Santi del 25 Luglio
*Antonio di Olmedo *Antonio Lucci *Banto e Beato *Bonifacio *Carmen Sallés Barangueras *Cristoforo *Cucufate *Dario Acosta Zurita *Deogratias Palacio e & *Dionisio Pamplona *Eugenia *Federico Rubio Alvarez e 3 & *Giacomo il Maggiore *Giovanni Soreth *Giustino e & *Glodesinda *Magnerico di Treviri *Maria Teresa di Gesù Bambino *Martiri di Granada *Martiri di Salsede *Martiri di Toledo *Martiri di Urda *Michel-Louis Brulard *Michele Peiro Vivtori *Mordeyren *Olimpiade *Pietro Berno da Ascona *Pietro da Mogliano *Pietro de Avedano *Pietro Largo Redondo e & *Rodolfo Acquaviva *Teodemiro di Cordova *Valentina *Altri Santi del giorno *
*Beato Antonio di Olmedo - Mercedario (25 Luglio)
Missionario del Cile, il Beato Antonio di Olmedo, fu fondatore del convento mercedario di Santa Maria in Valdivia.
Condusse molti non cristiani alla fede di Cristo, in particolare gli araucani, fu glorioso per la pietà verso la Beatissima Vergine, le veglie, i digiuni, e molti miracoli compiuti.
Infine, mentre imperversava la peste, servendo gli ammalati morì martire della carità nel suo convento di Valdivia.
L’Ordine lo festeggia il 25 luglio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio di Olmedo, pregate per noi.
*Beato Antonio Lucci - Vescovo (25 Luglio)
Agnone, 2 agosto 1682 - Bovino, 25 luglio 1752
Profondo teologo e Santo vescovo, Antonio Lucci dedicò tutta la sua vita allo studio, all’insegnamento, alla predicazione.
Entrato giovanissimo nell’Ordine dei Minori Conventuali, praticò sempre la carità donando con gioia ai poveri ogni cosa possedesse e applicando così alla lettera l’insegnamento biblico “Fac elemosinam, et noli avertere faciem ab ullo paupere […] Et de vestimentis tuis nudos tege” (Tb 4, 7/16).
Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 18 giugno 1989.
Martirologio Romano: A Bovino in Puglia, Beato Antonio Lucci, vescovo, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che rifulse per la sua straordinaria dottrina e fu tanto generoso nell’assistere i poveri, da non badare neppure alle proprie necessità.
Angelo Nicola Lucci nacque il 2 agosto 1682 in Agnone. A quindici anni manifestò la volontà di entrare nell'Ordine dei Minori Conventuali di San Francesco e nel 1698 compì ad Isernia la professione dei voti assumendo il nome di Antonio.
Nel 1705 assieme all’amico San Francesco Antonio Fasani ricevette l'ordinazione sacerdotale e nel 1709 si addottorò in teologia conseguendo il titolo di “padre maestro”.
Iniziò così a dedicarsi all’insegnamento nei ginnasi e nei collegi dell’Ordine: dapprima a Ravello, dove conobbe il Beato Bonaventura da Potenza, poi a Napoli, prima al Collegio "Bonaiuto", quindi al prestigioso Collegio di S. Lorenzo di cui fu anche reggente.
Nel 1718 fu eletto ministro provinciale dell'Ordine nella provincia di S. Angelo, mantenendo l’incarico per appena un anno. Nel 1719 infatti diveniva reggente del Collegio di S. Bonaventura presso la basilica dei SS. XII Apostoli in Roma.
Durante i dieci anni di reggenza produsse trattati teologici, filosofici e storici per i suoi alunni; eminenti personaggi del clero e della nobiltà capitolina gli chiesero pareri su questioni dottrinarie e morali. Benedetto XIII lo chiamò tra i teologi del Sinodo Romano del 1725, gli fece tenere la prolusione ufficiale nel Sinodo Provinciale di Benevento e gli commissionò un’opera contro il giansenismo. Benedetto XIV più tardi richiese al Lucci, ormai vescovo di Bovino, un trattato di teologia morale che tuttavia il Beato non portò a termine poiché correva voce che, conclusa l'opera, il Papa lo avrebbe creato cardinale.
Alla profonda dottrina del teologo e dell’insegnante Antonio Lucci unì l’amore per i sacramenti, per la preghiera ma soprattutto per i poveri. Il suo alunno Ludovico Maria Sileo depose: "più volte arrivò a spogliarsi degli abiti interiori per darli a' poveri in tempo d' inverno, tremando egli di freddo: ed in Roma dava ai poveri (credo colle dovute licenze) quanto si buscava colle sue letterarie fatiche" (Positio, pag. 166).
E proprio a questa santa compenetrazione di dottrina e carità pensava Benedetto XIII quando nel 1728 rassicurò don Inigo Guevara duca di Bovino: "vi manderò un vescovo santo e dotto" (ibidem, pag. 22). Fu così che il 7 febbraio 1729 Antonio Lucci divenne vescovo di Bovino in Puglia. Nel suo governo pastorale ebbe a cuore soprattutto la riorganizzazione religiosa, culturale e sociale della diocesi: durante gli oltre vent'anni di episcopato si preoccupò di istituire la scuola elementare e, non essendo riuscito a fondare il seminario, di istruire egli stesso il clero con l'aiuto di sacerdoti diocesani o provenienti da fuori; organizzò corsi di catechesi per i fanciulli e promulgò numerosi "editti" sulla condotta del clero e del popolo.
Un altro tema ricorrente dell’episcopato del Beato Antonio Lucci fu la lotta contro le pesanti ingerenze e usurpazioni dell’aristocrazia locale a danno della Chiesa e dei poveri.
In particolare nella redazione del catasto onciario, il vescovo si impegnò nel contrastare il disegno nobiliare di esimere dai pesi catastali le rendite feudali a scapito dei poveri e della Chiesa.
Ma l’elemento più caratteristicò della santità di Antonio Lucci fu l’amore per il Vangelo e la sua attuazione tramite l’insegnamento francescano. Il cappuccino Gennaro da Crispano racconta: "Vestiva i nudi, e dalla mattina fino alla sera continuamente dispensava limosine alli poveri, dandoli grano, danari, letti, biancarie fino a spogliarsi delle proprie vesti, ed anche della camicia, dandole con tutta prontezza a suoi poveri.
E su tal particolare mi ricordo, che una volta diede ad un povero della città di Troja li propri suoi calzoni, che s'aveva levato da dosso [...] ed era tanta questa sua carità, che siccome quando aveva danari per darli a poveri stava tutto allegro, e brillante; così al contrario era tutto afflitto e mesto quando non ne aveva, e la sua mestizia chiaramente si leggeva nel suo volto, e perciò in questo caso non potendo frenare l'ardente voglia, che avea, non incontrava difficoltà di mandarli a cercare ad impronto or'ad uno, or dall'altro cittadino ..." (ibidem, pag. 109).
La mattina del 25 luglio 1752, dopo circa due settimane di malattia, Antonio Lucci moriva serenamente in odore di santità lasciando al Capitolo della Cattedrale 1900 ducati di debiti contratti per fare elemosine ai poveri che avrebbe saldato dopo la stagione dei raccolti.
A chi lo rimproverava perché faceva troppi debiti era solito rispondere: "Avete mai veduto un vescovo carcerato per debiti?" (ibidem, pag. 169).
(Autore: Paolo Lucci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Lucci, pregate per noi.
*Santi Banto e Beato - Sacerdoti, Eremiti (25 Luglio)
Martirologio Romano: Nello stesso luogo (Treviri), Santi Beato e Banto, sacerdoti, che, al tempo di San Magnerico, condussero vita eremitica.
Sacerdoti della diocesi di Treviri, compagni e talora indicati come fratelli, condussero vita eremitica nei Vosgi nella prima metà del sec. VII. Non si conosce alcun particolare della loro vita.
Le reliquie di Banto sono conservate in una cappella preromanica vicina alla cattedrale di Treviri, e presso questa cappella fu eretto nel 1593 il seminario maggiore della diocesi che si intitolò al Santo (Bantusseminar).
Sul sepolcro di Beato, invece, sorse l'abbazia benedettina di Santa Maria; in seguito, però, le reliquie di questo Santo furono traslate da Treviri alla certosa di Coblenza.
Nella litania del Salterio di Egberto, arcivescovo di Treviri (977-993), è ricordato Beato, ma non Banto.
In un primo tempo Beato era celebrato il 26 luglio e Banto il 31 dello stesso mese, ma in seguito nel Proprio della diocesi di Treviri si unì la commemorazione dei due santi al 31 luglio.
Oggi la festa di Banto e Beato è celebrata al 26 agosto.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Banto e Beato, pregate per noi.
*San Bonifacio - Martire a Roma (25 Luglio)
Don Domenico De Luca parroco di Zuccaro, popolosa frazione del comune di Valduggia, fece richiesta, nel 1683, alla curia romana di un corpo Santo da destinare alla venerazione della sua comunità parrocchiale; l’8 aprile dello stesso anno gli venne concesso quello di Bonifacio, recuperato nel 1680 dal cimitero di Calepodio, come attestato sull’autentica firmata da monsignor Giuseppe Eusanio, prefetto della Sacrestia Pontificia.
Il 20 luglio successivo lo stesso parroco chiedeva l’autorizzazione alla curia diocesana di poter costruire un’apposita cappella da adibire alla conservazione ed alla venerazione della reliquia, con la dispensa del riposo festivo al fine di completare l’opera nel minor tempo possibile.
Dieci giorni prima, il 10 luglio, si era commissionata a Giovanni Giacomo Fantino, originario della località Colma, l’urna per contenere il corpo del Santo e l’altare ligneo in cui doveva essere collocata.
L’opera che venne eseguita è di grande valore artistico e fu completata nell’arco di soli due anni, per la sua realizzazione l’autore s’ispirò al lavoro compiuto, probabilmente da lui stesso, per la conservazione del corpo santo di Cirillo nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo a Cellio.
Anche a Zuccaro, infatti, l’altare si compone di due parti: quella inferiore dove è collocata l’urna e quella superiore, in cui è sistemata una tela che raffigura il Santo.
Il dipinto, realizzato con la tecnica ad olio da un autore rimasto fino ad ora sconosciuto, presenta Bonifacio nell’atto di battezzare un altro personaggio, identificabile, per la foggia degli abiti e la presenza delle insegne regali di corona e scettro deposti ai suoi piedi, come un sovrano.
