Santi del 9 Febbraio
*Altone *Anna Katharina Emmerick *Ansberto *Apollonia *Auedeberto *Bernardino Caimi *Einion Frenchin *Giacomo Abbondo *Leopoldo da Alpandeire *Luigi Magana Servin *Marone *Martiri di Alessandria d'Egitto *Michele Febres Cordero *Primo e Donato *Rinaldo di Nocera Umbra *Sabino di Avellino *Sabino di Canosa *Teliavo *Altri Santi del giorno *
*Sant'Altone – Abate (9 Febbraio)
Martirologio Romano:
Nella Baviera, in Germania, commemorazione di Sant’Altone, Abate, che, di origine irlandese, costruì nei boschi di questa regione un Monastero, che da lui prese poi il nome.
(Autore: Alfonso M. Zimmermann - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Altone, pregate per noi.
*Beata Anna Katharina Emmerick - Mistica, Religiosa (9 Febbraio)
Flamske (Germania), 8 settembre 1774 – Dülmen, 9 febbraio 1824
Nacque l'8 settembre 1774 nella comunità di contadini di Flamschen presso Coesfeld. Nel 1802 entrare nel monastero di Agnetenberg e prese i voti.
Qui ricevette le stigmate, i cui dolori aveva già sofferto da molto più tempo. La sua vita fu contraddistinta da una profonda unione con Cristo ed il suo amore per le persone che cercò sempre di aiutare con la preghiera, con l'incoraggiamento e il conforto.
Finalmente questa venerabile suora, mistica, veggente, stigmatizzata del secolo XVIII, è giunta alla fine di un lungo processo di canonizzazione, durato più di 135 anni, papa Giovanni Paolo II l’ha scritta nell’albo dei Beati il 3 ottobre 2004.
Anna Catharina Emmerick nacque l’8 settembre 1774 a Flamske bei Coestfeld (Westfalia, Germania); i suoi genitori Bernardo Emmerick e Anna Hillers, erano di umile condizione ma buoni cattolici.
Da bambina faceva la pastorella e in questo periodo avvertì la vocazione a farsi religiosa, ma incontrando l’opposizione del padre; durante la sua giovinezza Dio la colmò di grandi doni, come fenomeni di estasi e visioni.
Ma questo non le giovò, in quanto fu rifiutata da varie comunità; nel 1802 a 28 anni, grazie all’interessamento dell’amica Clara Soentgen, una giovane della borghesia, ottenne alla fine di entrare nel monastero delle Canonichesse Regolari di S. Agostino di Agnetenberg presso Dülmen.
La vita nel monastero fu per lei molto dura, perché non della stessa condizione sociale delle altre e questo le veniva fatto pesare, come pure le si rimproverava di essere stata accolta dietro insistenti pressioni.
A ciò si aggiunse che soffrì di varie infermità, per le conseguenze di un incidente patito nel 1805, fu costretta a stare quasi continuamente nella sua stanza, dal 1806 al 1812.
Quando era una contadina riusciva a tenere nascosti i fenomeni mistici che si manifestavano in lei, ma nel monastero, un ambiente più ristretto, ciò non le riusciva, pertanto alcune suore o per zelo o per ignoranza la fecero oggetto di insinuazioni maligne e sospetti di ogni genere.
Nel 1811 il convento fu soppresso dalle leggi francesi di Napoleone Bonaparte e le suore disperse; Anna Caterina Emmerick nel 1812 si mise allora al servizio di un sacerdote, emigrato a Dülmen proveniente dalla diocesi francese di Amiens, don Giovanni Martino Lambert.
Ed in casa del sacerdote verso la fine di quell’anno, i fenomeni sempre presenti prima, si moltiplicarono e negli ultimi giorni di dicembre 1812 ricevette le stigmate; per due mesi riuscì a tenerle nascoste, ma il 28 febbraio 1813 non poté lasciare più il letto, che diventò il suo strumento di espiazione per i peccati degli uomini, unendo le sue sofferenze a quelle della Passione di Gesù.
Fu sottoposta ad un’indagine sulle stigmate, sulle sofferenze della Passione e sui fenomeni mistici che si manifestavano in lei, indagine che confermò la sua assoluta innocenza e il carattere soprannaturale dei fenomeni.
Si sa che ebbe visioni riguardanti la vita di Gesù e di Maria, ma soprattutto della Passione di Cristo; ad esempio fece individuare la casa della Madonna ad Efeso e il castello di Macheronte nel quale fu decapitato san Giovanni Battista.
È diventato difficile sapere quali visioni furono effettivamente sue, perché un suo contemporaneo, il poeta e scrittore Clemente Brentano (1778-1842) le pubblicò facendo delle aggiunte e abbellimenti al suo racconto, creando così una grande confusione, che pesò fortemente sul futuro processo di beatificazione.
Anna Caterina Emmerick morì a Dülmen il 9 febbraio 1824, diventando una delle Serve di Dio più conosciute in Europa.
Per l’appartenenza da suora all’Ordine delle Agostiniane, i monaci di S. Agostino promossero la sua causa di beatificazione, che come già accennato subì varie battute di arresto, interventi di vescovi e dello stesso Papa Leone XIII, coinvolgimenti nelle vicende politiche della Germania, ecc., finché il 4 maggio 1981 ci fu il decreto sull’introduzione della causa.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Anna Katharina Emmerick, pregate per noi.
*Sant'Ansberto - Abate di Fontenelle (9 Febbraio)
Martirologio Romano: Ad Hautmont sulla Sambre nell’Hainault, nel territorio dell’odierna Francia, transito di Sant’Ansberto, che fu Abate di Fontenelle e poi Vescovo di Rouen, relegato in esilio dal Re Pipino.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ansberto, pregate per noi.
*Sant'Apollonia - Vergine e Martire (9 Febbraio)
Alessandria d’Egitto, † 249 ca.
Visse nel III secolo dedicandosi completamente all’apostolato. Durante un massacro di cristiani fu catturata: per la sua determinazione e il coraggio dimostrato la minacciarono di bruciarla viva.
San Dionigi narra che la Vergine Apollonia temendo di non avere le forze per sopportare una simile tortura si gettò nel fuoco di sua spontanea volontà.
Patronato: Dentisti, Malattie dei denti
Etimologia: Apollonia = sacra ad Apollo, dal latino
Emblema: Giglio, Palma, Pinze
Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, commemorazione di Sant’Apollonia, Vergine e Martire, che dopo molte e crudeli torture ad opera dei suoi persecutori, rifiutandosi di proferire parole sacrileghe, preferì essere mandata al rogo piuttosto che rinnegare la fede.
È stata tale la devozione per la santa martire Apollonia, protettrice dei denti e delle relative malattie, che dal Medioevo in poi si moltiplicarono i suoi denti-reliquie miracolosi, venerati dai fedeli e custoditi nelle chiese e oratori sacri dell’Occidente; al punto che Papa Pio VI (1775-1799), che era molto rigido su queste forme di culto, fece raccogliere tutti quei denti che si veneravano in Italia, raccolti in un bauletto e pesanti circa tre kg e li fece buttare nel Tevere.
Questo episodio ci aiuta a capire quanta impressione, meraviglia e ammirazione, suscitò il martirio della Santa nel mondo cristiano, per i suoi aspetti singolari.
Il suo martirio è riportato dallo storico Eusebio di Cesarea (265-340), che nella sua “Historia Ecclesiastica” scritta nel terzo secolo, trascrive un brano della lettera del vescovo San Dionigi di Alessandria († 264), indirizzata a Fabio di Antiochia, in cui si narrano alcuni episodi dei quali era stato testimone.
Nell’ultimo anno dell’impero di Filippo l’Arabo (243-249), nonostante che in quel periodo di sei anni, ci fu praticamente una tregua nelle persecuzioni anticristiane, scoppiò nel 248 ad Alessandria d’Egitto una sommossa popolare contro i cristiani, aizzata da un indovino alessandrino. Molti seguaci di Cristo furono flagellati e lapidati, al massacro non sfuggirono nemmeno i più deboli; i pagani entrarono nelle loro case saccheggiando tutto il trasportabile e devastando le abitazioni.
Durante questo furore sanguinario dei pagani, fu presa anche la vergine anziana Apollonia, definita da Eusebio “parthenos presbytès”, che però nell’iconografia sacra, come tutte le sante vergini, è raffigurata in giovane età e le colpirono le mascelle facendole uscire i denti, oppure come la tradizione ha riportato, le furono strappati i denti con una tenaglia.
Poi acceso un rogo fuori la città, la minacciarono di gettarcela viva, se non avesse pronunziato insieme a loro parole di empietà contro Dio.
Apollonia chiese di essere lasciata libera un momento e una volta ottenuto ciò, si lanciò rapidamente nel fuoco venendo incenerita.
