Santi del 4 Settembre
*Bernardo da Lugar Nuev de Fenollet *Bonifacio I *Caletrico di Chartres *Candida di Napoli *Caterina Mattei da Racconigi *Facundo Fernàndez Rodrìguez *Francesco Sendra Ivras *Fredardo di Mende *Giuseppe Patriarca *Giuseppe di Gesù e Maria *Giuseppe Pasquale Carda Sapora *Giuseppe Toniolo *Ida di Herzfeld *Irmengarda di Suchteln *Juan Moreno Juàrez *Juan Munoz Quero *Marcello di Chalon-sur- Saone *Maria di Santa Cecilia Romana *Mosè *Nicola Rusca *Pietro di San Giacomo *Rosalia da Palermo *Scipione Gerolamo Brìgeat de Lambert *Altri Santi del giorno *
*Beato Bernardo da Lugar Nuevo de Fenollet (José Bleda Grau) - Religioso e Martire (4 Settembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Cappuccini di Valencia”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
1867 - 1936
Martirologio Romano: Vicino al villaggio di Genovés nel territorio di Valencia sempre in Spagna, Beato Bernardo (Giuseppe) Bieda Grau, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che sempre nella stessa persecuzione compì il glorioso combattimento per Cristo.
Era nato a Lugar Nuevo de Fenollet (Valencia) il 23 luglio 1867. Fu battezzato il 28 dello stesso mese nella parrocchia di San Diego de Alcalá de Lugar Nuevo dal parroco D.Antonio Donat, che gli pose il nome di José. Era il maggiore dei tre figli che ebbero gli sposi D. José Bleda Flores e Donna Rosario Antonia Grau Más.
Nel suo paese ricordano che “fu un bambino di grande pietà fin dall’infanzia.
Nella sua casa - dicono - si conserva ancora una pietra sulla quale, a detta di tutti, si inginocchiava per la preghiera. Apparteneva ad una famiglia molto cristiana.
Nonostante fin dall’infanzia desiderasse abbracciare la vocazione religiosa, siccome un suo fratello faceva il servizio militare a Cuba e lui doveva aiutare i genitori, ritardò l’ingresso nell’Ordine cappuccino fino al rientro del fratello”.
Entrò nell’Ordine cappuccino nel 1900, vestendo l’abito come fratello a 32 anni di età, il 2 febbraio 1900 dalle mani del P. Provinciale Luís de Massamagrell. Fece la professione temporanea il 2 febbraio 1901 e quella perpetua il 14 febbraio 1904 a Orihuela.
I religiosi dicono di lui che “era figlio dell’obbedienza… Il suo temperamento era straordinariamente pacifico; la qua qualità più notevole era il suo abbandono alla volontà di Dio...
Era fedele osservante delle Regole cappuccine... Fr. Berardo era un sant’uomo.
Non osava alzare lo sguardo da nessuna parte... era un religioso molto esemplare. Compì perfettamente gli incarichi a cui fu destinato dai Superiori.
Era amato da tutti coloro che lo conoscevano”. Dopo la professione fu destinato al convento di Orihuela (Alicante), dove passò tutta la vita come questuante e come sarto della comunità, edificò la gente della città con la sua vita esemplare quando chiedeva l’elemosina e la sua comunità con la sua bontà, umiltà e santità di vita.
Chiuso il convento a causa della persecuzione del 1936, fr. Berardo si rifugiò nel suo paese dai suoi familiari, dedicandosi alla preghiera e alle opere di carità, mostrando in ogni momento pazienza e rassegnazione.
Era quasi completamente cieco. La notte del 30 agosto 1936 fu preso dai membri del Comitato locale, con il pretesto che avrebbe dovuto fare alcune dichiarazioni.
Lo misero in un’auto e lo condussero al passo della strada di Beniganim, distretto di Genovés (Valencia), dove fu ucciso. Nel Registro civile la sua morte è alla data del 4 settembre 1936.
Il Sig. Francisco Cháfer, abitante del paese, ricorda come scoprì il cadavere di fr. Berardo: “A fine di agosto e in un giorno molto caldo io andavo con mio padre al vicino paese di Beniganim e vidi nella cunetta della strada il cadavere di un anziano.
Mio padre mi disse di andare avanti e io, ragazzo di tredici anni, vinto dalla curiosità, mi avvicinai e vidi che era stato colpito da una fucilata in un occhio e che sanguinava copiosamente”.
Così si seppe della sua morte. Il suo corpo fu sepolto in una fossa comune nel cimitero di Genovés. I suoi resti non hanno potuto essere identificati.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bernardo da Lugar Nuevo de Fenollet, pregate per noi.
*San Bonifacio I - 42° Papa (4 Settembre)
m. 422
(Papa dal 29/12/418 al 4/09/422)
Romano, il suo pontificato fu segnato da tumulti, provocati dai sostenitori dell'antipapa Eulalio (Papa dal 418-419, che infine si sottomise e venne nominato vescovo di Nepi.
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Massimo sulla via Salaria, deposizione di San Bonifacio I, Papa, che risolse molte controversie inerenti alla disciplina ecclesiastica.
Suo padre è un prete romano di nome Giocondo, nel tempo in cui non c’è ancora una legislazione compiutamente definita sul celibato ecclesiastico. Molti sacerdoti già lo praticano spontaneamente; però è anche consentita l’ordinazione di uomini sposati, mentre invece si vieta il matrimonio a chi sia già diacono o sacerdote.
Bonifacio, colto ed equilibrato, si trova già avanti negli anni quando lo fanno Papa: e non certo pacificamente.
A causa della litigiosità interna durante il precedente breve pontificato di papa Zosimo, c’è divisione anche nel clero e nel popolo romano. E così, mentre la maggioranza del clero e del popolo elegge Bonifacio, altri nello stesso giorno eleggono l’arcidiacono Eulalio, subito riconosciuto dall’imperatore occidentale Onorio, che risiede a Ravenna.
Papa e antipapa, dunque. Allora si ribella la maggioranza; e, per riportare la pace, l’imperatore vieta a tutti e due di celebrare in Roma i riti pasquali dell’anno 419. Ma Eulalio si ribella, occupando la sede pontificia del Laterano con i suoi sostenitori, e allora viene sconfessato anche dal sovrano.
Così Bonifacio può finalmente mettersi all’opera. Ora è Papa legittimo: ma pure sfortunato. Prima di lui, infatti, la Chiesa è stata maldestramente governata da papa Zosimo, di origine greca. Costui, volonteroso ma inesperto, interveniva nelle controversie dottrinali in Africa e in Gallia con l’intenzione di mettere pace, ma con iniziative che inasprivano ancora di più la conflittualità.
Bonifacio, con la sua migliore conoscenza dei problemi, riesce a placare le tensioni tra i vescovi e tra i fedeli.
E poi sa pacificamente mandare a monte le manovre dell’imperatore Teodosio II d’Oriente: questi, già padrone politicamente di territori balcani, li vorrebbe controllare anche sul piano religioso, mettendoli alle dipendenze del patriarca di Costantinopoli (che è nominato da lui).
Papa Bonifacio si oppone al progetto e la spunta, evitando però ogni rischio di conflitto. Ha fama di dotto, è amico di sant’Agostino, e accoglie cordialmente a Roma il suo amico Alipio, vescovo di Tagaste.
Così, dopo le turbolenze, Bonifacio risolleva il prestigio della Sede romana, e riporta in essa la tranquillità. Quando muore, lo seppelliscono sulla via Salaria, vicino alla tomba della martire Felicita. Ciò potrebbe essere un ricordo del suo drammatico esordio come pontefice.
Sembra infatti che proprio in quel luogo della via Salaria egli avesse trovato rifugio nei giorni agitati della doppia elezione pontificia, quando i fautori di Eulalio – sostenuti dagli alti funzionari imperiali – erano più minacciosi. In quel luogo, Bonifacio aveva poi costruito un oratorio e provveduto alle decorazioni per il sepolcro di Felicita e di uno dei suoi figli, Silvano.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bonifacio I, pregate per noi.
*San Caletrico di Chartres - Vescovo (4 Settembre)
Martirologio Romano: A Chartres in Neustria, ora in Francia, San Caletríco, vescovo.
Successore di San Leobino (fr. Lubin), Caletrico (lat. Chaletricus; fr. Calétric, Caltry), occupò giovanissimo il seggio di XVII vescovo di Chartres fra il 552 e il 567, anno in cui partecipò ai concili di Tours e di Parigi.
Morì a trentotto anni, un 4 settembre, fra il 567 e il 573. Si conservano: un epitafio di 26 vv. (DACL, III, coli. 1035-36) dovuto a Venanzio Fortunato, che celebrava le sue doti di mente e di cuore; il suo sarcofago nella cripta della cattedrale (cappella di San Martino), interessante monumento artistico che reca la data della sua morte (4 settembre) e quella della traslazione delle reliquie (7 ottobre); e, infine, la sua immagine sulle vetrate della cattedrale.
Il suo culto era vivo nel 1035; nel 1703 i fedeli si accalcavano ancora, in cerca di reliquie, intorno al suo sarcofago, ritrovato sotto l'altare della chiesa di San Nicola.
(Autore: René Wasselynck - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Caletrico di Chartres, pregate per noi.
*Santa Candida di Napoli (4 Settembre)
Napoli, I secolo
Secondo la leggenda era un'anziana donna del paese, afflitta da una grave infermità; allorché l'apostolo Pietro passò dalla città campana per raggiungere Roma, la Santa lo supplicò di guarirla, promettendogli in cambio la sua adesione al Cristianesimo.
Pietro compì dunque un esorcismo, risanando finalmente la donna.
A prodigio compiuto, Candida decise di convocare anche un suo amico malato, Aspreno, il quale ricevette anch'egli la guarigione da parte dell'apostolo, venendo infine nominato, al momento della sua partenza, vescovo di Napoli.
Candida morì nel 78, probabilmente martire nella sua città natale, al tempo dell'imperatore Vespasiano (68-79).
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Candida di Napoli, pregate per noi.
*Beata Caterina Mattei da Racconigi - Domenicana (4 Settembre)
Racconigi, Cuneo, giugno 1486 - Caramagna Piemonte, Cuneo, 4 settembre1547
Nacque da una semplice famiglia di Racconigi, nel Cuneese, nel giugno del 1486.
Attratta dalla vita religiosa comincia da piccola a lavorare come tessitrice di nastri, ma a 23 anni, inizia a frequentare un piccolo convento domenicano e si pone sotto la direzione spirituale del famoso predicatore Domenico Onesti di Bra.
Nota per la sua intensa vita di preghiera finisce coll'essere al centro di tante voci, tra chi le addebita fatti soprannaturali e chi parla di esibizionismo.
Viene così convocata (siamo nel 1512) davanti al tribunale vescovile di Torino. Scagionata, a 28 anni, nel 1514, viene accolta dall'ordine domenicano come terziaria a Racconigi.
Ma nel 1523 ne viene allontanata perchè seguace del Savonarola e si stabilisce nella vicina Caramagna dove muore il 4 settembre del 1547.