La presenza di quest’iconografia molto specifica (non si tratta della generica scena di martirio di un soldato romano) deriva dalla confusione compiuta, anche se non è ben chiaro per opera di chi ed in quale momento, con un episodio della vita di San Bonifacio religioso camaldolese, che si dedicò all’evangelizzazione di alcune regioni dell’Europa orientale.
Egli, consacrato vescovo da Papa Giovanni XVIII, fu martirizzato in Moravia il 9 maggio del 1009 ed è ricordato dal Martirologio Romano al 19 giugno e al 15 ottobre.
In particolare, il possibile riferimento iconografico è al presunto battesimo che egli avrebbe amministrato ad un sovrano ruteno, attirandosi le ire del fratello pagano che lo avrebbe poi fatto uccidere. Nonostante questa raffigurazione, non sembra che nella località valsesiana si è mai creduto di possedere le reliquie di questo vescovo.
Il corpo di Bonifacio reca tra le mani un foglio in cui è riportato il testo del voto, formulato dalla comunità nel 1944 nel corso del secondo conflitto mondiale, col quale essa si impegna, se il paese fosse stato risparmiato dalla distruzione minacciata nell’ambito delle rappresaglie della guerra partigiana, a solennizzare nuovamente nell’ultima settimana di luglio, la festa del Santo andata in disuso, come ancora oggi avviene in adempimento al voto formulato.
(Autore: Damiano Pomi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bonifacio, pregate per noi.
*Beata Carmen Sallés Barangueras - Fondatrice (25 Luglio)
Alla Beata Carmen Sallés Barangueras si deve le fondazione - nel 1892 a Burgos, in Spagna - delle Concezioniste di San Domenico, che poi divennero le Concezioniste missionarie dell'insegnamento. L'istruzione era stato, infatti, il campo al quale Carmen si era indirizzata.
Da bimba - era nata a Vich (Barcellona) nel 1848 - si era imbevuta del clima di devozione mariana negli anni che portarono al dogma dell'Immacolata (1854).
Visse poi in un istituto religioso dal carisma educativo, le Terziarie domenicane dell'Annunziata, finché non diede vita alla nuova fondazione.
Morì a Madrid nel 1911 ed è beata dal 1998. Oltre che in Spagna la Congregazione è oggi presente in Estremo Oriente, in cinque Stati americani, in Africa e in Italia. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, Beata Maria Carmela Sallés y Barangueras, vergine, che fondò la Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione per la formazione di donne pie e istruite.
La Beata nacque a Vich (Barcellona) il 9 agosto 1848 da José Sallés e Francisca Barangueras, genitori profondamente cristiani; essendo la sua famiglia trasferitasi a Manresa, frequentò il Collegio delle religiose della Compagnia di Maria, ricevendo oltre un’educazione religiosa e civile, anche una spiritualità mariana, per cui visse con intensità la recente proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione.
Verso i 16 anni espresse il desiderio di farsi suora, trovando l’insoddisfazione dei genitori che volevano inclinarla al matrimonio.
Iniziò per lei, come per molte altre anime anelanti ad una vita consacrata, la ricerca non facile di una Congregazione che soddisfacesse con i suoi fini, ciò che lei sentiva nel proprio cuore; entrò nel noviziato delle Adoratrici, ma non giungerà alla professione.
Dietro consiglio del suo direttore spirituale, passò poi nel 1871, in un istituto dedicato all’educazione: le Terziarie domenicane, in seguito chiamate dell’Annunziata; iniziò per lei un lungo periodo di maturazione spirituale, basato sull’imparare a coniugare la contemplazione con l’azione e considerare l’educazione come ‘opera di redenzione’ basata sulla prevenzione.
Sognava delle giovani che grazie all’armonioso equilibrio fra pietà e cultura, fossero il motore propulsore della famiglia e della società, fedeli alla gerarchia e in pieno inserimento nella vita della Chiesa.
Nel 1892 lasciò le domenicane e otto mesi dopo, il 15 ottobre 1892, fondò la Congregazione delle Religiose Concezioniste di S. Domenico, sotto la dipendenza e l’appoggio dell’arcivescovo di Burgos, Gómez Salazar, città sede della nuova fondazione.
In seguito esse divennero le Religiose Concezioniste Missionarie dell’Insegnamento; dedicandosi come scopo alla formazione integrale della donna, secondo il modello appreso da Maria Immacolata.
Per 19 anni percorse le strade della Spagna, fondando 13 comunità e scuole, superando ogni difficoltà con la fiducia nella Divina Provvidenza.
Morì a Madrid il 25 luglio 1911 lasciando 166 suore nella nuova Congregazione, con il compito di esaudire il suo desiderio di espansione missionaria dell’Istituto.
Attualmente le suore sono presenti nei Paesi dell’Estremo Oriente, in cinque Stati americani, in Africa e in Italia, oltre che in Spagna.
Concludo riportando ciò che disse di lei un religioso scolopio, che la conobbe bene, riguardo la sua fiducia in Dio: “Quanto più movimento vi era, quanto più rumore si emetteva, più gli uomini si agitavano, più madre Carmen rimaneva tranquilla”.
Il motivo? “ Non mi aspetto nulla dalle creature, ma da Dio, datore di ogni bene”.
Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata a Roma il 15 marzo 1998.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Carmen Sallés Barangueras, pregate per noi.
*San Cristoforo - Martire in Licia (25 Luglio)
m. 250 circa
San Cristoforo, martire in Licia nel 250, durante la persecuzione dell'imperatore Decio, fu uno dei «quattordici santi ausiliatori», colui che avrebbe portato sulle spalle un bambino, che poi si rivelò Gesù.
Il testo più antico dei suoi Atti risale all'VIII secolo.
In un'iscrizione del 452 si cita una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia. Cristoforo fu tra i Santi più venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto in Austria, in Dalmazia e in Spagna.
Chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente. (Avvenire)
Patronato: Pellegrini, Motoristi, Viaggiatori, Ferrovieri, Tranvieri, Automobilisti.
Etimologia: Cristoforo = portatore di Cristo, dal greco
Emblema: Palma
Martirologio Romano: In Licia nell’odierna Turchia, San Cristoforo, martire.
Il testo più antico dei suoi Atti, in edizione latina, risale oltre il sec. VIII. Esso contiene narrazioni intessute di episodi talmente fantastici, da spingere qualche critico a dubitare della reale esistenza di questo martire.
Ma in un'iscrizione del 452, scoperta ad Haidar-Pacha in Nicomedia, si parla di una basilica dedicata a Cristoforo nella Bitinia: ciò non comporta necessariamente che il santo sia originario di questa regione.
Il Martirologio Geronimiano al 25 luglio pone la festa di Cristoforo in Licia, nella città di Samon: ma sul problema della localizzazione di questa Samon, i critici non sono pienamente concordi.
Un'altra testimonianza è del 536: tra i firmatari del concilio di Costantinopoli ci fu un certo Fotino del monastero di San Cristoforo non meglio identificato.
San Gregorio Magno, infine, parla di un monastero in onore di questo martire a Taormina in Sicilia.
Si tratta, è vero, di testimonianze sommarie, ma per sé sufficienti a dimostrare l'esistenza storica del martire orientale, ucciso, secondo il Geronimiano, nel 250, durante la persecuzione di Decio.
Cristoforo fu uno dei santi più venerati nel Medioevo: chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente sia in Occidente; particolarmente, in Austria, in Dalmazia e in Spagna il suo culto fu diffusissimo.
Nella Spagna, poi, si venerano molte sue reliquie.
Cristoforo godeva speciale venerazione presso i pellegrini e proprio per questo sorsero in suo onore istituzioni e congregazioni aventi lo scopo di aiutare i viaggiatori che dovevano superare difficoltà naturali di vario genere.
Questo intenso culto determinò il sorgere di una letteratura copiosa e straordinaria, caratterizzata da leggende e narrazioni favolose dove, indipendentemente dall'obbiettività storica, è degna di ammirazione la ricca fantasia dei compilatori.
Si nota, tuttavia, come le leggende orientali differiscano, in parte, da quelle occidentali.
Secondo i sinassari, Cristoforo era un guerriero appartenente a una rozza tribù di antropofagi; si chiamava Reprobo e nell'aspetto "dalla testa di cane" (come lo definiscono gli Atti) dimostrava vigoria e forza.
Il particolare della cinocefalia ha indotto qualche critico moderno a vedere nelle leggende l'influsso di elementi della religione egiziana, presi specialmente dal mito del dio Anubis, o anche di Ermete ed Eracle.
Narra ancora la leggenda che, entrato nell'esercito imperiale, Cristoforo si convertì al Cristianesimo e iniziò con successo fra i suoi commilitoni un'intensa propaganda. Denunziato, fu condotto davanti al giudice che lo sottopose a svariati supplizi.
Due donne, Niceta e Aquilina, incaricate di corromperlo, furono da lui convertite e trasformate in apostole (nel Martirologio Romano sono menzionate come martiri al 24 luglio).
Cristoforo prima fu battuto con verghe, in seguito colpito con frecce, poi gettato nel fuoco e, infine, decapitato.
Jacopo da Varagine (sec. XIII), con la sua Legenda Aurea, fu l'autore che in Occidente rese celebre Cristoforo
Secondo questo testo, egli era un giovane gigante che si era proposto di servire il signore più potente.
Per questo fu successivamente al servizio di un re, di un imperatore, poi del demonio, dal quale apprese che Cristo era il più forte di tutti: di qui nacque il desiderio della conversione.
Da un pio eremita fu istruito sui precetti della carità: volendo esercitarsi in tale virtù e prepararsi al battesimo, scelse un'abitazione nelle vicinanze di un fiume, con lo scopo di aiutare i viaggiatori a passare da una riva all'altra.
Una notte fu svegliato da un grazioso fanciullo che lo pregò di traghettarlo; il santo se lo caricò sulle spalle, ma più s'inoltrava nell'acqua, più il peso del fanciullo aumentava e a stento, aiutandosi col grosso e lungo bastone, riuscì a guadagnare l'altra riva.
Qui il bambino si rivelò come Cristo e gli profetizzò il martirio a breve scadenza. Dopo aver ricevuto il battesimo, Cristoforo si recò in Licia a predicare e qui subì i1 martirio.
Come questa leggenda sia sorta è ancora oggi un problema insoluto. Si sono formulate alcune ipotesi: chi ritiene che il nome Cristoforo ( = portatore di Cristo) abbia potuto suggerire la leggenda; chi suppone che l'iconografia (Cristoforo con Gesù sulle spalle) sia anteriore alla narrazione di Jacopo da Varagine, per cui la rappresentazione iconografica avrebbe ispirato il motivo leggendario.