L’episodio sarebbe avvenuto alla fine del 248 o inizio 249, quindi Apollonia che era in età avanzata, doveva essere nata negli ultimi anni del II secolo o al principio del III secolo; nella sua lettera il vescovo San Dionigi afferma, che la sua era stata una vita degna di ogni ammirazione e forse per questa condotta esemplare e per l’apostolato che doveva svolgere, si scatenò la furia dei pagani, che infierirono su di lei con particolare crudeltà.
Il gesto di Apollonia di gettarsi nel fuoco, pur di non commettere un peccato grave, suscitò fra i cristiani ed i pagani di allora, una grande ammirazione e nei secoli successivi fu oggetto di considerazione dottrinale.
Eusebio e Dionigi non accennano a nessun rimprovero per il suo gesto considerato un suicidio, peraltro inspiegabile in quanto la vergine sarebbe stata condannata comunque al rogo, se non avesse abiurato la fede.
Forse volle sottrarsi ad ulteriori dolorosissime torture, che avrebbero potuto indebolire la sua volontà, preferendo gettarsi fra le fiamme.
Anche Sant' Agostino nella sua “De civitate Dei”, si pone delle domande sul problema se è lecito darsi volontariamente la morte per non rinnegare la fede; egli dice: “Non è meglio compiere un’azione vergognosa, da cui è possibile liberarci col pentimento, più che un misfatto che non lascia spazio ad un pentimento che salvi?”.
Ma il suicidio volontario di alcune sante donne, che in “tempo di persecuzione si gettarono in un fiume per sfuggire chi insidiava la loro castità”, lo lasciava perplesso e se non fosse stato Dio stesso ad ispirare il gesto?
Quindi non sarebbe stato un errore ma un’obbedienza. In definitiva Sant'Agostino non prende una decisa posizione sull’argomento.
Comunque sin dal primo Medioevo il culto per la Martire di Alessandria, si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente; in varie città europee sorsero chiese a lei dedicate, a Roma ne fu edificata una, oggi scomparsa, presso Santa Maria in Trastevere; la diffusione del culto fu dovuta anche alla leggenda, simile ad altre sante giovani martiri, di essere figlia di un re che la fece uccidere perché non abiurava la fede cristiana.
La sua festa sin dall’antichità si celebra il 9 febbraio; Sant'Apollonia, vergine e martire di Alessandria d’ Egitto è invocata in tutti i malanni e dolori dei denti; il suo attributo nell’ iconografia è una tenaglia che tiene stretto un dente.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ansberto, pregate per noi.
*Sant'Auedeberto (Autberto, Ausberto o Autbertus) di Senlis - Vescovo (9 Febbraio)
† 9 febbraio 683 ca.
Sant’Auedeberto è un vescovo della diocesi di Senlis. Non sappiamo la sua data di nascita, ci è noto solo, che nasce in Senlis e visse nel VII secolo.
Attualmente nella cronotassi ufficiale figura al diciannovesimo posto. Un tempo era segnato al sedicesimo.
Nell’elenco dei vescovi figura dopo Aigomaro (presente al concilio Clichy del 627) e Cramberto documentato nel 683.
Questo non è da confondere con un omonimo, trentunesimo vescovo di Senlis, consacrato il 12 dicembre 871.
Il suo governo nella diocesi di Senlis è documentato da ben quattro firme ad altrettante concessioni ad alcuni monasteri cittadini degli anni 652, 663, 664 e 667.
Morì il 9 febbraio, prima del 683. Venne sepolto sotto l’altare maggiore della chiesa di San Regolo.
Di lui rimane un rilievo che lo rappresenta con i paramenti episcopali, scoperto nel 1646, tra Senlis e l’abbazia della Vittoria.
La leggenda narra che si era ritirato in quel luogo a pregare.
La sua festa è stata fissata il giorno 9 febbraio.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Auedeberto, pregate per noi.
*Beato Bernardino Caimi – Francescano (9 Febbraio)
Riguardo al luogo e alla data di nascita di Bernardino Caimi esistono opinioni diverse: da chi lo vorrebbe nato a Milano (Salsa) a chi, più precisamente, indica Alagna Lomellina, dove la nobile famiglia possedeva un castello (Pianzola), da chi lo vuole nato nel primo decennio del XV secolo, a coloro che indicano convenzionalmente il 1425 come periodo della sua nascita.
Sicura è comunque la sua presenza nel 1467 e poi ancora nel 1474 nel convento francescano di Sant’Angelo a Milano, nel 1475 è guardiano nella comunità di Lodi, carica che, l’anno seguente, ricoprirà anche nel capoluogo lombardo, sempre nel convento di Sant’Angelo: incarichi che confermano come il Caimi fosse uno dei padri più stimati della Lombardia, uomo di grande prudenza e capacità di governo non comuni.
La sua fama si diffuse ben presto anche oltre i confini della sua provincia religiosa, come dimostrano gli importanti compiti lui assegnati sia all’interno dell’ordine, sia da parte del pontefice, missino molto delicate che egli portò lodevolmente a termine.
Fu commissario dei francescani in Calabria nel 1484 e di territori particolarmente difficili, quali la Bosnia e la Croazia, allora come oggi al centro di conflitti politico – religiosi generati dall’incontro tra il mondo occidentale cristiano e quello orientale islamico, non si dimentichi che nel 1453 era terminato, con la caduta di Costantinopoli, l’impero romano - cristiano d’oriente.
Proprio per predicare una crociata contro i Turchi, Caimi venne scelto da Papa Sisto IV, che successivamente lo invierà anche ambasciatore presso il re Ferdinando di Spagna. Indubbiamente però egli si distinse maggiormente nel periodo in cui ricoprì, in vari momenti a partire dal 1478, la carica di commissario e custode di Terra Santa, esperienza da cui, come è noto, scaturì in lui l’idea di edificare il Sacro Monte, come esatta riproduzione dei santuari di Palestina che, per i motivi politici sopra ricordati, erano molto difficili da raggiungere dai pellegrini europei.
Il nome di Bernardino Caimi rimase così definitivamente legato a Varallo, la ridente città capoluogo della Valsesia dove, a partire dal 1486, egli si dedicò alla costruzione prima del convento e della chiesa della Madonna delle Grazie e poi del santuario stesso fina alla sua morte avvenuta, molto probabilmente, il 9 febbraio 1500 (La data del 1499 è ormai provato essere derivata da un errore di trascrizione, essendo documentato, da una lettera che il 12 agosto di quell’anno egli era ancora in vita.)
Attorno alla figura di questo frate, dalla fede schietta e concreta quasi ingenua, si formò un alone di santità che si concretizzò, molto presto, in una forma religiosa di culto: un dato di fatto indiscutibile, comprovato da numerose e sicure testimonianze. Al Caimi viene attribuito ab immemorabili il titolo di beato, un attributo che si riscontra nei testi dei documenti, nelle antiche guide del santuario (dal 1514), e nelle immagini, iscrizioni e statue che lo riguardano.
Almeno dal 1514 è in venerazione, presso la cappella del Santo Sepolcro, la reliquia del suo teschio, ed è noto come la ricognizione e la successiva esposizione in un luogo sacro dei resti di una persona era indice di un culto praticato nei suoi confronti, anzi va ricordato che, per tutto il medioevo e fino ai decreti di Urbano VIII, tale atto era gia di per sé il riconoscimento ufficiale della santità dell’individuo.
Anche le più antiche testimonianze iconografiche, statue, quadri e affreschi, ritraggono il Caimi con l’aureola a raggi, propria dei beati, mentre reca sulle sue mani il modellino del Sacro Monte. Dai calendari e dalle cronache è documentata anche la celebrazione di due feste annuali in onore del Beato: il 9 febbraio dies natalis ed il martedì di Pentecoste (forse inventio delle reliquie?), celebrate a Varallo con grande solennità e molto sentite dalla popolazione. Nel 1765, ai sacerdoti secolari succeduti ai frati nella custodia del santuario, è intimato, con decreto regio emanato dal senato di Torino, di continuare a celebrare la festa in onore del Beato, la cui soppressione aveva creato forte malcontento tra i fedeli.
Che il culto tributato al fondatore del complesso fosse approvato e non solo tollerato dall’autorità ecclesiastica, è provato dalla presenza alle feste in suo onore di alti prelati, che altrimenti sarebbero certo intervenuti per impedire un abuso; del resto anche il Breve di Clemente XI e la Bolla di Sisto V che riguardano il Sacro Monte a fra Bernardino è attribuito il titolo di Beato. Con il passare dei decenni tuttavia diminuì l’attenzione devozionale verso il Caimi, la cui memoria venne perpetuata più all’interno degli studi che non della pratica religiosa, a partire dal dopoguerra il suo nome scomparve dai calendari e i tentativi compiuti, già all’inizio del novecento, per giungere ad una ufficiale sua beatificazione non ebbero seguito.
