Santi del 26 Dicembre
*Beate Agnese Phila, Lucia Khambang e 4 Compagne - Protomartiri della Tailandia (26 Dicembre)
m. Songkhon (Thailandia), 26 dicembre 1940
Filippo Siphong Onphitak, padre di famiglia, guida della comunità cristiana di Songkhon, allo scatenarsi della persecuzione contro i cristiani fu attirato con l’inganno vicino al fiume Tum Nok e quindi ucciso a colpi d’arma da fuoco il 16 dicembre 1940.
Dieci giorni dopo fu la volta delle religiose Agnese Phila e Lucia Khambang, nonché delle loro quattro compagne laiche Agata Putta, Cecilia Butsi, Bibiana Hampai e Maria Phon, che vennero invece fucilate nel cimitero del villaggio di Songkhon per essersi rifiutate di rinnegare la fede cristiana.
La beatificazione di questo gruppo complessivo di sette martiri tailandesi, sepolti nel cimitero del villaggio di Songkhon, è stata celebrata a Roma da Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1989, in seguito al riconoscimento del loro eroico martirio avvenuto il 1° settembre dell’anno precedente. Il Martyrologium Romanum, che commemora i santi ed i Beati nell’anniversario della nascita al cielo, cita in data odierna 26 dicembre solo le sei beate, capeggiate dalle due religiose.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Nel villaggio di Song-Khon in Thailandia, beate martiri Agnese Phila e Lucia Khambang, vergini delle Suore Amanti della Croce, e Agata Phutta, Cecilia Butsi, Viviana Hampai e Maria Phon, fucilate nel cimitero locale per essersi rifiutate di rinnegare la fede cristiana.
Il cristianesimo venne introdotto in Tailandia nel 1881 e nel 1940 i fedeli cattolici erano già settecento. Nei quattro anni successivi i missionari francesi furono costretti ad abbandonare il paese, in preda alla guerra tra Tailandia e l’allora Indocina francese. Come è solito in circostanze simili, venne considerata quale priorità l’unità nazionale ed invece “declassato” a pericolo il pluralismo religioso.
Il villaggio di Songkhon, sito sulle rive del grande fiume Mekong alla frontiera con il Laos, fu teatro nel 1940 del glorioso martirio di sette cristiani indigeni: Filippo Siphong Onphitak, Agnese Phila, Lucia Khambang, Agata Phutta, Cecilia Butsi, Bibiana Khamphai e Maria Phon.
Filippo Siphong Onphitak, padre di famiglia, guida della comunità cristiana di Songkhon in mancanza di un sacerdote, allo scatenarsi della persecuzione contro i cristiani fu attirato con l’inganno vicino al fiume Tum Nok e quindi ucciso a colpi d’arma da fuoco il 16 dicembre 1940 da un gruppo di gendarmi, primo indigeno tailandese a spargere il suo sangue per testimoniare la sua fede in Cristo.
Scopo della presente scheda biografica è soffermarsi in particolar modo sulla vicenda delle sei donne a cui toccò la medesima sorte dieci giorni dopo, commemorate infatti in data odierna dal Martyrologium Romanum, che cita i Santi ed i Beati nei rispettivi anniversari della loro nascita al Cielo. Si presentano dunque sinteticamente alcune notizie su ciascuna delle sei beate:
Agnese Phila – Religiosa
Ban Nahi (Tailandia), 1909 - Songkhon (Tailandia), 26 dicembre 1940
Agnese Phila (al secolo Margherita) era nata nel 1909 presso il villaggio pagano di Ban Nahi, figlia di Gioacchino Thit Son ed Anna Chum. La famiglia emigrò poi nel villaggio cristiano di Viengkhuk, ove la beata ricevette il Battesimo nel 1924. Sua madrina fu la zia della celebre Suor Lucia di Fatima.
Il 7 dicembre fece il suo ingresso nella Congregazione delle Amanti della Croce presso Siengvang nel Laos. Due anni dopo al 26 novembre iniziò il postulandato ed il 10 novembre 1927 entrò col nome di Agnese nel noviziato, che culminò con la professione il 16 novembre 1928. Nel 1932 fu inviata come insegnante presso la scuola di Songkhon ove fu uccisa il 26 dicembre 1940.
Lucia Khambang – Religiosa
Viengkhuk (Tailandia), 22 gennaio 1917 - Songkhon (Tailandia), 26 dicembre 1940
Lucia Khambang nacque nel villaggio cristiano di Viengkhuk il 22 gennaio 1917, figlia di Giacomo Dam e Maria Mag Li.
Fu battezzata il 10 marzo successivo, mentre il 4 giugno 1925, all’età di soli otto anni, ricevette il sacramento della Confermazione e ricevette per la prima volta la Santa Comunione.
Il 3 settembre 1931 entrò poi nella Congregazione delle Amanti della Croce.
Postulante per tre anni, iniziò il noviziato il 18 ottobre 1935 che durò due anni.
Emanò la sua professione a Siengvang nel Laos il 15 ottobre 1937. All’inizio del 1940 fu inviata come maestra a Songkhon, ove fu uccisa il 26 dicembre 1940 a soli ventitrè anni di età.
Agata Phutta – Laica
Bi Ban Keng Pho (Tailandia), 1881 - Songkhon (Tailandia), 26 dicembre 1940
Agata Phutta nacque nel villaggio di Bi Ban Keng Pho nel 1881 da una famiglia pagana.
Figlia unigenita, si convertì al cristianesimo ormai trentenne e fu battezzata e cresimata il 3 marzo 1918 a Siengvang.
Essendo nubile, decise di prestare servizio nelle cucine delle missioni di Songkhon, Mong Seng, Pkasè e nuovamente Songkhon, ove risiedeva quando fu anch’essa uccisa il 26 dicembre 1940 a cinquantanove anni di età.
Cecilia Butsi – Fanciulla Laica
Songkhon (Tailandia), 16 dicembre 1924 – Songkhon (Tailandia), 26 dicembre 1940
Cecilia Butsi, figlia di Amato Sinuen ed Agata Thep, nacque presso Songkhon il 16 dicembre 1924 e fu battezzata dopo soli due giorni.
Addetta alla cucina della missione, era caratterialmente gioiosa e coraggiosa.
Il giorno prima del martirio, durante una riunione dinanzi alla chiesa, si dichiarò cristiana nonostante le minacce di morte subite dalla polizia.
Fu dunque uccisa il 26 dicembre 1940, appena sedicenne.
Bibiana Khampai – Fanciulla laica
Songkhon (Tailandia), 4 novembre 1925 - Songkhon (Tailandia), 26 dicembre 1940
Bibiana Khamphai nacque a Songkhon il 4 novembre 1925, figlia di Benedetto Lon e Monica Di. Fu battezzata e cresimata dopo neppure due mesi il 28 dicembre.
Adolescente dalla condotta irreprensibile, ottima cristiana, assidua nell’accostarsi ai sacramenti, frequentando la missione di Songkhon, fu anch’essa uccisa il 26 dicembre 1940, appena compiuti quindici anni di età.