La festa di Cristoforo in Occidente è celebrata il 25 luglio, in Oriente il 9 maggio.
Per quanto riguarda il folklore, è da notare come esso non sia diminuito nei tempi recenti, sebbene abbia subito, ovviamente, degli adattamenti.
Se nel Medioevo Cristoforo era venerato come protettore dei viandanti e dei pellegrini prima di intraprendere itinerari difficili e pericolosi, oggi il Santo è divenuto il protettore degli automobilisti, che lo invocano contro gli incidenti e le disgrazie stradali.
Varie altre categorie si affidano alla sua tutela: i portalettere, gli atleti, i facchini, gli scaricatori e, in genere, coloro che esercitano un lavoro pesante ed esposto a vari rischi.
La leggenda del bastone fiorito, dopo il trasporto di Gesù, ha contribuito a dichiararlo protettore dei fruttivendoli. Fu anche uno dei quattordici santi ausiliatori, di quei Santi, cioè, invocati in occasione di gravi calamità naturali.
Questa devozione sorse nel sec. XII e si sviluppò nel sec. XIV.
Il patrocinio di Cristoforo era specialmente invocato contro la peste.
La leggenda, inoltre, ispirò in Italia e in Francia poemetti e sacre rappresentazioni.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cristoforo, pregate per noi.
*San Cucufate (Cugat) - Martire a Barcellona (25 Luglio)
Scillium (Africa) - † Barcellona, inizio IV secolo
San Cucufate o Cugat è uno dei Santi più venerati in Spagna, ma tutto quanto la storia ha conservato di lui, è contenuto in un carme di Aurelio Prudenzio (poeta latino cristiano di origine spagnola, 348-405) il quale gli dedica questa breve espressione: “Barcinon claro Cucufate freta/surget”.
Non si ha la certezza del tempo del suo martirio, avvenuto comunque durante la persecuzione di Diocleziano (243-313) e collocandolo all’inizio del IV secolo.
Un anonimo autore compilò gli “Atti” del martirio, nel secolo VIII, non presentando però elementi storici.
Cucufate e Felice, originari di Scillium in Africa, ambedue nobili e ricchi, iniziati alla cultura letteraria a Cesarea di Mauritania, saputo delle persecuzioni scoppiate nelle province orientali, fuggirono in Occidente con alcune navi, adducendo motivi commerciali.
Ma sbarcati a Barcellona si resero conto che anche lì era prossima la persecuzione, quindi da cristiani quali erano, offrirono i loro beni ai poveri, dedicandosi alle opere di misericordia ed alla diffusione della fede cristiana.
Felice si spostò a Gerona in Catalogna, mentre Cucufate si trattenne a Barcellona, dedicandosi apertamente alla predicazione, che fu accompagnata da numerosi prodigi. Venne arrestato per ordine del proconsole Galerio e fu torturato tanto selvaggiamente che gli fuoriuscirono gli intestini, mentre
Non si ha la certezza del tempo del suo martirio, avvenuto comunque durante la persecuzione di Diocleziano (243-313) e collocandolo all’inizio del IV secolo.
Un anonimo autore compilò gli “Atti” del martirio, nel secolo VIII, non presentando però elementi storici.
Cucufate e Felice, originari di Scillium in Africa, ambedue nobili e ricchi, iniziati alla cultura letteraria a Cesarea di Mauritania, saputo delle persecuzioni scoppiate nelle province orientali, fuggirono in Occidente con alcune navi, adducendo motivi commerciali.
Ma sbarcati a Barcellona si resero conto che anche lì era prossima la persecuzione, quindi da cristiani quali erano, offrirono i loro beni ai poveri, dedicandosi alle opere di misericordia ed alla diffusione della fede cristiana.
Felice si spostò a Gerona in Catalogna, mentre Cucufate si trattenne a Barcellona, dedicandosi apertamente alla predicazione, che fu accompagnata da numerosi prodigi. Venne arrestato per ordine del proconsole Galerio e fu torturato tanto selvaggiamente che gli fuoriuscirono gli intestini, mentre lui invocava Dio; la ‘passio’ continua dicendo, che i dodici soldati che lo torturavano vennero accecati da un bagliore di fuoco, mentre Galerio fu bruciato insieme agli idoli; Cucufate invece si ritrovò improvvisamente guarito.
Al posto di Galerio subentrò il preside Massimiano, infliggendogli vari ed inauditi tormenti, ma ancora miracolosamente venne risanato; allora intervenne un ufficiale del prefetto Daciano, certo Rufino il quale lo fece decapitare.
Il suo corpo venne raccolto dai cristiani e sepolto un 25 luglio di un anno e luogo imprecisati.
Fin qui la ‘passio’, poi verso la metà del secolo VIII, l’abate di San Dionigi nei pressi di Parigi, Fulrado († 784), riuscì a procurarsi le reliquie di s. Cucufate, portandole nel priorato di Lièvre in Alsazia (Francia) dove furono deposte, insieme a quelle di Sant’ Alessandro, nella cella di San Fulrado.
Nell’835 le reliquie o una parte di esse, furono portate a San Dionigi per disposizione dell’abate Ilduino e sistemate nella cripta della chiesa abbaziale.
Nei primi anni del secolo IX sorse vicino Barcellona in un luogo chiamato Ottaviano, la celebre abbazia benedettina di San Cugat del Vallés. Nel 1079, sarebbero state riconosciute le reliquie di un martire sconosciuto come quelle di San Cucufate, così si pensò che in Francia sarebbe stato portato solo il capo del martire ucciso a Barcellona.
Varie chiese gli sono dedicate sia in Spagna che in Francia (St-Cucufà); i vari Martirologi compreso quello Romano lo celebrano il 25 luglio, a Barcellona data la coincidenza con la celebrazione di San Giacomo apostolo nello stesso giorno, era spostata al 27 luglio.
Nel Museo dell’Arte Catalana di Barcellona è conservato un quadro del pittore Ajna Brù che raffigura la drammaticissima e violenta scena della decapitazione di San Cucufate, mediante un coltellaccio, dando un particolare risalto all’espressione perfida e malvagia del boia.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cucufate, pregate per noi.
*Beato Dario Acosta Zurita - Sacerdote e Martire (25 Luglio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Martiri Messicani”
Naolinco, Messico, 14 dicembre 1908 – Veracruz, Messico, 25 luglio 1931
Nasce a Naolinco, diocesi di Veracruz (Messico), il 14 dicembre 1908. Orfano di padre e con quattro fratelli, Dario si rimbocca le maniche e aiuta la madre. Il sacerdozio si affaccia presto nei suoi pensieri, tuttavia monsignor Rafael Guizar y Valencia (ora anch'egli Beato), venuto a Naolinco a cercare vocazioni per il suo seminario, non include Dario tra i prescelti, non volendolo togliere alla famiglia. È la madre, però, a insistere perché Dario venga accettato.
Il 25 aprile 1931 viene ordinato prete a Città del Messico e un mese dopo celebra la sua prima Messa a Veracruz.
Proprio qui, nella parrocchia dell'Assunzione, inizia ad esercitare il suo ministero, proprio nei giorni in cui entra in vigore la famigerata «legge Tejeda», che prevede la drastica riduzione del numero dei sacerdoti.
Ad ognuno viene notificato l'ordine di allontanamento, con minaccia di morte. Nella parrocchia dell'Assunzione tutti i sacerdoti decidono però di restare al loro posto. Don Dario, il più giovane, verrà ucciso in chiesa nel pomeriggio di sabato 25 luglio: davanti a numerosi bambini diversi militari fanno irruzione sparando contro i preti. Don Dario è Beato dal 2005. (Avvenire)
Se la santità di una persona si misurasse sulla base degli anni di vita o, per un sacerdote, in rapporto agli anni di ordinazione, don Dario Acosta Zurita avrebbe avuto davvero poche possibilità di aspirare alla gloria degli altari: la sua vita, infatti è lunga neppure 23 anni e il suo sacerdozio dura esattamente tre mesi.
Eppure lascia dietro di sé un intenso profumo di martirio e una scia di fede gioiosamente e intensamente vissuta, al punto che a più di 70 anni dalla morte lo si è voluto additare alla venerazione del popolo cristiano, che lo ha sempre ritenuto e venerato come martire.
Nasce a Naolinco, diocesi di Veracruz (Messico), il 14 dicembre 1908, in una famiglia onesta, lavoratrice e dalla fede genuina, che però va in rovina a causa della rivoluzione.
É tanto il dispiacere provato da papà per questo improvviso rovescio di fortuna, che muore di crepacuore, lasciando alla giovane moglie il peso di cinque figli da mantenere.
Dario si rimbocca le maniche e, sebbene bambino, aiuta la mamma dando il meglio di sé. Dolce, riflessivo, coscienzioso, reso più maturo della sua età per le difficoltà e i dolori che la famiglia ha attraversato, pensa al sacerdozio come alla sua scelta di vita e vi sembra naturalmente inclinato, anche per via della sua profonda devozione e dell’amore per la chiesa che tutti ammirano in lui. Peccato che non sia dello stesso avviso anche Mons.
Rafael Guizar y Valencia (ora anch’egli beato), venuto a Naolinco a cercare vocazioni per il suo seminario, che inspiegabilmente non include Dario tra i prescelti.
Il buon vescovo conosce la sua situazione familiare, sa che quel bambino, alto appena un soldo di cacio, è troppo utile in casa e non vuole privare di quel sostegno la povera vedova. Che però è un’autentica cristiana e considera una vocazione in casa sua come la più grande benedizione del Signore; così, dopo aver fatto del suo meglio per consolare il suo bambino della grossa delusione avuta, va a cercare il parroco e insieme vanno dal vescovo per chiedere che Dario venga ammesso in seminario.
Il vescovo lo accetta e di questa decisione non dovrà pentirsi mai. Studio, vivacità e devozione profonda vanno a braccetto in questo ragazzo che sa farsi benvolere da tutti e che dimostra una vocazione che di anno in anno si fa più salda e convinta.
Campione nella vita, lo è anche sul campo sportivo: gioca benissimo a calcio e per anni è l’osannato capitano di una squadra, che anche grazie a lui miete successi.
Il 25 aprile 1931 viene ordinato prete a Città del Messico e un mese dopo celebra la sua prima messa a Veracruz. Proprio qui, nella parrocchia dell’Assunzione, inizia ad esercitare il suo ministero, impegnandosi soprattutto nel catechismo e dedicando molto tempo al confessionale: sono, quelli, i giorni in cui entra in vigore la famigerata “legge Tejeda”, che prevede la drastica riduzione del numero dei sacerdoti, con il dichiarato scopo di far cessare il “fanatismo del popolo”.