Dal 2002 si è tornati a celebrare solennemente la sua festa, stabilendo alla seconda domenica di ottobre la data della ricorrenza, nell’ottobre del 1491, infatti, venne consacrata la cappella del Santo Sepolcro la prima edificata dal frate francescano sul monte, escludendo sia per motivi climatici il 9 febbraio, a Varallo è ancora pieno inverno, sia per motivi pratici il martedì di Pentecoste, giorno seguente la festa patronale della città dedicata alla Madonna Incoronata. A più di cinquecento anni dalla sua morte, la riproposta del ricordo di Bernardino Caimi richiama a tutti, religiosi e laici, il dovere di essere testimoni di Cristo, crocifisso e risorto, sulle strade del mondo, per far scaturire un rinnovato impegno ecclesiale, sociale e culturale come il degno figlio di Francesco fece tra gli uomini del suo tempo.
(Autore: Damiano Pomi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bernardino Caimi, pregate per noi.
*Sant'Einion Frenchin - Principe di Lleyn (9 Febbraio)
Principe di Lleyn (Carnarvonshire) e fratello di San Seiriol e di San Meirion, fondò la chiesa di Llanengan a Lleyn, presso Bangor, e un’altra a Gwynedd.
Morì da eremita a Llanengan, dove venne sepolto e nel sec. XVI, si faceva un importante pellegrinaggio; nella chiesa esisteva una sua statua d’oro.
Alcuni antichi calendari gallesi ne fanno memoria al 9 febbraio; altri al 10 o al 12 dello stesso mese.
(Autore: Justo Fernandez Alonso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Einion Frenchin, pregate per noi.
*Beato Giacomo Abbondo - Sacerdote (9 Febbraio)
Tronzano Vercellese, Vercelli, 27 agosto 1720 – 9 febbraio 1788
Giacomo Abbondo era nato a Tronzano Vercellese il 27 agosto 1720. Si sentì chiamato al sacerdozio, studiò al seminario di Vercelli e fu ordinato il 21 marzo 1744. Dopo aver ottenuto nel 1748 la laurea in lettere all’Università di Torino, fu destinato ad insegnare nelle Scuole Regie di Vercelli, ma nel 1757 lasciò l’insegnamento per fare il parroco al suo paese natale. Il parroco precedente era un giansenista, dunque don Abbondo cercò di aiutare i suoi parrocchiani a riscoprire la bellezza e la bontà di Dio, la possibilità di conoscerlo, di pregarlo, di incontrarlo sovente nella sua Parola e nei Sacramenti. Fu un curato di campagna innamorato di Dio, convinto del suo sacerdozio come servizio e sempre disponibile nei confronti dei suoi parrocchiani. Morì il 9 febbraio 1788. A fronte della sua perdurante fama di santità, la diocesi di Vercelli ha aperto il suo processo di beatificazione negli anni ‘20 del secolo scorso. È stato beatificato sotto il pontificato di papa Francesco l’11 giugno 2016, nella cattedrale di Vercelli. I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo a Tronzano, la sua parrocchia di nascita e di ministero. La sua memoria liturgica, per la diocesi di Vercelli, è il 9 febbraio, proprio il giorno della sua nascita al Cielo.
Di spettacolare o strepitoso, nella sua vita, non si trova alcunché, neanche a cercarlo col lanternino. O, se proprio vogliamo, di sensazionale c’è soltanto il mistero di come sia potuta restare inalterata la fama di santità di un semplice curato di campagna del vercellese, vissuto nel Settecento e beatificato l’11 giugno 2016, dando così ragione alla "vox populi" che già in vita lo proclamava santo.
È la riscossa dei parroci, cioè, per dirla con papa Francesco, "di quei tanti bravi e santi sacerdoti che lavorano in silenzio e di nascosto" e tra i quali ogni tanto, come in questo caso, uno è scelto per essere messo sul moggio, perché anche gli altri, di riflesso, restino illuminati. Parliamo dunque di don Giacomo Abbondo, raccomandando innanzitutto, di non confonderlo, per assonanza, con il quasi omonimo di manzoniana memoria, del quale è semplicemente l’esatto contrario.
Il Nostro nasce in una frazioncina di Tronzano Vercellese il 27 agosto 1720 e per inseguire il sogno di essere prete fin da bambino comincia a scarpinare: da casa sua fino a Tronzano, per frequentare le scuole comunali; poi addirittura fino a Vercelli, per frequentare le superiori. Si paga gli studi vivendo in casa del sindaco di Vercelli e diventando il precettore dei suoi figli ed è ordinato il 21 marzo 1744 con dispensa papale perché in anticipo sull’età canonica.
Ha davanti a sé una carriera accademica di tutto rispetto, perché nel frattempo si è laureato in Lettere all’Università di Torino ed a 28 anni è già titolare di "Umanità" presso le Regie Scuole di Vercelli: un gran "bel cranio", come attestano i molteplici e prestigiosi incarichi, che gli vengono in quegli anni conferiti e che egli, in men che non si dica, è disposto a gettare alle ortiche, appena viene a conoscenza che il suo vescovo avrebbe piacere che accettasse la nomina a parroco di Tronzano. Che è pur sempre il suo paese natale, ma in realtà per il vescovo è una gran bella gatta da pelare, perché il parroco precedente si è fatto malvolere dai tronzanesi e con il suo stile pastorale giansenista ha allontanato tutti i fedeli dalla chiesa.
Sulla nomina del successore si apre un contenzioso, anche perché i capifamiglia rivendicano il diritto di elezione, per un antico privilegio quattrocentesco, e l’unico nome che metterebbe tutti d’accordo sarebbe il suo, di fronte al quale i tronzanesi esasperati sarebbero disposti a "seppellire l’ascia di guerra".
Così don Giacomo sceglie di fare il parroco, ben sapendo che non gli sarà facile e che i parrocchiani se li dovrà conquistare uno ad uno. Fa il suo ingresso il 3 luglio 1757 e a chi gli chiede quanto valga il beneficio parrocchiale risponde invariabilmente che "può valere il Paradiso o l’Inferno".
Comincia a parlare il linguaggio che tutti possono capire, quello della misericordia e dell’attenzione ai più deboli, girando per le case e prendendosi cura di malati, poveri ed anziani soli. Si fa aiutare da un apposito comitato caritativo, per far arrivare al loro domicilio, viveri, legna e medicine e i parrocchiani cominciano a stupirsi di quel nuovo parroco, che mette in prima fila la carità.
Come si stupiscono faccia così sul serio anche su altri fronti: vive sobriamente, a volte rinuncia anche al necessario, rinnova la liturgia, invita alla comunione settimanale, "apre" alla catechesi familiare coinvolgendo direttamente i genitori, ammette alla comunione i bambini a partire dai dieci anni, visita tutte le case per la benedizione annuale, porta frequentemente la comunione ai malati, raggiunge a cavallo anche le abitazioni più isolate per controllare personalmente il grado di istruzione religiosa, è di frequente in chiesa a disposizione per le confessioni.
"Qui è ignoto il nome di vacanza", è solito dire, rinunciando all’usanza vercellese di sospendere la predicazione nei mesi estivi a causa del clima afoso insopportabile e continuando con lo stesso ritmo, anche durante l’estate, il suo impegno per la catechesi, l’omelia, l’istruzione religiosa.
La parrocchia comincia a rifiorire, la chiesa torna a riempirsi, al parroco "santo" già in vita attribuiscono guarigioni inspiegabili che continuano nel tempo, tanto che ad oggi se ne contano ben 3350, segno inequivocabile di una fama di santità mai venuta meno.
Muore il 9 febbraio 1788, quando Giovanni Maria Vianney, il futuro Curato d’Ars, ha appena due anni: quasi un passaggio di testimone in un’ideale staffetta di santità sacerdotale, giocata all’interno del confessionale e nell’esercizio delle opere di misericordia.
Autore: Gianpiero Pettiti
Infanzia e prima educazione
Giacomo Abbondo nacque a Salomino, frazione di Tronzano Vercellese, il 27 agosto 1720, secondo dei sei figli di Carlo Benedetto e Francesca Maria Naya: era infatti stato preceduto da una sorella, Maria Margherita, morta poco prima della sua nascita, e fu seguito da altri quattro tra fratelli e sorelle.
Il padre, uno dei più influenti capofamiglia del paese nonché consigliere comunale, impartì a Giacomo i primi elementi della vita cristiana, insieme ai nonni materni e alla moglie. A segnare il maggior influsso su di lui, comunque, fu uno zio da parte di padre, don Carlo Giovanni Abbondo, che da cappellano di Salomino si era reso noto per il suo sostegno ai poveri, accompagnato dalla devozione all’Immacolata.
Vocazione sacerdotale
Frequentò le scuole comunali a Tronzano e poi le scuole superiori a Vercelli. Sentendosi chiamato allo stato religioso, ricevette la Cresima il 15 dicembre 1740, dal cardinal Ferreri, che lo stesso giorno gli conferi la tonsura clericale e, l’indomani, lo ammise agli ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato.
Fu quindi orientato al sacerdozio diocesano, sebbene all’epoca la diocesi di Vercelli avesse pochi alunni in Seminario e la sede vescovile fosse vacante: per diventare prete, quindi, si doveva scegliere uno dei conventi cittadini o le Scuole Regie. Il chierico Abbondo, nel frattempo, svolse l’attività di precettore presso la famiglia del conte Agostino Benedetto Cusani di Sagliano, sindaco di Vercelli, che aveva sette figli di età compresa tra i due e i diciotto anni.