Maria Phon – Fanciulla Laica
Songkhon (Tailandia), 6 gennaio 1925 - Songkhon (Tailandia), 26 dicembre 1940
Maria Phon nacque a Songkhon il il 6 gennaio 1926 dai genitori Giovanni Battista Tàn e Caterina Pha. A soli sei giorni dalla nascita fu già battezzata e cresimata. Viveva con una zia di nome Maria e frequentava la locale missione.
Particolarmente assidua all’Eucaristia ed agli altri sacramenti, fu anch’essa uccisa il 26 dicembre 1940, non avendo ancora compiuti quindici anni di età.
Occorre però ora soffermarsi anche sull’insieme delle vicende che portarono queste donne cristiane tailandesi a spargere il loro sangue per Cristo.
La sera successiva all’uccisione del catechista Filippo Siphong Onphitak la notizia si sparse a Songkhon, provocando una grande tristezza. I soldati, sperando nell’immediata conversione dei fedeli, non avevano però calcolato la presenza delle due religiose Agnese Phila e Lucia Khambang, le quali capirono che ben presto sarebbe venuto anche il loro momento di dare l’estrema testimonianza della loro fede.
Lu cercò infatti con ogni mezzo di persuadere le suore ad abbandonare la loro religione, ma falliti i vari tentativi la sera di Natale convocò l’intero villaggio dinnanzi alla chiesa, per comunicare l’ordine ricevuto di distruggere la religione cristiana a costo di ucciderne i fedeli. Durante la notte le religiose scrissero allora una lettera a Lu dichiarandosi pronte a morire piuttosto che rinnegare Cristo. Lu tornò poi da loro nel primo pomeriggio chiedendo: “Allora, il vostro Dio, l’abbandonate, sì o no?”. Esse ribatterono: “No, non l’abbandoneremo mai”.
Lu le invitò allora a scendere al fiume, ma Suor Lucia e Suor Agnese, capite le sue intenzione, preferirono essere fucilate al cimitero. Qui, inginocchiate contro un tronco d’albero, furono giustiziate con le giovani Cecilia, Bibiana e Maria.
Furono dunque sepolte a Songkhon, ove furono poi solennemente traslati anche i resti di Filippo Siphong Onphitak, ritrovati solo nel 1959.
La beatificazione di questi sette martiri tailandesi, è stata celebrata a Roma da Papa Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1989, in seguito al riconoscimento del loro eroico martirio avvenuto il 1° settembre dell’anno precedente.
Il martirologio ufficiale della Chiesa Cattolica commemora dunque separatamente al 16 dicembre il Beato Filippo Siphong Onphitak, mentre al 26 dicembre le Beate Agnese Phila e Lucia Khambang, vergini delle Sorelle Amanti della Croce, e le Compagne Agata Putta, Cecilia Butsi, Bibiana Hampai e Maria Phon, rispettando così la coincidenza con i rispettivi anniversari del martirio.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Agnese Phila, Lucia Khambang e 4 Compagne, pregate per noi.
*Beato Alessandro Sirdani - Sacerdote e Martire (26 Dicembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Albanesi" (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) - 5 novembre
Boga, Albania, 1892 – Koplik, Scutari, 26 dicembre 1948
Aleksander Sirdani, nato a Boga nel nord dell’Albania, fu ordinato sacerdote nel 1916 ed esercitò il ministero in vari paesini sulle montagne di Scutari. Come molti sacerdoti albanesi, trascrisse le fiabe e le tradizioni popolari in raccolte organiche e compose poesie, anche di soggetto religioso. Il 26 luglio 1948, in occasione della festa di Sant’Anna, pronunciò un’omelia che faceva velatamente riferimento alla situazione politica: venne quindi arrestato il giorno seguente. Condotto nel carcere di Koplik, subì numerose torture, culminate con la morte: fu soffocato nel pozzo nero del carcere. Compreso nell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania, capeggiati dal vescovo Vincenzo Prennushi, è stato beatificato il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.
Etimologia: Aleksander = Alessandro = protettore degli uomini, dal greco
Infanzia e vocazione
Aleksander Sirdani, detto Lek o Leke, nacque a Boga nel nord dell’Albania nel 1892. Rimasto orfano dei genitori quand’era ancora un bambino, fu educato prima da una zia e poi da un pio musulmano albanese.
Aveva circa otto anni, quando fu accolto nel Collegio Saveriano di Scutari, retto dai Gesuiti, i quali gli diedero poi la possibilità di continuare gli studi in Austria, dove nel 1916, a 24 anni, fu ordinato sacerdote. Anche suo fratello Marin si era consacrato a Dio, tra i Frati Minori.
Parroco e letterato
Tornato in Albania, fu parroco in vari paesini sulle montagne di Scutari. Nei momenti liberi dal ministero sacerdotale, prese a raccogliere dalla viva voce della sua gente le tradizioni, le fiabe, i canti della sua terra, insegnandoli ai ragazzi della parrocchia e pubblicandoli in alcune raccolte: «Il piccolo albanese», «Racconti popolari», «Parole d’oro», «La leggenda del foglio del porro», «Il giovane frate». Mise poi in poesia i dieci comandamenti, per renderne più agevole l’apprendimento, e compose «Il martire dell’Eucaristia», un’opera su san Tarcisio.
La situazione politica
Intanto l’Albania, durante la seconda guerra mondiale, era rimasta coinvolta nelle politiche espansionistiche e militari dell’Italia alleata dei nazisti: veniva assunta come base delle operazioni belliche, contro Grecia, Montenegro, Jugoslavia e altri Paesi balcanici.
Nel 1942 comparve sulla scena politica il capo dei partigiani comunisti Enver Hoxha, legato a doppio filo con la politica sovietica e con i principi marxisti. Due anni dopo, diventato capo del Governo, mise in atto una politica antireligiosa, scatenando persecuzioni contro il clero e contro i fedeli, che non intendevano aderire al nuovo corso di un’Albania veramente atea.
L’inizio della persecuzione
Don Aleksander, a 56 anni, era parroco a Boga, suo paese natale, quando ormai si era scatenata la persecuzione contro i cattolici in particolare, con esecuzioni pubbliche di massa, deportazioni e torture, campi di concentramento, arresti sotto qualunque giustificazione di sacerdoti e religiosi, eliminazione di ogni forma di culto pubblico e privato.
La fede era considerata "oppio del popolo", per cui ci fu una sistematica imposizione dell’ateismo di Stato, con la graduale distruzione di chiese e conventi. Si giunse a mettere in atto il meschino espediente di nascondere delle armi nei conventi e chiese, per poi accusare i religiosi di cospirare contro il regime.
Ad un giovane della parrocchia, che gli esternava le sue preoccupazioni a riguardo, don Aleksander rispose: «Tu abbi lunga vita, giovanotto, ma per me morire per Cristo significa rinascere».
