dei Romani: e il nome primaverile di Verano non suona né fuor di luogo né irriverente, perché proprio i morti sono, per i credenti, i trepidi germogli dell'immortalità, i fiori dell'eterna promessa.
San Verano fu Vescovo in Francia, un secolo dopo l'altro grande Vescovo francese che oggi occupa il posto d'onore nel calendario, cioè San Martino di Tours.
Fu Vescovo di una ridente cittadina della Provenza, oggi prediletta dagli artisti e dai poeti, chiamata Vence e ormai entrata a buon diritto nella storia dell'arte contemporanea, soprattutto per una celebre cappella ideata e decorata da Henri Matisse qualche decennio fa.
Di Vence San Verano fu il secondo Vescovo, alla fine del V secolo. Egli era figlio di Sant'Eucherio, Vescovo di Lione, e aveva un fratello di nome Solonio.
Quando Eucherio ebbe una certa età, si associò i due figli, come aiutanti nelle cure dello Episcopato.
La vicenda, fino a questo punto, ci lascia un po' perplessi, non tanto perché ci troviamo di nuovo di fronte a un vescovo con famiglia, cosa assai frequente, come abbiamo altre volte detto, in un tempo in cui il celibato ecclesiastico non era stato ancora codificato, ma perché ci sembra un po' troppo paternalistica e umanamente ovvia la scelta dei propri figli come collaboratori alla cattedra vescovile!
Fatto sta, però, che l'iniziativa del Vescovo di Lione si rivelò presto saggia e provvidenziale. Occorre dire, intanto, che i due ragazzi erano stati educati nel monastero della celebre Isola di Lérins e che, desiderosi di imitare il padre, gareggiarono con lui in tutte le più alte virtù. E tutti e due divennero Vescovi, come il padre: uno a Vence, l'altro a Ginevra. San Verano, Vescovo della piccola diocesi provenzale, si fece notare e apprezzare dai Papi Leone I e Ilario, come saldo e sereno sostenitore della dottrina ortodossa contro gli eretici francesi.
Questi atti ufficiali nella storia della Chiesa sono press'a poco l'unica testimonianza superstite dell'attività saggia e santa del Vescovo Verano, i cui tratti personali sono quasi del tutto cancellati dalla foschia dei secoli.
Neanche le sue reliquie sono restate a nutrirne la devozione, perché non si sa con precisione dove si trovino, se a Vence oppure a Lione.
Sono restate però anche alcune sue parole, in una lettera diretta al Papa Ilario. E queste testimoniano assai bene il rispetto, l'obbedienza e l'umiltà dell'antico Vescovo francese. "Io, Verano - egli scrive infatti al Papa - che riverisco il Vostro apostolato, saluto la Vostra Beatitudine e vi chiedo di pregare per me".
(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - San Verano di Vence, pregate per noi.
*Beata Vincenza Maria (Luigia) Poloni - Religiosa (11 Novembre)
Verona, 26 gennaio 1802 - 11 novembre 1855
Quando le prime Sorelle della Misericordia giunsero a Mantova, verso la fine del 1800, avevano sicuramente ancora vivo il ricordo di Madre Vincenza che nel 1855, dopo aver inutilmente combattuto contro la malattia, le aveva lasciate a don Carlo Steeb, ormai avanti con l’età, e alla loro forza interiore, la forza che lo Spirito aveva suscitato in loro con la stessa vocazione alla vita religiosa.
Ma quel seme, che portava impresso in sé più che le parole l’esempio della madre, fortificato come essa voleva nella preghiera, nell’abbandono alla Provvidenza, in uno spirito di sacrificio e in uno stile ascetico, non poteva non crescere forte e solido fino ai nostri giorni.
Ancora oggi le Sorelle della Misericordia sono presenti a Mantova: nell’educazione con la scuola dell’infanzia “Mons. Martini”, nell’assistenza agli anziani con la R.S.A. “Casa Pace”, con la comunità “Mons. Martini” di piazza Stretta, con l’impegno nelle attività di pastorale della parrocchia del Duomo e con il volontariato presso la Casa Circondariale di Mantova.
Qualche nota biografica
Madre Vincenza, al secolo Luigia Poloni, nacque a Verona, in piazza delle Erbe, il 26 gennaio 1802 e fu battezzata lo stesso giorno nella vicina chiesa di Santa Maria Antica alle Arche Scaligere.
