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Santi del 7 Marzo

Il mio Santo > I Santi di Marzo

*Sant'Ardone di Aniano - Sacerdote (7 marzo)

Martirologio Romano: Nel monastero di Aniane nel territorio della Septimania, nell’odierna Francia, sant’Ardone Smaragdo, sacerdote, che fu compagno di san Benedetto di Aniane nella vita cenobitica.
Nato nell'antica provincia della Settimania e battezzato con il nome di Smaragdo, si fece monaco prima del 782, ossia prima della fondazione del nuovo monastero di Aniano.
Ordinato sacerdote, divenne direttore della scuola del monastero e fu scelto spesso come compagno di viaggio dell'abate San Benedetto di Aniano il riformatore dell'epoca carolingia.
Fu al concilio di Francoforte nel 794 e, sembra a quello di Aix-la-Chapelle nell'817.
A richiesta dei monaci del cenobio di Inda, dove Benedetto era stato abate, ne scrisse nell'821 la biografia.
Questa Vita si raccomanda per la sua genuinità ed esattezza. Le altre opere che talvolta gli si attribuiscono sono del suo omonimo, il poeta Smaragdo di San Mihiel.
I Bollandisti gli hanno contestato il titolo di santo sebbene i martirologi lo ricordino il 7 marzo, e benché sia stato onorato nell'antica diocesi di Lodêve fino al 1855.

(Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ardone di Aniano, pregate per noi.

*Santi Basilio, Eugenio, Agatodoro, Elpidio, Etereo, Capitone ed Efrem - Vescovi e Martiri (7 marzo)

† 7 marzo 311

Martirologio Romano: Nel Chersoneso, in Grecia, Santi Vescovi Basilio, Eugenio, Agatodoro, Elpidio, Eterio, Capitone ed Efrem, Martiri.
La Chiesa bizantina com i primi sette Martiri il 7 marzo, con un elogio ricavato dalla loro passio (BHG, I, pp. 94-95, nn. 266-67), mentre il Martirologio Romano, insieme con alcuni sinassari, li ricorda il 4 marzo, aggiungendo i nomi di Nestore e Arcadio.
Questi ultimi, però, formano un gruppo a parte: in essi non si occuparono della conversione del Chersoneso, ma di Cipro, non furono messi a morte per la fede e, inoltre, non si è certi della loro condizione di vescovi. I dati che possediamo sui sette martiri del pri gruppo sono alquanto approssimativi. I primi a
giungere nel Chersoneso a predicare il Vangelo, furono Basilio ed Efrem, inviati dal vescovo di Gerusalemme.
Li seguirono dopo qualche tempo Eugenio, Agatodoro ed Elpidio.
Tutti subirono il martirio: Basilio il 6 marzo del 299, ucciso dagli ebrei, gli altri quattro pure il 6 marzo, ma del 300.
Dopo diversi anni Gerusalemme inviò il Ve Eterio, il quale, non riuscendo a vincere l'ostinazione dei pagani, ottenne dall'imperatore Costantino la loro espulsione dal Chersoneso.
Egli fu ucciso da un gruppo di empi.
Costantino manò allora un nuovo vescovo, Capitone, il solo del gruppo che non subì il martirio: morì infatti di morte naturale un 22 dicembre.
(Autore: Antonio Koren – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Basilio, Eugenio, Agatodoro, Elpidio, Etereo, Capitone ed Efrem, pregate per noi.

*Beato Enrico d’Austria - Mercedario (7 marzo)

Cavaliere laico, il Beato Enrico d’Austria, fu chiamato all’Oridne Mercedario dalla Beata Vergine.
A Tunisi dove si trovava per redenzione fu flagellato per la grande testimonianza che mostrava alla fede in Cristo e con amore sopportò ogni tormento.
Famoso per la preghiera, illibato nella castità, forte nella penitenza e amabile nella conversazione.
Dopo aver preannunziato l’ora della morte, spirò in queste parole: tu sei o Signore la mia speranza, restituisco la mia anima a Dio; dalla sua cella si udiva un coro di angeli.
É sepolto nella chiesa della Mercede di Barcellona.
L’Ordine lo festeggia il 7 marzo.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)     
Giaculatoria - Beato Enrico d’Austria, pregate per noi.

*Sant'Eubulio - Martire (7 marzo)
Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, passione di Sant’Eubulio, che, compagno di Sant’Adriano, fu due giorni dopo di lui sbranato dai leoni e trafitto con la spada.   
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)     
Giaculatoria - Sant'Eubulio, pregate per noi.

*San Gaudioso di Brescia - Vescovo (7 marzo)

Martirologio Romano:  A Brescia, San Gaudioso, vescovo.
San Gaudioso fu nella prima metà del V secolo il dodicesimo vescovo di Brescia, come risulta da un discorso pronunciato dal vescovo Ramperto, nel quale in occasione del trasferimento del corpo di san Filiastro, da lui stesso predisposto nell’834, dalla chiesa antica di Sant’Andrea alla chiesa di Santa Maria elencò i nomi dei trenta vescovi fino ad allora succedutisi nella diocesi bresciana.  
L’agiografo Ughelli, che indica erroneamente Gaudioso col nome di «Gaudentius II», gli assegna tredici anni di episcopato.
Le «Vies des Saints» scritte dai Benedettini di Parigi pongono la morte di Gaudioso verso il 445.
È certo in ogni caso che egli morì prima del 451 poiché in quell’anno il suo successore Ottaziano firmò la lettera sinodica dell’episcopato lombardo indirizzata a san Leone Magno contro il monofisismo di Eutiche.
Secondo i Martirologi Romano e Bresciano Gaudioso morì un 7 marzo.
Il suo corpo fu tumulato nella chiesa parrocchiale di Sant’Alessandro, dove - come ricorda nella «Bibliotheca Sanctorum» il sacerdote Alfredo Brontesi, professore di Lettere classiche nel Liceo-Ginnasio vescovile bresciano, - rimase custodito e nascosto nella chiesa di Sant’Alessandro fino al 1454: «In quell’anno, volendo Gentile da Leonello, generalissimo degli eserciti della Repubblica Veneta, fare opere di restauro alla chiesa, le ossa di Gaudioso, trovate in una rozza cassa di pietra, furono oggetto di una solenne ricognizione».
Messe al sicuro nella cappella della famiglia Da Ponte durante la tempesta rivoluzionaria della fine del Settecento, nel 1823 furono restituite alla chiesa di Sant’Alessandro.
(Fonte: Giornale di Brescia)
Giaculatoria - San Gaudioso di Brescia, pregate per noi.

*San Giovanni Battista Nam Chong-Sam – Martire (7 marzo)
Scheda del gruppo a cui appartiene San Giovanni Battista Nam Chong-Sam:
“Santi Martiri Coreani” (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 Compagni -  20 settembre)

Ch'ungju, Corea del Sud, 1817 – Seoul, Corea del Sud, 7 marzo 1866
Martirologio Romano: A Seul in Corea, San Giovanni Battista Nam Chong-sam, martire.
Giovanni Battista Nam Chong-sam nacque a Ch’ungju, nella Corea del Sud, verso il 1812. Intrapraprese sin dalla giovane età la carriera nella pubblica amministrazione ed a trentanove anni divenne governatore.
Ben presto iniziò però a trovar difficile il conciliare le sue mansioni con la fede cristiana che professava e si dimise perciò dal suo incarico. Prese allora ad insegnare la lingua coreana ai missionari stranieri che giungevano nel paese. In seguito si trasferì a Seoul, ove insegnò letteratura cinese ai figli di alti funzionari.
Nel 1866 una nave russa attaccò la provincia di Hamgyong e subito si ipotizzò che le truppe europee stanziate a  Pechino sarebbe ro sicurametne state in grado di scacciare gli invasori. La moglie del reggente della provincia,  sapendo che Giovanni Battista Nam Chong-sam era
cattolico, lo convinse a farsi emissario presso i cattolici francesi già presenti in Corea, in particolare il vescovo San Simeone Berneux.
A Giovanni più precisamente fu chiesto di condurre il vescovo al palazzo reale, ove gli sarebbe stato chiesto in modo ufficiale di esercitare pressione presso i suoi connazionali a Pechino.
Il Berneux si trovava però a Piongjan e quando dopo varie peripezie riuscì a raggiungere Seoul, i russi erano già partiti.
Alcuni ufficiali governativi si sentirono comunque offesi per il semplice fatto che fosse stato richiesto l’intervento di un cristiano in una questione in cui essi non erano riusciti ad intervenire: decretarono dunque che i cattolici dovessero essere eliminati, a costo di spargimenti di sangue.
Anche Giovanni Battista Nam Chong-sam venne arrestato, torturato ed infine decapitato il 7 marzo 1866.
Spirò invocando con fede i nomi di Gesù e Maria.
Questo glorioso martire è stato beatificato il 6 ottobre 1968 ed infine canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, insieme con altri numerosi testimoni della fede in terra coreana.  
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Battista Nam Chong-Sam, pregate per noi.

*Beati Giovanni Larke, Giovanni Ireland e Germano Gardiner - Martiri (7 marzo)
Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia Beatificati nel 1886-1895-1929-1987” (Senza data - Celebrazioni singole)

+ Tyburn, Londra, Inghilterra, 7 marzo 1544
Martirologio Romano:
A Londra in Inghilterra, Beati martiri Giovanni Larke e Giovanni Ireland, sacerdoti e Germano Gardiner, che per la loro fedeltà al Romano Pontefice morirono impiccati a Tyburn, sotto il re Enrico VIII.   
Il martirio dei tre Beati oggi festeggiati si colloca nel contesto delle persecuzioni anticattoliche suscitate in  Inghilterra dalla nascita della Chiesa Anglicana e fomentate dagli stessi sovrani inglesi, interessati a salvaguardare l’unità religiosa della nazione.
Ben poco sappiamo della vita di John Larke, ma pare cosa certa che all’epoca del suo martirio avesse già un’età abbastanza avanzata.
Dal 1504 era rettore di Santa Etelburga, Bishopsgate e conservò tale incarico sino a pochi anni della tragica morte.
Nel 1526 fu nominato rettore di Woodford nell’Essex, ma rinunciò alla prestigiosa carica quando quattro anni dopo il celeberrimo cancelliere inglese San Thomas More gli affidò il medesimo incarico a Chelsea.
Cresacre More, nella sua “Vita di Moro” ebbe a testimoniare: “La morte [di Moro] impressionò in  modo particolare Larke, suo parroco, che, seguendo l’esempio del proprio discepolo, arrivò al martirio per la stessa causa [l’Atto di Supremazia], e divenne ancor più famoso”.
German Gardiner era un laico, segretario di Stefano Gardiner del quale assai probabilmente era anche parente.
Trovatosi in controversia con i riformatori, prese a considerare piuttosto quali eroi quei martiri morti in difesa delle prerogative  del papato.
Il Cresacre nella sua opera citò anche lui: “German Gardiner, un laico brillante, istruito e santo, che venne  condannato a morte circa otto anni dopo [Moro] dichiarò di fronte a tutti coloro che erano venuti ad assistere alla sua esecuzione che doveva il suo coraggio alla santa semplicità dei certosini, ai magnifici insegnanti del vescovo di Rochester ed alla saggezza unica di Tommaso Moro”.
Il 15 febbraio 1544 dinnanzi alla corte di Westminster vennero condotti,  oltre a John Larke e German Gardin, anche John Ireland, sacerdote secolare di cui si sa poco o nulla, ed il laico John Heywood, che poi rinnegò la sua fede.
La loro condanna a morte fu emessa con l’accusa di “tentato tradimento contro il re, in materia della di lui dignità, titolo e nome di Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra e d’Irlanda, con parole, scritti ed azioni”.
I tre martiri vennero impiccati e squartati il 7 marzo 1544.
La loro glorificazione terrena ha seguito tempi diversi: i sacerdote John Larke ed il laico German Gardiner furono beatificati già nel 1886, mentre il sacerdote John Ireland fu beatificato solo nel 1929.  