Il 20 luglio 1743 venne nominato professore nelle Scuole Regie, in sostituzione di don Pettardino, diventato canonico del Duomo. Dal nuovo vescovo di Vercelli, monsignor Giovanni Pietro Solaro, venne ordinato suddiacono il 21 dicembre dello stesso anno. Per la sua preparazione didattica e la solidità dei suoi insegnamenti dottrinali, divenbe anche Vicelettore di teologia scolastica dogmatica nella Regia Università di Vercelli. Il 29 febbraio 1744 fu ordinato diacono: dopo neanche un mese, il 21 marzo, divenne sacerdote, ottenuta la dispensa papale per l’età.
Parroco nel suo paese
Laureatosi in Lettere il 31 ottobre 1748 presso l’Università di Torino, fu nominato professore titolare di Umanità presso le Scuole Regie di Vercelli. Don Giacomo fu attivo prima presso la parrocchia di San Michele in Vercelli, per poi assumere l’incarico di prevosto della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Tronzano, suo paese natale, dove secondo un diritto risalente al 1435 l’elezione del parroco spettava ai capifamiglia. Il 3 luglio 1757 ebbe così inizio il suo ministero pastorale, che lo vide sempre instancabile nella cura delle anime a lui affidate.
Il suo ministero
Il parroco precedente era un giansenista, dunque don Abbondo cercò di aiutare i suoi parrocchiani a riscoprire la bellezza e la bontà di Dio, la possibilità di conoscerlo, di pregarlo, di incontrarlo abitualmente nella sua Parola e nei Sacramenti. Buon predicatore, era solito riunire i parrocchiani per la catechesi e la preghiera specialmente d’inverno, quando in campagna c’erano meno lavori. Amava e rispettava i bambini che, andando contro la mentalità del tempo, ammetteva all’Eucaristia sin dall’età di dieci anni. Seguiva i malati portando loro frequentemente la Comunione ed invitava tutti ad accostarsi con frequenza ai Sacramenti.
Don Abbondo visitava periodicamente i suoi parrocchiani, anche coloro che abitavano nelle cascine e nelle frazioni più lontane dal centro abitato ed per tutti si rivelava un buon padre ed un educatore amorevole. Provvedeva con cura alla manutenzione delle tredici chiese presenti nel territorio parrocchiale e fu proprio nel periodo del suo mandato che, nel 1766, monsignor G. P. Solaro consacrò la chiesa parrocchiale di Tronzano.
Morte e fama di santità
Il giorno della sua morte, il 9 febbraio 1788, la popolazione di Tronzano lo pianse come se avesse perso un padre. I capifamiglia, in un pubblico elogio, lo qualificarono come dotato «d’immortal memoria per la perspicacia del suo ingegno, per la profondità della sua dottrina, per la santità della sua vita, per la somma prudenza nella sua condotta, e per l'instancabilità nell'esercizio del Pastorale suo Ministero».
Intanto, la sua buona fama crebbe, rasentando il culto popolare: dal 1841 al 1884, presso la sua tomba, vennero depositati almeno settantotto quadri ex voto per benefici attribuiti alla sua intercessione, mentre non si fermavano i pellegrinaggi dalla diocesi di Vercelli e dalle zone limitrofe.
La causa di beatificazione
Tuttavia, una causa di beatificazione vera e propria iniziò nel 1923, il 22 gennaio, con la prima sessione del processo informativo in sede diocesana. L’anno prima, il 13 marzo, le spoglie di don Abbondo erano state traslate in una cappella della chiesa parrocchiale di Tronzano.
In seguito alle nuove normative per i processi di beatificazione, la causa, ormai di carattere storico, è ripresa. Il 7 febbraio 1984, l’arcivescovo monsignor Albino Mensa e il Consiglio Presbiterale diocesano hanno deciso di procedere con la raccolta documentaria sistematica negli archivi diocesani. Ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 25 gennaio 2003, è arrivata anche la convalida della precedente inchiesta diocesana, il 21 novembre dello stesso anno. Nel 2008 è stata consegnata la "Positio super virtutibus" e, il 27 maggio, si sono riuniti i consultori storici.
In seguito al parere positivo dei consultori teologi, il 14 dicembre 2012, e dei cardinali e vescovi membri della Congregazione per le Cause dei Santi, il 9 maggio 2014 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui don Giacomo Abbondo era dichiarato Venerabile.
Il miracolo
Anche il miracolo che è stato preso in esame per la beatificazione ha carattere storico: in realtà, prima del 1983 ne servivano due, ma con la ripresa della causa ne è stato scelto uno solo.
Si tratta del fatto accaduto il 20 settembre 1907 a un ragazzo di Tronzano, Giovanni Viola: mentre scaricava del fieno, gli scappò di mano un bidente, sul quale cadde. Le punte dell’arnese hanno attraversato i tessuti del perineo, spuntando dal foro otturatorio destro del bacino. Le preghiere rivolte a don Abbondo fecero sì che non si riscontrarono in seguito difetti o complicazioni.
L’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo è stata convalidata il 5 dicembre 2008. La decisione della Giunta medica, il 26 giugno 2014, è stata confermata il 20 novembre 2014 dai consultori teologi e, in seguito, dai cardinali e vescovi della Congregazione. Infine, il 5 maggio 2015, papa Francesco ha riconosciuto il fatto come miracoloso e ottenuto per intercessione di don Giacomo.
I suoi resti mortali sono stati oggetto di ricognizione canonica e, dal 5 novembre 2015, ospitati nella casa parrocchiale. Il 9 febbraio 2016, nell’anniversario del suo transito, sono stati ricomposti in una nuova urna, ricollocata nella cappella che li ospitava in precedenza.
La beatificazione
La parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Tronzano si è preparata alla beatificazione, fissata a sabato 11 giugno 2016 nella cattedrale di Vercelli, seguendo in pieno il suo stile: il suo attuale successore, don Guido Bobba, ha indetto per il giorno precedente, venerdì 10 giugno, una giornata penitenziale, così da vivere la celebrazione dell’indomani come un’occasione di grazia, prima ancora che come un motivo di giusto orgoglio locale.
A presiedere l’Eucaristia in qualità d’inviato del Papa è stato il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, affiancato da numerosi vescovi e sacerdoti piemontesi. La memoria liturgica del nuovo Beato è stata fissata, per la diocesi di Vercelli, al 9 febbraio, giorno della sua nascita al Cielo, nel quale era da sempre ricordato.
(Autore: Don Fabio Arduino ed Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Abbondo, pregate per noi.
*Beato Leopoldo da Alpandeire Marquez Sanchez - Cappuccino (9 Febbraio)
“Vedi, fratello, diventiamo religiosi per allontanarci dal mondo, e ora finiamo perfino sui giornali”, fu il commento che fece fra' Leopoldo da Alpandeire Marquez Sánchez (1864 – 1956) a un confratello nel suo 50° anniversario di vita religiosa, fatto che venne riportato da alcuni giornali della sua città.
Oggi, a più di mezzo secolo dalla sua morte, questo umile frate cappuccino, con la barba bianca e lo sguardo sereno, torna a fare notizia: sarà beatificato questa domenica 12 settembre 2010 a Granada in una cerimonia presieduta da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Benedetto XVI.
“La sua santità non ha consistito nel realizzare grandi opere sociali, creando ospedali o grandi ONG”, ha detto parlando a ZENIT di fra' Leopoldo il suo vicepostulatore, padre Alfonso Ramírez Peralbo OFMCap. “Non apparteneva a dinastie nobili, non parlava da cattedre o pulpiti, perché non brillava per il suo sapere. Non aveva neanche lasciato il suo convento per diventare missionario in terre lontane”.
Per padre Ramírez, fra' Leopoldo ha raggiunto la santità nelle piccole cose: “Faceva ogni cosa come se fosse la prima volta. Era quella freschezza di ogni suo atto, ripetuto in modo monotono, che dava un senso soprannaturale e riempiva tutta la sua vita”.
Oggi i pellegrini che visitano ogni anno la tomba di fra' Leopoldo sono oltre 800.000. “Credo che questo dica tutto”, ha commentato il vicepostulatore.
Per la beatificazione di questo frate si attende la presenza di circa 300.000 fedeli provenienti da varie località, soprattutto dal sud della Spagna, dove la devozione nei suoi confronti è maggiore. La cantante andalusa Rosa López aprirà la cerimonia con il canto dell'Ave Maria, accompagnata dal pianista Alfonso Berrío.
Infanzia e gioventù piene di pietà
Francisco Tomás, il suo nome di battesimo, nacque ad Alpandeire, un piccolo paese situato all'estremità della serra di Jarestepar, a sud di Ronda, nella provincia di Málaga.