È stata proclamata Beata da Pio VII nel 1808. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Caramagna in Piemonte, Beata Caterina Mattei, vergine, suora della Penitenza di San Domenico, che sopportò con mirabile carità e abbondanza di virtù la costante infermità, le calunnie degli uomini e ogni tentazione.
Nasce dal fabbro Giorgio Mattei e da sua moglie Billia Ferrari, che prima di lei hanno già avuto cinque figli maschi.
La città nativa, Racconigi, governata da un ramo cadetto dei Savoia, è importante nell’industria di trasformazione: in campagna si ottengono dai bachi i bozzoli di seta, che vengono poi lavorati nelle filande della città.
Tra le operaie c’è anche Caterina Mattei, apprezzata come tessitrice di nastri.
Sembra che per la pratica religiosa lei abbia fatto capo dapprima a una comunità locale di Serviti.
Nel 1509, poi, a 23 anni, incomincia a frequentare un piccolo convento domenicano (istituito da Claudio di Savoia, signore di Racconigi) e si pone sotto la direzione spirituale di un predicatore illustre: padre Domenico Onesti di Bra.
Ma abbastanza presto intorno a lei cominciano a girare voci.
Essendo nota la sua intensa vita di preghiera, alcuni parlano di fatti soprannaturali che accompagnerebbero queste devozioni, magari riferendo o travisando parole sue.
Altri invece parlano di esibizionismo, o peggio.
Sicché nel 1512 si intima alla filatrice di comparire davanti al Tribunale vescovile a Torino.
Caterina va, ascolta, risponde, dopodiché ritorna in città, scagionata e tranquilla.
Nel 1514, poi, a 28 anni, l’Ordine domenicano l’accoglie canonicamente come terziaria in Racconigi: al rito è presente Claudio di Savoia.
Però non è finita.
Lei, naturalmente, si va sempre più conformando alla spiritualità domenicana del tempo, con tutta la sua “savonaroliana” tensione verso la riforma della Chiesa dall’interno (fra Girolamo è andato al supplizio in Firenze quando Caterina aveva 12 anni).
A tutto questo si va poi a mescolare l’additivo della conflittualità frequente tra Ordini religiosi, che insieme arriva a dividere i fedeli, a preoccupare i governanti...
Risultato: nel 1523, Caterina Mattei riceve l’ordine di andarsene dalla sua Racconigi: così ha stabilito Bernardino I di Savoia, successore di Claudio, trattandola da pericolo pubblico.
Lei si stabilisce nel vicino paese di Caramagna, facendo vita comune con altre due terziarie.
Per qualche tempo anche ai Domenicani è proibito visitarle.
Ma intanto parlano di lei in lungo e in largo i predicatori che girano l’Italia.
Così la sua fama arriva anche a Mirandola, nel Modenese, a un illustre personaggio del laicato cattolico impegnato nella riforma della Chiesa dall’interno: il conte Francesco Pico (nipote e biografo del famosissimo Giovanni Pico della Mirandola).
È l’uomo che per il concilio Lateranense V (1512-17) ha presentato a Papa Leone X un progetto di riforma dei costumi nella Chiesa.
Anche lui si interessa a Caterina, prima scrivendole e poi incontrandola più volte, in Piemonte e in Emilia.
Scriverà anche una sua biografia, soffermandosi sui fenomeni di “illuminazione” dei quali lei gli parlava.
Caterina muore nella casa di Caramagna.
Ma il suo corpo – come lei ha disposto – viene trasferito a Garessio (Cn), patria del domenicano Pietro Martire Morelli, che è stato il suo ultimo confessore.
E a Garessio si trova tuttora, nella chiesa di Maria Vergine Assunta.
Nella sua nativa Racconigi vive e opera tuttora la Confraternita Beata Caterina, e annualmente se ne celebra il ricordo nella chiesa a lei dedicata. Papa Pio VII l’ha proclamata Beata nel 1808.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina Mattei da Racconigi, pregate per noi.
*Beato Facundo Fernàndez Rodrìguez - Sacerdote e Martire (4 Settembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Válor, Spagna, 12 gennaio 1869 – Berja, Spagna, 4 settembre 1936
Facundo Fernández Rodríguez nacque a Válor, in provincia e diocesi di Granada, il 12 gennaio 1869.
Celebrò la sua prima Messa il 15 maggio 1897. Era parroco della parrocchia di Darrícal e di Lucainena de Darrícal cuando morì in odio alla fede cattolica il 4 settembre 1936, nel cimitero di Berja.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Facundo Fernàndez Rodriguez, pregate per noi.
*Beato Francesco Sendra Ivars - Sacerdote e Martire (4 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Martirologio Romano: Nel villaggio di Teulada vicino ad Alicante sempre in Spagna, Beato Francesco Sendra Ivars, sacerdote e martire, che patì il martirio nella medesima persecuzione contro la fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Sendra Ivars, pregate per noi.
*San Fredardo (fredaldo) di Mende - Vescovo (4 Settembre)
Martirologio Romano: A Mende in Aquitania ora in Francia, San Fredaldo, vescovo e martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fredardo di Mende, pregate per noi.
*San Giuseppe Patriarca - Figlio di Giacobbe (4 Settembre)
circa 1700 a.C.
Figlio di Giacobbe e di Rachele, annoverato tra i grandi patriarchi dell’Antico Testamento, divenne il vice del faraone egiziano.
La sua festa, traente origine dal Martirologio Gerosolimitano, si celebrava a Gerusalemme il 4 settembre.
«É forse nato uno come Giuseppe? Anche del suo si ebbe cura».
E' questo il breve elogio che l'Ecclesiastico riserva a Giuseppe, figlio di Giacobbe. Nacque appunto da Giacobbe e dalla sua prediletta moglie Rachele quando ancora si trovavano presso Labano, in Haran (Mesopotamia). Dalla madre fu chiamato Giuseppe, nome il cui significato è «Iahweh aggiunga». Rimasto orfano della madre, morta nel dare alla luce Beniamino, Giuseppe, quindicenne, attirò sulla sua persona le attenzioni affettuose del padre. A diciassette anni egli è presentato dal testo sacro come un giovanetto ricco di bontà e timore di Dio.
Odia il male in tutte le sue forme e soprattutto lo detesta nei fratelli la cui condotta morale lo scandalizza e disorienta. Sente il bisogno di riferire al vecchio genitore le loro malefatte ed essi, ripresi da Giacobbe, maturano sogni di vendetta contro quel giovane che è un rimprovero vivente alla loro condotta riprovevole.
Così Giuseppe, teneramente amato dal padre «perché era il figlio che aveva avuto in vecchiaia e gli aveva fatto una tunica con le maniche lunghe» non solo per distinguerlo, ma forse anche per premiarlo, diventa tra i fratelli oggetto di un odio le cui tragiche conclusioni attendono solo il momento opportuno.
Un giorno che i figli di Giacobbe si trovavano con le loro greggi presso Sichem, Giuseppe inviato dal padre si porta sui loro passi. Raggiuntili a circa 20 chilometri da Sichem, presso Dotaim, l'odierna Tell-Dota, punto di passaggio per il commercio tra la Siria e l'Egitto, viene da loro preso e malmenato. Spogliatolo poi della sua veste, simbolo della predilezione paterna, essi lo gettano in una cisterna. Passando poi di là alcuni mercanti di Madian diretti in Egitto, i fratelli estraggono Giuseppe dalla Cisterna e lo vendono «per venti sicli d’argento agli Ismailiti».
In Egitto Giuseppe viene venduto a Putifar (= «colui che ha dato») capo delle guardie del Faraone. Nella casa di questo personaggio potente le sue tribolazioni non finiscono, anzi, così giovane e di bell'aspetto, attira su di sé le attenzioni della moglie di Putifar che vuole condurlo al peccato. Giuseppe risponde: «Come potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?».
La percezione del peccato come offesa di Dio è chiara. Egli non tradirà la sua coscienza, la cui purezza cristallina gli ha meritato la fiducia del suo padrone.
Sollecitato ripetute volte preferisce fuggire, mentre la moglie di Putifar gli strappa di dosso le vesti per accusarlo presso il marito. Giuseppe viene arrestato e sitato in carcere. «Ma Iahweh fu con Giuseppe, lo rese oggetto di benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del capo della prigione.
Così il capo della prigione gli affidò tutti i carcerati che erano nella prigione; tutto ciò che si faceva là dentro, era lui che lo faceva». Dopo tante sofferenze ed umiliazioni Giuseppe, nella stessa prigione, ricostruisce pazientemente la sua vita per arrivare, con l'aiuto del Signore, alla dignità altissima di viceré dell’Egitto.
In carcere erano detenuti insieme con lui il coppiere e il panettiere del re. Giuseppe diventa loro amico interpretandone i sogni. Tuttavia, mentre per il coppiere il sogno è un augurio per la sua prossima scarcerazione, che avverrà entro tre giorni, per il panettiere è l'annunzio della condanna a morte. Proprio al coppiere, Giuseppe raccomanda di ricordarsi di lui una volta restituito alla libertà, ma questi, liberato, se ne dimentica e Giuseppe resta in carcere altri due anni.
Due provvidenziali sogni del Faraone però, che nessuno degli indovini riesce a interpretare, segnano la sua fortuna. Tolto dal carcere dietro consiglio del coppiere, svela il significato profetico dei sogni, preannunzio di sette anni di abbondanti raccolti e sette anni di carestia. Il Faraone ammirato, anzi, conquistato dalla sapienza e dalle virtù di Giuseppe lo prepone al vettovagliamento dell’Egitto con una carica assai prossima a quella di un viceré, ed è a questo punto che si chiariscono le finalità della Provvidenza nella travagliata vicenda di Giuseppe: egli dovrà essere il salvatore della sua famiglia.
I fratelli, infatti, costretti dalla carestia si recano in Egitto, dove Giuseppe li riconosce senza essere riconosciuto. Dopo averli sottoposti a varie prove, alla fine si dà a conoscere, li perdona generosamente e fa scendere il padre Giacobbe e tutta la grande famiglia in Egitto assegnando loro la fertile terra di Gessen.
L'incontro di Giuseppe con i fratelli raccoglie le pagine più belle della Bibbia per il pathos che le pervade.
Giuseppe morì all’età di centodieci anni e i figli di Israele, allontanandosi dall’Egitto sotto la guida di Mosè, memori del giuramento prestato, trasportarono nella terra dei Padri le ossa del loro grande patriarca. Gli avvenimenti della sua vita sono una tessitura finissima della Provvidenza, la quale, indirizzando le vicende umane, le convoglia al suo ultimo fine.
Giacobbe è il capostipite di una grande famiglia, i suoi figli, i rami di un grande albero, il cui frutto più prezioso è il Messia Redentore. Giuseppe è il protagonista involontario, ma cosciente di un dramma inizialmente a carattere familiare e la sua vita profondamente uniformata ai divini voleri, perché a servizio di Dio, prefigura quella dell’omonimo santo sposo di Maria Santissima, anch’egli tanto provato e prezioso strumento della Provvidenza.