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Giovanni Larke, Giovanni Ireland e Germano Gardiner, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Olallo Valdes - Religioso Fatebenefratelli (7 marzo)

L'Avana, Cuba, 12 febbraio 1820 – Camagueym, Cuba, 7 marzo 1889
Fra Jose' Olallo Valdés, religioso dell'Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli, nacque a L'Avana nell’isola di Cuba il 12 febbraio 1820 e morì a Camaguey il 7 marzo 1889.
É il secondo beato per la Chiesa cubana ed il primo ad essere beatificato a Cuba il 29 novembre 2008 nella città ove il religioso morì. Il 15 marzo 2008 è infatti stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione. Era “venerabile” dal 16 dicembre 2006.
Il Servo di Dio Venerabile José Olallo Valdés nacque all’Avana, nell’Isola di Cuba, il 12 febbraio del 1820. Figlio di genitori sconosciuti, venne affidato all’Orfanotrofio di San Giuseppe (Avana), dove il 15 marzo del 1820 ricevette il battesimo. Visse e fu educato presso la Casa di Cuna e la Casa di Beneficenza, diventando un ragazzo serio e responsabile, e all’età di 13-14 anni fece il suo ingresso nell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, nella comunità dell’ospedale dei Santi Filippo e Giacomo, a L’Avana.
Superando gli ostacoli che sembravano interporsi alla sua vocazione, si mantenne costante nella sua decisione, emettendo la professione come religioso ospedaliero.
Nel mese di aprile dell’anno 1835 fu trasferito alla città di Puerto Príncipe (oggi Camagüey), nell’ospedale San Giovanni di Dio, dove si dedicò per il resto della sua vita al servizio degli infermi, secondo lo stile di San Giovanni di Dio; in 54 anni si assentò dall’ospedale soltanto una notte, e per cause indipendenti della sua volontà. Infermiere aiutante, a 25 anni divenne “infermiere maggiore” dell’ospedale e quindi, nel 1856, superiore della comunità.
Visse affrontando grandi sacrifici e difficoltà, ma sempre con rettitudine e forza d’animo, la sua vita consacrata e ospedaliera durante il periodo di soppressione degli Ordini religiosi da parte dei governi liberali spagnoli, che comportò anche la confisca dei beni ecclesiastici.
Dal 1876, in cui morì l’ultimo suo Confratello compagno, al 1889, data della sua morte, visse da solo adoperandosi nel servizio degli ammalati, sempre fedele a Dio, alla sua coscienza, alla sua vocazione e al carisma, senza venire mai meno ai voti religiosi, umile e obbediente verso tutti, con nobiltà di cuore, rispettando, servendo e amando anche gli ingrati e i nemici invidiosi.
Nel periodo della guerra dei 10 anni (1868-1878) si dimostrò coraggioso nel custodire i suoi ricoverati, sempre prudente e senza rancori, lavorando a favore di tutti, ma con preferenza per i
più deboli e poveri, per gli anziani e gli orfani, senza fare distinzione di razza né di religione, mettendo a repentaglio la propria esistenza nel corso di eventi difficili, assistendo gli schiavi, difendendo l’ospedale, soccorrendo i feriti di guerra, assistendo i prigionieri, ecc., e anche prendendo la difesa con “dolce fermezza” di tutti coloro che non avevano il permesso governativo di farsi curare, senza badare alla loro provenienza sociale o politica al tempo dei conflitti bellici civili, ottenendo per questo il rispetto e la considerazione delle autorità militari.
Riuscì ad intercedere presso le autorità militari in favore della popolazione di Camagüey e, non lasciandosi intimorire dalle minacce, né dalle proibizioni, evitò un massacro civile.
Perseverante nella vocazione, attraverso la sua bontà dolce e serena fece del quarto voto di ospitalità non solo un ministero di amore e servizio verso gli ammalati, ma una modalità di ardente apostolato, soprattutto nell’assistenza ai moribondi e agli agonizzanti, che accompagnava nelle ultime ore della loro esistenza, nel passaggio verso una vita migliore. Si distinse sempre verso tutti per la sua infinita bontà e fu ricordato con l’appellativo di “apostolo della carità” e “padre dei poveri”, che sintetizza bene l’altruismo del Venerabile Olallo, vissuto in piena fedeltà al carisma dell’Ospitalità.
Modesto, sobrio, senza aspirazioni di alcun genere se non quella di essere consacrato unicamente al suo misericordioso ministero, rinunziò al sacerdozio e si caratterizzò per la sua umanità e competenza, pur essendo autodidatta, anche come medico-chirurgo.
Visse lontano dal clamore, rifuggendo dagli onori per poter fissare il suo sguardo soltanto su Gesù, che ritrovava nel volto dei sofferenti. La sua grande umiltà si rivelò anche dalla rinunzia al sacerdozio, dopo l’invito rivoltogli dal suo Arcivescovo, poiché la sua vocazione era completamente il servizio dei più poveri e dei sofferenti; i testimoni parlano di fedeltà piena alla sua consacrazione di religioso nella pratica dei voti di castità, obbedienza, povertà e ospitalità.
La sua morte, avvenuta il 7 marzo 1889, fu ritenuta la “morte di un giusto”, di un santo: decesso, veglia, funerali e sepoltura, con monumento-mausoleo, che da allora in poi viene visitato continuamente, testimoniano la sua santità e la venerazione dei suoi devoti. Morì ma rimase vivo nel cuore della gente, che amava chiamarlo “Padre Olallo”.
La grande fama di santità che lo circondava nasceva dalla sua vita di uomo modesto, giusto e dall’animo generoso, come modello di virtù dal cuore ardente di amore per i “miei fratelli prediletti”: sobrio, gioioso, affabile, ma soprattutto eccelso servitore nella carità. Seppe essere un fedele imitatore del suo Fondatore. Dio fu la sua vita e, di conseguenza, illuminato dall’amore di Dio, ricambiò tanto amore nella stessa maniera. “Dio occupò il primo posto nelle intenzioni e nelle opere: fissi i suoi occhi nel bene portava Gesù costantemente nell’anima”.
Questa eroica carità aveva le sue basi in una fede che riconosceva in “Dio il proprio Padre, e in Gesù tutto il centro della sua vita, il fondamento del suo amore e della sua misericordia; Gesù crocifisso fu il segreto della sua fedeltà  all’amore di Dio che muoveva ogni sua opera”.
Pur essendo di spirito tenace, fu sempre sottomesso a Dio per meglio affrontare e sostenere le dure e quotidiane fatiche imposte dal lavoro ospedaliero e dalle situazioni difficili e delicate che comportavano rischi per la vita, sempre cercando di ottenere il bene dei suoi ammalati.
Con la morte di P. Olallo Valdés e anche in seguito, la sua fama di santità andava aumentando ogni giorno di più, principalmente fra il popolo di Camagüey, che attribuiva alla sua intercessione grazie e aiuti continui. Aperto il  Processo di studio della Causa nel 1990 nella diocesi di Camagüey, Cuba, il 16 dicembre 2006 fu riconosciuta l’eroicità delle sue virtù.
Dopo la celebrazione del Processo diocesano super miro della presunta guarigione della bambina di 3 anni, Daniela Cabrera Ramos, nella stessa diocesi di Camagüey, il ristabilimento della bambina fu riconosciuto come vero miracolo da Sua Santità Benedetto XVI con Decreto del 15 marzo 2008.
La cerimonia di Beatificazione di P. Olallo Valdés ha avuto luogo nella Città di Camagüey, Cuba, il 29 novembre 2008, presieduta da Sua Eminenza il Cardinale José Saraiva Martins.
(Autore: Júnior Gambarotto – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Olallo Valdes, pregate per noi.

*Beato Leonida (Leonid) Fedorov - Sacerdote e Martire (7 marzo)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 25 Martiri Greco-Cattolici Ucraini” Senza Data (Celebrazioni singole)

San Pietroburgo, Russia, 4 novembre 1879 – Kirov, Russia, 7 marzo 1935
Nacque il 4 novembre 1879 a San Pietroburgo da una famiglia ortodossa russa. Nel 1902 lasciò il seminario ortodosso e fece un viaggio a Roma, dove si convertì al cattolicesimo.
Terminati gli studi, il 25 marzo 1911 ricevette l'ordinazione presbiterale in Bosnia come greco-cattolico, cioè di rito bizantino.
Due anni dopo divenne monaco nel monastero di San Teodoro lo Studita.
Tornato a San Pietroburgo venne deportato in Siberia, ma già nel 1917 fu liberato e ricevette la nomina ad  Esarca dei Cattolici russi di rito bizantino.
Nel 1923 fu arrestato una seconda volta e condannato a dieci anni di prigionia e inviato alle isole Solovky sul Mar Bianco ed a Vladka.
Fu pioniere dell'ecumenismo insieme con gli ortodossi con i quali condivise la dura prigionia. Morì il 7 marzo 1935 presso Kirov.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme ad altre 24 ucraini vittime del regime sovietico, primo beato russo dei tempi moderni. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nella città di Kirov in Russia, Beato Leonida Fëdorov, vescovo e martire, che ricoprì l’incarico di esarca apostolico dei cattolici Russi di Rito bizantino e, sotto un regime ostile alla religione, meritò di essere discepolo fedele di Cristo fino alla morte.
Leonid Fedorov nacque il 4 novembre 1879 a San Pietroburgo da una famiglia ortodossa russa. Nel 1902 lasciò il  seminario ortodosso e fece un viaggio a Roma, dove si convertì al cattolicesimo.