Da piccolo allevava pecore e capre e coltivava la terra, compiti che svolgeva mentre recitava il rosario. “Chi lo ha conosciuto racconta che quando diceva 'Ave Maria, piena di grazia' sembrava che stesse vedendo e parlando con Nostra Signora”, ha riferito padre Ramírez.
Fin da piccolo coltivò virtù come la generosità e il distacco dai beni: “Condivideva la sua merenda con altri pastorelli più poveri di lui, dava le proprie scarpe a un povero che ne aveva bisogno o consegnava il denaro guadagnato nella vendemmia di Jerez ai poveri che incontrava sulla via del ritorno”, ha aggiunto il vicepostulatore.
Vocazione di cappuccino
Francisco Tomás scoprì la sua vocazione dopo aver ascoltato la predicazione di due cappuccini a Ronda nel 1894, per celebrare la beatificazione del cappuccino fra' Diego José de Cádiz.
A 35 anni vestì l'abito nel convento di Siviglia, cambiando il proprio nome da Francisco Tomás a Leopoldo, secondo gli usi dell'Ordine. “Il suo ingresso nella vita religiosa non fu una conversione clamorosa, non rappresentò un cambiamento radicale della sua vita. Fu solo un sublimare impegni e atteggiamenti coltivati fino a quel momento”, ha spiegato padre Ramírez.
“Il suo amore per Dio, la preghiera, il lavoro, il silenzio, la devozione per la Vergine e la penitenza caratterizzavano già la sua vita”, ha rimarcato. “La croce e la passione di Cristo sarebbero stati da quel momento oggetto di meditazione e imitazione”.
Il 16 novembre 1900 fece la sua prima professione; da allora si dedicò all'orto nei conventi di Siviglia, Antequera e Granada. Il 23 novembre 1903 emise a Granada i voti perpetui.
La strada, il suo nuovo chiostro
Nel 1914 fra' Leopoldo si recò di nuovo a Granada, dove rimase fino alla morte e ricevette l'incarico di elemosiniere. “Da quel momento le montagne, le valli, le vie polverose, le strade sarebbero state il tempio e il chiostro della sua vita cappuccina”, ha raccontato padre Ramírez.
Nonostante la sua grande sensibilità per la vita contemplativa, il contatto con gli uomini divenne il suo nuovo mezzo per raggiungere la santità. Lungi dal distrarlo, ciò lo aiutava a uscire da se stesso. “Fu un'occasione per caricare su di sé il peso degli altri, per comprendere, aiutare, servire, amare. Era, come ha detto un suo devoto, 'distinto ma non distante'”.
Lo si vedeva per le strade a piedi nudi, lo sguardo rivolto verso il cielo e il rosario in mano. Attirava così l'attenzione e l'aiuto dei passanti. Ogni volta che riceveva un'elemosina recitava tre Ave Maria. “Solo ascoltarle, dicono alcuni, faceva venire i brividi”, ha segnalato padre Alfonso grazie alle testimonianze che ha raccolto come vicepostulatore.
Durante la persecuzione religiosa spagnola del 1936, fra' Leopoldo non fu esente da calunnie o rifiuti: “Ricevette insulti e minacce di morte. Quasi tutti i giorni lo prendevano a sassate, e una volta sfuggì alla lapidazione perché alcuni uomini intervennero in sua difesa”.
Nel 1953 cadde dalle scale, fratturandosi il femore. Riprese a camminare con l'aiuto di due bastoni. “Così poté dedicarsi totalmente a Dio, che era stato l'unica passione della sua vita”, ha detto il vicepostulatore.
Fra' Leopoldo morì 9 febbraio 1956. “La notizia provocò un grido di dolore che da ogni angolo della città confluiva verso l'umile convento”, ha scritto fra' Angel de León in un articolo intitolato “El día en que murió Fray Leopoldo” (“Il giorno in cui fra' Leopoldo è morto”), pubblicato sulla pagina web ufficiale della beatificazione.
Migliaia di abitanti di Granada accorsero a vedere il suo corpo senza vita. “La sua cripta è testimone dello scorrere silenzioso di infinite lacrime di riconoscenza. Molti uomini messi alla prova dalla vita narrano prodigi sperimentati sulla propria carne o su quella di persone care”, scrive fra' Ángel.
La fama di fra' Leopoldo si diffuse “a macchia d'olio, senza alcuna forma di propaganda”. Il suo vicepostulatore dice che il frate “testimoniò il mistero di Cristo povero e crocifisso con l'esempio e la parola, al ritmo umile e orante della vita quotidiana”.
(Autore: Carmen Elena Villa – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Leopoldo da Alpandeire Marquez Sanchez, pregate per noi.
*Beato Luigi Magana Servin - Laico e Martire (9 Febbraio)
Scheda del gruppo a cui appartiene il Beato Luigi Magana Servin: "Martiri Messicani"
Arandas, Messico, 24 agosto 1902 – 9 febbraio 1928
Luis Magaña Servin nacque a Arandas, in Messico, il 24 agosto 1902. Vero cristiano non rinnegò mai le sue convinzioni. Fu membro attivo dell'Associazione cattolica della gioventù messicana e dal matrimonio con Elvira Camarena Méndez nacquero Gilberto e Maria Luisa, nata dopo la sua morte.
Il 9 febbraio 1928, in piena persecuzione religiosa, un gruppo di soldati dell'esercito federale occupò il paese e ordinò che fossero arrestati i cattolici che simpatizzavano con la resistenza contro il Governo, fra i quali vi era proprio Luis Magaña Servin.
Quando giunsero a casa sua, non lo trovarono ed allora catturarono il fratello più piccolo. Venutolo a sapere, Luis si sostituì al fratello venendo condannato a morte. Poco prima dell'esecuzione, esclamò: «Plotone che mi devi uccidere: desidero dirvi che da questo momento vi perdono e vi prometto che appena sarò alla presenza di Dio sarete i primi per i quali intercederò».
È stato Beatificato il 20 novembre 2005 da Benedetto XVI. (Avvenire)
Luis Magaña Servin nacque a Arandas il 24 agosto 1902. Fu un cristiano integro, sposo responsabile e sollecito. Mai rinnegò le sue convinzioni cristiane, anche nei momenti di prova e di persecuzione. Fu membro attivo dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM) e della arciconfraternita dell’Adorazione Notturna del Santissimo Sacramento, nella parrocchia di Arandas. Dal matrimonio con Elvira Camarena Méndez, celebrato il 6 gennaio 1926, nacquero il primogenito maschio Gilberto ed una figlia, Maria Luisa, nata dopo la morte del padre.
Il 9 febbraio 1928, in piena persecuzione religiosa, un gruppo di soldati dell’esercito federale occupò il paese di Arandas. Ordinò che fossero immediatamente arrestati i cattolici che simpatizzavano con la resistenza attiva contro il Governo, frai quali vi era appunto Luis Magaña Servin.
Quando giunsero a casa sua, non lo trovarono poiché si era rifugiato assai bene ed allora catturarono in cambio il fratello più piccolo. Venutolo a sapere, Luis si presentò dinanzi al generale chiedendo di potersi sostituire al fratello.
Affermò: “Io non sono mai stato un ribelle cristero come voi credete, ma se mi si accusa di essere cristiano, allora sì, lo sono, e se per questo devo essere ucciso, ben venga. Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!”.
Senza indugi il militare decretò la sua morte. Poco prima dell’esecuzione, nell’atrio della chiesa parrocchiale, Luis chiese la parola e disse: “Plotone che mi devi uccidere: desidero dirvi che da questo momento vi perdono e vi prometto che appena sarò alla presenza di Dio sarete i primi per i quali intercederò. Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!”. Erano le ore 15 del 9 febbraio 1928.
Luis Magaña Servin è stato beatificato il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI, insieme con altre vittime della medesima persecuzione.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luigi Magana Servin, pregate per noi.
*San Marone – Eremita (9 Febbraio)
m. Siria, 410 circa
Il Martyrologium Romanum ricorda oggi San Marone, eremita presso Apamea in Siria, uomo di grandi penitenze e di profonda vita interiore.
Accanto alla sua tomba fu edificato un famoso monastero, che diede poi il nome alla cosiddetta “Chiesa Maronita”, che è sempre stata in comunione con la Santa Sede.
Martirologio Romano: Su un monte presso Apamea in Siria, San Marone, eremita, totalmente dedito all’aspra penitenza e alla contemplazione, presso il cui sepolcro fu eretto un celebre monastero, da cui ebbe poi origine una comunità cristiana che da lui prese il nome.
Assai ammirato dal celeberrimo Giovanni Crisostomo, San Marone visse a cavallo tra il IV ed il V secolo, eremita nei pressi della città di Ciro in Siria. Pur possedendo una capanna coperta di pelli di capra, si narra che ne abbia poco usufruito, vivendo principalmente all’aperto.