L’arresto
Il 26 luglio 1948, in occasione della festa di sant’Anna, pronunciò un’omelia che faceva velatamente riferimento alla situazione politica: «Fratelli e sorelle, una nube nera ci ha coperti, ma non spaventatevi, perché questa passerà e una nube bianca verrà e noi risplenderemo come le pietre del fiume dopo la pioggia». Un fedele prese nota di quelle parole, che il regime non tardò a prendere come pretesto per eliminarlo.
Il giorno seguente, infatti, fu arrestato in casa del cugino: venne malmenato con tale violenza da rimanere con una sola scarpa ai piedi e senza il Breviario, che gli erano sfuggiti mentre veniva trascinato via.
Fu spintonato e bastonato per circa trenta chilometri, esposto alla pubblica umiliazione, fino al carcere di Koplik, nei pressi di Scutari. Lì fu torturato in vari modi e a più riprese: gli fu applicato del ferro rovente, subì scariche elettriche e venne quasi scorticato vivo, tanto da apparire irriconoscibile.
Il martirio
Nello stesso carcere erano rinchiusi altri sacerdoti, compresi padre Simon Cubani e padre Anton Luli, gesuita. Questi, la mattina del 29 luglio, non sentirono più le grida di dolore di don Aleksander, per cui padre Anton domandò alla guardia dove fosse: era stato da poco gettato nel pozzo nero (praticamente, una buca molto grande) dei bagni dei detenuti.
Il gesuita pregò allora la guardia di lasciarlo andare al bagno, anche se non era l’orario consentito; essendo trascorse le otto del mattino, avrebbe dovuto aspettare la sera.
La guardia comprese il motivo reale e, impietosita, lo accompagnò al pozzo: il liquame era ancora gorgogliante. Sconvolto, padre Anton si avvicinò, come se dovesse fare i bisogni: rapidamente tracciò un segno di croce su quel povero prete, che moriva soffocato in quel modo orribile e disumano.
Don Cubani aggiunse che don Aleksander e un altro prigioniero, don Pjetër Çuni, furono soffocati nella fossa nera, dopo aver pompato le loro budella con la pompa della macchina. Quando ai due sacerdoti, già immersi nel liquame, fu proposto di rinnegare la loro fede in cambio della vita, rifiutarono decisamente. A quel punto, uno dei persecutori spinse con un forcone le loro teste sotto la melma, mentre un altro sparava all’impazzata nella fogna.
Altre fonti hanno riferito che il martirio di don Aleksander sia avvenuto il 26 dicembre 1948, mentre quello di don Pjetër Çuni, molto probabilmente, risale al 31 luglio.
La fama di santità e la beatificazione
La chiesa parrocchiale di Boga fu trasformata in un forno per il pane, ma i compaesani di don Aleksander lo hanno sempre venerato di nascosto, considerandolo un martire. A 54 anni dalla sua uccisione, nella chiesa ripristinata al culto, gli hanno eretto una statua.
Compreso nell’elenco di 38 martiri uccisi sotto il regime comunista in Albania, capeggiati dal vescovo Vincenzo Prennushi e comprendenti anche don Pjetër Çuni, è stato beatificato il 5 novembre 2016 nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi - Autore: Antonio Borrelli)
Giaculatoria – Beato Alessandro Sirdani, pregate per noi.
*San Dionigi (o Dionisio) - 25° Papa (26 Dicembre)
m. 268
(Papa dal 22/07/259 al 26/12/268)
Di patria ignota, fu testimone della tragica fine del sanguinario imperatore Valeriano. Provvide all'organizzazione della Chiesa, costituendo parrocchie e diocesi.
Etimologia: Dionigi = consacrato a Dioniso (è il dio Bacco)
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla Via Appia, San Dionigi, Papa, che, colmo di ogni virtù, dopo la persecuzione dell’imperatore Valeriano, consolò con le sue lettere e la sua presenza i fratelli afflitti, riscattò i prigionieri dai supplizi e insegnò i fondamenti della fede a coloro che li ignoravano.
Già presbitero della Chiesa romana, fu eletto al sommo pontificato nel luglio 259 e regnò fino al 268. In una lettera a lui indirizzata il vescovo Dionigi di Alessandria lo chiama "uomo ammirabile e rende testimonianza della sua cultura e della sua eloquenza (Eusebio, Stor. Eccl., VII, 8). San Basilio poi attesta che egli aveva una fede retta e possedeva tutte le virtù (PG, XXXII, col. 436). Durante il suo pontificato Dionigi dovette intervenire in una importante questione dottrinale riguardante l'omonimo vescovo di Alessandria.
Questi era stato accusato, da alcuni suoi chierici, presso il pontefice, di negare l'eternità del Verbo, la sua consustanzialità con il Padre, e di asserire che era una creatura. L'accusa non era infondata, poiché il vescovo alessandrino, nella foga di combattere l'errore di Sabellio, in alcune sue lettere aveva adoperato delle frasi che veramente sembravano affermare quegli errori; lo stesso Sant' Atanasio, pur cercando di spiegarle in senso ortodosso, non ne negava il tenore.
Per esaminare la questione, Dionigi convocò un sinodo e a nome di tutti scrisse due lettere ad Alessandria: una diretta al vescovo, con la quale chiedeva spiegazioni sulla sua fede; l'altra, alla Chiesa alessandrina, nella quale pur tacendo il nome dell'accusato ne confutava e condannava la dottrina.
Questa seconda lettera è un documento dottrinale importantissimo, in cui si trova già condannato avanti tempo quello che poi sarà l'errore degli ariani. Dionigi, pur non discutendo da teologo, ma parlando come custode e difensore della rivelazione affidata alla Chiesa, con parole chiare ed energiche, da maestro autorevole, vi condanna sia il modalismo di Sabellio, sia coloro che, per confutare quell'errore, sembrano ammettere in Dio una specie di triteismo; afferma quindi non meno chiaramente l'unità e trinità di Dio; che il Verbo non è una creatura, ma è stato generato dal Padre, dal quale è ab eterno, e quindi non ebbe esistenza col tempo.
Il vescovo alessandrino, accettando in semplice umiltà l'esposizione di Dionigi, rispose con una lettera in cui spiegava il suo pensiero e poi più a lungo con una Apologia. “BR” Dalla lettera di San Basilio sopra citata, sappiamo ancora che Dionigi, continuando la tradizione caritatevole della Chiesa romana a favore dei bisognosi, scrisse ai fedeli di Cesarea di Cappadocia per consolarli delle tribolazioni sofferte in occasione di una scorreria di barbari, ed insieme inviò degli aiuti in denaro per la liberazione di quei cristiani che erano stati fatti prigionieri.
L'autore del Liber Pontificalis afferma, con poca verosimiglianza, che Dionigi era un monaco e che, eletto papa, distribuì ai presbiteri romani la direzione delle chiese e dei cimiteri.