Studiò presso Anonia, Roma e Friburgo. Il 25 marzo 1911 ricevette l’ordinazione presbiterale in Bosnia come greco-cattolico, cioè di rito bizantino.
Due anni dopo divenne monaco nel monastero di San Teodoro lo Studita.
Fece poi ritorno a San Pietroburgo.
Per un certo tempo fu deportato in Siberia, ma già nel 1917 fu liberato e ricevette la nomina ad Esarca dei Cattolici Russi di Rito Bizantino.
Nel 1923 fu arrestato una seconda volta e condannato a dieci anni di prigionia. Fu allora  inviato alle isole Solovky sul Mar Bianco ed a Vladka.
Fu pioniere dell’ecumenismo insieme con gli ortodossi con i quali condivise la dura prigionia. Morì infine martire dela fede il 7 marzo 1935 presso Kirov.
Già nel 1937, con l’appoggio nel metropolita ucraino Sheptytsky, iniziò la procedura per la sua elevazione agli onori degli altari e così Leonid Fedorov fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina, primo Beato russo dei tempi moderni.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Leonida (Leonid) Fedorov, pregate per noi.

*Beato Luca Sy - Catechista e Martire (7 marzo)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri del Laos" - 16 dicembre (celebrazione di gruppo)

Ban Pa Hok, Laos, 1938 –Den Din, Laos, 7 marzo 1970

Luc Sy, nato in un villaggio di etnia kmhmu’, ricevette il Battesimo a circa tredici anni. Studiò nella scuola catechistica del Seminario minore di Paksane, finché non venne chiamato a lavorare nelle scuole statali; tuttavia, continuò a collaborare strettamente con padre Jean Wauthier, Missionario Oblato di Maria Immacolata.
Alla notizia della sua morte, dopo essere stato nell’esercito e aver preso moglie, crebbe in lui il desiderio di servire i kmhmu’. Nell’aprile 1969 raggiunse il Centro pastorale di Hong Kha, destinato ai catechisti per quella popolazione, e già per il Natale successivo era pronto a partire. Trovò la morte in un’imboscata, il 7 marzo 1970: era insieme al diacono Louis-Marie Ling, che ebbe salva la vita perché un altro catechista, Maisam Pho Inpèng, ricevette il colpo a lui destinato. Luc Sy, Maisam Pho Inpèng e padre Jean Wauthier sono stati beatificati l’11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos, insieme ad altri quattordici tra sacerdoti e laici.
Maestro e catechista
Luc Sy nacque nel 1938 a Ban Pa Hok, villaggio del Laos abitato dall’etnia kmhmu’. Il 28 ottobre 1951 tutti gli abitanti del villaggio vennero battezzati, lui compreso, che ricevette i nomi
cristiani di Luc e Marie.
Dal 1953 al 1957 studiò presso il Seminario minore di Paksane, che ospitava anche la scuola per catechisti: si dimostrò un allievo timido, ma onesto e lavoratore.
Nel 1958 venne chiamato a lavorare come maestro nelle scuole statali; tuttavia, continuò a collaborare con il Missionario Oblato di Maria Immacolata padre Jean Wauthier, che aveva contribuito all’evangelizzazione del suo popolo e condivise con lui il suo spirito di apostolato.
Nell’esercito
Nel 1961, Luc fu arruolato nell’esercito come caporale. Pur conducendo una vita vagabonda in un Paese dove i disordini politici e militari erano all’ordine del giorno, rimase un buon cristiano. Sei anni dopo fu congedato perché era rimasto ferito e fu accolto come catechista a Nong Sim, nella missione di Pakse. Sposò quindi una giovane rimasta vedova con due figli, anche lei cattolica; dalla loro unione nacque una bambina.
Il Vangelo tra i kmhmu’
La morte di padre Jean Wauthier, avvenuta la sera del 16 dicembre 1967, risvegliò in Luc il desiderio di portare il Vangelo tra i kmhmu’, spesso in fuga dai loro villaggi per via della guerra, emarginati e privi di mezzi.
Nel 1969, dunque, raggiunse il Centro pastorale di Hong Kha presso Vientiane, dove venivano formati proprio i catechisti di quella popolazione.
Già nel Natale di quell’anno fu pronto per l’invio in missione: era un allievo dotato, rafforzato dalle prove della vita, assiduo nella preghiera e aperto ai più bisognosi. Divenne anche associato dell’Istituto secolare Voluntas Dei, fondato da padre Louis-Marie Parent, che prima aveva fondato le Oblate Missionarie di Maria Immacolata.
Il 26 gennaio fu destinato dal suo vescovo alla missione nella regione di Vang Vieng, popolata da villaggi di rifugiati. Nel giro di poco, compì un lavoro notevole, sia per quanto riguardava lo sviluppo sia per la catechesi.
L’ultimo viaggio
Il 4 marzo 1970, Luc compì il suo ritiro mensile. Era insieme al diacono Louis-Marie Ling, dell’Istituto Voluntas Dei e futuro vescovo, e a un altro catechista, Maisam Pho Inpèng, che era venuto ad assisterli.
La mattina del 7 marzo, i tre caddero in un’imboscata: Pho Inpèng ricevette il colpo mortale destinato al diacono e anche Luc morì con lui.
Il processo di beatificazione
Luc Sy, Maisam Pho Inpèng e padre Jean Wauthier sono stati inseriti in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên.
La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario un altro dei potenziali martiri, padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica. A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, suo confratello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
L’accertamento del martirio e la beatificazione
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos.
A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade il 16 dicembre, anniversario del martirio di padre Jean Wauthier.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luca Sy, pregate per noi.

*Beato Maisam Pho Inpèng - Padre di famiglia, Martire (7 marzo)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri del Laos" - 16 dicembre (celebrazione di gruppo)

Sam Neua, Laos, 1934 – Den Din, Laos, 7 marzo 1970
Maisam Pho Inpèng, appartenente all’etnia kmhmu’, ricevette il Battesimo con sua moglie nel villaggio dove si erano rifugiati in seguito all’attacco delle truppe comuniste. Grazie alla sua istruzione e all’influenza che ne derivava, venne eletto responsabile laico della piccola comunità cristiana di Houey Phong, composta in prevalenza di catecumeni.
Il 7 marzo 1970, mentre era insieme al catechista Luc Sy e al diacono Louis-Marie Ling, cadde in un’imboscata: morì insieme all’altro catechista per aver ricevuto in piena fronte la pallottola destinata al diacono. Luc Sy e Maisam Pho Inpèng sono stati beatificati l’11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos, insieme ad altri quindici tra sacerdoti e laici.
Maisam Pho Inpèng (questi ultimi due sono il nome di suo figlio, assunto da lui secondo l’usanza del suo Paese), nacque nel 1934 nella provincia di Houa Phanh, in Laos.
Insieme a molti altri uomini e donne della sua etnia, i kmhmu’, fu raggiunto dalla predicazione del Vangelo a opera dei missionari intorno al 1959.
In seguito all’attacco dei guerriglieri comunisti nella regione, nel 1960, fu arruolato nell’esercito reale del Laos col grado di capitano, ma era un uomo di pace. Così, appena fu possibile, si congedò dall’esercito e prese moglie.
Insieme alla sua sposa ricevette il Battesimo nel villaggio di Houey Phong, nella regione di Vang Vieng, dove avevano trovato rifugio dalla guerriglia.
Per la sua istruzione, fu presto scelto come responsabile della piccola comunità cristiana del luogo, composta perlopiù da catecumeni. In assenza del missionario che curava le celebrazioni e del catechista titolare del villaggio, guidava gli incontri di preghiera e istruiva i bambini.
Il 4 marzo 1970, Maisam Pho Inpèng era intento ad assistere il catechista Luc Sy e il diacono Louis-Marie Ling nel loro ritiro mensile.
La mattina del 7 marzo, i tre caddero in un’imboscata: Pho Inpèng ricevette il colpo mortale destinato al diacono e anche Luc morì con lui.
Luc Sy e Maisam Pho Inpèng sono stati inseriti in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên.
La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario un altro dei potenziali martiri, padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, suo confratello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette.
Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos.
A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata.
La memoria liturgica di tutto il gruppo cade il 16 dicembre, anniversario del martirio del padre Missionario Oblato di Maria Immacolata Jean Wauthier.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonbte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Maisam Pho Inpèng, pregate per noi.

*Beata Maria Antonia di San Giuseppe (Marìa Antonia de Paz y Figueroa) - Vergine (7 marzo)