Ad ognuno, don Dario compreso, viene notificato l’ordine di allontanamento, con minaccia di morte per chi non lo rispetterà. Nella parrocchia dell’Assunzione tutti i sacerdoti decidono di restare al loro posto, anche a rischio della vita. E don Dario, il più giovane di tutti, non perde per questo la sua serenità e la sua allegria.
Nel pomeriggio di sabato 25 luglio, in una chiesa piena di bambini e semplici fedeli che attendono il loro turno per confessarsi, piombano all’improvviso diversi uomini in divisa militare, che sparano all’impazzata verso i sacerdoti.
Tra la confusione generale e il pianto disperato dei bambini, un sacerdote viene ferito gravemente, mentre don Dario è letteralmente falciato da una scarica di pallottole nel momento in cui esce dal battistero.
Ha solo il tempo, prima di spirare, di sussurrare il nome di Gesù, quel Gesù al quale aveva donato la sua prorompente e allegra giovinezza.
La Chiesa ha riconosciuto il martirio di don Dario il 22 giugno 2004, e lo ha proclamato Beato a Guadalajara il 20 novembre 2005.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Dario Acosta Zurita, pregate per noi.
*Beati Deogratias Palacios, Leone Inchausti, Giuseppe Rada, Giuliano Moreno e Giuseppe Riccardo Díez - Martiri di Granada (25 Luglio)
Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Beati Martiri Spagnoli Agostiniani Recolletti”
Martirologio Romano: Nel villaggio di Motril vicino a Granada sulla costa spagnola, Beati martiri Deogratias Palacios, Leone Inchausti, Giuseppe Rada, Giuliano Moreno, sacerdoti, e Giuseppe Riccardo Díez, religioso, che, attivamente impegnati per Cristo nell’Ordine degli Agostiniani Recolletti, durante la stessa persecuzione furono improvvisamente catturati dalla folla e subito fucilati per strada.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Deogratias Palacios, Leone Inchausti, Giuseppe Rada, Giuliano Moreno e Giuseppe Riccardo Díez, pregate per noi.
*Beato Dionisio (Dionigi) Pamplona - Scolopio, Martire (25 Luglio)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Scolopi" - Senza data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" Senza Data (Celebrazioni singole
Calamocha (Teruel), 11 ottobre 1868 – Monzon (Aragona), 25 luglio 1936
Martirologio Romano: In località Monzon vicino a Huesca nell’Aragona in Spagna, Beato Dionigi Pamplona, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Pie Scuole e martire, ucciso in odio alla fede sempre nella stessa persecuzione.
La feroce guerra civile spagnola, che imperversò in due momenti successivi, separati fra loro dal breve spazio di due anni, nel 1934 con la Rivoluzione delle Asturie (5-14 ottobre) e dal luglio 1936 al 1939; portò in essa per una complessa combinazioni di varie ragioni, oltre che motivi politici, anche un filone di aperta lotta antireligiosa.
A causa di ciò, caddero vittime innocenti, migliaia di ecclesiastici, di tutte le condizioni, vescovi, sacerdoti, suore, seminaristi, religiosi di parecchi Ordini, laici impegnati nell’apostolato cattolico.
Nel 1934 i martiri furono pochi, grazie al duro intervento del Generale Franco, ma specie nel 1936 il numero raggiunse oltre 7000 martiri, fu una vera e propria persecuzione generalizzata, che durò più a lungo, colpendo le zone della Spagna dove si era affermata la Repubblica ad opera di gruppi e partiti estremisti, che agirono con potere autonomo ed arbitrario.
E fra i tanti martiri dei vari Ordini Religiosi, che nulla avevano a che fare con la politica, la Chiesa il 1° ottobre 1995 con Papa Giovanni Paolo II, ha beatificato tredici Religiosi Scolopi, come venivano e vengono chiamati, i membri della “Congregazione delle Scuole Pie”, fondata da San Giuseppe Calasanzio nel 1597.
Essi tutti spagnoli, morirono in giorni e luoghi diversi, in quel fatidico anno 1936; ne riportiamo i nomi e per quanto riguarda le loro note biografiche, si rimanda alla scheda propria di ognuno:
Padre Dionisio Pamplona, padre Manuel Segura, fratel David Carlos, padre Faustino Oteiza, fratel Fiorentino Felipe, padre Enrico Canadell, padre Maties Cardona, padre Francesco Carceller, padre Ignasi Casanovas, padre Carlos Navarro, padre José Ferrer, padre Juan Agramunt, padre Alfredo Parte.
Padre Dionisio Pamplona nacque l’11 ottobre 1868 a Calamocha (Teruel), vestì l’abito religioso degli Scolopi a 15 anni nel 1883, proseguendo tutto il prescritto corso di studi fino ad arrivare al sacerdozio, che ricevette a Jaca nel settembre del 1893 all’età di 25 anni.
Svolse per 25 anni l’apostolato dell’insegnamento, con totale spirito di obbedienza e di carità, come pure nel ministero parrocchiale.
Fu maestro dei novizi dal 1904 al 1912, superiore della Casa di Peralta de la Sal (1913-19, fu anche in Argentina come superiore a Buenos Aires (1919-!922), dove contemporaneamente fu anche parroco della Chiesa di San Giuseppe Calasanzio.
Tornato in Spagna divenne Superiore della Casa di Pamplona (1925-1928) dove comprò il terreno per il nuovo collegio; ancora nel 1934 venne nominato Superiore della Casa di Peralta de la Sal, curando anche la locale chiesa parrocchiale.
Un confratello scrisse di lui: “Diede prova di grande prudenza e di grande zelo, nel promuovere la vita religiosa e l’attività educativa, preoccupato che gli alunni progredissero non solo nelle lettere, ma anche nelle virtù”.
Il 24 luglio 1936 la bufera della Guerra Civile si abbatté anche sulla parrocchia di Peralta de la Sal, paese natale del fondatore degli Scolopi, San Giuseppe Calasanzio; il parroco Dionisio Pamplona dopo aver celebrato la Messa, venne arrestato dai miliziani e mentre usciva dalla chiesa, i rivoluzionari gli ordinarono di consegnare le chiavi, rispose prontamente: “Consegnerò le chiavi della chiesa solo al vescovo che me le ha date”; gliele dovettero strappare di mano con violenza e minacce; fu condotto prigioniero a Monzon in Aragona.
Nella notte del 25 lo fecero uscire dal carcere, mentre egli salutava i compagni dicendo: “Addio, arrivederci in cielo”.
Poi fu fucilato in piazza insieme ad altri religiosi; primo dei tredici martiri Scolopi a dare il tributo di sangue della Congregazione per la difesa della Fede, nella travagliata Spagna di quel tempo.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Dionisio Pamplona, pregate per noi.
*Santa Eugenia - Vergine e Martire (25 Luglio)
Dall’autentica che accompagnò la reliquia di Sant’
Eugenia nel suo pellegrinare fino in Valsesia, si apprende che essa fu riconosciuta, due anni dopo il suo prelievo dalla catacomba di San Callisto nel 1764, da monsignor Giovanni Lercario arcivescovo titolare di Adrianopoli, il 4 settembre 1766 e fu deposta, con la presunta ampolla del sangue, presso l’ufficio delle reliquie del vicariato di Roma.
I resti di questa Santa hanno una storia alquanto singolare che è raccontata in una copia della relazione del loro trasporto e dell’accoglienza a Ferrera: “Detto corpo santo, di nome proprio, trovavasi già da qualche tempo al Vicariato di Roma, vestito ed aggiustato come al presente e rinchiuso nella sua attuale urna, esso doveva essere inviato ad una chiesa di una città del Messico, ma nella costruzione dell’altare, stato a tal fine commissionato essendosi involontariamente commesso uno sbaglio nelle dimensioni, l’urna, contenente il corpo della Santa, non avrebbe potuto introdurvisi nel vacuo ad hoc preparato.
Dal Messico venne perciò contromandato l’ordine di spedizione, così per Divina disposizione, il corpo di Santa Eugenia, in luogo di solcare le onde dell’Atlantico, prese la via dell’alpestre Valsesia.”
L’episodio fornisce un’idea di come, ancora nella seconda metà dell’ottocento, era molto viva la richiesta di corpi santi da ogni parte del mondo ed evidenzia inoltre come la loro assegnazione, a privati o a comunità, non abbia seguito regole e criteri precisi ma sia stata spesso determinata dalla concordanza delle più diverse circostanze, spesso casuali. Il corpo di Eugenia fu destinato a Ferrera per interessamento del parroco don Cusa che, già nel 1877 e poi ancora l’anno seguente, accompagnato da una lettera di presentazione da parte della curia diocesana, ne aveva fatto richiesta alla Congregazione per le Indulgenze e le Reliquie, senza ottenere però alcuna risposta.
Nel 1880 lo stesso parroco reiterò la domanda attraverso don Pietro Fornara, che doveva recarsi a Roma, questi andò al Vicariato, presso la sezione preposta alla distribuzione delle reliquie, pochi giorni dopo esser giunta dal Messico la revoca del trasporto delle reliquie di Eugenia, le quali, essendo già preparate per il lungo viaggio oltre oceano, furono utilizzate per adempiere alle insistenti richieste del parroco valsesiano.
Don Fornara organizzò il trasporto del corpo santo che nel luglio dello stesso anno giunse a Novara in treno; collocato poi su un carro arrivò fino a Varallo, da dove partì alla volta di Ferrea su una elegante carrozza.
Ai confini della parrocchia, tra le località di Nosuggio e Saliceto dove erano in attesa parroco e popolazione, si formò la processione che accompagnò la reliquia fino in paese.
Per alcuni mesi l’urna fu conservata in casa parrocchiale, in attesa che si preparasse un apposito spazio per conservarla, ultimati i lavori, il 3 ottobre seguente avvenne il solenne trasporto della santa nella chiesa parrocchiale, dove fu collocata in un vano ricavato nella parete sinistra della cappella di San Giovanni Battista.
Sopra alla nicchia venne dipinta una scritta: EUGENIA DULCIS ANIMA IN PACE, che potrebbe forse essere il testo epigrafico inciso sulla chiusura del loculo catacombale Attualmente, per sottrarla all’umidità, l’urna è sistemata direttamente sulla mensa dell’altare della stessa cappella dove, sulla parete destra, il pittore Cesare Tos ha eseguito, nel 1945, un affresco, già molto deteriorato, che riproduce idealmente il martirio di Eugenia.