Giuseppe è inoltre prefigurazione del Cristo. L’accostamento tipologico già si trova in Tertulliano:
«Ioseph in Christum figuratur». Tale parallelismo, sviluppato da Isidoro di Siviglia nelle sue Quaestiones in vetus Testamentum e da san Pier Crisologo, vescovo di Ravenna, nel suo sermone De Nativitate, è reso popolare nel secolo IX da Rabano Mauro e Walafrido Strabene e nel secolo XIII dalle Bibbie mozarabiche:
«Joseph descendit in Aegyptum et Christus in mundum.
Nudaverunt Joseph fratres sui tunica polymita Iudaei Christum expoliaverunt tunica corporali.
Joseph mittitur in cisternam et Christus descendit in Infemum»
«Joseph exit de cisterna
Christus redit ad superna
Post mortis supplicium».
Giuseppe venduto dai suoi fratelli è Gesù tradito per trenta denari da Giuda; condotto in Egitto, è come il bambino Gesù scampato al massacro degli innocenti; nella prigione in cui Putifar lo fa gettare è tra il coppiere e il panettiere, come Gesù in croce tra il buono e il cattivo ladrone; esce dalla cisterna, poi dalla prigione, come Gesù esce dal sepolcro; procura il grano al popolo affamato e ai suoi fratelli, come Gesù nutre i suoi discepoli col miracolo della moltiplicazione dei pani.
Giuseppe che arriva finalmente agli onori più alti trova per gli esegeti del Medioevo il suo parallelo nella glorificazione e nell’ascensione del Cristo, che dopo le sue sofferenze terrene, sale al Padre.
«Ille post tribulationem pervenit ad honorem
Christus post resurrectionem triumphans ascendit ad Patrem».
Giacobbe sul letto di morte benedice, incrociando le braccia in modum crucis, i due figli di Giuseppe. L’interpretazione simbolica di questo gesto gli ha valso una straordinaria popolarità. Giacobbe che preferisce Efraim, personificazione dei Gentili, a Manasse, rappresentante dei Giudei, è una prefigurazione del Cristo che sostituì a un popolo intestardito nell’errore il nuovo popolo di Dio. E' il simbolo della sostituzione della Chiesa alla Sinagoga, della Nuova all’Antica Alleanza.
La festa del patriarca Giuseppe, secondo il Calendario Palestino-georgiano del Sinaiticus 34 e la sua fonte, il Lezionario gerosolimitano, si celebrava il 4 settembre in Gerusalemme, insieme con quella di Mosè e del martire Giuliano, nel monastero eretto dalla nobile Flavia sul monte degli Ulivi verso il 454-55.
Manca invece ogni traccia di culto nei sinassari bizantini e nei Martirologi occidentali. Gli abissini poi commemorano Giuseppe e sua moglie Aseneth il 26 maggio e il 31 luglio.
(Autore: Placido da Sorlino)
Iconografia
Assai raramente raffigurato come immagine isolata, e quasi sempre in statue sulle facciate delle grandi cattedrali gotiche, unito a patriarchi e profeti, Giuseppe compare nella sua ricchissima iconografia sempre inserito nelle scene della sua vita, narrata con dovizia di particolari. Come giustamente fa notare il Réau l'immagine di Giuseppe non figura nell'arte cemeteriale cristiana, fatto singolare in quanto, come ancora riporta lo stesso autore, molte delle sue vicende avrebbero ben potuto essere utili al simbolismo funerario dei primi cristiani.
L’iconografia di Giuseppe, invece, ha origine e prende sviluppo a partire dal V secolo per continuare ininterrotta, praticamente fino ai nostri giorni. La raffigurazione più antica è probabilmente quella del ms. del Genesi di Vienna, eseguito forse ad Alessandria nel V secolo, seguita da quella del trono in avorio del vescovo Massimiano di Ravenna.
Qui in diciassette riquadri sono narrati numerosi episodi della vita di Giuseppe il quale, secondo alcuni autori, non è soltanto prefigurazione di Cristo, ma anche modello di vescovo perfetto. Seguono tra il V e il VI secolo le diciotto immagini della Bibbia di Cotton (British Museum), i quarantacinque episodi dell'Octateuco di Smirne, le quattordici scene del Pentateuco di Ashburnham e dell’Omiliario di Gregorio Nazianzeno.
Nell'VIII secolo dall'Oriente o dai luoghi che con l’Oriente erano in stretto contatto, l’iconografia di Giuseppe si diffonde rapidamente anche in Occidente e Roma, dagli affreschi di santa Maria Antiqua, ai mosaici del Lacerano, di santa Maria Maggiore, dell’antica basilica di san Pietro, la figura di Giuseppe troneggia tra quelle dei grandi patriarchi e profeti.
Nel XII secolo le cupole del nartece di san Marco a Venezia si arricchiscono degli sfarzosi mosaici il cui modello furono, probabilmente, le scene della vita di Giuseppe narrate dall’antico ms. Cotton: il sogno delle stelle, Giuseppe estratto dalla cisterna e venduto agli Ismailiti, Giuseppe accusato dalla moglie di Putifar, Giuseppe che raccoglie il grano nei silos che, stranamente, hanno la forma delle piramidi d’Egitto.
Alle statue, nelle grandi cattedrali gotiche, si aggiungono le vetrate e i bassorilievi dei portali in cui le narrazioni delle vicende di Giuseppe si susseguono (Rouen, Chartres, Bourges, Auxerre); e mano mano l’iconografia si fa più ricca, i particolari più precisi, le scene più spettacolari. Sempre meglio gli artisti sentono il grande pathos che pervade le pagine del Genesi, che narrano dei fatti di Giuseppe e sempre più i tempi e gli spiriti sono maturi per cogliere quanto nella vita di quest’uomo, divenuto quasi un eroe da romanzo, vi sia di spettacolare, di sorprendente, adatto ad eccitare la fantasia di un artista.
Nella chiesa serba di Sopocani un ignoto artista del XIV secolo raffigura Giuseppe con ricchezza e preziosità di particolari, dall’orrore della cisterna alla gloria della corte faraonica. Raffaello nelle Logge Vaticane narra i sogni dei covoni di grano e delle stelle, descrive le tentazioni da parte della moglie di Putifar.
Antonio del Castillo (secolo XVII) in sei quadri al Prado, descrive in una lussureggiante scenografia spagnolesca la castità di Giuseppe, la sua interpretazione dei sogni del Faraone, eccetera; Rembrandt dipinge il sogno delle stelle, Giacobbe riverso alla vista della tunica insanguinata di Giuseppe (Leningrado, Hermitage), la moglie di Putifar che denuncia Giuseppe al marito (Berlino, Museo), Giuseppe piangente alla sepoltura del padre (Montreal, Museo).
Soprattutto gli artisti fiamminghi e quelli spagnoli sentirono vivamente la drammaticità di queste figure, da Velazquez a Murillo, da Giovanni Victors ad Ilario Poder che, nella chiesa di santo Stefano a Tolosa, diede a Giuseppe trionfante alla corte del Faraone, le sue proprie sembianze.
Né al fascino di questa grande figura biblica si sottrassero le arti minori dall’arazzeria (tappezzeria tedesca del XV secolo, Maihingen, Coll. del principe Oettingen-Wallerstein), all’oreficeria, alla miniatura (Salterio di san Luigi, Parigi, Biblioteca Nazionale).
Sarebbe evidentemente troppo lungo citare tutte le opere d’arte che durante quindici secoli si sono ispirate alla figura di Giuseppe. La rassegna può comunque concludersi con il grandioso e particolareggiatissimo ciclo di affreschi eseguito nel secolo scorso dalle confraternite dei Nazareni tedeschi, a Roma, nella casa del console Bartholdy, ed oggi trasferiti alla Galleria Nazionale di Berlino.
«E fattili giurare dicendo: - Quando Dio vi visiterà, portate con voi le mie ossa - morì in età di centodieci anni e, imbalsamato, fu riposto in una cassa in Egitto». Questa cassa di Giuseppe, secondo la tradizione musulmana, fu gettata nel Nilo e Mosè la ritrovò su indicazione di una vecchia per riportarla con sé nell'esodo.
Non vi sono, nell'iconografia di Giuseppe, tracce di quest’ultimo avvenimento, forse perché, con la morte di Giacobbe, la figura di Giuseppe si inserisce nell’iconografia di quest’ultimo senza spezzare quella soluzione di continuità che caratterizza nell’arte di tutti i tempi le narrazioni ispirate alla Bibbia.
(Autore: Maria Chiara Celletti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Patriarca, pregate per noi.
*Beato Giuseppe di Gesù e Maria (José Vicente Hormaechea y Apoitia) - Sacerdote trinitario, Martire (4 Settembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Trinitari di Cuenca e Jaén” - Beatificati nel 2007 - Senza Data (Celebrazioni singole)
“Beati 498 Martiri Spagnoli” - Beatificati nel 2007 (6 novembre)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)
Navarniz, Spagna 1 settembre 1880 - Villanueva del Arzobispo, Spagna, 4 settembre 1936
Beatificato il 28 ottobre 2007.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe di Gesù e Maria, pregate per noi.
*Beato Giuseppe Pasquale Carda Saporta - Martire (4 Settembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani del Cuore” - Senza Data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)
Nacque a Villarreal, provincia di Castellòn, il 29 ottobre 1893.
Durante la formazione sacerdotale nel Seminario di Tortosa decise di entrare nella Fraternità e il 22 settembre 1916 ricevette il suo primo incarico: prefetto di disciplina nel seminario di Tarragona.
L'11 agosto 1917 entrò come probando nella Società, il 15 maggio 1918 fu ordinato sacerdote e il 12 agosto 1918 emise i voti semplici.
Subito dopo fu nominato prefetto del seminario di Belchite a Saragozza e poi di quello di Tarragona.
Nel 1924 fu destinato al lavoro pastorale in Messico nella chiesa di San Filippo di Gesù come confessore e predicatore fino all'espulsione nel febbraio 1926.
Fu incaricato poi della direzione spirituale del seminario di Valladolid e del collegio vocazionale di Valencia e in seguito fu nominato rettore del seminario di Belchite (Saragozza).
Poi lo mandarono di nuovo in Messico.
Vi giunse, ma gli venne negato l'ingresso e dovette ritornare in Spagna.
Qui lavorò nel collegio vocazionale di Burgos e come rettore nel seminario de Ciudad Real.
Fu un insigne promotore di vocazioni sacerdotali.
Il 4 settembre 1936 fu ucciso a Oropesa (Castellòn); aveva 42 anni.
Martirologio Romano: Nella città di Oropesa presso Castellón de la Plana sulla costa spagnola, Beato Giuseppe Pasquale Carda Saporta, sacerdote dell’Associazione dei Sacerdoti Operai Diocesani e martire, che, durante la persecuzione contro la Chiesa, in odio alla religione fu condotto a un glorioso martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Pasquale Carda Saporta, pregate per noi.