Silípica, Santiago del Estero, Argentina, 1730 – Buenos Aires, Argentina, 7 marzo 1799
María Antonia de Paz y Figueroa, nata nel 1730 a Santiago del Estero in Argentina, a quindici anni decise di consacrarsi a Dio: emise il voto privato di verginità e aggiunse al nome proprio la qualifica "di San Giuseppe".
Insieme ad altre consacrate, aiutò i padri della Compagnia di Gesù, occupandosi in particolare nell’organizzazione degli Esercizi spirituali. Nel 1767 re Carlo III di Spagna decise di espellere i Gesuiti dall’America del Sud: Maria Antonia, a quel punto, si sentì stimolata interiormente a continuare la loro opera. Aiutata dalle sue compagne, o più spesso recando con sé unicamente una croce di legno, percorse a piedi il nord dell’Argentina.
Divenuta famosa col soprannome di "Mama Antula", fondò una casa di Esercizi a Buenos Aires, nella quale morì il 7 marzo 1799. Si stima che i partecipanti ai ritiri da lei organizzati siano stati tra le 70000 e le 80000 unità. È stata beatificata a Santiago del Estero il 27 agosto 2016, sotto il pontificato di papa Francesco, suo connazionale. I suoi resti mortali sono venerati nella Basilica di Nostra Signora della Pietà, in Calle Bartolomé Mitre 1524, a Buenos Aires.
Famiglia e primi anni
I dati sui primi anni di vita di María Antonia de Paz y Figueroa sono quasi interamente tratti da tradizioni orali, visto che non è stato trovato il suo certificato di Battesimo. Si ritiene che sia nata nel 1730 a Silípica, cittadina nei pressi di Santiago del Estero, in Argentina, oppure nella stessa Santiago. Non esiste documentazione neppure circa i suoi genitori, i cui nomi tramandati sono Francisco Solano de Paz y Figueroa e Andrea de Figueroa.
Plausibilmente, trascorse l’infanzia nella fattoria del padre, vivendo a stretto contatto con le popolazioni native dell’America Latina.Ricevette un’educazione buona e solida, non solo dal punto di vista religioso: imparò a leggere, scrivere e far di conto, ma anche i lavori domestici e quanto potesse essere utile a una donna.
Dotata di un’intelligenza vivace e di una tenace volontà, maturò anche un profondo senso di responsabilità, imparando a comprendere i bisogni del popolo del suo paese.
Tutte queste qualità, unite a un cuore generoso e aperto e ai suoi lineamenti delicati, la rendevano attraente per molti.
I contatti coi Gesuiti e la consacrazione privata
La sua scelta di vita, però, fu di altro genere e venne incentivata dalla presenza della Compagnia di Gesù a Santiago del Estero. I padri avevano una casa e una chiesa, gestivano una scuola, predicavano missioni al popolo e dirigevano spiritualmente molti fedeli, anche donne. Alcune di esse si resero disponibili per aiutarli nell’organizzazione degli Esercizi spirituali, l’opera peculiare dei figli di sant’Ignazio di Loyola.
Tra di esse c’era anche la quindicenne María Antonia, che, dopo la dovuta preparazione, consacrò la sua verginità al Signore con voti privati, aggiungendo al proprio nome la qualifica "di San Giuseppe": divenne quindi una "beata", ovvero, con linguaggio moderno, una laica consacrata. Indossò quindi un abito scuro e andò a vivere con altre donne, sia vergini sia vedove, in un "beaterio", ossia in una casa apposita dove, con i propri lavori e sacrifici, le consacrate potevano sostenere la casa degli Esercizi.
Guidate dal gesuita padre Gaspar Juárez, si dedicavano ad aiutare i sacerdoti, educavano i bambini, cucivano, ricamavano, badavano ai malati ed elargivano elemosine. All’epoca gli istituti religiosi di vita attiva erano pressoché inesistenti in Argentina, quindi era l’unica possibilità di consacrazione in tal senso.
L’apostolato degli Esercizi spirituali
Tuttavia, nel 1767, Carlo III di Borbone, re di Spagna, ordinò l’espulsione dei Gesuiti dall’America del Sud. La notizia sconvolse tutta l’Argentina, ma la città di Santiago ne fu
particolarmente segnata.
Maria Antonia, che all’epoca aveva trentasette anni, non si rassegnò: cominciò dunque a interrogarsi su cosa poter fare per tutte le persone che rimanevano così prive di guida spirituale. Interiormente, le parve di sentire una voce che le suggeriva: "Non potresti proseguire tu l’opera degli Esercizi?".
Convinta che quell’ispirazione venisse dall’alto, la vergine si confidò a padre Diego, un Mercedario, che non solo l’appoggiò, ma le offrì anche la propria collaborazione, prestando i servizi del suo ministero; lei, in cambio, avrebbe procurato tutto ciò che serviva per l’organizzazione materiale.
Cominciò quindi risistemando una casa spaziosa, poi, in modo lento e capillare, si diede a invitare di persona i fedeli agli Esercizi.
I primi viaggi
Armata di una grossa croce di legno come bastone, di un’immagine dell’Addolorata e con al collo una croce (che, singolarmente, portava sopra un Gesù Bambino, da lei soprannominato "Manuelito"), inizialmente si limitò alla zona di Santiago del Estero. Dopo aver ottenuto il permesso del vescovo della regione di Tucumán, Juan Manuel Moscoso y Peralta, estese l’opera anche lì, in seguito a un corso di Esercizi particolarmente frequentato.
Si diresse quindi a Jujuy, poi a Salta e a San Miguel de Tucumán; proseguì per Catamarca, La Rioja e, alla fine, giunse a Córdoba.
In tutto aveva percorso più di duemila chilometri a piedi.
A Córdoba Maria Antonia venne accolta positivamente dalle famiglie più in vista della città, guadagnandosi il loro rispetto con il suo atteggiamento umile e laborioso e con il suo fervore religioso. I corsi di Esercizi diedero molti frutti, specialmente nelle conversioni personali e nell’equiparazione tra le classi sociali.
A Buenos Aires
Agli inizi del settembre 1779, in compagnia di altre "beate", intraprese il viaggio verso Buenos Aires. A molti parve una follia: avrebbe dovuto percorrere 1400 chilometri, ancora una volta unicamente a piedi, col rischio di essere aggredita da belve feroci o da predoni. Invece, guidata dal suo motto: «La pazienza è buona, ma la perseveranza lo è di più», decise di partire lo stesso.
L’accoglienza fu davvero pessima: le consacrate, coperte di polvere e stanche per il tragitto, furono oggetto di scherno.
Maria Antonia si presentò quindi al viceré del Río de la Plata, Juan José de Vértiz y Salcedo, e al vescovo, il francescano Sebastián Malvar y Pinto, per chiedere loro il permesso di organizzare gli Esercizi. Dal primo venne respinta, poiché lui provava astio verso tutto ciò che rimandasse in qualche modo ai Gesuiti.
Il secondo, invece, cambiò parere dopo aver notato il riscontro del primo corso organizzato nel 1780: scrisse quindi al Papa, descrivendo come la donna avesse sopportato con pazienza e serenità le varie vicissitudini cui era andata incontro, che le valsero l’auspicata concessione.
Le risorse materiali erano abbondanti: Mama Antula – così avevano preso a soprannominarla – confidava pienamente nella Divina Provvidenza e nell’intercessione di san Gaetano da Thiene, diffondendo la devozione a lui in gran parte dell’Argentina.
Quando c’era cibo in eccedenza, veniva distribuito ai mendicanti e ai carcerati. Spesso, poi, le vennero attribuiti prodigi come la moltiplicazione delle vivande o la trasformazione della frutta in pane.
Poteva quindi scrivere: «Vedo che la Divina Provvidenza mi aiuta immancabilmente nel loro [degli Esercizi] proseguimento e che il pubblico sperimenta ogni giorno di più il loro frutto. In quattro anni di Esercizi si sono accostate più di 15.000 persone».
La Santa Casa degli Esercizi
Con il desiderio di «andare dove Dio non fosse conosciuto», come ebbe a dire, si spinse fino in Uruguay e vi rimase per tre anni. Al suo ritorno a Buenos Aires, comprese di dover ampliare la struttura per gli Esercizi.
Inizialmente prese in prestito un’abitazione, ma più avanti prese dei locali in affitto. Infine si lanciò in una nuova impresa: la costruzione della Santa Casa degli Esercizi, interamente dedicata a quello scopo e tuttora esistente, in Avenida Independencia 1190. Bussando di porta in porta per quell’opera, che comunque considerava non sua, ma «di Dio e per Dio».
La fama di santità e la morte
Di fatto, venne ad assumere un ruolo di rilievo nella sua Chiesa locale: monsignor Malvar y Pinto decretò che nessun seminarista potesse accedere agli Ordini sacri se mama Antula non avesse dimostrato il suo corretto comportamento durante gli Esercizi.
Le sue lettere vennero tradotte in latino, francese, inglese, tedesco e russo e iniziarono a circolare: fu quindi conosciuta nel monastero carmelitano di San Dionigi a Parigi, la cui priora era zia del re Luigi XVI, e in Russia. Le venne perfino dedicata una prima biografia, «El estandarte de la mujer forte» («Il simbolo della donna forte»), pubblicata anonima nel 1791.
Maria Antonia morì serenamente il 7 marzo 1799, povera come visse: pur avendo maneggiato denaro in quantità per l’amministrazione della Casa di Esercizi, non tenne per sé neppure uno spicciolo. Come aveva chiesto nel suo testamento, venne seppellita in una tomba ottenuta in elemosina.
I suoi resti mortali riposano oggi presso la Basilica di Nostra Signora della Pietà, in Calle Bartolomé Mitre 1524, a Buenos Aires.
La causa di beatificazione
Dopo oltre un secolo dalla morte di Mama Antula, la diocesi di Buenos Aires ha avviato il suo processo di beatificazione. Il processo informativo si è quindi aperto il 23 ottobre 1905 e si è concluso il 29 settembre 1906; il decreto sugli scritti fu ottenuto il 9 agosto 1917. La causa passò in fase romana l’8 agosto 1917, ma ottenne il decreto di "non cultu" solo il 16 luglio 1941, anche per via delle guerre mondiali.
Il processo è ripreso sul finire del ventesimo secolo, quando ormai vigevano le nuove regole circa i processi canonici. Il nulla osta fu concesso dalla Santa Sede il 26 gennaio 1999: venne dunque istruita un’inchiesta suppletiva, aperta il 3 maggio 1999, chiusa il 18 luglio dello stesso anno e convalidata il 3 dicembre successivo.
La "Positio super virtutibus" venne trasmessa a Roma nel 2005. In seguito alla riunione dei consultori storici, il 17 gennaio 2006, si svolsero anche quelle dei consultori teologi, il 6 ottobre 2009, e dei cardinali e vescovi della Congregazione vaticana delle Cause dei Santi, l’8 giugno 2010. Il 1° luglio del medesimo anno papa Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del decreto con cui Maria Antonia di San Giuseppe otteneva la qualifica di Venerabile.
Il miracolo e la beatificazione
Come presunto miracolo da esaminare per ottenere la sua beatificazione venne considerato il caso di suor Rosa Vanina, religiosa della Società delle Figlie del Divino Salvatore, le eredi spirituali di Mama Antula. Nel 1904 si ammalò di colecisti acuta ed ebbe uno shock settico, che all’epoca, senz’antibiotici, poteva causare la sua morte. Fu quindi chiesta l’intercessione della sua fondatrice e, in breve tempo, la suora recuperò la salute.
La documentazione sul miracolo fu raccolta nel 1905, ma venne esaminata a quasi cent’anni di distanza, ottenendo la convalida il 15 febbraio 2002. La commissione medica della Congregazione delle Cause dei Santi si è pronunciata favorevolmente circa l’inspiegabilità scientifica dell’accaduto, mentre i teologi, i cardinali e i vescovi hanno affermato l’autenticità dell’intercessione della Venerabile.
Con una lettera a Luisa Sánchez Sorondo, sua discendente, datata 14 agosto 2013, papa Francesco ha espresso il desiderio che la beatificazione arrivasse presto, dichiarando di essersi interessato in tal senso presso la Congregazione delle Cause dei Santi.
Il 3 marzo 2016, ricevendo il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione, ha infine potuto autorizzare la promulgazione del decreto con cui la guarigione di suor Rosa era avvenuta per intercessione di Maria Antonia di San Giuseppe.
La beatificazione è stata celebrata il 27 agosto 2016, presso il parco Francisco de Aguirre di Santiago del Estero, presieduta dal cardinal Amato come inviato del Santo Padre.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beata Maria Antonia di San Giuseppe, pregate per noi.