Fu fedele discepolo di San Zebino, il quale era solito dispensare consigli estremamente succinti per poter trascorrere il maggior tempo possibile conversando con Dio. Scovate le rovine di un tempio pagano, Marone volle dedicarlo all’unico vero Dio, trasformandolo così nel suo luogo privilegiato di preghiera. Coloro che vi si recavano per consultarsi con il santo e per chiedergli consiglio non solo erano accolti con cortesia, ma venivano inoltre invitati ad unirsi a lui nell’orazione, cosa che spesso consisteva nel vegliare per l’intera notte. Si guadagnò la fama di taumaturgo, compiendo prodigiose guarigioni sia fisiche che psichiche, ma anche la sua reputazione quale direttore spirituale non fu da meno. Molti dei suoi ammiratori maturarono poi la decisione di farsi monaci o eremiti ed il vescovo Teodoreto di Ciro giunse a testimoniare che tutti i monaci della sua diocesi fossero stati istruiti da Marone.
Il Santo eremita morì dopo una breve malattia, logorato dai rigori della sua vita, ma non è ben definita la data esatta della sua morte, da collocarsi comunque nella prima metà del V secolo. Purtroppo non si hanno notizie più approfondite e storicamente attendibili su questo santo, nonostante la sua popolarità. Alcune province confinanti si contesero il possesso dei suoi resti, che infine furono tumulati nel celebre monastero di Beth-Maron, nella regione siriana di Apamea, nei pressi della fonte del fiume Oronte.
La Chiesa definita “maronita” afferma di aver avuto origine proprio in quel luogo e venera il santo eremita come proprio fondatore, facendone memoria anche nel canone della loro Divina Liturgia. Per alcuni storici è tuttavia difficile che le origini dei cristiani maroniti risalgano oltre il VII secolo, quando cioè si separarono dalla Chiesa adottando il monoteismo, eresia condannata dal concilio di Calcedonia nel 680.
Il loro nome sarebbe collegato con maggiore probabilità al leggendario Giovanni Marone, da essi venerato anch’egli come santo, che fu monaco a Beth-Maron e nel 676 divenne vescovo di Botira su insistenza del patriarca monotelita Macario e primo patriarca maronita.
Distrutto dagli invasori arabi nel X secolo, il monastero fu ricostruito a Kefr-Nay nel distretto di Botira e qui venne traslata la testa di San Marone. Nel 1182, durante le crociate, ben quarantamila maroniti si convertirono al cattolicesimo e da allora la loro Chiesa rimase sempre unita a Roma, pur mantenendo una propria liturgia ed un proprio calendario. Sotto la protezione della Chiesa Cattolica i maroniti conobbero un periodo di prosperità e nel 1584 Papa Gregorio fondò a Roma un collegio maronita che attirò le attenzioni di molti studiosi.
Il XIX fu però il Venerdì Santo della Chiesa maronita: nel 1860 molti furono massacrati e patirono terribilmente per mano dei turchi, l’abate di Deir el-Khamar fu orribilmente torturato e circa sedicimila fedeli vennero espulsi dalle loro abitazioni. Nel 1926 il pontefice Pio XI beatificò un gruppo di undici vittime di tale persecuzione, capeggiato dal francescano Emanuele Ruiz Lopez, del quale facevano parte anche tre fratelli laici maroniti: trattasi dei beati Francesco, Abdel-Mooti e Raffaele Massabki. Ulteriori sanguinosi massacri colpirono i maroniti nel XX secolo, durante la prima guerra mondiale ed in Libano anche negli anni ’80. Il Martyrologium Romanum commemora San Marone, presunto fondatore di questa grande Chiesa orientale, in data 9 febbraio, mentre i sinassari bizantini lo ricordano al 14 febbraio.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - San Marone, pregate per noi.
*Santi Martiri di Alessandria d'Egitto (9 Febbraio)
Giaculatoria - Santi Martiri di Alessandria d'Egitto, pregate per noi.
*San Michele (Miguel) Febres Cordero – Religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane (9 Febbraio)
Cuenca, Ecuador, 7 novembre 1854 - Premià del Mar, 9 febbraio 1910
Nasce a Cuenca, in Ecuador, nel 1854. Nel suo Paese (indipendente dalla Spagna dal 1830) sono arrivati nel 1863 dall'Europa i Fratelli delle scuole cristiane, aprendo un istituto anche nella sua città natale.
A 14 anni entra nella congregazione, fondata nel 1680 in Francia da San Giovanni Battista de la Salle. Fratel Miguel vota la propria vita alla formazione scolastica dei ragazzi e poi anche degli stessi maestri, come accadrà a Quito, la capitale, dove rimane per 38 anni.
Diventa un leader culturale per tutto il Paese ma prosegue anche la sua opera di catechista. La congregazione lo chiama in Belgio, dove ha trasferito la casa madre dopo l'espulsione dalla Francia nel 1904.
A fratel Miguel il compito di insegnare lo spagnolo per poter operare in Spagna e in America latina. Ma in Belgio prende la polmonite. Morirà nel 1910 a Premiá del Mar (Barcellona). (Avvenire)
Martirologio Romano: A Premiá de Mar presso Barcellona in Spagna, San Michele (Francesco Luigi) Febres Cordero, religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che nella città di Cuenca in Ecuador per circa quarant’anni promosse gli studi letterari e poi in Spagna si applicò con semplicità d’animo alla piena osservanza della regola.
I genitori Francesco e Anna lo vorrebbero sacerdote. E lui dice di no quando è ancora ragazzo, amareggiando il padre, di cui porta il nome. Dice di no, perché ha fatto una scoperta entusiasmante. Nel suo Ecuador (già colonia spagnola, indipendente dal 1830) sono arrivati nel 1863 dall’Europa i Fratelli delle scuole cristiane, aprendo un istituto anche a Cuenca, la sua città natale.
Lui è stato uno dei primi alunni, si è appassionato al loro modo d’insegnare, e infine ha deciso di entrare nella loro congregazione, fondata nel 1680 a Reims, in Francia, da san Giovanni Battista de la Salle, e votata a un solo scopo: l’istruzione della gioventù (di quella più sfortunata, soprattutto), partendo dalla “scuola per la scuola”, ossia dalla formazione dei maestri. E questi ultimi dovevano consacrarsi solo all’insegnamento, rinunciando per questo al sacerdozio.
Così, a 14 anni, Francesco è accolto dai Fratelli a Cuenca, e vi incomincia il noviziato, prendendo il nome di fratel Michele. Solo sua madre ha dato il consenso; il padre, per alcuni anni, rifiuterà anche di scrivergli. Lui intanto diviene prima maestro degli scolaretti, e poi anche dei futuri insegnanti. I superiori lo mandano negli istituti lasalliani di Quito, la capitale, e lui vi rimane per 38 anni, come formatore di docenti. Mancano ancora buoni libri per le scuole, ed è lui a provvedere, pubblicando opere che si adotteranno poi in tutto il Paese: grammatiche della lingua spagnola, manuali didattici e testi di filologia, raccolte di poesie. E libretti di catechismo per i più piccoli.
Diventa un leader culturale per tutto il Paese, onorato dalle istituzioni, ma continua – meglio esige di continuare – nell’opera di primo avvicinamento dei più piccoli alla fede, come il più modesto catechista. E di fatto “catechizza” tutti, nell’ambiente scolastico e fuori, con la semplicità gioiosa della sua vita, nello stile dei Fioretti.
Ma le vicende politiche d’Europa chiamano fratel Michele dall’altopiano ecuadoriano al Belgio e poi alla Spagna. Nel 1904 il governo francese ha soppresso ed espulso le congregazioni religiose, confiscandone i beni. I Fratelli delle scuole cristiane hanno lasciato la Francia trasferendo la casa madre in Belgio; e sono pronti a operare in Spagna e in America latina. Ma devono imparare la lingua spagnola, e per questo si chiama in Europa fratel Michele, che organizza i corsi di studio, prepara i testi, dirige l’insegnamento. Si ammala nel clima del Belgio, troppo rigido per lui, e si trasferisce in un centro rivierasco di Spagna: Premiá del Mar, vicino a Barcellona, in un altro centro lasalliano di preparazione. E qui muore sul lavoro in un giorno d’inverno, per una polmonite.
In Ecuador questa morte è considerata un lutto nazionale, e comincia a divulgarsi la sua fama di santità, dalla quale prenderanno avvio negli anni Venti i processi informativi per l’Ecuador e per la Spagna.
Nel 1936, durante la guerra civile spagnola, i resti di fratel Michele vengono riportati in Ecuador, e subito incominciano i pellegrinaggi alla sua tomba, nella Casa lasalliana di Quito. Nel 1977, Papa Paolo VI lo proclama beato insieme a un confratello, il belga fratel Muziano Maria. Il 21 ottobre 1984, Papa Giovanni Paolo II lo iscrive nel libro dei SWanti. (Autore: Domenico Agasso – Fonte: Famiglia Cristiana)
Nel 1863 i Fratelli delle Scuole Cristiane aprono una scuola a Cuenca (Equatore). Uno dei primi alunni è Francisco Febres Cordero, nato il 7 novembre 1854. A scuola egli continua e perfeziona, soprattutto con le lezioni di catechismo e con l'esempio dei suoi educatori, l'educazione cristiana ricevuta in famiglia. Di qui l'albeggiare della sua vocazione lasalliana: ma i genitori, contrari, desiderano che diventi sacerdote. In tale situazione egli ricorre alla SS. Vergine. Finalmente, il 24 marzo 1868, la madre firma l'autorizzazione per il suo ingresso al noviziato. È la vigilia della festa dell'Annunciazione: con la vestizione religiosa, Francisco Febres Cordero diventa Fratel Miguel.