*Beato Giuseppe Toniolo - Sociologo (4 Settembre)
Treviso, 7 marzo 1845 – Pisa, 7 ottobre 1918
Professore di economia politica, fu uno dei maggiori ideologi della politica dei cattolici italiani e uno degli artefici del loro inserimento nella vita pubblica.
Giuseppe Toniolo nacque a Treviso il 7 marzo 1845; si laureò in giurisprudenza a Padova nel 1867, rimase nello stesso Ateneo in qualità di assistente, sino al 1872, trasferendosi successivamente prima a Venezia, dove insegnò Economia Politica, poi a Modena e infine a Pisa, quale docente universitario ordinario, incarico che occupò fino alla sua morte avvenuta nel 1918.
È necessario dare uno sguardo alla società politica in cui si trovò ad operare; dopo la Rivoluzione Francese ed il periodo napoleonico, che avevano sconvolto la Francia e l’intera Europa e dopo il Congresso di Vienna del 1815, si auspicò un ritorno all’antico legame fra la Chiesa e la società civile, che l’Illuminismo aveva incominciato a distinguere.
Ma il potere civile, sostenuto dalle dottrine della sovranità nazionale, diventava sempre più autonomo dalla vita religiosa; verso la metà del secolo, il filosofo danese Soren Kirkegaard (1813-1855), ritenendo ancora possibile la cristianità, notò che questa aveva abolito il cristianesimo senza accorgersene, quindi bisognava operare affinché il cristianesimo venisse reintrodotto nella cristianità.
Il mutato rapporto fra autorità civile e autorità religiosa, spinse molti cattolici di vari Paesi d’Europa, ad organizzarsi in movimenti di attiva opposizione alla nuova realtà politica e il 20 e 21 agosto 1863, fu organizzato a Malines in Belgio, il primo Congresso Cattolico Internazionale, al quale parteciparono le varie Associazioni sorte in Europa, tranne l’Italia rappresentata solo da quattro laici e due monsignori.
Questo perché in Italia tutto fu complicato dalla “Questione Romana”, e in particolare dal potere temporale del papato su una parte del territorio italiano, rivendicato dal Regno d’Italia costituitosi nel 1862; creando così una frattura nella coscienza di molti cattolici.
I laici italiani erano aggregati in associazioni limitate alle plurisecolari confraternite, con scopi di una particolare devozione religiosa, mutuo aiuto fra soci e attuando opere di carità.
Ormai era tempo di un nuovo associazionismo cattolico e nel 1867 in occasione del terzo Congresso di Malines, la prestigiosa rivista gesuita “La Civiltà Cattolica”, incitò i cattolici italiani, a formare associazioni, coalizioni, congressi, perché “questi mezzi sono, posto lo stato presente della società, efficacissimi”, non si poteva lasciarli agli avversari del cattolicesimo che se ne avvalevano contro.
E già il 29 giugno 1867, sorse la “Società della Gioventù Cattolica Italiana”, primo nucleo della successiva “Azione Cattolica Italiana”; intanto gli eventi politici precipitarono con la breccia di Porta Pia a Roma del 29 settembre 1870, la protesta di papa Pio IX che si chiuse in Vaticano; poi nel 1871 l’Italia emise le Leggi delle Guarentigie che assicuravano gli onori sovrani al pontefice e il godimento del Vaticano; nel luglio 1871 Roma divenne capitale d’Italia.
L’11 ottobre 1874 i contrasti non erano per niente finiti e il papa con il “non expedit”, vietò ai cattolici di candidarsi o di recarsi alle urne, trasformato nel divieto assoluto (non licet) del 29 gennaio 1877.
Dopo l’Azione Cattolica, sorsero in Italia una miriade di società, pie unioni, circoli, opere sociali, con una conseguente dispersione di energie, che resero necessaria la costituzione di un organismo coordinatore nel rispetto delle singole autonomie.
Il 26 settembre 1875, durante il secondo Congresso generale dei cattolici italiani, si creò l’”Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici”, il cui primo Presidente fu Giovanni Acquaderni, fondatore con il conte Mario Fani, dell’Azione Cattolica.
Nella scia di questa Organizzazione, il 29 dicembre 1889 durante un convegno a Padova, venne costituita l’”Unione cattolica per gli studi sociali”, il cui presidente e fondatore fu il professor Giuseppe Toniolo, il quale nel 1893, la dotò del periodico “Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie”.
Ormai si era in un periodo pieno di fermenti politici, religiosi e culturali; il pensiero marxista spostava l’attenzione sulle condizioni delle masse proletarie, denunciandone le disagiate condizioni di vita e di lavoro, inoltre in campo economico, le idee di utilitarismo e di liberismo economico, sostenevano dannoso per la stabilità, qualunque intervento che potesse influire sull’azione delle componenti macroeconomiche; senza dimenticare che era il periodo della famosa enciclica sociale “Rerum Novarum” di papa Leone XIII, con la quale la Chiesa prendeva ufficialmente posizione in merito alla situazione operaia di quel tempo.
Giuseppe Toniolo, elaborò così una sua teoria, personale, sociologica, affermante il prevalere dell’etica e dello spirito cristiano sulle dure leggi dell’economia.
Propose una soluzione del problema sociale, che rifiutava sia l’“individualismo” del sistema capitalistico, che il “collettivismo” esasperato, propagato dal socialismo, attraverso la costituzione di corporazioni di padroni e lavoratori, riconosciute dallo Stato.
Nei suoi numerosi scritti, il Toniolo propose varie soluzioni: il riposo festivo, la limitazione delle ore lavorative, la difesa della piccola proprietà, la tutela del lavoro delle donne e dei ragazzi.
Dal punto di vista religioso, Giuseppe Toniolo fu fautore di unazione più decisa dei cattolici in campo sociale, al fine di una loro determinante partecipazione all’evoluzione storica di quegli anni, da qui le sue tante fondazioni.
Dal 1894 divenne uno degli animatori del movimento della “democrazia cristiana”, le cui basi furono esposte nel cosiddetto ‘programma di Milano’, con principi e proposte per il rinnovamento in senso cristiano della società.
Nel 1897 l’Opera dei Congressi, controllava 588 Casse Rurali, 668 Società Operaie, 708 Sezioni di giovani, una forza consistente, alla cui ombra sorgevano e si sviluppavano molte iniziative di forte impegno sociale.
Fondandosi sui suoi studi di storia economica medioevale della Toscana, oppose ai marxisti l’importanza dei fattori etici e spirituali sullo sviluppo dell’economia e difese il valore economico-sociale della religione, conciliando così fede e scienza.
Nel 1908 pubblicò il “trattato di economia sociale”, opera fondamentale per l’incidenza che ebbe sul nuovo movimento sociale cattolico italiano all’inizio del Novecento, che ben presto, sviluppò il sindacalismo cattolico (detto ‘bianco’ per distinguerlo da quello diretto da ‘rossi’); i cattolici dopo la sospensione del “non expedit” parteciperanno in massa alle lezioni del 1913, ottenendo per la prima volta dopo l’Unità d’Italia, una ventina di deputati cattolici.
Oltre alla sua opera fondamentale già citata, Toniolo scrisse: “La democrazia cristiana” (1900); “Il socialismo nella storia della civiltà“ (1902); “L’odierno problema sociologico” (1905); “L’unione popolare tra i cattolici d’Italia” (1908).
Degno sposo e padre di famiglia, professore emerito e apprezzato nell’Università, dirigente e fondatore di opere sociali, scrittore fecondo di economia e sociologia, cristiano tutto d’un pezzo e fedele alla Chiesa, stimato dai pontefici del suo tempo, amico e consigliere del Beato Bartolo Longo, nella fondazione del Santuario e opere annesse di Pompei; morì fra il cordoglio generale, il 7 ottobre 1918 a Pisa.
Il 7 gennaio 1951 fu introdotta la Causa per la sua beatificazione e il 14 giugno 1971 fu emesso il decreto sulle sue virtù con il titolo di ‘venerabile’.
E' stato beatificato a Roma, Basilica San Paolo Fuori le mura, il 29 aprile 2012.
La sua memoria liturgica è stata fissata al 4 settembre, giorno del matrimonio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Toniolo, pregate per noi.
*Sant'Ida di Herzfeld - Vedova (4 Settembre)
Westfalia, 766 ca. – Herzfeld, Germania, 4 settembre 825
Fu la prima Santa della Vestfalia. Nata nel 775, questa contessa franca fondò nel 790, assieme al marito, una chiesa a Herzfeld (diocesi di Münster), secondo le indicazioni ricevute in sogno.
Nell'811 rimase vedova e si prese cura degli indigenti della regione fino al 4 settembre 825, giorno della sua morte.
Ida, che veniva chiamata "madre dei poveri", fondò la prima comunità cristiana della Vestfalia meridionale.
Fu canonizzata nel 980, data della prima "Identracht", la processione per le vie di Herzfeld con le reliquie della santa. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Heresfeld nella Sassonia, in Germania, Santa Ida, vedova del duca Ecberto, insigne per la carità verso i poveri e l’assiduità nella preghiera.
È certamente uno dei più eclatanti casi di membri di intere famiglie e generazioni del Medioevo, votati alla vita religiosa, così sentita in quell’epoca.
Santa Ida, nacque nel 766 ca. in Westfalia (regione storica della Germania, tra il Weser e il Reno) e visse al tempo di Carlo Magno (742-814); i suoi cinque fratelli e sorelle, tutti scelsero la vita religiosa, due di essi Wala e Adalhard divennero abati di Corvey.
Dopo aver trascorso una giovinezza esercitando le virtù e pietà cristiane, sposò il duca di Sassonia, Ekbert, da lei amorevolmente curato durante una lunga malattia.
Dalla loro felice unione nacquero cinque figli, dei quali tre scelsero la vita religiosa, una figlia la venerabile Hadwig, fu badessa ad Herford e nello stesso convento fu suora anche la figlia Adela; mentre il figlio, venerabile Varin divenne più tardi abate di Corvey; gli altri due figli occuparono posti di rilievo nella società dell’epoca.
Insieme al marito Ekbert, condussero una vita cristiana esemplare e fecero costruire una chiesa ad Herzfeld (diocesi di Münster), seguendo le indicazioni ricevute in un sogno.
Nell’811 quando aveva 45 anni, rimase vedova e Ida dopo aver sistemato dignitosamente i suoi figli, si ritirò presso la chiesa da lei fatta edificare ad Herzfeld, non lontano dal suo castello di Hoverstadt.
Nel locale attiguo alla chiesa, dove prese a vivere, si dedicò ad opere di pietà, di mortificazione e di carità verso i poveri della regione, donando loro il necessario con l’utilizzo dei suoi beni.
Ida, che veniva chiamata la “madre dei poveri”, contribuì in modo determinante a fondare la prima comunità cristiana della Westfalia meridionale.
Morì ad Herzfeld il 4 settembre 825 e seppellita accanto alla chiesa, dove aveva già fatto seppellire il marito.