Sulla sua morte le indicazioni delle fonti sono alquanto discordi. Nella Depositio Episcoporum il Suo nome è registrato al 27 dicembre, e il luogo della sepoltura è indicato nel cimitero di Callisto, nel Catalogo Liberiano, invece, e nel Martirologio Geronimiano, seguiti anche dal Romano, si dice che morì il 26 dicembre e fu sepolto nel cimitero di Priscilla: questa notizia è certamente falsa.
Il Catalogo, poi, aggiunge che Dionigi morì Martire, ma ciò, oltre al fatto di essere in contrasto con l'indicazione della Depositio, è anche inverosimile, poiché il pontificato di Dionigi coincise con il governo degli imperatori Gallieno e Claudio il Gotico, di cui il primo revocò espressamente la persecuzione scatenata dal padre Valeriano, mentre il secondo non fu persecutore.
(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dionigi, pregate per noi.
*Sant'Eutimio di Sardi - Vescovo e Martire (26 Dicembre)
Martirologio Romano:
A Sardi in Lidia, nell’odierna Turchia, Sant’Eutimio, vescovo e martire, che, condannato all’esilio dall’imperatore iconoclasta Michele per il culto delle sacre immagini, consumò, infine, il suo martirio sotto l’impero di Teofilo, crudelmente fustigato con nervi di bue.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eutimio di Sardi, pregate per noi.
*Sant'Evaristo di Costantinopoli - Abate (26 Dicembre)
Nacque in Galazia (Asia Minore) il 17 aprile 819 e fu battezzato con il nome di Sergio, era imparentato con un alto funzionario della Corte bizantina, che lo prese al suo servizio, quando Evaristo fu condotto dal padre a Costantinopoli verso l’842.
Sergio accompagnò il suo benefattore in Bulgaria alla fine dell’842, inizio 843, dove doveva svolgere un incarico datogli dalla corte, ma strada facendo nel ritorno, lo lasciò dopo aver letto un passo di Sant' Efrem sul giudizio finale e si ritirò in Tracia presso anziani asceti.
Rientrò a Costantinopoli, sei mesi dopo, andando nel monastero di “Studios”, il cui egumeno Neucrazio, gli diede l’abito, imponendogli il nome di Evaristo.
Si distinse da giovane monaco per il suo fervore nella preghiera e per la sua austerità, gli furono date dapprima cariche subalterne, finché un nuovo abate (egumeno) San Nicola, lo nominò subeconomo, funzione che tenne per dieci anni.
Al tempo di Fozio (859) che aveva usurpato la carica di patriarca di Costantinopoli ad Ignazio, di cui Evaristo era sostenitore, dovette lasciare il monastero, stabilendosi in casa di un uomo caritatevole di nome Samuele.
Lasciò questo rifugio per andare a curare il suo vecchio egumeno San Nicola, ammalato in una località della Tracia, ritornò dal suo ospite quando il vecchio egumeno fu richiamato dall’imperatore; Samuele mise a disposizione dei due, a cui si aggiunsero molti altri monaci, la sua proprietà di Cocorobion.
Ma i guai non erano finiti, per ordine imperiale fu internato nel monastero di "Studios", ma non per molto, perché salito al trono, nel settembre 867, Basilio I, l’usurpatore Fozio fu deposto ed Evaristo ritornò libero.
San Nicola ritornò al monastero di ‘Studios’ fino alla morte avvenuta nell’868 ed Evaristo invece si stabilì a Cocorobion, divenendo egumeno, ingrandì il monastero ed edificò una bella chiesa dedicata alla Madonna (Theotokos), diresse il cenobio per 30 anni, morendo in pace la notte di Natale dell’897. La sua festa fu trasferita al 26 dicembre a causa della celebrazione del Natale.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Evaristo di Costantinopoli, pregate per noi.
*Beato Giovanni Orsini - Vescovo (26 Dicembre)
Rivalta, Torino, 1333 - Torino, 1411
Giovanni Orsini nacque nel 1333 da una nobile famiglia di Rivalta. A Torino intraprese gli studi ecclesiastici, diventando dottore in legge. Divenne canonico della Cattedrale di Torino e abate commendatario di Rivalta. Si dedicò molto alla predicazione e alle confessioni. Nel 1364 divenne vescovo di Torino.
Intraprese subito la visita pastorale della vasta diocesi. Zelante nel suo ministero episcopale, congiunse fortezza e bontà, con una grande carità verso i poveri.
Delegò vari religiosi alla predicazione contro l’eresia valdese (fra cui saranno martiri i domenicani Pietro Cambiani e Antonio Pavonio). Si adoperò per il ritorno a Roma del Papa di Avignone. Sostenne il papato di Clemente VII. Nel 1388 fu eletto cardinale e legato apostolico alla corte del re Carlo VI. Morì nel 1411, dopo 47 anni di prelatura vescovile. Fu sepolto nella cattedrale.
Giovanni Orsini nacque nel 1333 nella nobile famiglia dei Signori di Rivalta, presso Torino. Figlio di Guglielmo, ebbe numerosi fratelli, tra i quali Pietro che sarà anch’egli religioso. Giovanni condusse fin da ragazzo una vita esemplare, intraprese gli studi ecclesiastici, licenziandosi in legge.
Fu investito della commenda dell’abbazia di Rivalta che, grazie all’affiliazione del 1266 ai cistercensi di Staffarla, era tornata al passato splendore. Molti membri della sua famiglia, lungo i secoli, ricopriranno tale incarico. Nobile tanto nei natali, quanto nell’animo, acquisì una profonda dottrina, era dedito alle opere buone, soccorreva i poveri e dedicava molto tempo alla predicazione e alle confessioni.
Era il successore ideale per la cattedra di San Massimo e nel 1364 fu eletto vescovo di Torino. Fu un pastore zelante, che unì la fermezza necessaria per svolgere il suo compito delicato in tempi assai complessi per la Chiesa, all’innata bontà. Nell’ampio territorio della diocesi erano molte le situazioni problematiche cui far fronte. Nel 1367 il pio prelato visitò la Val Susa e riscontrò che in molte parrocchie vi erano disagi a causa delle guerre e delle continue scorribande dei soldati.
I predecessori avevano tentato di porvi rimedio, ma senza grandi risultati. Il 5 settembre 1368 inviò le lettere convocatorie per l’indizione di un sinodo che si celebrò nella chiesa maggiore di San Salvatore. Purtroppo non ci sono pervenuti gli atti anche se sappiamo che furono pubblicati nel 1403. Intraprese quindi la visita pastorale, iniziando dalle valli di Luserna e Angrogna dove maggiore era il pericolo della diffusione delle eresie.
I valdesi, in particolare, provenienti dalla Francia, si erano stabiliti, sul principio del secolo precedente, nelle vallate di confine. Giovanni fece la visita con un inquisitore e diversi collaboratori. Si rivolgevano principalmente ai capi delle comunità, detti "barba", perché con la loro conversione era più facile convincerne i seguaci.