Interessanti notizie circa questo corpo santo vengono anche dai registri delle spese della chiesa, si legge, infatti, in quello dell’anno 1880: “Alla signora Matilde Scevola per il corpo di Sant’Eugenia £ 1800. A Pietro Fornara per trasporto da Roma dello stesso e per le spese d’imballaggio £ 113 e soldi 20. All’indoratore Dago, al falegname Ricca, per la sistemazione dell’urna £ 29. A Monsignor Imbrico per i reliquiari della santa e ai due maestri Cagnoni e Masini £ 84.”
Tali indicazioni, prive di qualsiasi ulteriore specificazione, non consentono di conoscere il ruolo effettivo nella vicenda di tutti i citati personaggi, in particolare risulta molto oscuro il pagamento della reliquia a Matilde Scevola, della quale nulla si conosce; Pietro Fontana è da identificare con il sacerdote che, come già ricordato, si occupò di ottenere il corpo per il parroco di Ferrera; Monsignor Imbrico è sicuramente Innocenzo Imbrici, arcidiacono della cattedrale, venuto a Ferrera in rappresentanza del capitolo canonicale ed uno dei due reliquiari da lui pagati potrebbe essere quello che contiene il “vas sanguinis”, ancora conservato nell’urna; infine i due maestri citati erano rispettivamente i direttori della cappella strumentale del duomo e della basilica di San Gaudenzio di Novara. L’arrivo di Eugenia a Ferrera rientra nel particolare clima di fervore religioso e risveglio sociale vissuto dal paese in seguito alla costituzione della parrocchia, avvenuta nel 1846.
La ricorrenza annuale in onore di Eugenia, un tempo celebrata con maggior solennità, cade nell’ultima domenica di luglio a ricordo del suo arrivo in paese. Le sue reliquie non possono essere attribuite all’omonima santa romana, sia perché esse risultano conservate nella basilica dei Santi Apostoli e sia perché tutte le fonti la indicano sepolta nella catacomba di Aproniano e non nel complesso di Callisto, da cui venne recuperato il corpo inviato a Ferrera.
(Autore: Damiano Pomi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Eugenia, pregate per noi.
*Beati Federico (Carlo) Rubio Álvarez e 3 compagni - Religiosi e Martiri (25 Luglio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Fatebenefratelli" Beatificati nel 1992 - Senza Data (Celebrazioni singole)
"Martiri della Guerra di Spagna" - Senza Data (Celebrazioni singole)
† Talavera de la Reina, Spagna, 25 luglio 1936
Martirologio Romano: Vicino a Talavera de la Reina nel territorio di Toledo sempre in Spagna, Beati martiri Federico (Carlo) Rubio Álvarez, sacerdote, Primo Martínez di San Vincenzo Castillo, Girolamo Ochoa Urdangarín e Giovanni della Croce (Eligio) Delgado Pastor, religiosi e martiri, che, tutti membri dell’Ordine di San Giovanni di Dio, nella medesima persecuzione conseguirono meritatamente la corona della gloria.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Federico (Carlo) Rubio Álvarez e 3 compagni, pregate per noi.
*San Giacomo il Maggiore - Apostolo (25 Luglio)
Martire a Gerusalemme nel 42 d.C.
Detto il Maggiore (per distinguerlo dall'omonimo apostolo detto il Minore), Giacomo figlio di Zebedeo e Maria Sàlome e fratello dall'apostolo Giovanni Evangelista, nacque a Betsàida.
Fu presente ai principali miracoli del Signore (Mc 5,37), alla Trasfigurazione di Gesù sul Tabor (Mt 17,1.) e al Getsemani alla vigilia della Passione. Pronto e impetuoso di carattere, come il fratello, con lui viene soprannominato da Gesù «Boànerghes» (figli del tuono) (Mc 3,17; Lc 9,52-56).
Primo tra gli apostoli, fu martirizzato con la decapitazione in Gerusalemme verso l'anno 43/44 per ordine di Erode Agrippa.
Il sepolcro contenente le sue spoglie, traslate da Gerusalemme dopo il martirio, sarebbe stato scoperto al tempo di Carlomagno, nel 814.
La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi medioevali, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (da Sancti Jacobi, in spagnolo Sant-Yago) e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica a lui dedicata. (Avvenire)
Patronato: Pellegrini, Cavalieri, Soldati, Malattie reumatiche
Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico
Emblema: Cappello da pellegrino, Conchiglia, Sten
Martirologio Romano: Festa di San Giacomo, Apostolo, che, figlio di Zebedeo e fratello di San Giovanni evangelista, fu insieme a Pietro e Giovanni testimone della trasfigurazione del Signore e della sua agonia.
Decapitato da Erode Agrippa in prossimità della festa di Pasqua, ricevette, primo tra gli Apostoli, la corona del martirio.
É detto “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo. Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade.
Chiamati da Gesù (che ha già con sé i fratelli Simone e Andrea) anch’essi lo seguono (Matteo cap. 4).
Nasce poi il collegio apostolico: "(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui: (...) Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono" (Marco cap. 3).
Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo e della notte al Getsemani.
Conosciamo anche la loro madre Salome, tra le cui virtù non sovrabbonda il tatto.
Chiede infatti a Gesù posti speciali nel suo regno per i figli, che si dicono pronti a bere il calice che egli berrà.
Così, ecco l’incidente: "Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono".
E Gesù spiega che il Figlio dell’uomo "è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Matteo cap. 20).
E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42.
"Il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni" (Atti cap. 12).
Questo Erode è Agrippa I, a cui suo nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna).
A Roma è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale al trono e lo manda in Palestina come re.
Un re detestato, perché straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani.
L’ultima notizia del Nuovo Testamento su Giacomo il Maggiore è appunto questa: il suo martirio.
Secoli dopo, nascono su di lui tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe predicato il Vangelo in Spagna.
Quando poi quel Paese cade in mano araba (sec. IX), si afferma che il corpo di San Giacomo (Santiago, in spagnolo) è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela.
Nell’angoscia dell’occupazione, gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo).
La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime.
E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela.
Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul Santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo.
Nel 1989 hanno fatto il “Cammino di Compostela” Giovanni Paolo II e migliaia di giovani da tutto il mondo.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giacomo il Maggiore, pregate per noi.
*Beato Giovanni Soreth (25 Luglio)
Caen, Normandia, 1394 - Angers, 25 luglio 1471
Martirologio Romano: Ad Angers in Francia, Beato Giovanni Soreth, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani, che egli riportò a una più stretta osservanza e dotò di conventi femminili.
Il Soreth nacque presso Caen in Normandia nel 1394 ed entrò tra i Carmelitani di questa città. Sacerdote verso il 1417, fu maestro in teologia (Parigi, nel 1438) e poi reggente di studi.
Fu Provinciale della sua Provincia di Francia nel 1440 - 1451 e Priore Generale dell'Ordine dal 1451 fino alla morte.
Fu instancabile nell'opera di riformatore in un periodo storico particolarmente critico per la Chiesa e per l'Ordine stesso.
Si dedicò completamente alla riforma, percorrendo l'Europa per le visite canoniche, e promuovendo l'"osservanza" sia nelle Province e nei conventi che nella Congregazione Mantovana.
Scrisse un commento alla Regola (la Expositio paraenetica) e pubblicò le costituzione del 1462.
Altra sua attività fu quella relativa al sorgere e allo stabilirsi delle monache carmelitane, specialmente in virtù della bolla "Cum nulla" di Nicolò V nel 1452.
In questo valorizzò nel Nord Europa l'opera svolta dalla Beata Francesca d'Amboise, alla quale egli stesso diede l'abito.
Curò pure - sempre in forza della ricordata bolla papale - il sorgere del Terz'Ordine Secolare Carmelitano.
Morì ad Angers il 25 luglio 1471 e il carmelitano Battista Spagnoli, noto umanista, gli dedicò un'elegia. Il culto di Beato gli fu riconosciuto da Pio IX nel 1866.
La sua festa è celebrata il 24 luglio.
(Autore: Anthony Cilia – Fonte: www.ocarm.org)
Giaculatoria - Beato Giovanni Soreth, pregate per noi.
*Santi Giustino, Fiorenzo, Felice e Giusta - Martiri a Furci (?) (25 Luglio)
Siponto, III sec. – Furci ? (Chieti), 310 ca
Santi Giustino - presbitero, Fiorenzo, Felice e Giusta - martiri.
Come per tutti i gruppi di martiri dei primi tempi della Chiesa, le notizie sono frammentarie e spesso inserite nei ‘Martirologi’ anche molti secoli dopo la presunta data della loro morte; quindi risentono di tutte le incertezze dovute al lungo tempo trascorso.
Così successe per il gruppo di Giustino prete, Fiorenzo e Felice suoi fratelli e martiri e per Giusta loro nipote e martire; perché l’unica fonte che parla di loro è una leggendaria “Passio” del secolo XV.
All’inizio del secolo IV vivevano a Siponto (importante centro romano in Puglia, distrutto e poi ricostruito con il nome di Manfredonia), i tre fratelli Fiorenzo, Giustino e Felice; il più erudito ed eloquente dei tre era Giustino, che era stato affidato al vescovo della città, che dopo circa 20 anni l’aveva ordinato sacerdote, dandogli l’incarico della predicazione; Fiorenzo invece si era sposato e avuto una bambina le mise il nome di Giusta, in omaggio al fratello Giustino che l’aveva battezzata.
Dopo qualche decennio i tre fratelli ferventi cristiani, con la nipote e figlia, lasciarono Siponto e si recarono a Chieti, dove rimasero sei mesi, predicando e operando miracoli.
Saputo che a “Forconium” attuale Furci (Chieti), c’erano ancora dei pagani, si recarono in quella città e si misero a predicare il Vangelo anche nei castelli e ville dei dintorni.
La cosa irritò i sacerdoti degli dei pagani, che inviarono una segnalazione a Roma all’imperatore Massimiano (250-310) per ottenere dei provvedimenti repressivi e l’imperatore non tardò a rispondere, i quattro cristiani dovevano sacrificare a Giove e in caso di rifiuto essere uccisi.
Il prete Giustino con due chierici riuscì a fuggire sul monte Tubernium (in seguito Monte Cristo), gli altri tre furono arrestati e condotti a Forconium (Furci) e giacché si rifiutarono di sacrificare agli dei, furono condannati a morte mediante decapitazione.