Il 26 novembre 980 il vescovo di Münster, mons. Dodo, effettuò “l’elevazione” delle sue reliquie, cioè la canonizzò (proclamò Santa), secondo il rituale della Chiesa di quell’epoca.
Nella stessa data ci fu la prima processione (Identracht) con le sue reliquie per le strade di Herzfeld; la sua tomba divenne meta di pellegrinaggi.
Sant’Ida è particolarmente invocata dalle donne in procinto di partorire; la sua festa si celebra il 4 settembre e ad Herzfeld è ricordata anche il 26 novembre, data della canonizzazione.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ida di Herzfeld, pregate per noi.
*Sant'Irmengarda (Irmgarda) di Suchteln (4 Settembre)
Martirologio Romano:
A Colonia in Lotaringia, nell’odierna Germania, Santa Irmgarda, che, contessa di Süchteln, impegnò tutti i suoi beni nella costruzione di chiese.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Irmengarda di Suchteln, pregate per noi.
*Beato Juan Moreno Juàrez - Sacerdote e Martire (4 Settembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Válor, Spagna, 15 dicembre 1891 – Berja, Spagna, 4 settembre 1936
Juan Moreno Juárez nacque a Válor, in provincia e diocesi di Granada, il 15 de diciembre de 1891.
Fu ordinato sacerdote en julio de 1916.
Era parroco della parrocchia di Benínar quando morì in odio alla fede cattolica Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Juan Moreno Juàrez, pregate per noi.
*Beato Juan Munoz Quero - Sacerdote e Martire (4 Settembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Mecina Alfahar, Spagna, 29 agosto 1876 – Berja, Spagna, 4 settembre 1936
Juan Muñoz Quero nacque a Mecina Alfahar, anejo de Válor, provincia y Archidiócesis de Granada il 29 agosto 1876. Fu ordinato subdiácono il 18 de diciembre de 1903, no consta cuando se ordenó sacerdote.
Era parroco della parrocchia di Sorvilán (Granada) quando morì in odio alla fede cattolica Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Juan Munoz Quero, pregate per noi.
*San Marcello di Chalon-sur-Saone - Martire (4 Settembre)
Martirologio Romano: A Châlon-sur-Saone nella Gallia lugdunense, ora in Francia, San Marcello, martire.
Questo martire è noto attraverso due serie di testimonianze: quelle che riguardano il suo culto, il cui valore è incontestabile, e quelle che provengono dalla doppia redazione dei suoi Acta la cui storicità è dubbia.
Secondo queste ultime testimonianze Marcello sarebbe stato un discepolo di San Potino di Lione, sfuggito miracolosamente alla persecuzione del 177, al fine di diffondere la fede sulle rive della Saóne. Il suo compagno, San Valeriano si sarebbe fermato a Tournus, mentre lui avrebbe proseguito fino a Chalon, dove converti la famiglia di un certo Latinus che adorava Marte, Mercurio e Minerva.
Passando nei pressi della villa del prefetto Vriscus, in una località detta Hubiliacus (od. La Vacherie, comune di St-Marcel, cantone di Chalon), sarebbe stato invitato a partecipare al banchetto con il quale quel notabile festeggiava gli dèi.
Essendosi Marcello dichiarato cristiano, sarebbe stato suppliziato, sepolto fino all'altezza della cintola e lasciato morire.
Se i particolari sono sospetti, non lo è il fatto del martirio in sé; Gregorio di Tours, infatti, ne fa menzione nel suo De gloria martyrum (I, 5). Già nel sec. IV la basilica dedicata a Marcello appariva come un luogo di culto frequentato e un monastero venne ben presto ad affiancarla. Nel 1050, quest'ultimo entrò nell'obbedienza di Cluny e il culto del santo si diffuse rapidamente in altre regioni.
Un'iscrizione su di un antico reliquiario a St-Marcel-de-Carreiret (cantone di Lussan, dipartimento del Gard), datata della fine del IV sec, testimonia della presenza delle reliquie «dei Santi martiri Marcello e Valeriano che patirono nel territorio di Chalon».
Tracce del culto si trovano anche in Germania (Colonia, Treviri, Worms) e in Spagna (Toledo, Siviglia).
Marcello è menzionato nel Martirologio Geronimiano (in qualche cod. con l'errato titolo di vescovo), al 4 settembre, data nella quale è pure commemorato dal Martirologio Romano, che parla di lui solo come martire senz'altra qualifica.
(Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Marcello di Chalon-sur-Saone, pregate per noi.
*Beata Maria di Santa Cecilia Romana (Maria Dina Bélanger) - Vergine (4 Settembre)
Quebec, Canada, 30 aprile 1897 – Sillery, Quebec, 4 settembre 1929
La beata canadese Maria di Santa Cecilia (al secolo Romana Bélanger), vergine professa della Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria, sopportò per molti anni una grave malattia confidando sempre solo in Dio. Giovanni Paolo II la beatificò il 20 marzo 1993.
Martirologio Romano: Nella città di Sillery nel Québec in Canada, beata Maria di santa Cecilia Romana (Dina) Bélanger, vergine, della Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria, che sopportò per molti anni i dolori di una grave malattia confidando solo in Dio.
Visse solo 32 anni, ma furono anni intensi di doni mistici, di sopportazione del male crudele, di donazione a Dio nella vita consacrata, dedicati inoltre all’arte della musica.
Maria Dina Adelaide Bélanger, nacque il 30 aprile 1897 a Quebec, Canada; figlia dei coniugi Ottavio Bélanger e Serafina Marte, fu praticamente figlia unica, perché un fratellino nato 17 mesi dopo di lei, morì verso i tre mesi di vita.
In famiglia e fra le coetanee, fu sempre chiamata Dina; di natura piuttosto sensibile e violenta, fu educata dai genitori con una pedagogia efficace e saggia; le condizioni della famiglia erano agiate, per cui essendo figlia unica e senza problemi economici, avrebbe potuto crescere anche egoista e capricciosa.
Ma l’esempio edificante dei suoi pii genitori, l’educò ad un comportamento diverso; come Dina raccontò nella sua Autobiografia, essi erano dotati di grande generosità, soccorrevano i poveri con discrezione e in segreto distribuivano molte elemosine, consolavano i derelitti, con parole d’incoraggiamento e di religiosità, con visite frequenti e non affrettate; e Dina già da bambina, accompagnava la mamma nelle sue visite di carità.
A sei anni, cominciò a frequentare la scuola delle “Suore di Notre-Dame” e poi per le classi secondarie, la scuola “Jacques Cartier”; a 10 anni il 2 maggio 1907, fece la Prima Comunione e ricevé la Cresima; scrisse di quel giorno: “Gesù era in me e io in Lui”.
Successivamente, quando scriverà l’Autobiografia, Dina Bélanger, descriverà le varie tappe del suo percorso spirituale, che la porterà ad un’unione mistica con Cristo e noi qui citeremo di volta in volta, qualche sua nota.
Il 20 marzo 1908, quindi ad 11 anni, un Giovedì Santo, ebbe un primo colloquio con Gesù, “Era la prima volta che capivo così bene la sua voce, interiormente, si capisce, voce dolce e melodiosa che m’inondò di felicità”.
Nel 1911 e per due anni, perfezionò la sua formazione culturale, presso il Convento Pensionato Bellevue delle “Suore di Notre-Dame”; agli esami si classificò prima; il 1° Venerdì di ottobre del 1911 volle consacrare la sua verginità al Signore, perché già da allora aveva nel cuore, il forte desiderio di donarsi a Lui.
Aveva una spiccata attitudine per la musica e fin dagli otto anni, aveva iniziato lo studio del pianoforte; a gennaio 1914 conseguì il diploma di “classe superiore” e a giugno dello stesso anno, quello di professoressa di pianoforte e subito dopo ebbe l’abilitazione all’insegnamento.
Per il suo particolare talento musicale, Dina Bélanger, a 19 anni, nell’ottobre 1916 si trasferì per due anni a New York, presso le Suore di Notre-Dame, per perfezionarsi al Conservatorio nello studio del pianoforte e in armonia e composizione; le note del Conservatorio, che la riguardano, portano la menzione “Eccellente”.
Come per tante anime elette, che nei primi tempi della loro vocazione religiosa, hanno conosciuto il tormento del dubbio e la “notte passiva dei sensi”, anche per Dina si presentò tale fase, che durò sei lunghi anni, a partire dal marzo 1917; le lotte intime erano terribili, il maligno tentatore scatenava la sua violenza, instillava dubbi e sconforto in continuazione, ma Dina, aggrappata al Cuore di Gesù, confidava in Lui per superare quel periodo.
Nel 1918 tornò in famiglia e si iscrisse ad un corso di piano e di armonia per corrispondenza, seguendolo per tre anni; alternando lo studio con concerti in favore delle opere di beneficenza; il suo nome nei programmi era quello di un’artista e gli applausi alle sue esibizioni erano calorosi.
In quegli anni dedicati allo studio di perfezionamento e ai concerti pubblici e privati, Dina non smise mai di concentrarsi nella sua vita ascetica, intessuta di note mistiche, senza lasciarsi distrarre dal suo originario ardente desiderio di donarsi a Cristo.
E l’11 agosto 1921, decise di entrare nella “Congregazione delle Suore di Gesù e Maria” a Quebec; una Istituzione fondata nel 1818 a Lione in Francia, da santa Claudine Thévenet (30-3-1774 – 3-2-1837).
Dopo il postulandato, il 15 febbraio 1922, ne vestì l’abito religioso, prese il nome di ‘Suor Maria di Santa Cecilia Romana’ e iniziò il noviziato a Sillery.
Già un mese dopo, il 25 marzo 1922 le fu concesso di fare i voti privati di povertà, castità e obbedienza; la gioia provata da suor Maria di S. Cecilia, fu grande, perché finalmente si era potuta consacrare al Signore, senza la minima riserva, totalmente e senza ripensamenti; la professione pubblica dei voti, fatta il 15 agosto 1923, non fu altro che una conferma della sua gioia, provata già intensamente con la professione privata.
Per il suo titolo di studio, ricevette poi l’incarico d’insegnare musica nel convento di St. Michel e in quello di Sillery; ma la sua debole costituzione fisica e il male in incubazione, la costrinsero a lunghi periodi di cura in infermeria.
Fu in questo periodo, che la superiora locale, colpita dalla sua spiritualità, le chiese di scrivere la sua Autobiografia; suor Maria accettò per obbedienza e a partire dal marzo 1924, cominciò a scrivere quelle note, che ci hanno permesso di penetrare in una vita interiore di grande ricchezza.
Il 15 agosto del 1924, sentì il Signore dirle: “Farai la professione e poi, dopo un anno, proprio il 15 agosto, nella festa dell’Assunzione di Mia Madre, verrò a prenderti con la morte”.
Suor Maria pensava alla morte fisica, invece era la morte mistica; difatti da quel 15 agosto si sentì assorbita in Dio; “Dio ha assorbito il mio essere tutto intero; annientata in Cristo Gesù, vivo per Lui nell’Adorabile Trinità la vita dell’eternità; Lui, Cristo Gesù vive al mio posto sulla terra”.