*San Paolo di Plousias - Vescovo (7 marzo)
Martirologio Romano: A Prusa in Bitinia, nell’odierna Turchia, San Paolo, vescovo, che, scacciato dalla sua patria per aver difeso il culto delle sacre immagini, morì in esilio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolo di Plousias, pregate per noi.

*San Paolo il Semplice - Monaco (7 marzo)

Martirologio Romano: Nella Tebaide in Egitto, San Paolo, detto il Semplice, discepolo di Sant’Antonio.
Sposato, quando si accorse che la moglie lo tradiva , scorgendo in questo un segno di una divina chiamata alla vita monastica, si ritirò nel deserto; fu un discepolo di Sant’Antonio Abate.  
Questi lo provò in molti modi: lo tenne a digiuno e fuori della cella per vari giorni sotto il sole del deserto; gli fece  rompere un vaso di miele e glielo fece raccogliere con un cucchiaio stando attento a non raccogliere con esso anche la sabbia; gli fece svolgere lavori inutili come fare e disfare corde, cucire e scucire vestiti e San Paolo non mormorò, non si scoraggiò e non si indignò.
Sant'Antonio alla fine si commosse per questo suo discepolo scorgendo che era estremamente semplice e che in lui la grazia agiva in modo meraviglioso.  
Questa straordinaria umiltà e obbedienza di San Paolo il Semplice lo rese uno straordinario esorcista, infatti Sant’Antonio abate gli diede una cella vicina alla sua e gli inviava gli indemoniati che lui stesso (Antonio il Grande!) non riusciva a liberare e si racconta che per opera di San Paolo il Semplice essi venivano immediatamente liberati dai demoni.  
(Autore: Don Tullio Rotondo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolo il Semplice, pregate per noi.

*Sante Perpetua e Felicita - Martiri (7 marzo)
+ Cartagine, 7 marzo 203
Chiusa in carcere aspettando la morte, una giovane tiene una sorta di diario dei suoi ultimi giorni, descrivendo la prigione affollata, il tormento della calura; annota nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni.  
Siamo a Cartagine, Africa del Nord, anno 203: chi scrive è la colta gentildonna Tibia Perpetua, 22 anni, sposata e madre di un bambino.  
Nella folla carcerata sono accanto a lei anche la più giovane Felicita, figlia di suoi servi, e in gravidanza avanzata; e tre uomini di nome Saturnino, Revocato e Secondulo.
Tutti condannati a morte perché vogliono farsi cristiani e stanno terminando il periodo di formazione; la loro «professione di fede» sarà il martirio nel nome di Cristo.  
Le annotazioni di Perpetua verranno poi raccolte nella «Passione di Perpetua e Felicita», opera forse di Tertulliano, testimone a Cartagine. (Avvenire)  
Etimologia: Perpetua = fede immutabile, dal latino - Felicita = contenta, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Memoria delle Sante martiri Perpetua e Felicita, arrestate a Cartagine sotto l’imperatore Settimio Severo insieme ad altre giovani catecumene.
Perpetua, matrona di circa ventidue anni, era madre di un bambino ancora lattante, mentre Felicita, sua schiava, risparmiata dalle leggi in quanto incinta affinché potesse partorire, si mostrava serena davanti alle fiere, nonostante i travagli dell’imminente parto.
Entrambe avanzarono dal carcere nell’anfiteatro liete in volto, come se andassero in cielo.
Chiusa in carcere aspettando la morte, tiene una sorta di diario dei suoi ultimi giorni, descrivendo la prigione affollata, il tormento della calura; annota nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni.
Siamo a Cartagine, Africa del Nord, anno 203: chi scrive è la colta gentildonna Tibia Perpetua, 22 anni, sposata e madre di un bambino.
Nella folla carcerata sono accanto a lei anche la più giovane Felicita, figlia di suoi servi, e in gravidanza avanzata; e tre uomini di nome Saturnino, Revocato e Secondulo.
Tutti condannati a morte perché vogliono farsi cristiani e stanno terminando il periodo di formazione; la loro “professione di fede” sarà la morte nel nome di Cristo.
Le annotazioni di Perpetua verranno poi raccolte nella Passione di Perpetua e Felicita, opera forse del grande Tertulliano, testimone a Cartagine.
Il racconto segnala le pressioni dei parenti (ancora pagani) su Perpetua e su Felicita, che proprio in quei giorni dà alla luce un bambino.  Per aver salva la vita basta “astenersi”.
Ma loro non si piegano.
Questo accade regnando l’imperatore Settimio Severo (193211), anche lui di origine africana, che è in guerra continua contro i molti nemici di Roma, e perciò vede ogni cosa in funzione dell’Impero da difendere; e tutto vorrebbe obbediente e inquadrato come l’esercito. Con i cristiani si è mostrato tollerante nei primi anni.
Ma ora, in questa visione globale della disciplina, che include pure la fede religiosa, scatena una dura lotta contro il proselitismo cristiano e anche ebraico.
Cioè contro chi ora vuole abbandonare i culti tradizionali.
Per questo c’è la pena di morte: e morte-spettacolo, spesso, come appunto a Cartagine.
Perpetua, Felicita e tutti gli altri entrano nella Chiesa col martirio che incomincia nell’arena, dove le belve attaccano e straziano i morituri.
E poi c’è la decapitazione.
Perpetua vive l’ultima ora con straordinarie prove di amore e di tranquilla dignità. Vede Felicita crollare sotto i colpi, e dolcemente la solleva, la sostiene; zanne e corna lacerano la sua veste di matrona, e lei cerca di rimetterla a posto con tranquillo rispetto di sé.
Gesti che colpiscono e sconvolgono anche la folla nemica, creando momenti di commozione pietosa.
Ma poi il furore di massa prevale, fino al colpo di grazia.
Nei Promessi sposi, il Manzoni ha chiamato Perpetua la donna di servizio in casa di don Abbondio; e il nome di quel personaggio letterario così fortemente inciso è passato poi a indicare una categoria: quella, appunto, delle “perpetue”, addette alla cura delle canoniche.
Cesare Angelini, il grande studioso del Manzoni, ritiene che egli abbia tratto quel nome dal Canone latino della Messa, "dov’è allineato con quelli dell’altre donne del romanzo: Perpetua, Agnese, Lucia, Cecilia...".  
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Perpetua e Felicita, pregate per noi.

*Santi Saturo, Saturnino, Revocato e Secondino - Martiri (7 marzo)

Martirologio Romano: Sempre a Cartagine, nell’odierna Tunisia, passione dei Santi Satiro, Saturnino, Revocato e Secondino, dei quali, durante la medesima persecuzione, l’ultimo morì in carcere, gli altri invece, dopo essere stati straziati da varie belve, morirono sgozzati con la spada mentre si scambiavano il bacio santo.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Saturo, Saturnino, Revocato e Secondino, pregate per noi.