I due fratelli Fiorenzo e Felice subirono il martirio il 25 luglio del 310 ca. Giusta invece ebbe un trattamento diverso, la giovane dopo essere stata gettata per tre giorni in una fornace ardente rimanendo illesa, alla fine fu trafitta con le frecce il 1° agosto e sepolta in una grotta a due miglia da Forconium; sul luogo più tardi verrà edificata una basilica.
Il prete Giustino invece, saputo della morte dei fratelli e della giovane nipote, discese dal monte, trasferì i corpi di Felice e Fiorenzo accanto a quello di Giusta e dopo molti anni morì in pace il 31 dicembre 384, all’età di 84 anni e sepolto presso ‘Offidae (prov. Ascoli Piceno), dove fu anche edificata una basilica.
La diversità delle date di celebrazione e dei luoghi di culto, ha fatto pensare agli studiosi, che fossero santi venerati in diversi luoghi ma accomunati dalla fantasia dello scrittore della ‘passio’ prima citata.
San Giustino era venerato a Chieti il 1° gennaio, poi dal 1616 la festa fu spostata al 14 gennaio e venerato come vescovo locale e patrono della città; la celebrazione a causa del clima freddo, fu spostata ancora all’11 maggio.
Fiorenzo e Felice, furono a volte identificati come soldati martiri, a volte come martire africano il primo e come il celebre San Felice di Nola il secondo.
Di Giusta invece si sa che in località Bazzano non lontano da Paganica all’Aquila, esisteva una cripta a lei dedicata, in cui fu trovata un’iscrizione del 396 e dove si conservava il corpo; su di essa venne edificata una chiesa, ampliata nel XIII secolo, che divenne il centro del suo culto in Abruzzo e Campania, a lei erano dedicate tre chiese nella diocesi dell’Aquila, nove in quella di Penne, sei in quella di Chieti e cinque in quella di Sulmona.
La sua festa fu inserita negli antichi “Martirologi” il 1° agosto.
In precedenti Martirologi Romani i quattro congiunti figuravano tutti insieme al 25 luglio; attualmente non sono menzionati.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Giustino, Fiorenzo, Felice e Giusta, pregate per noi.
*Santa Glodesinda - Badessa (25 Luglio)
578 - 608
Martirologio Romano: A Metz nella Gallia belgica, ora in Francia, Santa Glodesinda, badessa.
Visse sotto Childeberto II e Teodeberto II. Nata nel 578 dal duca Wintrom e da Godila, ancor giovanissima consacrò a Dio la sua verginità.
La morte sul patibolo del fidanzato Oboleno, impostole dalla famiglia, la salvò da un primo matrimonio.
Rifiutò poi un secondo sposo e si rifugiò a Metz, nella chiesa di Santo Stefano, asilo sacro.
Finalmente, con il consenso dei suoi genitori, raggiunse a Treviri sua zia Rotilde, badessa e iniziò sotto la sua direzione la vita monastica.
Ritornata a Metz, vi costruì, sopra un terreno donato dai suoi genitori, un monastero, cui diede la Regola di San Benedetto, chiamato prima San Pietro di Metz, poi col nome della fondatrice. Glodesinda lo diresse per sei anni e ivi mori a trent'anni, nel 608.
Fu sepolta nella chiesa dei SS. Apostoli, denominata in seguito di Sant' Arnaldo.
Venticinque anni più tardi il suo corpo fu portato col consenso del re nella chiesa di Santa Maria.
Sotto Luigi il Buono, il vescovo di Metz, Drogone, lo fece trasferire nella chiesa che essa aveva innalzato e che divenne Santa Glodesinda.
Le reliquie furono salvate durante la Rivoluzione e la Santa fu sempre oggetto di un culto fervente.
Il suo nome figura nelle litanie di Hastière-Waulsort e nel Calendario obituale di Liegi.
Era venerata anche a Huy nel Belgio.
È festeggiata il 25 luglio e il 14 marzo (traslazione).
(Autore: Clémence Dupont – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Glodesinda, pregate per noi.
*San Magnerico di Treviri - Vescovo (25 Luglio)
† Treviri, 25 luglio 596 (?)
Martirologio Romano: A Treviri nella Renania, in Germania, San Magnerico, vescovo, che fu discepolo di san Nicezio, suo fedele compagno nell’esilio ed emulo del suo zelo nella cura pastorale quando ne divenne successore.
Nato al principio del secolo VI, Magnerico crebbe alla scuola di san Nicezio, vescovo di Treviri, dalle cui mani ricevette poi la sacra ordinazione.
Quando Nicezio nel 560 fu cacciato dalla sua sede e mandato in esilio dal re Clotario I, che era stato scomunicato dal Santo vescovo per la sua dissolutezza, Magnerico volle seguire il maestro; con lui rientrò l’anno seguente a Treviri, allorché Nicezio venne richiamato da Sigeberto, figlio di Clotario, al governo di quella Chiesa, sulla cui cattedra salì egli stesso nel 566.
Molto devoto di san Martino di Tours (morto nel 397), Magnerico innalzò diverse chiese in suo onore, e fondò anche un monastero intitolato al taumaturgo, apostolo delle Gallie, al cui santuario si recò spesso in devoto pellegrinaggio.
Fu proprio durante le sue pie dimore a Tours che si legò di viva amicizia col vescovo san Gregorio, il quale lo ricorda con sincera ammirazione nella sua Historia Francorum.
Magnerico fu grande amico anche di Venanzio Fortunato, il quale gli dedicò un’ode, lodando le sue virtù, il suo zelo nel governo della diocesi, la sua santità ed il suo ardente spirito di carità e scrivendo di lui incisivamente:
Te panem esuriens, tectum hospes, nudus amictum.
Te fessus requiem, spem peregrinus habet.
Magnerico fu in ottime relazioni anche con il re Childeberto II, che lo aveva in grande stima e dal quale si recò fiducioso a perorare la causa di Teodoro, vescovo di Marsiglia, che si era rifugiato nel 585 presso di lui a Treviri, essendo stato esiliato da Gontranno di Borgogna.
Ebbe molti discepoli, tra i quali si distinse San Gaugerico, che egli ordinò diacono e che divenne in seguito vescovo di Cambrai.
Dopo oltre trent’anni di episcopato ed in età molto avanzata, Magnerico morì a Treviri il 25 luglio, molto probabilmente del 596, e venne sepolto nella chiesa di San Martino da lui stesso eretta.
La festa di San Magnerico viene celebrata il 25 luglio.
(Autore: Niccolò Del Re – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Magnerico di Treviri, pregate per noi.
*Beata Maria Teresa di Gesù Bambino (Mieczyslawa Kowalska) - Vergine e Martire (25 Luglio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Varsavia, Polonia, 1902 – Dzialdowo, Polonia, 25 luglio 1941
Teresa di Gesù bambino nacque a Varsavia nel 1902, ricevette l’abito delle Monache Clarisse Cappuccine nel convento di Przasnysz il 12 agosto 1923. L’anno successivo, il 15 agosto 1924 emise voti temporanei e nel 1927 quelli perpetui. Nonostante la malattia che l’affliggeva, fu sempre molto affabile con tutti.
Si distinse per lo spirito di preghiera e per la laboriosità.
Il 2 aprile 1942 i Tedeschi fecero irruzione nel monastero e arrestarono tutte le suore e le trasferirono nel campo di concentramento di Działdowo.
Morì ex aerumnis carceris il 25 luglio 1941.
Offrì le sue sofferenze a Dio per ottenere la liberazione delle suore, che di fatto dopo due settimane dalla sua morte ricuperarono la libertà.
Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 assieme ad un gruppo di altri 107 martiri della seconda guerra mondiale.
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Działdowo in Polonia, Beata Maria Teresa Kowalska, vergine delle Clarisse Cappuccine e martire, che, durante l’occupazione della Polonia in tempo di guerra, fu messa in carcere a causa della sua fede e morì sorretta dalla fede in Cristo.
Il 13 giugno 1999, a Varsavia, durante il suo settimo viaggio apostolico in Polonia, Papa Giovanni Paolo II ha beatificato 108 martiri vittime della persecuzione nazista, dal 1939 al 1945, contro la Chiesa polacca.
Tra loro ci sono una monaca clarissa cappuccina e cinque frati minori cappuccini.
Maria Teresa Kowalska nasce a Varsavia nel 1902. Il 23 gennaio 1923 entra tra le cappuccine di Przasnysz. Alla vestizione ricevette il nome di Maria Teresa del Bambin Gesù. Il 26 giugno del 1928 emise la sua professione perpetua.
II 2 aprile 1941, quando i tedeschi invasero la Polonia, anche il monastero di Przasnysz venne occupato con l'arresto delle 36 monache. Tutte furono trasportate nel campo di concentramento di Działdowo.
Suor Maria Teresa disse: "Io non uscirò viva da qui, offro la mia vita per le sorelle affinché possano ritornare in monastero".
Morì nella notte del 25 luglio 1941. Dio aveva accettato il suo sacrificio. Due settimane dopo la sua morte, il 7 agosto 1941, tutte le monache furono liberate dal campo di Działdowo e ritornarono alle loro famiglie di origine. Nel 1945 tutte fecero ritorno al loro monastero in Przasnysz.
(Fonte: www.fraticappucciniassisi.it)
Giaculatoria - Beata Maria Teresa Kowalska, pregate per noi.
*Beati Martiri di Granada (25 Luglio)
A Motril presso Granada, in Spagna, ricordo dei Beati Martiri Deogratias Palacios, Leone Inchausti, Giuseppe Rada, Giuliano Moreno e Giuseppe Riccardo Díez Martiri di Granada 25 luglio.
Martirologio Romano: Nel villaggio di Motril vicino a Granada sulla costa spagnola, Beati Martiri Deogratias Palacios, Leone Inchausti, Giuseppe Rada, Giuliano Moreno, sacerdoti, e Giuseppe Riccardo Díez, religioso, che, attivamente impegnati per Cristo nell’Ordine degli Agostiniani Recolletti, militanti nell'Ordine degli Agostiniani Riuniti, durante la medesima suddetta persecuzione furono imprigionati e subito fucilati.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri di Granada, pregate per noi.
*Beati Martiri di Salsete (25 Luglio)
A Salsete in India, ricordo dei Beati Martiri Rodolfo Aquaviva, Alfonso Pacheco, Pietro Berna, Antonio Francisco, presbiteri, e Francesco Aranha, religioso, della Società di Gesù, che furono uccisi dagli infedeli per aver esaltato la croce.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri di Salsete, pregate per noi.