Ma non termina la sua lotta per la fedeltà alla vocazione, perché il padre, pur accettando la decisione della sposa, per cinque anni non scrive una riga al figlio. Questi, intanto, inizia il suo apostolato nelle scuole lasalliane di Quito. Stimato insegnante di lingua e letteratura spagnola, la difficoltà di disporre di aggiornati libri di testo, l'induce a comporre, benché giovanissimo, grammatiche e manuali, che il governo adotta in tutte le scuole dell'Equatore. Col passare degli anni, Fratel Miguel darà alle stampe anche raccolte di liriche e testi di filologia che gli apriranno le porte dell'Accademia. Comporrà pure dei catechismi per l'infanzia, e il ministero al quale soprattutto egli si dedica, con grande entusiasmo e accurata preparazione, è la catechesi.
Predilige specialmente la preparazione dei fanciulli alla Prima Comunione; chiederà ed otterrà che gli sia riservato tale delicato compito dal 1880 fino alla sua partenza per l'Europa nel 1907. Questo costante contatto con i piccoli lascerà un'impronta caratteristica nella sua spiritualità: la semplicità evangelica: "Siate semplici come colombe". "Se non diventerete come pargoli, non entrerete nel regno dei cieli". Ne sarà segno la sua tenera devozione a Gesù Bambino. Con la semplicità evangelica, brillano in lui le virtù proprie della vita religiosa: la povertà, la purezza, l'obbedienza. Su tutte splende sempre più alta la carità, alimentata com'è dalla pietà eucaristica e dalla tenera devozione a Maria. Ormai è chiaro per tutti: "Fratel Miguel è un santo!".
La sua santità splenderà anche nel vecchio continente. Nel 1904 in Francia, in seguito alle leggi ostili alle congregazioni religiose, molti fratelli, impediti nel loro ministero, decidono di espatriare. La Spagna e i paesi dell'America Latina ne accolgono un gran numero. La scarsa conoscenza della lingua spagnola dei nuovi arrivati, induce i superiori a trasferire Fratel Miguel in Europa, perché prepari testi per un rapido apprendimento dello spagnolo. Trascorsi alcuni mesi a Parigi, è trasferito alla casa generalizia, a Lembecq-lez-Hal in Belgio.
Tutto intento al suo lavoro, la sua virtù brilla per tutti. Nuocendogli il clima del Belgio, i superiori lo trasferiscono in Spagna, a Premia de Mar, presso Barcellona, dove ha sede un centro internazionale di formazione. 1 giovani ne ammirano la cultura, la semplicità ed il grande amore per Dio.
Nel luglio 1909 a Premia de Mar soffia impetuoso il vento della rivoluzione e si ha la "settimana tragica". Frequenti le violenze anticlericali; Fratelli e giovani in formazione, trasferiti a Barcellona, trovano rifugio nei docks portuali, poi nel collegio "Bonanova". Fratel Miguel nel frangente, porta con sé le Ostie consacrate della cappella di Premia. Spentasi la rivoluzione i Fratelli tornano a Premia de Mar. Ma il Signore vuole con sé il servo fedele. Negli ultimi giorni di gennaio 1910 è colpito da polmonite. L'organismo debole non reagisce e, dopo tre giorni di agonia, il 9 febbraio Fratel Miguel, ricevuti i Sacramenti, muore nella pace del Signore. La notizia della morte suscita commozione e rimpianto: in Equatore viene dichiarato il lutto nazionale. Fratelli ed Ex-alunni ne proclamano le virtù, presto si attribuiscono alla sua intercessione molti favori celesti; di qui l'inizio del processo informativo a Quito e a Cuenca nel 1923, e a Barcellona nel 1924. Nel 1936, durante la rivoluzione spagnola, i resti mortali del Fratello vengono rimpatriati. Viene loro tributata una accoglienza trionfale. La tomba diventa mèta di continui pellegrinaggi.
Grazie e celesti favori vengono ottenuti per l'intercessione di Fratel Miguel; ma il miracolo che ha portato alla guarigione Suor Clementina Flores avvia la causa del santo Fratello verso la beatificazione.
Portati a termine tutti gli adempimenti di rito, il Papa Paolo VI, il 30 ottobre 1977, procede alla beatificazione di Fratel Miguel e a quella del suo confratello belga Fratel Muziano-Maria.
Il grande afflusso di pellegrini dal Belgio, dall'Equatore e dall'Italia, la riuscita cerimonia e le ispirate parole del Pontefice Paolo VI nell'omelia e all'Angelus, hanno reso indimenticabile questa giornata per tutti i fortunati partecipanti alla solenne celebrazione di Piazza San Pietro.
Il giorno stesso della beatificazione, proprio durante lo svolgimento del suggestivo rito, si compiva un altro miracolo: la signora Beatrice Gómez de Nunez, affetta da incurabile "miastenia gravis", si sentì completamente guarita. Già in precedenza, con tutta la famiglia, si era affidata all'intercessione del santo Fratello, ed a coronamento delle sue preghiere era voluta venire a Roma per la beatificazione. Questa guarigione, riconosciuta come miracolosa, porta alla riapertura della causa, e nel Concistoro del 25 giugno 1984 il Pontefice Giovanni Paolo II stabilisce al 21 ottobre dello stesso anno la data della canonizzazione. Oggi, Giovanni Paolo II elevando tra i santi l'umile religioso equatoriano, offre alla Chiesa intera, e, in particolare, a quella dell'Equatore il modello di un religioso colto, ma semplice ed umile, di un educatore che ha aiutato tanti giovani a trovare il senso della loro vita in Gesù e a vivere la loro fede come impegno e come dono.
(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - San Michele (Miguel) Febres Cordero, pregate per noi.
*Santi Primo e Donato – Martiri (9 Febbraio)
Martirologio Romano: A Lemelléfa in Africa settentrionale, commemorazione dei Santi Primo e Donato, diaconi e martiri, anch’essi uccisi dagli eretici in chiesa, mentre cercavano di difendere l’altare.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Primo e Donato, pregate per noi.
*San Rinaldo di Nocera Umbra – Vescovo, Camaldolese (9 Febbraio)
m. Nocera Umbra, 9 febbraio 1217
San Rinaldo, dopo aver brillato come fulgida stella fra i confratelli dell’eremo camaldolese di Fonte Avellana, ove fu priore, rifulse come splendido sole sulla cattedra episcopale di Nocera Umbra. Fu instancabile nel zelare la salute delle anime e praticò sino alla morte le osservanze dell’eremo, mantenendo innanzitutto l’abito monastico. Morì presso Nocera Umbra il 9 febbraio 1217. In tale anniversario è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.
Etimologia: Rinaldo = potente consigliere, dall'antico tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Nocera Umbra, San Rainaldo, vescovo, già monaco camaldolese di Fonte Avellana, che, pur svolgendo l’ufficio episcopale, conservò con fermezza le abitudini della vita monastica.
San Rinaldo, vescovo di Nocera Umbra, visse a cavallo tra il XII ed il XIII secolo e costituì una figura alquanto singolare di monaco eremita e di vescovo, staccatosi dalla mentalità del suo tempo per dare una svolta radicale alla sua vita, divenendo mirabile esempio di pietà e di carità, di fede e di coerenza, in un mondo caratterizzato da ricchezza e potere, compromessi e collusioni tra potere temporale e spirituale.
Figlio primogenito di uno dei signorotti locali che dominavano Nocera Umbra e Foligno, erede del feudo di Postignano e già destinato a posti di importanza politica e militare di primo grado, Rinaldo ricevette un’educazione culturalmente elevata come si conveniva al suo rango. All’età di venti anni abbandonò tutti i suoi averi per darsi all’eremitaggio sul monte di Gualdo, il Serrasanta, celebre per la presenza di uomini dediti alla preghiera ed alla penitenza, ove poté vivere “una vita eremitica perfetta”.
Sentì però assai presto in cuor suo la necessità di assoggettarsi ad un superiore, che potesse guidarlo nel seguire costantemente la volontà di Dio, e divenne allora monaco presso il monastero camaldolese di Fonte Avellana, dove “insieme ai confratelli, servì Dio in modo perfetto e devoto” e fu anche eletto priore. Per giochi di potere umano o, se si preferisce vedere gli avvenimenti alla luce della fede, per gli insondabili disegni della Provvidenza, Rinaldo fu associato nell’episcopato al vescovo Ugo, impegnato in alti incarichi giuridici nella Curia Romana.