*Santi Simeone Berneux, Giusto Ranfer de Bretenières, Ludovico Beaulieu e Pietro Enrico Dorie - Missionari, Martiri (7 marzo)
+ Sai-Nam-Tho, Corea del Sud, 7 marzo 1866
Monsignor Simeon-Francios Berneux, entrato nella Società Parigina per le Missioni Estere, fu nominato vicario apostolico di Corea, ove dovette affrontare il martirio con tre sacerdoti suoi confratelli: Simon-Marie-Just Ranger de Bretenières, Pierre-Henry Dorie e Bernard-Louis Beaulieu.
Decapitati per avere confessato con fede intrepida ai loro persecutori di essere venuti in Corea per salvare anime in nome di Cristo, Giovanni Paolo II li ha canonizzati il 6 maggio 1984 con altri 99 martiri che effusero con il loro sangue la terra coreana.
Martirologio Romano: In località Sai-Nam-Hte sempre in Corea, Santi martiri Simeone Berneux, vescovo, Giusto Ranfer di Bretenières, Ludovico Beaulieu e Pietro Enrico Dorie, sacerdoti della Società per le Missioni Estere di Parigi, che, per avere risposto fiduciosi ai loro persecutori di essere venuti in Corea per salvare le anime nel nome di Cristo, morirono decapitati.
Il 6 maggio 1984 Giovanni Paolo II canonizzò 103 martiri che effusero con il loro sangue la terra coreana.  Questo numeroso gruppo comprendeva sia degli indigeni che dei missionari, e tra questi ultimi rifulge l’esempio del francese monsignor Simeon-Francios Berneux.
Questi nacque a Château-du-Loir (Sarthe, Francia) il 14 maggio 1814, divenne prete diocesano nel 1837, per poi entrare nella Società Parigina per le Missioni Estere nel 1839.
Padre Berneux partì il 13 gennaio 1840 per l’Estremo Oriente. A Manila incontrò monsignor Retord, vicario apostolico della regione vietnamita del Tonchino. Il 17 gennaio 1841 monsignor Retord ed i padri Berneux, Galy e Taillandier arrivarono nel Tonchino. Dopo alcune peripezie, i missionari partirono in ordine sparso. Padre Berneux fisso la propria residenza a Yen Moi, nei pressi di un piccolo convento di suore “Amanti della Croce”.  
Qui si dedicò allo studio della lingua annamita. Scriveva: “Benchè non possa fare più di sei passi, che riceva la luce del sole soltanto da una piccola apertura a quindici centimetri dal suolo, e che, per scrivere, sia costretto a stendermi completamente sulla stuoia, sono il più felice degli uomini”. Pericolose minacce incombevano tuttavia sul giovane missionario, che dovette trasferirsi continuamente da un nascondiglio all’altro. Monsignor Retord prese a cuore tale situazione e chiede a Berneux e Galy di raggiungere padre Masson nella provincia di Nghe An.
La messa in sicurezza dei giovani missionari operata dal vescovo era però giunta troppo tardi: la loro presenza era già stata purtroppo denunciata a Nam Dinh, residenza del mandarino. Nella notte del Sabato Santo cinquecento soldati circondarono gli asili dei due missionari.  
In quella sera padre Berneux aveva ricevuto alcune confessioni, che amava definire così: “Erano, dice, gli albori del mio apostolato in terra annamita, furono anche la fine. I disegni di Dio sono impenetrabili, ma sempre degni di essere adorati”. All’alba della festa di Pasqua, appena terminata la celebrazione quotidiana della Messa, i soldati  invasero la capanna e lo catturarono. “Provai una grande gioia - scrisse più tardi - quando mi vidi trascinato, come  fu trascinato un tempo il nostro adorabile Salvatore, dall’Orto degli Ulivi a Gerusalemme”. Venne immediatamente sequestrato con padre Galy.
Chiusi in gabbie ed incatenati, furono portati a Nam Dinh, ove si dimistrarono lieti di poter manifestare la loro fede in Gesù Cristo. “Qui - dissero i pagani - quando si porta la catena si è tristi, ma voi perchè sembrate tanto contenti?”. “E’ che, - rispose padre Berneux - noi che seguiamo la vera Religione, che è quella di Gesù, possediamo un segreto che voi non conoscete. Questo segreto cambia il dolore in gioia. E’ perché vi amiamo che veniamo ad insegnarvelo”. Il segreto a cui alludeva il missionario è la luce della fede, fonte di speranza e di gioia.
Ebbero ben presto inizio gli interrogatori. Il mandarino sperava di ottenere qualche denuncia, ma padre Berneux non tradì nessuno di coloro che lo avevano aiutato a nascondersi.
Fatti entrare tre giovani Annamiti cristiani che erano stati imprigionati, il mandarino affermò: “Ecco uomini che stanno per morire. Consigliate loro di abbandonare la vostra religione per un mese. Potranno, in seguito, praticarla nuovamente e saranno sani e salvi tutti e tre”.
Ma padre Berneux rispose: “Mandarino, non si incita un padre ad immolare i propri figli; e lei vorrebbe che un sacerdote della Religione di Gesù consigliasse l’apostasia ai propri cristiani?” e girandosi verso i neofiti: “Amici, un solo consiglio: pensate che le vostre sofferenze stanno per finire, mentre la felicità che vi attende in Cielo è eterna.
Siatene degni con la vostra costanza”. “Sì, Padre!” promisero. “Che cos’è dunque quest’altra vita di cui parlate loro? Tutti i cristiani hanno dunque un’anima?” chiese sogghignando il mandarino. “Sicuramente, ed anche i pagani ne hanno una. Ne avete una anche voi, mandarino”. Il 9 maggio 1841 padre Berneux fu trasferito nella prigione di Hué, capoluogo dell’Annam. Ripresero gli interrogatori: “Calpestate questa croce!”. “Quando si tratterà di morire – esclamò – presenterò la testa al carnefice. Ma quando mi ordinerete di rinnegare il mio Dio resisterò sempre”. “Vi farò picchiare a morte!” minacciò il mandarino. “Picchiate, se volete!”.  
Il 13 giugno il mandarino decise di mettere in pratice le proprie minacce. Padre Berneux reagì esclamando: “Che  gioia poter soffrire per il nostro grande Dio!” L’8 ottobre i padri Berneux e Galy appresero con gioia la notizia della loro condanna a morte.
Il 3 dicembre 1842 la firma regale confermò la sentenza del tribunale. Ma improvvisamente si verificò un colpo di scena: il 7 marzo 1843 un comandante di corvetta francese, appreso lo stato di prigionia dei cinque suoi compatrioti, ne esigette la liberazione.
Riacquistata dunque la libertà, nell’ottobre del 1843 padre Berneux venne inviato in Manciuria, provincia della Cina settentrionale. Qui lavorò per dieci anni, malgrado gravi problemi di salute causati da tifo e colera. Il 5 agosto 1854 il pontefice Pio IX lo promosse a vicario apostolico della Corea. “La Corea – scrisse il neovescovo – terra di martiri, come rifiutare di andarvi!”.
Accompagnato da due sacerdoti missionari, monsignor Berneux s’imbarcò a Shanghai il 4 gennaio 1856. Giunto a destinazione e soddisfatto d’aver eluso la vigilanza dei guardacoste che li avrebbero puniti con la pena di morte, il vescovo si mise subito all’opera: imparò innanzitutto la lingua coreana, dopodiché intraprese la visita ai cristiani del luogo, tanto a Seul quanto nelle campagne e sulle montagne, quindi la fondazione di un seminario, l’apertura di scuole per giovani
e di una tipografia. Monsignor Berneux desiderò provvedere anche all’avvenire della missione, provvedendo a designare come suo successore monsignr Daveluy con l’assenso della Santa Sede.
Nonostante condizioni di apostolato molto dure, quali clandestinità, estrema povertà e periodiche persecuzioni locali, sotto la direzione di monsignor Berneux il numero dei battezzati, che ammontava nel 1859 a 16700, raggiunse nel 1862 i 25000.
Ma una congiura di palazzo avvenuta nel 1864 e la minaccia di un attacco russo contro la Corea nel gennaio 1866, portarono ad interrompere l’opera apostolica dei missionari ed a risvegliare l’odio nei confronti dei cristiani. Il 23 febbraio 1866 penetrarono nella casa del vescovo cinque uomini. “Siete europeo?” chiese il capo. “Sì, ma che venite a fare qui?”. “Per ordine del re veniamo ad arrestare l’europeo”. “Sia pure!” E lo portarono via senza neppure legarlo. Il 27 delo stesso mese monsignor Berneux comparve davanti al Ministro del Regno e a due Giudici Supremi, che gli  domandarono come fosse entrato in Corea ed in compagni di chi. “Non chiedete questo al vescovo!” rispose loro monsignor Berneux. “Se non rispondi, possiamo, secondo la legge, infliggerti molti tormenti”. “Tutto quel che vorrete, non ho paura”.
Dal 3 al 7 marzo monsignor Berneux subì quotidianamente degli interrogatori nel cortile della Prigione dei Nobili, al centro del quale venne legato ad una sedia di legno. Il “Giornale della Corte” riportò che la tortura veniva inflitta al vescovo ad ogni interrogatorio, per lui “la tortura è stata fermata al decimo, o all’undicesimo colpo” e ciò significa che gli sarebbero stati sferrati dei colpi dieci o undici volte, con tutta la forza, sul davanti delle gambe, con un bastone a sezione triangolare della grossezza della gamba di un tavolo. Il vescovo rimaneva silenzioso, emettendo soltanto ad ogni colpo un lungo sospiro. Incapace di muoversi da solo, lo si doveva riportare nella sua cella, ove poi le gambe senza più carne venivano ricoperte con una carta oleata.
Nel frattempo furono arrestati e sottoposti ad interrogatori e torture anche alcuni confratelli e compatrioti del vescovo, appartenenti alla medesima congregazione: si tratta dei sacerdoti Simon-Marie-Just Ranger de Bretenières (nato a Châlon-sur-Saône, Saône-et-Loire, il 28 febbraio 1838), Pierre-Henry Dorie (nato a St-Hilaire-de-Talmont, Vendée, il 23 settembre 1839) e Bernard-Louis Beaulieu (nato a Langon, Gironde, l’8 ottobre 1840).
Il 7 marzo il “Giornale della Corte” citò così monsignor Berneux ed i suoi tre compagni: “Quanto ai quattro individui europei, che siano consegnati all’autorità militare per essere decapitati, e che le loro teste rimangano sospese, affinché ciò serva di lezione alla moltitudine”.
Uscendo dalla prigione per l’esecuzione il vescovo esclamò: “Così moriamo in Corea: è una buona cosa!” ed alla vista della folla ammassata sospirò: “Dio mio, quanto sono da compiangere questi poveretti!”. Il vescovo approfittò di ogni sosta effettuata durante tale viaggio per parlare del Paradiso ai suoi tre compagni di supplizio. Il luogo scelto per l’eccidio fu una grande spiaggia sabbiosa, lungo il fiume Han. I quattrocento soldati formarono un cerchio e vi piantarono un palo al centro. Il mandarino ordinò che i condannati fossero portati dinnanzi a lui.
Vennero strappati loro gli abiti di dosso, gli orecchi piegati in due furono bucati con una freccia, il volto venne spruzzato d’acqua e poi di calce viva, al fine di accecare le vittime. Dopodiché vennero introdotti sotto le spalle, fra le braccia legate ed il torso, dei bastoni, le cui estremità appoggiavano sulle spalle di due soldati.
La marcia del Hpal-Pang ebbe inizio attorno all’arena: sfilarono il vescovo seguito dai tre missionari, astenendosi dal proferire parola. Dato il via al macabro rito, sei carnefici si avventarono sui condannati urlando: “Forza, ammazziamo questi miserabili, massacriamoli!”. Venne legata una solida corda ai capelli di  monsignor Berneux, in modo tale da inclinargli la testa in avanti. Il carnefice lo colpì, ma la testa cadde solamente alla seconda sciabolata. Alcuni testimoni notarono il sorriso che splendeva sul volto del vescovo, che questi conservò anche a morte avvenuta. La fama di martirio che contraddistinse sin da subito questi quattro missionario portò al riconoscimento del titolo di “venerabili” il 4 luglio 1968 ed alla beatificazione il 6 ottobre successivo, unitamente ad altri 20 martiri coreani. Il 6 maggio 1984 Giovanni Paolo II decise di canonizzarli all’interno di un gruppo ancora più numeroso, conosciuto come “Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 Compagni martiri”, che il calendario liturgico latino commemora come memoria obbligatoria il 20 settembre.  
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Simeone Berneux, Giusto Ranfer de Bretenières, Ludovico Beaulieu e Pietro Enrico Dorie, pregate per noi.