In casi estremi, secondo le leggi del tempo, gli ostinati potevano essere puniti con la pena capitale. Era ancora vivo il ricordo dell’assassinio a Susa del beato Pietro da Ruffia, avvenuto proprio ad opera dei valdesi il 2 febbraio 1365, mentre Bricherasio fu teatro del martirio del beato Antonio Pavoni avvenuto la domenica in Albis del 1374. Il papa scrisse una lettera di incoraggiamento indirizzandola al Conte Amedeo e al vescovo Giovanni.
Gli assassini furono in seguito catturati e giudicati. Tutti gli ecclesiastici erano tenuti a collaborare con l’inquisitore e il vescovo, fondamentalmente con la predicazione nelle chiede delle verità della fede. Emblematico è il caso di un chierese, Giacomo Bech, che il 21 agosto 1388, nel palazzo episcopale di Torino, fu ascoltato dall’Orsini, alla presenza dell’inquisitore. Era vissuto nei pressi di Firenze e a Perugia ed era entrato in contatto con una comunità di "apostolici", in parte originaria del torinese. Gli interrogatori erano fatti sia nel palazzo vescovile che nel "castrum" del Drosso, che era feudo episcopale e in cui abitualmente Giovanni risiedeva.
Importante fu l’aiuto che l’Orsini diede alle Clarisse di Carignano, come si evince in una patente del 3 giugno 1372 ove confermava alle monache i diritti acquisiti. Il loro monastero non era in buone condizioni e sorgeva in luogo non sicuro a causa delle guerre. Le suore ripararono in case private sotto la parrocchia di San Remigio poi, quando fu possibile, decisero di ricostruire l’antico sito, contro il volere degli abitanti. Le religiose ricorsero al Conte Amedeo di Savoia e al vescovo Giovanni. Per motivi di giurisdizione contro la nuova costruzione insorse anche l’abate di Chiusa S. Michele. Le clarisse fecero ricorso a papa Gregorio XI che era in Avignone. Non presentandosi alcuno per conto dell’abate, fu data ragione all’operato del vescovo. Il medesimo abate fu protagonista di altre controversie per la giurisdizione delle parrocchie di Giaveno, Sant’Ambrogio, Prarostino e Carignano e mosse persino accuse al papa. Giovanni fu incaricato di mediare, ma si arrivò alla scomunica.
Grande preoccupazione del vescovo Orsini fu quella di contrastare una certa rilassatezza dei costumi nel clero e promulgò alcune norme perché gli ecclesiastici rispettassero i sacri canoni. Grazie al suo impegno riportò alla fede molti fedeli che se ne erano allontanati. La permanenza del Papa ad Avignone, causava in alcune comunità delle divisioni. Erano i tristi tempi dello Scisma d’Occidente (che si sarebbe risolto solo nel 1415).
Il cardinale Egidio Albornoz, che aveva il difficile compito di restaurare lo stato della Chiesa in Italia, nelle sue visite piemontesi, ebbe il sostegno morale ed economico di Giovanni. Il presule torinese collaborò al ritorno a Roma, seppur temporaneo, del Beato Papa Urbano V. Nel 1370 fu eletto papa Gregorio XI che tornò in Italia solo nel 1377 in un contesto più che mai complesso. Fu nominato antipapa Clemente VII che si stabilì ad Avignone. La Chiesa era spaccata in due. Giovanni, come gli altri presuli della Savoia e della Francia, sostenne Clemente.
Grande stima avevano per il “beato” Giacomo di Savoia e Guglielmo d’Acaja che lo nominò suo esecutore testamentario. Durante il suo lungo episcopato Giovanni fece importanti concessioni. Autorizzò gli abitanti di Fossano nel 1380 a riedificare la Collegiata di S. Maria e di S. Giovenale, mentre alle clarisse di Carignano, all’abate di Rivalta e al vicario di Lanzo condonò molti debiti. Nel 1395 approvò l’elezione di Aimone da Romagnano a preposito dei Canonici del Moncenisio. Dopo un lungo e fruttuoso episcopato, ben quarantasette anni, Giovanni morì nel giugno 1411. Fu sepolto in cattedrale, si diffuse la fama della sua santità e sul suo sepolcro si verificarono grazie, come venne registrato negli atti capitolari.
In un documento del 21 febbraio 1438 si lamentava che dal sepolcro il popolo portava via gli ex-voto.
Purtroppo le spoglie si persero nei lavori di ricostruzione della cattedrale fatti alla fine del secolo XV e forse per questo motivo il suo culto andò diminuendo e non fu mai confermato, anche se unanimemente tutti gli storici ne lodarono i meriti. In alcune cappelle di Rivalta fu effigiato con berretta cardinalizia e aureola.
Nel duomo di Torino è oggi posta una lapide in un monumento cinquecentesco con un’epigrafe incisa nel 1892 che indica la presenza delle ceneri di un uomo le cui virtù sono note solo a Dio.
Alcuni studiosi vi collocherebbero la tomba del vescovo di Rivalta mentre, a causa delle complesse vicende storiche della Chiesa di quei decenni, non è certa la nomina cardinalizia avvenuta nel 1388 e a legato apostolico alla corte del re Carlo VI.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Orsini, pregate per noi.
*Beato Pagano di Lecco - Domenicano (26 Dicembre)
Lecco, XIII sec. – Valtellina (Como), 26 dicembre 1277
Fu uno dei più illustri inquisitori domenicani del XIII secolo in Lombardia; in quel periodo buio della storia della Chiesa, dove sorsero tante eresie, inquinamenti della politica nelle controversie religiose, fanatismo, superstizione e soprattutto tanta violenza con torture di ogni specie e condanne a morte strazianti con il rogo, al punto che il termine Inquisizione, per secoli è stato simbolo di paura e obbrobrio, che facilmente viene imputato alla Chiesa ed ai suoi inquisitori dell’epoca.
L’Ordine Domenicano in particolare, fu chiamato ad ostacolare le eresie, esaminare le nuove teorie ed idee in materia di religione ed ortodossia della fede e fra loro vi furono confratelli dotti, che espletarono questo compito con discernimento e coscienza.
Alcuni di questi però pagarono con la vita, l’intolleranza che si era creata verso questa forma d’indagine o per affermare il proprio modo di vedere o di credere.
Fra questi martiri, il cui esempio più conosciuto è San Pietro da Verona, è da annoverare il beato Pagano di Lecco domenicano, nativo appunto di Lecco nel XIII secolo, si formò nel convento di Bergamo, soggiornando anche per un lungo periodo in quello di Rimini, dove espletò il suo apostolato; si dice che ricevette l’abito dell’Ordine a Padova dallo stesso San Domenico, ma ciò non è documentato.
Di certo si sa la sua attività di inquisitore, che svolse per mandato pontificio in Lombardia, Piemonte e Liguria, insieme ai confratelli Anselmo di Alessandria e Daniele di Giussano. Dalla sua residenza conventuale di Como, città dilaniata da scontri di fazioni civili, Pagano operò specialmente in Valtellina, condannando come eretico e portatore di eresia il nobile Corrado di Venosta, importante esponente politico-religioso.