L’elezione sarebbe avvenuta tra gli anni 1209 e 1212 ed infine, alla morte di Ugo, dal 1213 il Santo eremita divenne a tutti gli effetti titolare della diocesi. L’episcopato di Rinaldo si contraddistinse per la sua singolare scelta di rimanere monaco anche da vescovo e lo fece con l’ostinazione tipica dei santi, sempre interamente dedito a Dio ed ai fratelli, come narra la Legenda Minor : “tenne la vita perfetta rimanendo come quando era in monastero con digiuni, veglie, e preghiere, dedicandosi a Dio e occupato nella cura vescovile di celebrante del culto divino e di soccorritore delle persone più povere e bisognose”. Per dare un vivace esempio di amore cristiano adottò un bimbo di Nocera, orfano dei due genitori, tenendolo nel palazzo vescovile ed onorandolo quotidianamente a mensa, come fosse stato Cristo stesso che chiedeva aiuto.
Importante fu la presenza del santo vescovo alla promulgazione della Indulgenza della Porziuncola nell’agosto del 1216, voluta da San Francesco d’Assisi.
San Rinaldo morì il 9 febbraio 1217 presso Nocera Umbra, ed il suo corpo fu subito imbalsamato. Con un processo sui miracoli, promosso dal vescovo Pelagio suo successore, dopo pochi mesi fu elevato sull’altare maggiore della cattedrale e perciò proclamato santo secondo gli usi del tempo.
Le travagliate vicende politiche dispersero presto preziosi documenti e tradizioni relativi al culto del santo, in particolare quando nel 1248 Nocera, città guelfa, fu distrutta dall’esercito di Federico II che si accampò proprio nella suddetta cattedrale. Straordinario evento fu il ritrovamento del corpo di san Rinaldo, intatto e non profanato come le tombe degli altri vescovi. San Rinaldo allora fu proclamato patrono di Nocera ed intorno alla sua urna, trasferita nella chiesa di Santa Maria dell’Arengo, oggi dedicata a San Giovanni Battista, si ricostruì la città distrutta e la devozione verso il santo che perdurò nei secoli.
Quando nel 1448 riprese nuovamente la ricostruzione della cattedrale, in cima al colle ove sorge il centro storico di Nocera, al titolo ufficiale della chiesa, che da sette secoli era dedicata alla Vergine Assunta, fu aggiunto il ricordo di San Rinaldo.
Il suo corpo fu solennemente trasportato nella nuova cattedrale nel 1456 e per secoli costituì il centro del culto che fece di San Rinaldo il protettore della città e della diocesi di Nocera. Il Santo non mancò di provvedere ad aiutare i suoi devoti con interventi di protezione nei momenti tragici di guerre, distruzioni ed eventi calamitosi come i frequenti terremoti. Odiernamente, dopo i dolorosi eventi del terremoto del 1997, il corpo del patrono è venerato nella provvisoria chiesa lignea di San Felicissimo.
Nell’anniversario della morte San Rinaldo è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Rinaldo di Nocera Umbra, pregate per noi.
*San Sabino di Avellino – Vescovo (9 Febbraio)
Abellinum, V-VI secolo
Patronato: Atripalda
Etimologia: Sabino = nativo della Sabina
Emblema: Bastone pastorale
Per la verità San Sabino fu vescovo di ‘Abellinum’ antica città romana che si trovava molto vicino al castello dell’attuale Atripalda e che nella storia irpina divenne poi Avellino.
Visse e fu vescovo tra il V e il VI secolo, ebbe come diacono e amministratore il giovane Romolo, il quale essendogli molto legato, lo assisté quando morì il 9 febbraio di un anno imprecisato, ma senz’altro dell’inizio del VI secolo.
Sabino fu sepolto nello ‘Specus martyrum’, uno dei più insigni monumenti di archeologia cristiana dell’Irpinia, esistente ad ‘Abellinum’ e ora ipogeo della chiesa di S. Ipolisto ad Atripalda.
Romolo fra i suoi incarichi di diacono, aveva anche quello di attento custode dello ‘Specus’, dove erano conservate reliquie di martiri cristiani, sepolto lì San Sabino, Romolo raccolse in un’ampolla un liquido detto ‘manna’ che prodigiosamente stillava dalla tomba del suo venerato vescovo; questo liquido operava guarigioni e rendeva fertile la campagna Irpina.
Dopo poco tempo anche Romolo morì, si dice per il dolore della perdita della sua guida spirituale e venne sepolto in una tomba a fianco a quella di s. Sabino. Le due lapidi poste sui sepolcri, sono giudicate unanimemente del VI secolo, su quella del vescovo, l’iscrizione mette in risalto la figura del pastore, vigile ed operoso, che restaurò la sede vescovile di Abellinum, che era dovuta rimanere per alcuni anni vacante, dopo la morte del vescovo Timoteo suo predecessore.
Così in quel periodo d’inizio del secolo VI, mentre gli Ostrogoti invadevano tutta l’Italia, Sabino attendeva alla cura delle anime, divenendo aiuto e sostegno dei cittadini, amministrando integerrimo la giustizia e sollevando con la carità i cristiani, verso la visione del Regno di Dio.
La seconda iscrizione, sulla tomba di San Romolo, dice che il giovane diacono del vescovo Sabino, era morto dopo di lui, ma era stato associato a lui in quella terra benedetta dello ‘Specus’.
Al tempo del principe Marino Caracciolo I (1576-91) duca di Atripalda, in occasione di lavori per ampliare la chiesa di S. Ipolisto, il corpo di San Sabino fu collocato presso l’altare maggiore, ma il 16 settembre 1612, il vescovo di Avellino, Muzio Cinquini, dietro le insistenze del clero e dei magistrati del popolo, operò una solenne ricognizione delle reliquie e le fece riporre nell’antico ‘Specus’.
I due Santi Sabino e Romolo, vescovo e diacono, sono accomunati nella venerazione dei fedeli, specie di Atripalda ed Avellino, solitamente vengono festeggiati in due date, il 9 febbraio giorno della morte di San Sabino e il 16 settembre ricorrenza della solenne traslazione del 1612. È il patrono principale di Atripalda, affiancato da San Romolo e da Sant’ Ipolisto martire.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Sabino di Avellino, pregate per noi.
*San Sabino di Canosa – Vescovo (9 Febbraio)
È un vescovo vissuto tra la fine del V secolo e la metà del VI, di lui prima dell'episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514.
Dal Papa Agapito fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli per constatare l'eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena, che convocò un sinodo nel 536. San Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare san Benedetto a Montecassino.
In una di queste visite gli disse, che era preoccupato per l'ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie.
E Totila in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo. Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò. (Avvenire)
Patronato: Canosa, Bari, Torremaggiore
Etimologia: Sabino = nativo della Sabina
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Canosa in Puglia, San Sabino, vescovo, che fu amico di San Benedetto e venne inviato a Costantinopoli come legato della sede Romana per difendere la retta fede dall’eresia monofisita.
Si tratta di un vescovo vissuto tra la fine del secolo V e la metà del VI, di lui prima dell’episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514.
Lo si ritrova con altri vescovi nel 531, accanto a Bonifacio II nel Sinodo romano di quell’anno; oltre ad essere un campione di virtù, doveva essere molto saggio e uomo di dottrina, visto la missione di grande importanza che gli aveva affidato il papa Agapito.
San Sabino fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli, su invito dell’imperatore Giustiniano, per constatare, dibattere e condannare l’eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena.
Papa Agapito che era giunto personalmente per evitare conflitti, morì sul luogo il 22 aprile 536; toccò a Sabino e agli altri vescovi continuare nell’opera, affiancando il patriarca Mena nel sinodo da lui indetto nel 536, da cui scaturì la condanna definitiva di Antimo, Severo, Zoara e dei loro discepoli monofisiti.
S. Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare San Benedetto a Montecassino, a cui portava sincera amicizia, in una di queste visite disse a San Benedetto che era preoccupato per l’ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie.
E fu con Totila che si verificò l’episodio in cui il re barbaro in giro nel Meridione, in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo, Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò.
Anche un ambizioso arcidiacono, gli preparò una bevanda avvelenata, ma il vescovo lo scoprì e disse al servo che gli porgeva la coppa: “Io berrò il veleno, ma egli non sarà vescovo”; Sabino rimase incolume e l’altro proprio allora si accasciò morto.
Dopo circa 52 anni di episcopato, il Santo vescovo morì il 9 febbraio del 566.
La città di Canosa di Puglia lo venera come suo patrono, ma anche Bari gli tributa grande culto, venerandolo come compatrono insieme a San Nicola. Bari ereditò dall’XI secolo la sede episcopale, fino allora dipendente da Canosa.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - San Sabino di Canosa, pregate per noi.
*San Teliavo (Teliano) – Abate (9 Febbraio)
Martirologio Romano: Nel monastero di Llandaff in Galles, San Teliavo, vescovo e abate, le cui illustri opere celebrano molte chiese in Galles, in Cornovaglia e in Bretagna.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - San Teliavo, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (9 Febbraio)
*San
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