*Santa Teresa Margherita (Redi) del Cuore di Gesù (7 marzo)
Arezzo, 1 settembre 1747 - 7 marzo 1770
Al secolo Anna Maria Redi, nacque ad Arezzo il 15 luglio 1747. Frequentò come educanda il monastero di Santa Apollonia di Firenze fino al 1764. Decisiva per la sua vocazione fu l'ispirazione attribuita a santa Teresa d'Avila, grazie alla quale scelse il Carmelo. Entrò nel monastero carmelitano di Firenze il 1 settembre 1764 e vestì l'abito delle Carmelitane scalze l'11 marzo 1765, prendendo il nome di suor Teresa Margherita del Cuore di Gesù.
La seconda grande ispirazione della sua vita fu il passo della prima lettera di Giovanni, «Dio è amore» (1 gv, 4,16) e cercò di vivere improntata a questo concetto.  
Si dedicò quindi alla preghiera e all'assistenza delle consorelle anziane fino a che, molto giovane (neppure 23 anni), morì a causa di una peritonite, il 7 marzo 1770. Il suo corpo emanava un profumo soave e ancora oggi è conservato incorrotto nella chiesa del monastero delle Carmelitane scalze di Firenze, dove fu sepolta. Fu canonizzata dal Papa Pio XI il 19 marzo 1934. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Firenze, Santa Teresa Margherita Redi, Vergine, che, entrata nell’Ordine delle Carmelitane Scalze, percorse un arduo cammino di perfezione e fu colta da prematura morte.
La vigilia della festa della Madonna del Carmelo dell’anno 1747, ad Arezzo, nella nobile famiglia Redi, venne alla luce Anna Maria, seconda di tredici figli.
In un ambiente familiare profondamente cristiano crebbe candida come un giglio: ripetutamente chiedeva ai genitori e agli zii che le parlassero di Gesù e cosa dovesse fare per piacergli. Amava
poi ritirarsi nella sua stanza per pregare ed ammirare i suoi “santini”.
All’età di nove anni, per la sua formazione, sia cristiana che umanistica, fu mandata a Firenze con la sorella Eleonora Caterina, all’Educandato delle Benedettine di S. Apollonia. Qui, felice e serena, trascorse la sua adolescenza. Ricevette la Prima Comunione il giorno dell’Assunta del 1757. Fatto significativo, il suo maggior confidente era il padre, Ignazio Maria Redi, uomo illuminato e religioso.
Tra i due iniziò un intenso rapporto epistolare, andato purtroppo quasi interamente perduto per la vicendevole promessa di dare al fuoco le lettere. Anna Maria più volte disse che era grata al padre, più per quello che le insegnava, che di averla generata fisicamente. Dopo aver letto la vita di S. Margherita Maria Alacoque nacque in lei una grande devozione al Sacro Cuore, amore intimo a Cristo.  
All’età di diciassette anni, seguendo l’esempio dell’amica Cecilia Albergotti, sentì la vocazione ad entrare nel Carmelo; il distacco dalla famiglia fu dolorosissimo. Il 1° settembre 1764 fu accolta nel Monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze. Fece la professione religiosa il 12 marzo 1766 divenendo suor Teresa Margherita del Cuor di Gesù.
Scrupolosa nel rispetto della Regola, amava molto la preghiera mentale, anche notturna. Un amabile sorriso era sempre impresso sul suo volto. Spiritualità carmelitana dunque con una profonda devozione al Cuore di Gesù, sorgente di vita e d’amore. Con l’amica Cecilia iniziò una “santa sfida” nell’amare Cristo e per questo presero l’impegno di confidarsi ogni mancanza, nel periodo del silenzio non con le parole, ma con piccoli biglietti. Attraverso le testimonianze del padre e del direttore spirituale, P. Ildefonso di S. Luigi, conosciamo la sua scalata alla santità. Mentre era ancora una giovane professa, nacque in lei il desiderio profondo di conoscere la vita nascosta di Gesù. Padre Ildefonso le diede da meditare un brano della lettera di San Paolo ai Colossesi in cui si legge: “Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”.
Appagare la sete di Dio attraverso l’imitazione di Cristo divenne lo scopo della sua esistenza. Nacque così quella singolare espressione: “Che bella scala, che scala preziosa, indispensabile è il nostro buon Gesù!”, maestro, modello e strumento per comprendere ed entrare nel Mistero Divino. La sua contemplazione era trinitaria: lo Spirito Santo era la fonte e Cristo la via per giungere al Padre. All’atto della professione religiosa, per amore di Gesù, rinunciò a quello cui maggiormente teneva: il rapporto epistolare col padre.  
Le costò tantissimo ma si promisero che da lì in poi, ogni sera, prima del riposo, si sarebbero incontrati nel Cuore di Gesù. Domenica 28 giugno 1767, mentre era in coro per l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve : “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). Un sentimento soprannaturale la pervase e per più giorni rimase scossa. Donò il suo cuore a Cristo, offrendosi per essere consumata dal suo amore. Era giunta all’ultimo gradino della scala, divenendo Tempio del Dio Vivente. Tutto ciò nella più grande umiltà, col desiderio però di trasmettere tale dono mistico alle consorelle. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore. Si sentiva però piccola e la sua più grande preoccupazione era di non amare abbastanza.
L’amore a Dio si concretizzò nella mansione di aiuto infermiera che esercitò con straordinaria abnegazione, in particolare verso una consorella che per problemi psichici era purtroppo divenuta violenta. La sua carità fu silenziosa ed eroica. Tra l’altro in quel periodo le consorelle malate ed anziane erano molte. La sua stessa comunità divenne strumento di mortificazione e così, nell’ultimo Capitolo, suor Teresa Margherita fu rimproverata perché, per l’eccessivo lavoro in infermeria, sembrava trascurasse la vita contemplativa. Il totale dominio di sé, dopo un breve smarrimento, le fece superare il rimprovero con ironia.
Di S. Teresa Margherita Redi possediamo pochi scritti: alcune lettere, vari biglietti che amava dare alle consorelle con pensieri e massime, i propositi per gli esercizi del 1768 e un altro breve proposito. Dalle lettere scorgiamo alcuni momenti di sconforto: “trovandomi in questo stato di somma tiepidezza, ad ogni momento faccio qualche mancamento”, “ faccio tanti propositi, ma sono sempre l’istessa”. Si confidò con la priora chiedendole di essere trattata con durezza.  
La sua ardente devozione le fece raggiungere un’altissima esperienza mistica, testimone di ciò che la preghiera può operare in un’anima. Fu attenta a tenere nascoste le sue virtù e per umiltà, con battute, smorzava la curiosità delle consorelle, tanto da essere considerata una “furbina”. Arrivò però a dire al direttore spirituale che avrebbe dovuto rendere pubblici i suoi difetti. Pur senza avere molte conoscenze teologiche fu attentissima alla comprensione della Sacra Scrittura, intesa come dono dello Spirito. Ebbe molto cara anche la lettura delle opere della Santa Madre Teresa e il suo invito a far posto a Dio col silenzio interiore.
Ardente fu l’amore per l’Eucaristia: “All’offertorio, rinnovo la professione: prima che si alzi il Santissimo prego Nostro Signore, che, siccome tramuta quel pane e quel vino nel suo preziosissimo Corpo e Sangue, così si degni di tramutare tutta me in se stesso. Alzandosi lo adoro, e rinnovo ancora la mia professione, poi gli chiedo quello che desidero da lui”.
Fece celebrare, per la prima volta, la festa del Sacro Cuore nella sua comunità, predisponendo ogni particolare perché fosse  solenne. In questo fu sostenuta dal padre e dallo zio, il gesuita Diego Redi. Erano gli anni in cui nasceva questa devozione, non sempre ben accolta a causa delle influenze gianseniste.
Una peritonite fulminea, dopo diciotto ore di atroci sofferenze, le fece incontrare lo Sposo Celeste, tanto amato e desiderato. Dimentica di sé, poche ore prima di morire,  continuava a preoccuparsi delle consorelle ammalate. Morì, a neppure ventitré anni, il 7 marzo 1770.
Il suo corpo emanava un profumo soave e ancor’oggi è conservato incorrotto nel Monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze (in passato antica villa della famiglia Redi). Il 19 marzo 1934, Papa Pio XI la proclamò santa definendola “neve ardente”. L’esistenza breve di questa semplice suora, senza avvenimenti particolari, è oggi di esempio alla chiesa universale.   
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Teresa Margherita del Cuore di Gesù, pregate per noi.