Ultima di 12 figli, Luigia cresce in un ambiente cristiano e fervorosamente impegnato nella carità. Il padre, droghiere, apparteneva alla Fratellanza cioè a quella che oggi definiremmo una “associazione di volontariato” rivolta in modo particolare ai concittadini che, a causa dei continui scontri tra l’esercito francese e quello austriaco che allora si contendevano la città, versavano nei più diversi bisogni.
L’attenzione agli altri, lo spirito di sacrificio, uno sguardo attento accompagnato da mani operose, un servizio puntuale ma mai umiliante sono sicuramente i tratti che Luigia ha acquisito con l’educazione, fondati su “quei valori che danno credibilità e spessore alla fede”.
Nulla di eclatante e molta “ferialità” nei gesti di Luigia: la carità ha mille nomi e altrettanti volti; come i cerchi di un’onda, si espande ovunque in ugual misura ed è proprio per questo che tutti coloro che ne sono toccati percepiscono che il cuore della carità è la gratuità.
Nella giovinezza Luigia, che aiuta il papà nelle attività caritative, conosce don Carlo Steeb. Questi, proveniente dal luteranesimo, era divenuto cattolico tutto d’un pezzo: sacerdote zelante soprattutto in campo caritativo.
A lui, la giovane Luigia confida le sue aspirazioni profonde, i desideri che la animano e soprattutto quella costante ricerca della volontà di Dio che è il presupposto di ogni cammino di santità.
Sarà proprio don Carlo a proporle, dopo averla messa a lunga prova nel servizio alle persone anziane e ammalate del ricovero cittadino, di diventare “Fondatrice” di un Istituto religioso che si prendesse cura dei “poveri e bisognosi di aiuto”. “Mani pietose” - la chiamava don Carlo - quella famiglia di Sorelle della Misericordia che da molto tempo era il suo desiderio per concretizzare e rendere visibile la sua esperienza interiore: la misericordia.
A questo si è sentita chiamata Luigia che dice il suo sì a Dio con la professione religiosa il 10 settembre 1848 in cui assume il nome di Vincenza Maria.
Il carisma della misericordia
Don Carlo Steeb, scrivendo la regola per le religiose dell’Istituto, evidenzia nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, il modello più alto per coniugare la misericordia. Gesù Cristo “l’unigenito Figlio di Dio” per amore dell’umanità si fa “carne” e risolleva l’uomo portandolo alla piena comunione con Dio.
Misericordia è proprio un movimento di discesa e di ascesa, un “annullare le distanze”, un farsi “tutto a tutti pur di salvare a ogni costo qualcuno” - usando le parole dell’apostolo Paolo -, quel rendersi “prossimi” che permette di comprendere fino in fondo la vita dell’altro per rivelargli la profonda dignità dell’essere “figli di Dio” che è la grandezza della persona umana.
Misericordia è appassionarsi all’uomo; è “curvarsi” su di lui nella certezza che il servizio è rivolto a Cristo stesso.
Una santità a misura d’uomo
Una straordinaria ordinarietà. “Un giorno di ordinaria follia” l’avrebbe chiamato il regista Joel Schumacher… solo che la follia dei giorni di madre Vincenza, il cui regista era solo Dio, non era che l’amore in “frammenti”.
Una carità spicciola, concreta, fatta più di gesti che di parole, obbediente alla parola evangelica: “l’avete fatto a me”.
Un percorso, quello di madre Vincenza, che conosce solo tre “segnaletiche”: una profonda vita interiore che fa di Cristo il perno della ruote della sua vita; un grande amore a Dio e all’Eucaristia, per cui la preghiera scandisce le ore del suo donarsi come il sole le ore di un giorno; e infine uno stile di umiltà, semplicità e carità che orienta l’agire solo a Dio, amato e servito nel prossimo sofferente.
Oggi le Sorelle della Misericordia, oltre che in Italia sono presenti in Germania, Portogallo, Albania, Tanzania, Angola, Burundi, Argentina, Brasile, Cile. Accanto alle religiose, ormai da alcuni anni sta crescendo anche la famiglia dei Laici della Misericordia: uomini e donne che traducono la tenerezza di Dio nella famiglia, nei luoghi di lavoro e di impegno sociale secondo la comune logica di sempre: il qui e ora.
Il Rito di Beatificazione della Venerabile Serva di Dio ha avuto luogo a Verona domenica 21 settembre 2008. Rappresentante del Santo Padre è stato il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
La Congregazione delle Sorelle della Misericordia di Verona la festeggia il 10 settembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Vincenza Maria Poloni, pregate per noi.