Il 26 dicembre 1277, mentre lo conduceva prigioniero in altro luogo, venne assalito dai suoi complici a Mazzo di Valtellina e ferito a morte al capo ed al petto; insieme a lui furono uccisi due notai del tribunale e due guardie.
Il suo corpo fu trasportato a Colorina e il 31 dicembre ebbe onoranze funebri a Como, venendo sepolto nella chiesa domenicana di S. Giovanni in Pedemonte, dove restò fino al 1810.
Le sue reliquie furono poste nella Cappella dell’Episcopio; nel 1932 dopo una ricognizione delle stesse, vennero trasferite nella Cappella del Seminario Maggiore; parte delle reliquie si trovano a Colorina, a Lecco e nella chiesa dell’ospedale di questa città.
Il Capitolo Generale dei Frati Predicatori, tenuto a Milano nel 1278, ne raccomandò il culto come martire e di trascriverne i miracoli. Papa Nicolò III ne esaltò la dedizione per la fede, in due documenti del 1° giugno 1278 e il 29 novembre 1279.
Pagano di Lecco comunque non è da confondere con due domenicani omonimi, Pagano inquisitore in Lombardia e Pagano di Bergamo, autore di commenti biblici.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pagano di Lecco, pregate per noi.
*Beato Pietro Boffet - Martire Mercedario (26 Dicembre)
+ 1452
Di origine francese, il Beato Pietro Boffet, ispirato alla grazia di Dio entrò nell'Ordine della Mercede dove per i suoi grandi progressi negli studi e nella pietà, acquistò buona reputazione.
Fu per alcuni anni professore di Teologia, rinomato predicatore ed infine venne designato come redentore.
Nel 1442 assieme a San Lorenzo Company mentre ritornavano da una redenzione in Africa, furono sorpresi da una grande tempesta che li riportarono nuovamente a Tunisi.
Rinchiusi tutti quanti in prigione compreso loro due, durante la prigionia usavano tutti i danari che l'Ordine gli inviava per la loro liberazione, riscattando altri schiavi al loro posto.
Dopo 10 anni di schiavitù, padre Boffet, godendo di una semilibertà, ricondusse alla fede un rinnegato, allora i mori spinti dal loro odio verso la religione cristiana, lo rimisero in carcere e dopo vari maltrattamenti abbracciò con gioia il martirio per il Signore nell'anno 1452.
L'Ordine lo festeggia il 26 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro Boffet, pregate per noi.
*Beato Secondo Pollo - Sacerdote e Martire (26 Dicembre)
Caresanablot, Vercelli, 2 gennaio 1908 - Dragali, Montenegro, 26 dicembre 1941
Cappellano militare durante la Seconda Guerra Mondiale. Morì colpito da un proiettile, mentre tentava di raccogliere un ferito. Nelle sue mani aveva il Santo rosario ed i Santi oli.
Etimologia: Secondo = figlio secondogenito, dal latino
Martirologio Romano: In località Dragali in Montenegro, Beato Secondo Pollo, sacerdote di Vercelli, che, cappellano militare durante la seconda guerra mondiale, fu gravemente ferito mentre prestava soccorso ad un soldato moribondo e poco dopo, ormai esangue, rese lo spirito a Dio.
Per gli alpini è il loro primo “Santo”, per i cappellani militari è il primo loro modello elevato alla gloria degli altari, per la Chiesa tutta un autentico “martire della carità”. Comunque lo si voglia considerare, è in ogni caso doveroso far memoria di lui, prima che l’anno finisca, a 100 anni dalla nascita e a dieci dalla beatificazione, avvenuta a Vercelli il 23 maggio 1998. Nasce a Caresanablot (piccolo paese in provincia di Vercelli) il 2 gennaio 1908 e, da bambino, è allievo dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Forse è qui che matura la sua vocazione, ma per seguirla entra a 11 anni nel seminario diocesano. Sacerdote il 15 agosto 1931, si rivela ottimo professore ed illuminato direttore spirituale del seminario minore.
Lo dipingono “educatore di fine intuizione pedagogica” e non a torto, se solo si considera quanto è amato e seguito dai giovani seminaristi. Passa poi al seminario maggiore, sempre in veste di insegnante, per altri quattro anni.
Parallelamente viene nominato assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, che rappresenta forse, del suo ministero, l’aspetto più fecondo anche se ingiustamente trascurato perché la fine eroica ha finito per esaltare quasi esclusivamente in lui la nobiltà del gesto estremo. Eppure, quelli trascorsi nell’Azione Cattolica, sono gli anni che lo mostrano alla diocesi vercellese come il “prete nuovo”: infervorato, vulcanico, dinamico, efficiente.
È certamente figlio del suo tempo, legato all’ecclesiologia della “società perfetta”, animato da una prudenza antimodernista e da una spiritualità apostolica militante tipica dei gesuiti piemontesi, con un tocco piuttosto marcato di moralismo.
Eppure, nel tranquillo panorama religioso della diocesi, porta un tocco di novità, rappresentata da una marcata apertura verso il mondo laicale in generale e quello giovanile in particolare, da una gioiosità dello spirito particolarmente gradita ai giovani, dall’entusiasmo per le cose che si possono organizzare insieme nelle parrocchie e anche al di là dei confini parrocchiali. Gli strumenti, di cui fa abbondante uso, sono quelli di cui tradizionalmente dispone l’Azione Cattolica negli Anni Trenta: le tante “Tregiorni”, le adorazioni mensili, le filodrammatiche giovanili; di suo ci mette le scorribande per le strade dove i giovani possono gridare la loro fede, i giochi rumorosi nei boschi, la via crucis in piazza predicata dai giovani e le loro visite ai bambini handicappati.
Forse anche per questo è un prete “che disturba”: non capito da alcuni confratelli, ignorato da altri. Sono soprattutto i giovani (e, diventati adulti, lo testimoniano sotto giuramento al processo di beatificazione) a “prendere le misure” a questo prete un po’ fuori dai soliti schemi; sono loro a prendere nota dei suoi tempi di preghiera sempre più prolungati, della sua agenda sempre più fitta di impegni, della sua direzione spirituale che “spinge in alto”, delle sue ore sempre più frequentemente rubate al sonno per dedicarle allo studio e all’aggiornamento che i giovani non gli lasciano fare di giorno. Per i giovani dà tutto fino al punto di seguirli, quando nel 1940 partono per il fronte: una scelta che forse potrebbe evitare, vista la grave malformazione all’occhio sinistro. Anche come cappellano militare però “funziona bene”:graduati e semplici soldati ricordano il suo ottimismo, il suo costante sorriso, le sue prediche accessibili a tutti con le quali sprona i giovani a diventare santi anche in grigioverde o con le “stellette”.