*San Tommaso d'Aquino - Domenicano (7 marzo e 28 gennaio)
Arezzo, 1 settembre 1747 - 7 marzo 1770
Al secolo Anna Maria Redi, nacque ad Arezzo il 15 luglio 1747. Frequentò come educanda il monastero di Santa Apollonia di Firenze fino al 1764. Decisiva per la sua vocazione fu l'ispirazione attribuita a santa Teresa d'Avila, grazie alla quale scelse il Carmelo. Entrò nel monastero carmelitano di Firenze il 1 settembre 1764 e vestì l'abito delle Carmelitane scalze l'11 marzo 1765, prendendo il nome di suor Teresa Margherita del Cuore di Gesù.
La seconda grande ispirazione della sua vita fu il passo della prima lettera di Giovanni, «Dio è amore» (1 gv, 4,16) e cercò di vivere improntata a questo concetto.  
Si dedicò quindi alla preghiera e all'assistenza delle consorelle anziane fino a che, molto giovane (neppure 23 anni), morì a causa di una peritonite, il 7 marzo 1770. Il suo corpo emanava un profumo soave e ancora oggi è conservato incorrotto nella chiesa del monastero delle Carmelitane scalze di Firenze, dove fu sepolta. Fu canonizzata dal Papa Pio XI il 19 marzo 1934. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Firenze, Santa Teresa Margherita Redi, Vergine, che, entrata nell’Ordine delle Carmelitane Scalze, percorse un arduo cammino di perfezione e fu colta da prematura morte.
La vigilia della festa della Madonna del Carmelo dell’anno 1747, ad Arezzo, nella nobile famiglia Redi, venne alla luce Anna Maria, seconda di tredici figli.
In un ambiente familiare profondamente cristiano crebbe candida come un giglio: ripetutamente chiedeva ai genitori e agli zii che le parlassero di Gesù e cosa dovesse fare per piacergli. Amava
poi ritirarsi nella sua stanza per pregare ed ammirare i suoi “santini”.
All’età di nove anni, per la sua formazione, sia cristiana che umanistica, fu mandata a Firenze con la sorella Eleonora Caterina, all’Educandato delle Benedettine di S. Apollonia. Qui, felice e serena, trascorse la sua adolescenza. Ricevette la Prima Comunione il giorno dell’Assunta del 1757. Fatto significativo, il suo maggior confidente era il padre, Ignazio Maria Redi, uomo illuminato e religioso.
Tra i due iniziò un intenso rapporto epistolare, andato purtroppo quasi interamente perduto per la vicendevole promessa di dare al fuoco le lettere. Anna Maria più volte disse che era grata al padre, più per quello che le insegnava, che di averla generata fisicamente. Dopo aver letto la vita di S. Margherita Maria Alacoque nacque in lei una grande devozione al Sacro Cuore, amore intimo a Cristo.  
All’età di diciassette anni, seguendo l’esempio dell’amica Cecilia Albergotti, sentì la vocazione ad entrare nel Carmelo; il distacco dalla famiglia fu dolorosissimo. Il 1° settembre 1764 fu accolta nel Monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze. Fece la professione religiosa il 12 marzo 1766 divenendo suor Teresa Margherita del Cuor di Gesù.
Scrupolosa nel rispetto della Regola, amava molto la preghiera mentale, anche notturna. Un amabile sorriso era sempre impresso sul suo volto. Spiritualità carmelitana dunque con una profonda devozione al Cuore di Gesù, sorgente di vita e d’amore. Con l’amica Cecilia iniziò una “santa sfida” nell’amare Cristo e per questo presero l’impegno di confidarsi ogni mancanza, nel periodo del silenzio non con le parole, ma con piccoli biglietti. Attraverso le testimonianze del padre e del direttore spirituale, P. Ildefonso di S. Luigi, conosciamo la sua scalata alla santità. Mentre era ancora una giovane professa, nacque in lei il desiderio profondo di conoscere la vita nascosta di Gesù. Padre Ildefonso le diede da meditare un brano della lettera di San Paolo ai Colossesi in cui si legge: “Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”.
Appagare la sete di Dio attraverso l’imitazione di Cristo divenne lo scopo della sua esistenza. Nacque così quella singolare espressione: “Che bella scala, che scala preziosa, indispensabile è il nostro buon Gesù!”, maestro, modello e strumento per comprendere ed entrare nel Mistero Divino. La sua contemplazione era trinitaria: lo Spirito Santo era la fonte e Cristo la via per giungere al Padre. All’atto della professione religiosa, per amore di Gesù, rinunciò a quello cui maggiormente teneva: il rapporto epistolare col padre.  
Le costò tantissimo ma si promisero che da lì in poi, ogni sera, prima del riposo, si sarebbero incontrati nel Cuore di Gesù. Domenica 28 giugno 1767, mentre era in coro per l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve : “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). Un sentimento soprannaturale la pervase e per più giorni rimase scossa. Donò il suo cuore a Cristo, offrendosi per essere consumata dal suo amore. Era giunta all’ultimo gradino della scala, divenendo Tempio del Dio Vivente. Tutto ciò nella più grande umiltà, col desiderio però di trasmettere tale dono mistico alle consorelle. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore. Si sentiva però piccola e la sua più grande preoccupazione era di non amare abbastanza.
L’amore a Dio si concretizzò nella mansione di aiuto infermiera che esercitò con straordinaria abnegazione, in particolare verso una consorella che per problemi psichici era purtroppo divenuta violenta. La sua carità fu silenziosa ed eroica. Tra l’altro in quel periodo le consorelle malate ed anziane erano molte. La sua stessa comunità divenne strumento di mortificazione e così, nell’ultimo Capitolo, suor Teresa Margherita fu rimproverata perché, per l’eccessivo lavoro in infermeria, sembrava trascurasse la vita contemplativa. Il totale dominio di sé, dopo un breve smarrimento, le fece superare il rimprovero con ironia.
Di S. Teresa Margherita Redi possediamo pochi scritti: alcune lettere, vari biglietti che amava dare alle consorelle con pensieri e massime, i propositi per gli esercizi del 1768 e un altro breve proposito. Dalle lettere scorgiamo alcuni momenti di sconforto: “trovandomi in questo stato di somma tiepidezza, ad ogni momento faccio qualche mancamento”, “ faccio tanti propositi, ma sono sempre l’istessa”. Si confidò con la priora chiedendole di essere trattata con durezza.  
La sua ardente devozione le fece raggiungere un’altissima esperienza mistica, testimone di ciò che la preghiera può operare in un’anima. Fu attenta a tenere nascoste le sue virtù e per umiltà, con battute, smorzava la curiosità delle consorelle, tanto da essere considerata una “furbina”. Arrivò però a dire al direttore spirituale che avrebbe dovuto rendere pubblici i suoi difetti. Pur senza avere molte conoscenze teologiche fu attentissima alla comprensione della Sacra Scrittura, intesa come dono dello Spirito. Ebbe molto cara anche la lettura delle opere della Santa Madre Teresa e il suo invito a far posto a Dio col silenzio interiore.
Ardente fu l’amore per l’Eucaristia: “All’offertorio, rinnovo la professione: prima che si alzi il Santissimo prego Nostro Signore, che, siccome tramuta quel pane e quel vino nel suo preziosissimo Corpo e Sangue, così si degni di tramutare tutta me in se stesso. Alzandosi lo adoro, e rinnovo ancora la mia professione, poi gli chiedo quello che desidero da lui”.
Fece celebrare, per la prima volta, la festa del Sacro Cuore nella sua comunità, predisponendo ogni particolare perché fosse  solenne. In questo fu sostenuta dal padre e dallo zio, il gesuita Diego Redi. Erano gli anni in cui nasceva questa devozione, non sempre ben accolta a causa delle influenze gianseniste.
Una peritonite fulminea, dopo diciotto ore di atroci sofferenze, le fece incontrare lo Sposo Celeste, tanto amato e desiderato. Dimentica di sé, poche ore prima di morire,  continuava a preoccuparsi delle consorelle ammalate. Morì, a neppure ventitré anni, il 7 marzo 1770.
Il suo corpo emanava un profumo soave e ancor’oggi è conservato incorrotto nel Monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze (in passato antica villa della famiglia Redi). Il 19 marzo 1934, Papa Pio XI la proclamò santa definendola “neve ardente”. L’esistenza breve di questa semplice suora, senza avvenimenti particolari, è oggi di esempio alla chiesa universale.   

(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Teresa Margherita del Cuore di Gesù, pregate per noi.

*Venerabile Victor Scheppers - Sacerdote, fondatore  (7 marzo)

Mechelen-Malines, Belgio, 25 aprile 1802 – 7 marzo 1877
Rampollo di una certa nobiltà, scelse di essere al servizio dei più bisognosi e fra questi, quelli più emarginati i carcerati, e per loro fondò delle Congregazioni, che potevano dare un’assistenza specifica più organizzata.
Victor Scheppers nacque a Mechelen (nome fiammingo di Malines) in Belgio, il 25 aprile 1802; studiò nel Collegio di Alost nelle Fiandre e verso i 20 anni sentì l’inclinazione alla vita sacerdotale, seppure ostacolato dall’opposizione del padre, la madre era morta da tempo, il quale vedeva in quel figlio le speranze della famiglia.
Victor fu ordinato sacerdote il 13 aprile 1832, celebrando la sua Prima Messa nella cattedrale di S. Rumoldo a Mechelen il 25 aprile 1832; le sue prime attività furono l’insegnamento del catechismo nelle scuole della parrocchia e l’assistenza spirituale alla gioventù povera e operaia, utilizzando la casa di campagna del padre; aprì una scuola per giovani apprendisti, che pose sotto la protezione della Madonna della Misericordia, da lui amata con intenso legame di figlio; nel contempo si dedicava alle confessioni nella cattedrale di Mechelen.
Per la sua intensa attività sociale, il vescovo lo nominò canonico della cattedrale il 24 dicembre 1835; intanto aveva avuto l’opportunità di conoscere il penoso stato in cui si trovavano i detenuti, privi spesso di assistenza spirituale e di sostegno materiale.
Il suo sensibile animo lo portò ad ideare una comunità di laici consacrati, dediti espressamente ai detenuti e alle altre opere di assistenza. Subito si unirono a lui altri giovani e il 25 gennaio 1889, il vescovo benedisse l’iniziativa, la comunità si chiamò “Fratelli di Nostra Signora della Misericordia”.
Dal maggio 1840 padre Victor Scheppers divenne Presidente dei Cappellani delle prigioni del Belgio; l’attività dei Fratelli divenne presto nota e richiesta dappertutto; nel 1841 su richiesta del
ministero di Giustizia, fu loro affidata l’assistenza spirituale del carcere di Vilvoorde e nel 1843 quella delle carceri militari di Alost, dove i religiosi rimasero per 16 anni fino al 1859, quando vennero chiuse.
Ma non solo le carceri furono oggetto della loro opera misericordiosa, aprirono un ospizio per anziani ad Oliveten nel 1849, una scuola elementare nel 1845, il pensionato di S. Vincenzo de’Paoli (Istituto Scheppers) nel.1851, il pensionato S. Vittore venne fondato nel 1861.
Padre Victor Scheppers fondò il 1° agosto 1852, l’Opera delle Chiese povere e l’Adorazione perpetua, e l’8 settembre 1854, fondò la Congregazione delle “Sorelle di Nostra Signora della Misericordia”, dedite all’insegnamento e alle opere di assistenza; infine il 17 settembre 1851 istituì a Mechelen la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.
Avendo sentito parlare dei Fratelli della Misericordia, papa Pio IX nel 1854, chiese la loro presenza per riformare il sistema carcerario dello Stato Pontificio; padre Scheppers inviò a Roma 5 Fratelli a lavorare nel riformatorio di Santa Balbina, poi negli anni successivi la Congregazione si interessò delle carceri in S. Michele, di una scuola in Piazza Pia, del ricovero dei vecchi in S. Cosimato, dell’ospedale di S. Maria della Pietà, della scuola agraria Vigna Pia, dell’orfanotrofio di S. Maria degli Angeli, ecc.
Nel 1855, su invito del cardinale Wiseman, i Fratelli raggiunsero Londra, impegnati in altre opere di carità; nel 1856 e nel 1870, padre Scheppers ricevé da papa Pio IX delle cariche onorifiche pontificie; il re del Belgio, il 28 aprile 1872 lo nominò “Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo”.
Morì nella natia Mechelen (Malines), il 7 marzo 1877; questo poco noto sacerdote belga, insegnò con le sue scelte, che nessun gesto di solidarietà, anche il più piccolo, cade nel vuoto e con la solidarietà è possibile recuperare un contatto immediato e fecondo con le sofferenze e le speranze del tempo a cui apparteniamo.
Il suo motto era: “L’onore a Dio; a me la fatica; l’utilità al prossimo”. Il 16 novembre 1872 la Santa Sede concesse l’approvazione definitiva, erigendo i Fratelli in Congregazione laicale; essi si diffusero in varie parti del mondo, in Canada, Belgio, Inghilterra, Italia, Burundi e Ruanda.
Nel 1949 un piccolo gruppo di Fratelli, ricevette l’ordinazione sacerdotale su concessione della Santa Sede, pur rimanendo intatto lo spirito laicale dell’Istituzione.
Per la beatificazione di padre Victor Scheppers si tennero i processi informativi a Mechelen nel 1928-29; la causa fu introdotta il 19 dicembre 1963; il 16 marzo 1987 si è avuto il decreto sulle virtù e il titolo di “venerabile”.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Venerabile Victor Scheppers, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (7 marzo)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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