Dal 1923 al 1927, scrisse dieci composizioni musicali, che esprimono le sue esperienze di unione mistica: Il 9 aprile 1926 riprese l’insegnamento della musica, e il 10 luglio andò a St. Michel, per un periodo di ritiro e di riposo, ma la tubercolosi che la minava, nel gennaio 1927 prese il sopravvento, costringendola a tornare in infermeria.
Ciò nonostante, fu ammessa ai voti perpetui, che poté pronunciare il 15 agosto 1928; la spiritualità della giovane suor Maria di S. Cecilia Romana, s’inseriva perfettamente in quella della Congregazione di Gesù e Maria, spiritualità cristocentrica e mariana, che ha la sua fonte nell’amore del Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria e che è centrata nell’Eucaristia.
Fra alti e bassi, caratteristici della malattia, e con brevi periodi trascorsi in comunità, alla fine il 30 aprile 1929, suor Maria entrò definitivamente in infermeria, rimanendovi fino alla morte; vivendo una vita di unione perfetta con Dio, sopportando ogni sofferenza, rassegnata nel Signore; finché poté, continuò dal suo letto a dare consigli alle maestre di musica, componendo e trascrivendo spartiti musicali.
Morì il 4 settembre 1929, nel convento Jésus-Marie a Sillery, Quebec, a soli 32 anni, dei quali otto di vita religiosa, circondata dalla fama di santità e di virtù non comuni. La salma fu tumulata nella chiesa del convento suddetto.
Dina Bélanger (Suor Maria di S. Cecilia Romana), è stata proclamata Beata il 20 marzo 1993 da papa Giovanni Paolo II; il giorno dopo fu proclamata santa la fondatrice della sua Congregazione, Claudine Thévenet.
Aveva promesso alle consorelle: “In cielo sarò una piccola mendicante d’amore; ecco la mia missione e la comincio immediatamente, donerò la gioia”.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria di S. Cecilia Romana, pregate per noi.
*San Mosè - Profeta (4 Settembre)
Etimologia: Mosè = salvato dalle acque, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di san Mosè, profeta, che fu scelto da Dio per liberare il popolo oppresso in Egitto e condurlo nella terra promessa; a lui si rivelò pure sul monte Sinai dicendo: «Io sono colui che sono», e diede la Legge che doveva guidare la vita del popolo eletto. Carico di giorni, morì questo servo di Dio sul monte Nebo nella terra di Moab davanti alla terra promessa.
Su questa grande figura di profeta e legislatore del popolo ebraico, si possono scrivere interi volumi riguardanti la sua storia personale e quella degli ebrei; come pure per tutta la sua opera di condottiero, profeta, guida e legislatore del suo popolo.
Bisogna per forza, dato lo spazio ristretto, citare solo i passi salienti della sua vita. Egli è prima di tutto l’autore e legislatore del ‘Pentateuco’, nome greco dei primi 5 libri della Bibbia, denominati globalmente dagli ebrei “la Legge”, perché costituiscono la fase storica, religiosa e giuridica del popolo della salvezza.
Quasi tutta l’opera è dedicata al personaggio e all’opera di Mosè, per mezzo del quale Dio fondò il suo popolo; i “libri di Mosè” sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, essi vanno dalla creazione del mondo alla morte di Mosè.
Visse 120 anni, nel XIV-XIII secolo a. C. e gli ultimi 40 anni della sua vita li dedicò interamente al servizio di Iahweh e di Israele; fu la più elevata figura del Vecchio Testamento e uno dei più grandi geni religiosi di tutti i secoli.
Dio lo preparò a tale compito nei primi 80 anni di vita; nacque durante il periodo più tormentato della persecuzione egiziana contro gli israeliti, sotto il faraone Thutmose III, quando ‘ogni neonato ebreo, doveva essere gettato nel Nilo’, Mosè terzogenito dopo Maria ed Aronne, appartenente alla tribù di Levi, dopo averlo tenuto nascosto per tre mesi, fu posto in un cesto di papiro, spalmato di pece e deposto fra i giunchi della sponda del fiume, mentre la sorella da lontano, controllava.
La figlia del faraone, scese al fiume per bagnarsi e notò il bambino, intenerita lo raccolse e a questo punto la sorella Maria, esce allo scoperto chiedendo se avevano bisogno di una nutrice per allattarlo e propose Iochabed sua madre, la principessa accettò e quindi il bambino, fu ridato senza saperlo alla madre naturale che lo allattò, portandolo poi alla corte alla figlia del Faraone, che lo allevò come un figlio dandogli il nome di Mosé (in egiziano: ragazzo, figlio).
Il ragazzo ebreo ricevé alla corte un’educazione culturale perfetta, più unica che rara, che solo la corte egiziana a quell’epoca poteva dare, che andava dalla letteratura egiziana, alla legislazione babilonese alle leggi e costumi degli Ittiti.
Verso i 40 anni poté vedere la desolazione in cui vivevano i suoi fratelli ebrei, arrivando ad uccidere un egiziano che percuoteva selvaggiamente uno schiavo israelita; purtroppo per lui, un ebreo collaboratore degli egiziani, svelò l’accaduto e il faraone condannò Mosè, egli dovette fuggire nel deserto del Sinai.
Qui incontrò nel suo esilio, una tribù nomade, il cui capo Ietro gli dette in moglie la figlia Sefòra, accogliendolo fra loro; nel silenzio della steppa, alla guida del gregge di pecore di Ietro, Mosè ha l’opportunità di meditare, di percepire la presenza di Dio, senza le distrazioni delle magnificenze della corte egiziana e nella solitudine del deserto, avverte la sua pochezza davanti al creato.
E nel deserto Dio si rivela, ai piedi del Sinai, dove un rovo è in fiamme senza spegnersi, Mosè accostatasi sente chiamarsi e la voce gli dice di togliersi i sandali perché quel luogo è sacro. Il Dio dei patriarchi gli ordina di andare dal Faraone per liberare il suo popolo oppresso e condurlo in Canaan, formandone una Nazione e per essere creduto sia dagli egiziani, che dagli ebrei, Iahweh gli dà il potere di compiere miracoli, consegnandogli un bastone con cui operarli.
Mosè tornato in Egitto insieme al fratello Aronne si reca dal successore del faraone Thutmose III, il figlio Amenophis II (1450-1423 a. C.) e chiede la liberazione del popolo ebraico in schiavitù e il permesso di allontanarsi nel deserto per la loro strada. All’ostinato rifiuto del faraone, seguono le celebri “dieci piaghe” che colpiscono l’Egitto per ordine di Mosè; le prime nove sono legate a fenomeni naturali ma che accadono in forma straordinaria, come l’invasione d’insetti dannosi ad ondate, invasione di rane, ecc. l’ultima invece più terribile è la morte dei primogeniti che avviene in una notte, compreso il figlio del faraone.
A questo punto il faraone, concede, anzi ordina, che gli ebrei vadano via e in quello stesso giorno inizia l’Esodo nella direzione del Mar Rosso. Qui avviene il grande miracolo dell’attraversamento del mare, che si apre davanti agli ebrei, permettendo loro di fuggire dalla cavalleria egiziana, che il Faraone pentito aveva inviato al loro inseguimento; il mare poi si richiuderà sui cavalieri egiziani annegandoli tutti.
Questo prodigio è stato magistralmente rappresentato nel celebre film “I dieci Comandamenti” del regista Cecil B. De Mille. È sempre Mosè l’intermediario fra Dio e il suo popolo, che ormai migrando nel deserto, si nutre con i prodigi di Iahweh, operati da Mosè; acqua che sgorga dalle rupi, la caduta della manna, la cattura delle quaglie, ecc.
Dopo tre mesi arrivano alle falde del Sinai, dove Mosè salito sul monte riceve le Tavole dell’Alleanza, l’avvenimento più importante e decisivo della storia d’Israele; esse sono la costituzione e la sanzione dell’alleanza fra Iahweh e la nazione d’Israele. Mosè vi appare in una grandezza sovrumana, in intima familiarità con Dio; quando Aronne e i suoi lo rivedono scendere dal monte con il Decalogo, il suo volto irraggia l’eterna luce, riflesso dello splendore divino e hanno addirittura timore di avvicinarlo.
Ma mentre Mosè era sul monte, il suo popolo, nell’attesa prolungata, cedette alla tendenza idolatrica, costruendo un vitello d’oro e abbandonandosi a festini, ubriachezze e immoralità. Dio manifesta a Mosè che dopo tale tradimento vuole distruggere gli ebrei e costituirlo capostipite di una nuova stirpe. Ma Mosè rifiuta, intercedendo per loro e ottenendo il perdono dalla sua infinita misericordia.
Un anno dopo, gli ebrei già dimentichi del perdono ricevuto, minacciano Mosè di lapidarlo, perché gli esploratori ritornati dalla terra di Canaan, avevano parlato di enormi difficoltà di vita, quindi alla loro guida rimproveravano di averli portati a morire nel deserto, era meglio ritornare in Egitto. Ancora una volta Dio vuole punire questo popolo ingrato e Mosè intercede di nuovo, ma Dio, stabilirà che la generazione dell’esodo non entrerà nella Terra promessa, tutti moriranno nel deserto, dove vagheranno per 38 anni.
E con questo popolo recalcitrante e indocile, Mosè convive cercando di portarlo al monoteismo, formulando nell’oasi di Cadesh, sotto la tenda-santuario, tutta una legislazione, da dare come guida ad un popolo in formazione. Passati 40 anni si riprese la migrazione nel deserto e la nuova generazione non sembrava meno ostile della precedente, ribellandosi per quel cammino senza fine, ma anche senza la loro fede.
Dio, a Mosè ed Aronne prostrati che invocano il suo aiuto, dice di percuotere con il bastone una roccia e Mosè radunato il popolo per rincuorarli, percuote due volte la roccia e l’acqua sgorga in abbondanza. Il percuotere due volte, sembra un momento d’incertezza e dubbio da parte di Mosè ed Aronne, per cui Dio dice che giacché non avevano avuto piena fede in Lui, non avrebbero avuto il compito di introdurre il popolo nella terra promessa.
Infatti, dopo aver conquistato la Transgiordania e ripartito il territorio alle varie tribù, Mosè trasmette la sua autorità a Giosuè, quindi sul monte Nebo, contempla da lontano la ‘terra promessa’ e con tale visione muore.
Mosè fu dunque l’eletto del Signore e il segno della scelta divina fu sempre su di lui, fin dall’infanzia, protagonista di una straordinaria vicenda umana; primo vero tramite fra Dio e il suo popolo e in senso lato fra Dio e gli uomini.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mosè, pregate per noi.