Arruolato nel battaglione alpino “Val Ghisone” che opera prima sul fronte occidentale e poi in Montenegro, qui il 26 dicembre 1941, durante la battaglia di Dragali, si trova al centro di una sparatoria che miete vittime da una parte e dall’altra.
Non si risparmia, non ha paura e, accorrendo per portare conforto ad un ferito, viene colpito da una pallottola che gli recide l’arteria femorale. Muore dissanguato, come uno che ha donato tutto, fino all’ultima goccia.
Lo Stato gli assegna subito la medaglia d’argento al valor militare, un po’ più di tempo impiega la Chiesa a concedergli l’aureola, ma alla fine anche per don Secondo Pollo è arrivato il momento della glorificazione terrena.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Il 24 maggio 1998, papa Giovanni Paolo II ha beatificato, in piazza Duomo a Vercelli, il sacerdote don Secondo Pollo. Il nuovo Beato, nacque il 2 gennaio 1908 a Caresanablot (Vercelli); fu alunno dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Vercelli; ad 11 anni entrò nel seminario diocesano seguendo i corsi di ginnasio e liceo.
Gli studi li proseguì a Roma nel Seminario Lombardo, quattro anni di teologia e poi ricevé gli Ordini Minori, fino al diaconato.
Ottenne la laurea in filosofia nel 1931 alla Pontificia Accademia di San Tommaso e in teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Sempre nel 1931 il 15 agosto venne ordinato sacerdote a Sostegno (Vercelli), per sei anni fu professore e direttore spirituale nel Seminario Minore e ancora dal 1936 al 1940 fu insegnante di filosofia e teologia nel Seminario Maggiore di Vercelli, essendo nel contempo Assistente diocesano dei Giovani d’Azione Cattolica.
Di lui è stato detto che fu “educatore di fine intuizione pedagogica nei Seminari, operò con entusiasmo tra i giovani quale assistente di azione Cattolica, sino a seguirli nella bufera della guerra come cappellano degli Alpini”.
Don Secondo Pollo perseverò gioioso nello spirito di sacrificio, aggravato da una rilevante menomazione all’occhio sinistro e volle seguire i suoi giovani sotto le armi, nella II Guerra Mondiale.
Fu nominato tenente cappellano del 3° battaglione alpini “Val Chisone” e divenne compagno e padre di tanti giovani impegnati nelle operazioni belliche del 1940-41, dedicando loro tutto se stesso; pur essendo di aspetto gracile, si elevava al disopra di loro per la sua ascetica e la pazienza conformata alla Croce. Sul finire del 1941 il suo battaglione fu inviato nel Montenegro a Cervice; il 26 dicembre durante un attacco a quota 964 in zona Dragali, don Secondo si apprestava a soccorrere un ferito, quando un proiettile gli recise l’arteria femorale sinistra, che gli procurò la morte per dissanguamento, aveva 33 anni.
Venne sepolto nel cimitero di Scagliari presso Cattaro; nel 1961 la sua salma venne trasferita nel cimitero di Caresanablot e nel 1968 trasferita ancora nella cattedrale di Vercelli, dove viene commemorato ogni anno nel giorno della morte.
La devozione per lui, alimentata dalla fama di santità che già in vita lo circondava, si diffuse soprattutto in Piemonte specialmente fra il clero ed i membri dell’esercito.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Secondo Pollo, pregate per noi.
*Santo Stefano - Primo Martire (26 Dicembre)
† Gerusalemme, 33 o 34 ca
Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste, e morì lapidato.
In lui si realizza in modo esemplare la figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità, gli affida il suo spirito, perdona ai suoi uccisori.
Saulo testimone della sua lapidazione ne raccoglierà l'eredità spirituale diventando Apostolo delle genti. (Mess. Rom.)
Patronato: Diaconi, Fornaciai, Mal di testa
Etimologia: Stefano = corona, incoronato, dal greco
Emblema: Palma, Pietre
Martirologio Romano: Festa di Santo Stefano, protomartire, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi scelti dagli Apostoli come loro collaboratori nel ministero, fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù, affermando di vederlo seduto nella gloria alla destra del Padre.
La celebrazione liturgica di Santo Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.
Così al 26 dicembre c’è Santo Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 San Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i Ss. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche la celebrazione di San Pietro e San Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno.
Del grande e veneratissimo martire Santo Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme.
Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate.
Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al ministero.
La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha visto in questo atto l’istituzione del ministero diaconale. Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.
Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.
Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge.
Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.
Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi.
Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”.
Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”.
Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (il futuro Apostolo delle Genti, San Paolo), che assisteva all’esecuzione.
In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato.
Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”.
Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.
Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il distacco si fece sempre più evidente fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se stessa per difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria opera di inculturazione del Vangelo.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì San Paolo, i compagni erano il protomartire Santo Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, San Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a Santo Stefano e Sant’ Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario. Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie.
La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di San Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.
Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove si pensi, nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, un braccio a Sant'Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a San Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di San Loernzo fuori le Mura.
La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire Santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di Santo Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da Papa Simplicio. Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santo Stefano, pregate per noi.
*Santa Vincenza Maria Lopez y Vicuna (26 Dicembre)
Cascante, Navarra, 24 marzo 1847 - Madrid, 26 dicembre 1890
Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, Santa Vincenza Maria López Vicuña, vergine, che fondò e diffuse l’Istituto delle Figlie di Maria Immacolata per offrire aiuto spirituale e materiale alle ragazze separate dalle famiglie e impiegate come domestiche.
La madre Vincenza Maria Lòpez y Vicuña, che nasce in Navarra, a Cascante, il 24 marzo 1847, in una famiglia solidamente cristiana.
Nell’ambiente familiare Vincenza Maria capta il senso di Dio nella sua vita. Prega con i suoi, imparando a sentire la necessità della gratitudine per Dio, dell’obbedienza alle sue leggi. La devozione al Rosario recitato in famiglia, le preghiere mariane, saranno come una linfa vitale nella sua vita spirituale. Completa la sua formazione religiosa uno zio sacerdote. Momento significativo della sua vita spirituale fu la Prima Comunione. Dalla famiglia, culla della sua formazione umana e spirituale, trova negli zii a Madrid, dove viene trasferita per completare la sua formazione, un altro luogo significativo per la sua crescita. Qui, oltre la vita di preghiera intensa, continua l’insegnamento di catechismo, e vive la sua fede nelle opere di carità alla “Casita”. La “Casita” dove opera la giovane Lòpez y Vicuña è una casa di accoglienza per le giovani ragazze di campagna vittime della svolta sociale attuata dal fenomeno dell’industrializzazione.
A 19 anni avverte il desiderio di consacrarsi e, guidata dal suo direttore spirituale fa voto di castità. Il cammino vocazionale di Vincenza Maria, dopo varie vicende, tra le quali l’opposizione dei famigliari, ha la sua conclusione l’11 giugno 1876, quando con due compagne veste l’abito religioso. È l’inizio della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata per cura pastorale delle collaboratrici domestiche. Morì a Madrid nel 1890. Venne beatificata da Papa Pio XII nel 1950 e canonizzata da Papa Paolo VI il 25 maggio 1975.