*Beati Martiri di Toledo (25 Luglio)
Martirologio Romano: Vicino a Talavera de la Reina nel territorio di Toledo sempre in Spagna, Beati martiri Federico (Carlo) Rubio Álvarez, sacerdote, Primo Martínez di San Vincenzo Castillo, Girolamo Ochoa Urdangarín e Giovanni della Croce (Eligio) Delgado Pastor, religiosi e martiri, che, tutti membri dell’Ordine di San Giovanni di Dio, nella medesima persecuzione conseguirono meritatamente la corona della gloria.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri di Toledo, pregate per noi.
*Beati Martiri di Urda (Toledo) (25 Luglio)
Martirologio Romano: A Urda nella provincia di Toledo in Spagna, Beati martiri Pietro del Cuore Redondo, sacerdote, Felice delle Cinque Piaghe Ugalde Irurzun e Benedetto della Vergine ‘del Villar’ Solano Ruiz, religiosi della Congregazione della Passione, che, fucilati per la loro fede cristiana durante la grande persecuzione, furono coronati dalla palma del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Martiri di Urda, pregate per noi.
*Beato Michel-Louis Brulard - Carmelitano, Martire della Rivoluzione Francese (25 Luglio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort” 64 martiri della Rivoluzione Francese
Chartres, 11 giugno 1758 – Estuario della Charente, 25 luglio 1794
Martirologio Romano: In una galera ancorata al largo di Rochefort sulla costa francese, Beato Michele Ludovico Brulard, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi e martire, che durante la rivoluzione francese fu recluso in condizioni disumane a causa del suo sacerdozio e perì consunto da malattia.
La Rivoluzione Francese ebbe dei grandi meriti nella formazione politica, morale e sociale dell’epoca moderna, ma come tutte le rivoluzioni, che in qualche modo presuppongono un capovolgimento violento delle classi al potere con i rivoltosi, lasciò dietro di sé un lago di sangue, morti ingiuste, delitti e violenze.
E la Chiesa Cattolica che in ogni rivoluzione avvenuta nel mondo, sin dalle sue origini, ha dovuto pagare un tributo di sangue, anche in questa ebbe innumerevoli martiri, morti per il solo fatto di essere religiosi.
L’Assemblea Costituente nel 1789, dopo aver confiscato tutti i beni ecclesiastici e soppresso gli Istituti religiosi, decretò la Costituzione Civile del Clero, per cui vescovi e parroci, dovevano essere eletti con il voto popolare e imponendo al clero il giuramento di adesione alla Costituzione stessa; ci fu chi aderì (clero giurato) e chi non lo volle fare (clero ‘refrattario’).
L’Assemblea Legislativa andata al potere, infierì contro il clero ‘refrattario’ giungendo nel 1792 a massacrarne 300, fra vescovi e sacerdoti.
Seguì al potere la Convenzione Nazionale, che emise contro il clero ‘refrattario’ dei decreti di deportazione per cui bisognava presentarsi spontaneamente pena la morte; furono così colpiti 2412 sacerdoti e religiosi, deportati in tre zone della Francia, di cui 829 a La Rochelle (Rochefort), fra questi ultimi troviamo il carmelitano scalzo Michel-Louis Brulard del convento di Charenton, vicino Parigi; nato a Chartres l’11 giugno 1758, che insieme agli altri suoi compagni di prigionia, subì stenti di ogni genere, condizioni di vita miserevoli, maltrattamenti crudeli, perché si tendeva ad eliminarli clandestinamente.
Di lui si sa che venne deportato nel 1794 a La Rochelle e imbarcato come gli altri sulle navi, che poi rimasero al largo dell’isola di Aix, nella Charente; morì di stenti, sopportati con eroica pazienza e forza nella fede, il 25 luglio 1794.
È stato beatificato insieme a 63 altri compagni di martirio, denominati “Martiri dei Pontoni”, di cui si è potuto reperire una sufficiente documentazione, da Papa Giovanni Paolo II, il 1° ottobre 1995.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Michel-Louis Brulard, pregate per noi.
*Beato Michele Peiro Victori - Padre di famiglia, Martire (25 Luglio)
Schede dei gruoppi a cui appartiene:
Beati Martiri Spagnoli Domenicani di Barcellona”
“Beati 498 Martiri Spagnoli” Beatificati nel 2007
“Martiri della Guerra di Spagna”
Ayguafreda, Spagna, 7 febbraio 1887 – Barcellona, Spagna, 24/25 luglio 1936
Nacque in Ayguafreda (Barcellona) il 7 febbraio 1887.
Sposò Francesca Ribas Roger, dalla quale ebbe due figli, il maggiore dei quali, José fu domenicano.
Lavorò in fabbrica, esempio di ogni cristiana virtù.
Preso dai miliziani, fu ucciso per strada a Barcellona nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1936, «per il suo cattolicesimo pratico e irriducibile e per essere padre di un religioso e fratello di un altro» (il p. Raimondo, O.P., martire anche lui).
É stato beatificato il 28 ottobre 2007.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Michele Peiro Victori, pregate per noi.
Era il patrono di Nantglyn presso Denbigh, nel Galles, dove la parrocchia è ora dedicata a San Giacomo Maggiore, la cui festa, il 25 luglio, coincide con quella di Mordeyren.
Nella stessa parrocchia vi era una cappella, che sembra avesse contenuto il suo corpo, oggi completamente scomparsa.
Fino al 1699, quando le rovine erano ancora visibili, si usava tagliare delle zolle di terra intorno ad esse, vendendole per la cura delle malattie del bestiame.
Prima della Riforma la popolazione si recava a visitare le reliquie e l'immagine del santo per ottenere guarigioni ed assicurare la salute del bestiame nell'anno successivo, portando affette in cera e in oro.
Il Baring-Gould menziona anche una fonte sacra nella stessa parrocchia, Fynnon Fordeirn che, peraltro, non si trova nella lista delle fonti sacre del Galles, opera di Francis Jones.
(Autore: Edward I. Watkin – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mordeyren, pregate per noi.
*Sant'Olimpia (Olimpiade) - Vedova (25 Luglio)
† 408
Nacque verso il 361 da un'agiata famiglia di Costantinopoli. Divenuta orfana in giovane età, fu affidata per l'educazione a Teodosia, sorella del vescovo di Iconio, Sant'Anfilochio. Fin da giovanissima, così, Olimpia fu istruita sulla Sacra Scrittura. Imitando Santa Melania, si dedicò alla mortificazione, e pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte imperiale, se ne allontanò.
Nel 384-85 si sposò ma dopo solo venti mesi il marito morì; l'imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò.
Teodosio allora per vincere le sue resistenze le sequestrò tutti i suoi beni, che le vennero restituiti nel 391. Fu così che Olimpia ne approfittò per fondare alcune opere caritative. Il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all'usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni. Olimpia fondò in città un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città.
Al suo arrivo in città come arcivescovo, Giovanni Crisostomo trovò in Olimpia una valida collaboratrice.
Ma fu anch'essa vittima della persecuzione contro i "giovanniti" (seguaci di San Giovanni Crisostomo). Fu infatti esiliata a Nicomedia. Morì verso il 408.
Etimologia: Olimpia = che abita nell'Olimpo, sede degli dèi
Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, transito di santa Olimpiade, vedova: dopo aver perso il marito in ancor giovane età, trascorse piamente a Costantinopoli il resto della sua vita tra le donne consacrate a Dio, assistendo i poveri e rimanendo fedele collaboratrice di san Giovanni Crisostomo anche durante il suo esilio.
Di questa santa dell’agiografia greca, non ci sono dubbi sulla sua ‘Vita’ perché ci sono pervenuti vari importanti documenti storici e contemporanei che la citano o descrivono; inoltre vi sono ben 17 lettere che le inviò, dal suo esilio, San Giovanni Crisostomo.
Olimpia nacque verso il 361 da una agiata e distinta famiglia di Costantinopoli, suo nonno Ablabios godeva della stima dell’imperatore Costantino ed era stato prefetto di Oriente quattro volte, suo padre era conte di palazzo.
Divenuta orfana in giovane età, fu posta sotto la tutela di Procopio prefetto della capitale, il quale l’affidò per la sua educazione a Teodosia, donna di grande cultura e sentimenti cristiani, sorella del vescovo di Iconio Sant'Anfilochio; di lei avevano grande stima sia San Basilio che San Gregorio di Nazianzo, Dottori della Chiesa; San Gregorio di Nissa le dedicò il suo commento al ‘Cantico dei Cantici’.
Fin da giovanissima, Olimpia ebbe lezioni sulla Sacra Scrittura, considerata da altre dame della società, come Santa Melania l’Anziana, la via per giungere alla perfezione cristiana; e imitando Santa Melania, si dedicò alla mortificazione, ella pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte essendo ricca, istruita e nobile, invece se ne allontanò.
Nel 384-85, sposò Nebridio che fu prefetto di Costantinopoli nel 386, ma la sua felicità durò poco, dopo solo venti mesi il marito morì; l’imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò dicendo: "Se il mio re avesse voluto che io vivessi con un uomo, non mi avrebbe tolto il mio primo".
Teodosio considerò ciò un capriccio e per vincere le sue resistenze, le sequestrò tutti i suoi beni, finché non avesse compiuti 30 anni; il prefetto della città aggiunse il divieto di intrattenersi con i vescovi più illustri e perfino di andare in chiesa.
Ma nel 391, Teodosio visto la sua virtù e la costanza nella prova di Olimpia, che conduceva una vita di penitente povera, le restituì i suoi beni. Lei ne approfittò per fondare a Costantinopoli alcune opere caritative, fra cui un grande ospizio per ricevere gli ecclesiastici di passaggio e i viaggiatori poveri.
Avendo una grande ricchezza e proprietà, sia in città che nelle altre regioni, altrettanto grande fu la sua generosità, donò a San Giovanni Crisostomo 10.000 denari d’oro e 20.000 d’argento per la sua chiesa di Santa Sofia; il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all’usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni, mentre Olimpia ne aveva solo 30 e a lei ricorreva per consigli densi della sua scienza e saggezza.
Fondò sotto il portico meridionale di Santa Sofia, un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città, fra cui tre sue sorelle Elisanzia, Martiria e Palladia, in più una sua nipote chiamata anch’essa Olimpia; iniziò con circa 50 suore che in breve tempo divennero 250.
Agli inizi del 398, giunse in città San Giovanni Crisostomo che pur non volendo, era stato nominato arcivescovo di Costantinopoli, trovando un fervore cristiano affievolito sia nei fedeli che nel clero e monaci, fino alla corte divenuta oltremodo mondana con la presenza di Eudossia moglie dell’imperatore d’Oriente Arcadio.
Ma si consolò vedendo il monastero di Olimpia, formato da anime ben disposte e adatte a servire da modello.