*Beato Nicola Rusca - Sacerdote e Martire (4 Settembre)
Bedano, Svizzera, 20 aprile 1563 - Thusis, Svizzera, 4 settembre 1618
Nicolò Rusca, nato a Bedano (Canton Ticino) nel 1563, venne eletto arciprete di Sondrio nel 1590, in tempi assai travagliati, sia per il contrasto tra cattolici e riformati - a seguito della diffusione delle riforme zwingliane e calviniste tra i Grigioni ai quali erano soggette Valtellina, Chiavenna e Bormio -, sia per la forte decadenza delle stesse istituzioni ecclesiastiche tradizionali. Rusca, formatosi al Collegio Elvetico di Milano, sotto l'ala del grande Carlo Borromeo, fu prete di profonda cultura e di generosa dedizione pastorale: guidò con grande equilibrio e moderazione la comunità cattolica di Sondrio e della Valtellina intera.
Ciò non gli impedì, tuttavia, di cadere vittima innocente dei contrasti crescenti, soprattutto all'interno delle Tre Leghe, tra le varie fazioni politico-religiose. Arrestato nell'estate del 1618 e condotto prigioniero a Thusis, venne processato da un tribunale fazioso, espressione di un particolare gruppo politico-religioso di carattere radicale. Avendo respinto tutte le infondate accuse a suo carico, fu sottoposto a tortura e ne morì il 4 settembre dello stesso anno.
Nasce nel villaggio ticinese di Bedano, all'epoca sotto dominio milanese, da Giovanni Antonio Rusca e da Daria Quadrio, entrambi appartenenti a nobili famiglie dell’area lariana e ticinese.
Studia a Pavia poi a Roma per poi trasferirsi al Collegio Elvetico di Milano sotto l’ala di Carlo Borromeo.
Si racconta che il Borromeo, positivamente colpito dal giovane seminarista, gli abbia detto: «Figliuol mio, combatti buona guerra, compi tua carriera. Per te è riposta una corona di giustizia, che ti renderà in quel giorno il giudice giusto».
Ordinato sacerdote il 23 Maggio 1587 il vescovo di Como Gianantonio Volpi lo colloca dapprima nel borgo di Sessa per poi eleggerlo arciprete a Sondrio.
Siamo nel 1590, in tempi assai travagliati, sia per il contrasto tra cattolici e riformati - a seguito della diffusione delle riforme zwingliane e calviniste tra i Grigioni ai quali erano soggette Valtellina, Chiavenna e Bormio -, sia per la forte decadenza delle stesse istituzioni ecclesiastiche tradizionali.
Rusca, fu prete di profonda cultura e di generosa dedizione pastorale: guidò con grande equilibrio e moderazione la comunità cattolica di Sondrio, influendo sulla Valtellina intera.
Ciò non gli impedì, tuttavia, di cadere vittima innocente dei contrasti crescenti, soprattutto all'interno della Repubblica delle Tre Leghe, tra le varie fazioni politico-religiose.
Nicolò Rusca venne arrestato nel 1618 e incarcerato a Thusis, dove finivano regolarmente tutti i cattolici accusati di qualche reato politico.
Venne processato da un tribunale fazioso, espressione di un particolare gruppo politico-religioso .
Il processo comprendeva, a quei tempi, anche una ragguardevole dose di torture, e Rusca ne subì tante da non sopravvivere al trattamento.
Di lui si rammenta una celebre frase: “Odiate l’errore, non l’errante” e il soprannome con il quale adesso è ricordato “pastor bonus”, cioè il “buon pastore” che morì per la salvezza del proprio gregge.
Essendo morto sotto le torture del boia quando nella sua terra la religione cattolica era minoritaria, è naturale che venga ora considerato degno di beatificazione: ed infatti la prima proposta in tal senso data addirittura 8 Novembre 1927.
Il percorso canonico ha subito però lunghe soste, per poi riprendere con più vigore nel 1996, quando in Sondrio si è concluso un nuovo processo diocesano in proposito.
Quando Nicolò Rusca era in vita, la regione politica nella quale viveva era la Rezia: un bel nome latino, che si rammenta insieme ad altri toponimi dell’Impero Romano e, soprattutto, che si ritrova nella dizione “Alpi Retiche”3: e infatti la Rezia è tutt’ora riconoscibile nella fusione della svizzera Engadina e dell’italiana Valtellina, due valli alpine insolitamente orientate da est a ovest, “orizzontali”, in una orografia che è invece abituata a vedere le valli correre in direzione nord-sud4.
Le unisce la stretta Val Poschiavo e il passo del Muretto in Valmalenco; all’inizio del Seicento erano quasi un laboratorio politico, poiché rappresentavano una sola unità politica abitata da due diverse confessioni: maggioranza evangelica in Engadina e maggioranza cattolica nella Valtellina.
Maggioranze, però: non totalità; in entrambe le valli v’erano minoranze della confessione non predominante, e l’Europa tutta – allora assai sensibile al terremoto geopolitico della Riforma - osservava con curiosità quella convivenza di fedi diverse.
La già citata morte per torture dell’arciprete di Sondrio preannuncia che tale convivenza non fu certo serena e tranquilla.
Anzi, a voler dare ascolto a tutte le parti, si scopre che ancora oggi Nicolò Rusca, quasi santo per i fedeli cattolici, è visto sotto una luce ben diversa dagli occhi protestanti: La morte per tortura nel carcere di Thusis sembra essere l’unico punto sul quale concordano sia la versione cattolica che quella protestante.
Tolto questo, i ritratti che abbiamo di Nicolò Rusca non potrebbero essere più diversi: santo e martire per una parte, fanatico fomentatore di omicidi per l’altra.
Purtroppo però ci sono altri punti nei quali le cronache coincidono, ed è nel raccontare cosa accadde nei mesi successivi alla morte del Rusca.
Nel processo di Thusis per il tentato omicidio di pastori protestanti vennero condannati, oltre a Rusca, anche i fratelli Planta e Giacomo Robustelli.
Quest’ultimo riuscì, due anni più tardi, a ritornare in Valtellina e ad organizzare quello che, con termini crudeli ma assai appropriati, fu chiamato poi il “Sacro Macello della Valtellina” I resti di Rusca rimasero a Pfäfers dal 1619 al 1838.
Nell’estate del 1619, nel corso di una notte le ossa del parroco sondriese vengono dissotterrate e segretamente trasportate all’abbazia di Pfäfers, a nord di Coira, dove giacciono fino al 1838 quando l'abbazia viene soppressa.
I resti del Rusca finiscono quindi nella biblioteca cittadina dove rimangono fino al 1845, quando il vescovo di Como, Carlo Romanò, ottiene l'autorizzazione a trasferirli in Valtellina, presso il Santuario della Sassella, alle porte di Sondrio.
Grazie al nulla hosta nel frattempo giunto dalla Santa Sede, nel 1852 le reliquie vengono infine trasportate da Antonio Maffei, arciprete di Sondrio, presso la Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio in Sondrio dove ancora oggi sono oggetto del culto popolare.
Il rito di beatificazione si è celebrato a Sondrio il 21 aprile 2013.
(Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Nicola Rusca, pregate per noi.
*Beato Pietro di San Giacomo - Merceario (4 Settembre)
† 1307
Originario di Navarra (Spagna), il Beato Pietro di San Giacomo, fu un mercedario che condusse una vita esemplare.
Trovandosi in Africa nella città di Algeri liberò 150 prigionieri dalla schiavitù dei saraceni.
Infine pieno di Virtù rese l'anima a Dio nell'anno 1307.
L'Ordine lo festeggia il 4 settembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro di San Giacomo, pregate per noi.
*Santa Rosalia - Vergine, Eremita di Palermo (4 Settembre)
Palermo XII secolo - † 4 settembre 1160
Vergine eremita del XII secolo, santa Rosalia è divenuta patrona di Palermo nel 1666 con culto ufficiale esteso a tutta la Sicilia. Figlia di un nobile feudatario, Rosalia Sinibaldi visse in quel felice periodo di rinnovamento cristiano-cattolico, che i re Normanni ristabilirono in Sicilia, dopo aver scacciato gli Arabi che se n'erano impadroniti dall'827 al 1072; favorendo il diffondersi di monasteri Basiliani e Benedettini.
In quest'atmosfera di fervore e rinnovamento religioso, s'inserì la vocazione eremitica della giovane che lasciò la vita di corte e si ritirò in preghiera in una grotta sul monte Pellegrino, dove, secondo la tradizione, morì il 4 settembre 1160. Nel 1624, mentre a Palermo la peste decimava il popolo, lo spirito di Rosalia apparve in sogno ad una malata, e poi ad un cacciatore. A lui Rosalia indicò la strada per ritrovare le sue reliquie, chiedendogli di portarle in processione per la città. Così fu fatto: e dove quei resti passavano i malati guarivano, e la città fu purificata in pochi giorni. Da allora, a Palermo, la processione si ripete ogni anno. Rosalia, fu inclusa nel Martirologio romano nel 1630 da Papa Urbano VIII. (Avvenire)
Patronato: Palermo
Etimologia: Rosalia = dal nome del fiore
Emblema: Giglio, Corona di rose, Teschio
Martirologio Romano: A Palermo, santa Rosalia, vergine, che si tramanda abbia condotto vita solitaria sul monte Pellegrino.
In Sicilia vi è un intensissimo culto per tre giovani sante vergini, Lucia di Siracusa, Agata patrona di Catania e Rosalia patrona di Palermo. Il loro culto si è diffuso in tutti Paesi in cui sono arrivate le schiere di emigrati siciliani, che hanno portato con loro il ricordo struggente della natia Isola e delle loro tradizioni, unitamente al culto sincero e profondo per le tre sante siciliane.
Ma se Santa Lucia di Siracusa († 304) e s. Agata di Catania († 250 ca.) furono martirizzate durante le persecuzioni contro i primi cristiani, s. Rosalia è una vergine non martire, vissuta molti secoli dopo e divenuta patrona di Palermo nel 1666 con culto ufficiale esteso a tutta la Sicilia.
Ciò nonostante la “Santuzza”, come affettuosamente viene chiamata dai palermitani, si affermò come una delle sante più conosciute e venerate nella cristianità siciliana e in particolare in quella palermitana; ancora oggi in qualsiasi parte del mondo s’incontrino i palermitani, si scambiano il saluto “Viva Palermo e santa Rosalia!”.
Purtroppo sulla sua vita vi sono poche notizie in parte leggendarie, ma piace considerare con lo scrittore fiorentino Piero Bargellini che: “È ben vero che le leggende sono come il vilucchio (pianta rampicante) attorno al fusto della pianta; la pianta già c’era prima che il vilucchio l’avvolgesse. Così la santità già esisteva, prima che la leggenda la rivestisse con i suoi fantastici fiori”.
E questo vale per tutti i santi che in tanti secoli e luoghi, hanno donato la loro vita, spesso patendo il martirio, sono rimasti ignorati a volte anche per lungo tempo, finché la loro esistenza, il loro sacrificio, le loro virtù eroiche non sono pervenuti a conoscenza del popolo di Dio e della Chiesa.
È il caso di s. Rosalia che nacque a Palermo nel XII secolo e, secondo antichi libri liturgici, morì il 4 settembre del 1160 a 35 anni.