La memoria liturgica è il 26 dicembre, giorno della sua morte.
Il tema che accomuna i due Santi (Giovanni Battista della Concezione e Vincenza Maria) è la sofferenza, che è cammino di purificazione e di rinascita, ma anche forza e trampolino di lancio per l’opera di rinnovamento da loro attuato. Lasciamo la parola al pontefice; nell’omelia per la loro canonizzazione: "Sull’esempio dei vostri Santi, mantenetevi sempre fedeli alla Chiesa! Tutti uniti, sacerdoti, religiosi e fedeli di Spagna, continuate lungo il cammino dell’adesione e fedeltà al messaggio di Cristo, promuovendo con la vostra condotta opere generose che servano alla causa del bene spirituale e del progresso sociale della vostra patria".
Si comprende che il Papa esorta alla santificazione personale come santificazione della vita sociale, cammino che chiama l’intera Chiesa in ogni sua componente. Dirà ancora nell’Angelus domenicale di quel giorno: "E dobbiamo ricordare ciò che il vangelo ci insegna (siate perfetti... Mt. 5,48) e che il Concilio ci ha ripetuto con tanta chiarezza ed autorità: che tutti , tutti noi che siamo cristiani, siamo chiamati alla santità, cioè ad una perfezione, che la grazia rende obbligatoria e possibile. È la santità la prima e vera forza riformatrice e rinnovatrice del mondo; ed è programma per tutti, per ciascuno secondo le vie aperte dalla bontà del Signore e dalla comunione con la nostra santa Chiesa".
(Autore: Don Marco Grenci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Vincenza Maria Lopez y Vicuna, pregate per noi.
*San Zenone di Maiuma - Vescovo (26 Dicembre)
Martirologio Romano: Commemorazione di San Zenone, vescovo di Maiuma in Palestina, che edificò una basilica per i Santi martiri Eusebio, Nestabio e Zenone, suoi cugini, e fino al termine della sua vita esercitò il mestiere di tessitore per procurarsi il vitto e dare aiuto ai poveri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Zenone di Maiuma, pregate per noi.
*San Zosimo - 41° Papa (26 Dicembre)
Grecia, IV sec. - Roma, 26 dicembre 418
(Papa dal 18/03/417 al 26/12/418)
Greco di nascita, il suo pur breve pontificato fu caratterizzato da gravi conflitti con i Vescovi della Gallia e quelli africani.
Martirologio Romano: A Roma sulla via Tiburtina presso San Lorenzo, deposizione di San Zosimo, Papa.
Zosimo era un prete romano al tempo del pontificato di Sant’ Innocenzo I (401-417), greco di nascita, forse discendente da famiglia giudaica, visto che il padre si chiamava Abramo; fu eletto come successore di Papa Innocenzo e consacrato il 18 marzo 417.
Il suo fu un breve pontificato, infatti morì il 26 dicembre 418, quindi nemmeno due anni, ed a causa del suo carattere impulsivo, precipitoso e della scarsa conoscenza della Chiesa Occidentale, ebbe quasi solo insuccessi.
Già quattro giorni dopo la sua elezione, si lasciò convincere dall’ambizioso Vescovo di Arles Patroclo, il quale aveva occupata quella sede episcopale nel 411, con il favore di patrizi locali, estromettendone il Vescovo Erote, di elevare la sede episcopale di Arles ad una specie di supermetropoli, facendosi per questo assegnare dal Papa i diritti metropolitani su altre province della Gallia, come Vienne, Narbona, Marsiglia, Lione, con la scaltra scusa espressa da Patroclo, che Arles era stata la Chiesa madre della Gallia. Papa Zosimo quindi scrisse una lettera a tutti i Vescovi della Gallia e delle sette province coinvolte, ribadendo la tesi di Patroclo, il quale avrebbe avuto il diritto fra l’altro di ordinare i Vescovi di dette province.
Ciò suscitò l’indignazione dei Vescovi interessati, i quali vedevano annullarsi quelle prerogative indipendenti, decretate a loro favore nel Concilio di Torino di pochi anni prima, ci fu chi rassegnato si sottomise e chi continuò nei suoi diritti, come il Santo Vescovo di Marsiglia Proculo, il quale per punizione fu deposto, ma la repentina morte di Zosimo, sospese queste disposizioni, che portarono solo confusione nella Chiesa della futura Francia, poi riaggiustate dal suo successore San Bonifacio I (418-422).
Altro grave problema in cui si venne a trovare Papa Zosimo fu l’eresia pelagiana, proposta dal monaco britannico Pelagio (360-422), già condannata dal suo predecessore Innocenzo I il 27 gennaio 417 e dai Concili di Cartagine del 411 e 416 e quella più estrema dell’eretico pelagiano il sacerdote Celestio († 431 ca.) dello stesso periodo; egli credette alle tesi difensive espresse dai fautori di Pelagio e da Celestio in persona e rimproverò i vescovi africani, per la troppa fretta avuta nel condannare le due correnti considerate eretiche, ma nel contempo non assolse, con una sentenza che sarebbe stata altrettanto frettolosa, i due eretici.
I vescovi dell’Africa non condivisero il giudizio del Papa, instaurando una controversia con Roma, perché Zosimo fu ritenuto troppo credulo, delle assicurazioni fatte da Pelagio e Celestio, riguardo l’ortodossia della fede.
Ad ogni modo nell’inverno del 417-418 papa Zosimo era ritornato sulle posizioni della sentenza di Papa Innocenzo I; il 1° maggio 418 si riunì a Cartagine un altro Concilio generale con 214 vescovi africani, dove si esaminò ampiamente la dottrina cattolica sull’argomento del peccato originale e la necessità della grazia, oggetto delle eresie.
Papa Zosimo nel giugno-luglio 418, redasse un importante documento di condanna del pelagianesimo, la “Epistula Tractoria”, indirizzata alle principali Chiese d’Oriente e dell’Occidente. L’Epistola fu bene accolta ma non mancarono chi si oppose, come diciotto vescovi italiani, che rifiutarono di sottoscrivere la condanna di Pelagio e Celestio e quindi vennero scomunicati e deposti.
Il suo forte temperamento lo fece trovare in lotta ideologica per altre questioni, con i Vescovi dell’Africa, allora numerosi e potenti, che non tolleravano le ingerenze di Roma in questioni giudicate preminentemente di loro competenza.
Negli ultimi mesi di vita, vide sorgere anche a Roma una opposizione contro di lui, al punto che si rivolse per lamentarsene, alla corte di Ravenna, si accingeva a lottare contro questo gruppo, quando si ammalò, morendo il 26 dicembre 418 e venendo sepolto nella basilica di S. Lorenzo sulla via Tiburtina. Moralissimo ed integerrimo, prescrisse che i figli illegittimi non potessero essere ordinati sacerdoti.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Zosimo, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (26 Dicembre)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.