*Beato Vincenzo Eugenio Bossilkov - Martire (11 Novembre)
Belene (Bulgaria), 16 novembre 1900 - Sofia (Bulgaria), 11 novembre 1952
Vincenzo nasce a Belene (Bulgaria) nel 1900. La sua famiglia apparteine alla minoranza cattolica di rito latino nella diocesi di Nicopoli. A 11 anni viene mandato a Ores, nella scuola dei Padri Passionisti.
Qui nasce la sua vocazione che verrà coltivata con dieci anni di studio in Belgio e Olanda. Entra nella congregazione con il nome di Eugenio e diventa prete in Bulgaria. Studia poi ancora a Roma.
Tornato in patria rinuncia a tutti i compiti diocesani per dedicarsi a ciò che sente come la propria vera missione: spiegare la Croce ai contadini nella loro lingua. Nel 1944 viene nominato vescovo di Nicopoli, in uno Stato (la neonata repubblica popolare di obbedienza staliniana) avverso alla religione. Riesce ancora nel 1948 a recarsi a Roma da Pio XII.
Poi si avvia il meccanismo di confische, espulsioni, ordine di allinearsi a una «Chiesa nazionale» vassalla del regime, di rinnegare il Papa. Ma Eugenio si oppone.
Questo causerà l'arresto nel luglio 1952, la tortura, il processo-farsa, la condanna a morte e l'uccisione nel carcere di Sofia, in segreto. Il suo corpo viene gettato in una fossa comune. Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 15 marzo 1998. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Sofia in Bulgaria, passione del beato Vincenzo Eugenio Bossilkov, vescovo di Nicopol’ e martire, della Congregazione della Passione di Gesù, che, sotto un regime tirannico, condotto in carcere per essersi rifiutato di rinnegare la comunione con Roma e crudelmente torturato, fu condannato a morte sotto l’accusa di alto tradimento e infine fucilato.
E' stato battezzato col nome di Vincenzo.
I suoi, contadini, appartengono alla minoranza cattolica di rito latino nella diocesi di Nicopoli, e lo mandano undicenne a Ores, nella scuola dei Padri Passionisti. Li ha fondati nel ’700 San Paolo della Croce, piemontese di Ovada (Al), e operano in Bulgaria dalla fine di quel secolo.
Sono loro a capire la sua vocazione e a lanciarlo nella grande avventura: dieci anni di studio in Belgio e Olanda, entrata nella congregazione con il nome di Eugenio, ordinazione sacerdotale in Bulgaria; e altri sei anni ancora di studio a Roma.
Ha centrato tutti i traguardi: scelta di vita, vastità di orizzonti religiosi e culturali. Ma al ritorno in patria si libera presto dagli incarichi di vertice diocesano per essere Passionista integrale: ossia evangelizzatore delle campagne, annunciando soprattutto il Cristo sofferente per l’uomo e con l’uomo. Ha studiato per quest’unico scopo: spiegare la Croce ai contadini nella loro lingua, lui che ne conosce tante altre.
Scoppia la seconda guerra mondiale. La Bulgaria di re Boris, entrata nel conflitto a fianco di Germania e Italia, e poi occupata dai sovietici nel 1944, diventa “repubblica popolare” di strettissima obbedienza staliniana.
E nello stesso anno padre Eugenio si ritrova vescovo di Nicopoli, in uno Stato avverso alla religione in genere e a quella cattolica in specie. Riesce ancora nel 1948 a venire a Roma da Pio XII. Poi si avvia il meccanismo di confische, espulsioni, ordine di allinearsi a una “Chiesa nazionale” vassalla del regime, di rinnegare il Papa.
E il vescovo Eugenio dice sempre no: la sua coscienza non si confisca. Di qui, arresto nel luglio 1952, tortura, processo-farsa, condanna a morte e uccisione nel carcere di Sofia, segretamente. La salma, buttata in una fossa comune con quella di altre vittime, perché non la si ritrovi.
Ma la voce del Passionista martire continua a parlare nelle sue lettere sotto la persecuzione. Continua a irradiare speranza in tempo di terrore: "Oh... quel chicco che, sepolto nella terra, deve morire! Esso non piange mai, conscio e confortato dalla sua forza germinale, portatrice di frutto centuplo".
Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 15 marzo 1998.
La Chiesa Cattolica ha posto la sua memoria all'11 novembre mentre la Congregazione dei Missionari Passionisti lo ricorda il 13 novembre.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Vincenzo Eugenio Bossilkov, pregate per noi.