La leggenda dice che era figlia del Duca Sinibaldo, feudatario, signore di Quisquinia e delle Rose, località ubicate fra Bivona e Frizzi, nel Palermitano, e di Maria Guiscarda, cugina del re normanno Ruggero II; giovanissima fu chiamata nel Palazzo dei Normanni, alla corte della regina Margherita, moglie di Guglielmo I di Sicilia (1154-1166); la sua bellezza attirava l’ammirazione dei nobili cavalieri; il più assiduo pretendente, sempre secondo la tradizione popolare, si vuole che fosse Baldovino, futuro re di Gerusalemme.
Rosalia visse in quel felice periodo di rinnovamento cristiano-cattolico, che i re Normanni ristabilirono in Sicilia, dopo aver scacciato gli Arabi che se n’erano impadroniti dall’827 al 1072; favorendo il diffondersi di monasteri Basiliani nella Sicilia Orientale e Benedettini in quella Occidentale; apprezzando inoltre l’opera religiosa e monastica del certosino s. Brunone e del cistercense s. Bernardo di Chiaravalle.
In quest’atmosfera di fervore e rinnovamento religioso, s’inserì la vocazione eremitica della giovane nobile Rosalia; bisogna dire che in quel tempo l’eremitismo era fiorente in quei secoli, sia nel campo maschile sia in quello femminile.
Seguendo l’esempio degli anacoreti, che lasciati gli agi e la vita attiva si ritiravano in una grotta o in una cella, di solito nei dintorni di una chiesa o di un convento, così da poter partecipare alle funzioni liturgiche e avere nel contempo un’assistenza religiosa dai vicini monaci; così Rosalia si ritirò in una grotta del feudo paterno della Quisquina a circa 90 km. da Palermo sui Monti Sicani in Provincia di Agrigento in territorio di Santo Stefano Quisquina, vicina a un convento di monaci basiliani.
Da lì la giovane eremita, dopo un periodo di penitenza non definito, si trasferì in una grotta sul Monte Pellegrino, stupendo promontorio palermitano; accanto ad una preesistente chiesetta bizantina, in una cella costruita sopra il pozzo tuttora esistente.
Anche qui nei dintorni, i Benedettini avevano un convento e poterono seguire ed essere testimoni della vita eremitica e contemplativa di Rosalia, che visse in preghiera, solitudine e mortificazioni; molti palermitani, salivano il monte attratti dalla sua fama di santità.
Secondo la tradizione morì il 4 settembre, che si presume, dell’anno 1160. In seguito fu oggetto di culto con l’edificazione di chiese a lei dedicate in varie zone siciliane, oltre la cappella già sul Monte Pellegrino e riprodotta in immagine nella cattedrale di Palermo e di Monreale; una chiesa sorse lontano, a Rivello (Potenza) nella diocesi di Policastro.
Ma all’inizio del 1600 il suo culto era talmente scaduto al punto che non veniva più invocata nelle litanie dei santi patroni di Palermo; ciò non esclude comunque un culto ininterrotto anche se di tono minore, durato nei quattro secoli e mezzo, che vanno dalla sua morte al 1600.
Sul Monte Pellegrino fino al primo Cinquecento erano vissuti i cosiddetti “romiti di Santa Rosalia” dimoranti in alcune grotte vicine a quella, dove per tradizione era vissuta e morta la giovane eremita.
Verso la metà del sec. XVI, il viceré Giovanni Medina, fece costruire per l’”Ordine Francescano Riformato di Santa Rosalia e del Monte Pellegrino”, un convento accanto alla grotta adattata a chiesa. Ad ogni modo studiosi agiografi hanno trovato documenti che testimoniano, che già nel 1196 e decenni successivi, l’eremita veniva chiamata “Santa Rosalia”.
E arriviamo al 26 maggio 1624, quando una donna (Girolama Gatto) ridotta in fin di vita, vide in sogno una fanciulla vestita di bianco, che le prometteva la guarigione se avesse fatto voto di salire sul Monte Pellegrino per ringraziarla.
La donna salì sul monte con due amiche, era di nuovo in preda alla febbre quartana, ma appena bevve l’acqua che gocciola dalla grotta, si sentì guarita, cadendo in un riposante torpore e qui le riapparve la giovane vestita di bianco, ravvisata come in s. Rosalia, che le indicò il posto dove erano sepolte le sue reliquie.
La cosa venne riferita ai frati eremiti francescani del vicino convento, i quali già nel Cinquecento con il loro superiore s. Benedetto il Moro (1526-1589), avevano tentato di trovare le reliquie senza riuscirvi, quindi ripresero le ricerche, aiutati da tre fedeli, finché il 15 luglio 1624 a quattro metri di profondità, trovarono un masso lungo sei palmi e largo tre, a cui aderivano delle ossa.
Per ordine del cardinale arcivescovo di Palermo Giannettino Doria, il masso fu trasferito in città nella sua cappella privata, dove fu esaminato con i resti trovati, da teologi e medici; il risultato fu deludente, avendo convenuto che le ossa potevano appartenere a più corpi e poi nessuno dei tre teschi trovati, sembrava appartenere ad una donna.
Il cardinale non convinto, nominò una seconda commissione; intanto Palermo fu colpita dalla peste nell’estate del 1624 mietendo migliaia di vittime (la stessa epidemia che colpì Milano e descritta dal Manzoni nei ‘Promessi sposi’). Il cardinale radunò nella cattedrale popolo e autorità e tutti insieme chiesero aiuto alla Madonna, facendo voto di difendere il privilegio dell’Immacolata Concezione di Maria, che era argomento contrastante nella Chiesa di allora e nel contempo di dichiarare s. Rosalia patrona principale di Palermo, venerando le sue reliquie, quando si sarebbero riconosciute.
A tutto ciò si aggiunge la scoperta di due muratori palermitani, che lavorando nel convento dei Domenicani di S. Stefano, trovarono in una grotta alla Quisquina, il 24 agosto 1624, un’iscrizione latina a tutti ignota, che si credette incisa dalla stessa s. Rosalia, quando vi aveva abitato e che diceva: “Io Rosalia, figlia di Sinibaldo, signore della Quisquina e (del Monte) delle Rose, per amore del Signore mio Gesù Cristo, stabilii di abitare in questa grotta”; che confermava il precedente eremitaggio, seguito poi da quello sul Monte Pellegrino.
L’11 febbraio 1625 la nuova commissione, stabilì che le ossa erano di una sola persona chiaramente femminile, dei tre crani, si scoprì che due erano un orciolo di terracotta e un ciottolone, mentre il terzo che sembrava molto grande, era invece ingrossato da depositi calcarei, che una volta tolti rivelarono un cranio femminile; anche la prima commissione ne riesaminò i resti e concordò con il risultato della seconda commissione.
A ciò si aggiunse un prodigio, un uomo Vincenzo Bonelli essendogli morta la moglie di peste e non avendolo denunziato, fuggì sul Monte Pellegrino e qui gli apparve la “Santuzza” predicendogli la morte per peste e ingiungendogli, se voleva la sua protezione per l’anima, di dire al cardinale che non dubitasse più dell’autenticità delle reliquie e le portasse in processione per la città, solo così la peste sarebbe finita.
Tornato in città, effettivamente si ammalò di peste e prima di morire confessò ciò che gli era stato rivelato. Il 9 giugno del 1625, l’urna costruita apposta per le reliquie, fu portata in processione con la partecipazione di tutta la popolazione e con grande solennità; la peste cominciò a regredire e il 15 luglio quando si fece il pellegrinaggio sul Monte Pellegrino, nell’anniversario del ritrovamento delle reliquie, non comparve più nessun caso di appestato.
Il cardinale fece costruire nella cattedrale un magnifico altare, dove venne sistemata la fastosa urna d’argento massiccio con le reliquie della santa, il cui nome fu per tradizione interpretato come composto da ‘rosa’ e ‘lilia’, rosa e gigli, simboli di purezza e di unione mistica; per questo la ‘Santuzza’ è rappresentata con il capo cinto di rose.
Da quel 1625 il culto fu autorizzato e rinverdito dalla Chiesa palermitana per la vergine eremita orante e contemplante sul Monte Pellegrino, quale testimonianza di eccezionale ascesi cristiana, che nei secoli non è stato mai dimenticata dal popolo palermitano. Da 350 anni i pellegrini salgono sul monte, definito da Goethe nel suo ‘Viaggio in Italia’, il promontorio più bello del mondo.
Si saliva a piedi faticosamente, finché il Senato palermitano fece costruire nel 1725 un’ardita strada fra pini ed eucalipti. Palermo ha sempre onorato s. Rosalia, secondo le due festività stabilite nel 1630 da papa Urbano VIII, che le inserì nel ‘Martirologio Romano’, cioè il 15 luglio anniversario del ritrovamento delle reliquie e il 4 settembre giorno della morte della ‘Santuzza’; le feste specie quella di luglio durano una settimana, con la partecipazione di tutto il popolo e di tanti emigranti che ritornano per l’occasione.
La statua della ‘Santuzza’ circondata da altre statue, troneggia sulla cima della cosiddetta ‘macchina’ che è un carro a forma di nave, sul quale vi è anche una banda musicale, che viene trasportato per la città, il tutto viene chiamato “U Fistinu”.
La seconda festa del 4 settembre si svolge come un pellegrinaggio al santuario sul Monte Pellegrino, dove conglobando la grotta, si costruì un Santuario, la cui pittoresca facciata risale al XVII secolo, all’interno si sono accumulate tante opere d’arte dei vari secoli successivi; una parte è ancora a cielo aperto, le pareti sono coperte di ex voto e lapidi lasciate da illustri visitatori.
Una cancellata divide questa prima parte del santuario, dalla grotta nella quale sono presenti altari e opere d’arte singolari, che ricordano la presenza della Santa; di fronte al luogo dove furono trovate le reliquie della ‘Santuzza’ sorge lo stupendo altare coperto da un baldacchino, con un sontuoso tabernacolo sormontato da una statua d’argento della santa, donati dal Senato di Palermo nel 1667. Sotto l’altare si venera la statua del 1625, che rappresenta Santa Rosalia giacente in atto di esalare l’ultimo respiro e che fu rivestita d’oro per disposizione del re Carlo III di Borbone (1716-1788).
Alla grotta sul monte, insieme agli anonimi pellegrini, salirono a venerare la santa eremita, anche tanti illustri visitatori; autorità ecclesiastiche, principi, re, imperatori, letterati, poeti, musicisti, artisti.
Le reliquie deposte nell’artistica e massiccia urna d’argento, sono conservate nel Duomo di Palermo.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Rosalia, pregate per noi.
*Beato Scipione Gerolamo Brigeat de Lambert - Martire (4 Settembre)
Martirologio Romano: All’ancora nel mare antistante Rochefort sulla costa francese, Beato Scipione Girolamo Brigéat de Lambert, sacerdote e martire: canonico di Avranches, durante la persecuzione perpetrata ai tempi della rivoluzione francese fu disumanamente gettato a causa del suo sacerdozio in una galera, dove morì consunto dalla fame.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Scipione Gerolamo Brigeat de Lambert, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (04 Settembre)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.