Tra l’arcivescovo e Olimpia si instaurò una salda amicizia, le tre sorelle furono ordinate diaconesse e affiancarono in questo compito Olimpia.
Si sforzava di aiutarlo in tutto, dal cibo al suo vestire, divenne in certo modo la collaboratrice nell’opera di rinnovamento spirituale da lui iniziata. Tutto questo attirò anche su di lei il rancore di coloro che intendevano intralciare l’opera riformatrice del vescovo.
Due dei vescovi dissidenti, ottennero da Arcadio un decreto d’esilio contro San Giovanni Crisostomo, il quale fra il tumulto dei fedeli e delle suore, dovette lasciare Santa Sofia e venne condotto dai soldati a Cucusa fra i monti dell’Armenia, dove giunse affranto dal viaggio due mesi dopo, alla fine di agosto del 404.
Nello stesso giorno della partenza, il 30 giugno 404, un incendio distrusse l’episcopio e gran parte della chiesa e del senato.
Furono accusati i fedeli del vescovo e la stessa Olimpia fu portata davanti al prefetto della città Optato, accusata dell’incendio, si difese dicendo che avendo dato spese considerevoli per costruire chiese, non aveva nessuna necessità di bruciarle.
Optato le offrì di lasciare in pace lei e le sue suore, se avessero riconosciuto il nuovo vescovo Arsace e Olimpia rifiutò; fu condannata a pagare una grossa somma come multa e dopodiché nello stesso anno 405 si ritirò volontariamente a Cizico.
Giacché proseguiva la persecuzione contro i "giovanniti" (seguaci di San Giovanni Crisostomo) Olimpia fu nuovamente processata dal prefetto e esiliata a Nicomedia. In quegli anni mantenne una corrispondenza (che le era permesso) con il vescovo esiliato in Armenia, interessandosi della sua salute, inviandogli del denaro che veniva speso per i poveri della regione e per il riscatto di persone cadute nelle mani dei briganti isauriani.
Giovanni tramite questi scritti, descrive i particolari del penosissimo viaggio per giungere lì. La esorta a bandire la tristezza e a far nascere la gioia spirituale che distacca dalle cose del mondo ed eleva l’anima, raccomandandole di sostenere i suoi amici, che subivano la persecuzione per causa sua.
Olimpia morì verso il 408 in un data non documentata, secondo lo scrittore Palladio, "gli abitanti di Costantinopoli la pongono fra i confessori della fede, perché ella è morta ed è ritornata al Signore fra le battaglie sostenute per Dio", anticamente i confessori erano i martiri.
Il suo monastero ebbe alterne vicende, le suore coinvolte nella disgrazia dell’arcivescovo, si dispersero nel 404, quando fu mandato in esilio; si riunirono solo nel 416, quando i "giovanniti" si riappacificarono con i successori del Crisostomo; sotto la guida di Onorina, parente di Olimpia; il monastero fu poi distrutto dall’incendio di Santa Sofia nel 532, ritornarono poi quando Giustiniano lo ricostruì.
Le reliquie di Sant’Olimpia, che erano state portate da Nicomedia nella chiesa di San Tommaso sul Bosforo, andarono perse durante l’incendio della chiesa appiccato dai Persiani nelle loro incursioni (616-626).
La superiora Sergia, fu fortunata nel ritrovarle fra le macerie e le fece trasportare all’interno del monastero; in seguito non si hanno più notizie di esse.
Sant’Olimpia è festeggiata nella Chiesa Orientale il 24-25-29 luglio, il "Martirologio Romano" che la poneva al 17 dicembre, ora la celebra il 25 luglio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Olimpiade, pregate per noi.
*Beato Pietro Berno da Ascona - Martire (25 Luglio)
Ascona (Ticino), 1553 - Coculin, Salsette (India), 13 luglio 1583
Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Salsette in India, Beati martiri Rodolfo Acquaviva, Alfonso Pacheco, Pietro Berna, Antonio Francesco, sacerdoti e Francesco Aranha, religioso, della Compagnia di Gesù, uccisi dagli infedeli per aver esaltato la croce.
Fa parte del gruppo di cinque gesuiti martiri nell’ex possedimento portoghese di Gôa, oggi India, che sono celebrati sotto il nome di ‘Martiri di Salsette’, dal nome della Missione posta in detta penisola indiana.
Essi sono: Rodolfo Acquaviva italiano di Atri; Alfonso Pacheco spagnolo di Castiglia; Antonio Francisco e Francesco Aranha portoghesi e infine Pietro Berno ticinese, tutti diversi fra loro come nazionalità, nascita, formazione e personalità, ma uniti intimamente nell’anelito missionario e ideale cristiano e che la sorte accomunò nel martirio.
Pietro Berno era figlio di modesto artigiano, nato ad Ascona nel Ticino nel 1553; trasferitosi la famiglia a Roma, Pietro che già aveva iniziato con successo gli studi ecclesiastici, fu accolto nel Collegio Germanico.
Prima di diventare sacerdote fu ammesso al noviziato dei gesuiti a Sant'Andrea presso il Quirinale il 2 luglio 1577; quattro mesi dopo fu destinato alla Missione in India, si portò in Portogallo per istruirsi allo scopo e dove completò il noviziato e il 4 aprile 1579, partì per il possedimento portoghese, giungendo a Gôa l’8 ottobre.
Nell’anno 1580 fu ordinato sacerdote in India e nella penisola di Salsette svolse la sua entusiasta opera di giovane e generoso sacerdote, specificamente nei distretti di Margàn e Coulàn.
Lui e gli altri missionari subivano angherie di parecchi pagani e bramani, che consideravano la penisola come un territorio quasi sacro, i loro attacchi avevano più volte scatenato l’intervento punitivo dei portoghesi e ciò aumentò l’intolleranza e un crescente pericolo per i missionari stessi.
Essi riunitosi, decisero d’intraprendere un’opera di persuasione nei loro confronti a partire proprio da Coculin, centro del paganesimo intollerante; là giunti stavano issando una croce quando la popolazione aizzata dallo stregone Pondú li aggredì e furono barbaramente uccisi il 13 luglio 1583.
Le loro salme furono dopo un po’ recuperate dai portoghesi e trasferite solennemente a Gôa.
Il processo di beatificazione, iniziato nel 1598, si concluse solo sotto Papa Leone XIII, che li elevò alla gloria degli altari il 30 aprile 1893.
Festa il 25 luglio per tutti.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro Berno da Ascona, pregate per noi.
*Beato Pietro da Mogliano (25 Luglio)
Mogliano, Macerata, 1435 - 25 luglio 1490
Nel giorno della festa per l'apostolo Giacomo, la Chiesa fa memoria anche del beato Pietro da Mogliano, vicino Fermo.
Nato nel 1435, la tradizione vuole che appartenesse alla famiglia dei Corradini. A 13 anni ebbe la visione «che tutto el mondo ruinasse e sprofondasse» e fosse salvato da un frate «piccoletto assai», forse Francesco. Ma entrò nell'ordine dell'Assisano, tra gli Osservanti, solo nel 1460, dopo gli studi di diritto a Perugia.
Lo conquistò una predica del Beato Domenico da Leonessa, con il quale, anni dopo, pacificò le contese tra Ascoli, Fermo e Offida. Predicò la crociata contro i turchi. Morì nel 1490. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Camerino nelle Marche, Beato Pietro Corradini da Mogliano, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per la predicazione del Vangelo, per l’esempio di virtù e per la fama di miracoli.
Il Beato Pietro Corradini nacque a Mogliano, in provincia di Macerata, nel 1435 circa. Studiò diritto all'Università di Perugia con l'intento di abbracciare la carriera forense., ma appena venticinquenne rimase affascinato dal predicatore francescano, Padre Domenico da Leonessa.
Dopo un periodo di riflessione, decise di seguire la vita di povertà e d'apostolato proposta dai Francescani. Vestì l'abito di San Francesco nel 1467 nell'Eremo delle Carceri dei Frati Minori.
Ordinato sacerdote si dette alla predicazione nelle principali città dell'Italia Centrale, con grande impegno e fervore, e per vario tempo fu compagno di San Giacomo della Marca.
A Camerino, dove si era recato per la predicazione, incontrò e divenne amico del Signore di Camerino Giulio Cesare da Varano che aveva una figlia, la Beata Camilla Battista, clarissa del monastero della città.
Tra le due anime beate si instaurò subito un legame profondo tanto che fu proprio Camilla a scrivere la prima biografia del Beato Pietro.
La vita del Beato Pietro fu densa di incarichi importanti, egli fu predicatore nell'isola di Creta, tre volte ministro provinciale dei Francescani delle Marche, una volta ministro provinciale a Roma.
Si ammalò il 2 luglio 1490 e cessò di vivere nella notte tra il 24 e il 25 dello stesso mese mormorando il nome di Gesù e Maria. Morì sereno ed addirittura lieto tanto da far esclamare ad un suo confratello: "Padre Pietro tu muori ridendo!". Il suo culto fu approvato da Clemente XIII il 10 agosto 1760.
(Autore: Elisabetta Nardi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro da Mogliano, pregate per noi.
*Beato Pietro de Avedano - Martire Mercedario (25 Luglio)
+ 1606
Dopo aver passato lunghi anni in America per la salute delle anime e la gloria dell’Ordine della Mercede, il Beato Pietro de Avedano, rientrò in Patria.
Un giorno, attraversando la Francia per andare a Roma, s’incontrò con degli eretici Ugonotti ed egli li riprese parlando dei loro errori verso la fede cattolica, questi irritati lo colpirono ferendolo mortalmente, egli si inginocchiò e recitando il credo spirò meritando la palma del martirio nell’anno 1606.
L’Ordine lo festeggia il 25 luglio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro de Avedano, pregate per noi.
*Beati Pietro Largo Redondo, Felice Ugalde Irurzun e Benedetto Solano Ruiz - Religiosi passionisti, Martiri (25 Luglio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli Passionisti di Daimiel" Beatificati nel 1989 - Senza Data (Celebrazioni singole)
Martirologio Romano:
A Urda nella provincia di Toledo in Spagna, Beati Martiri Pietro del Cuore Redondo, sacerdote, Felice delle Cinque Piaghe Ugalde Irurzun e Benedetto della Vergine ‘del Villar’ Solano Ruiz, religiosi della Congregazione della Passione, che, fucilati per la loro fede cristiana durante la grande persecuzione, furono coronati dalla palma del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Pietro Largo Redondo, Felice Ugalde Irurzun e Benedetto Solano Ruiz, pregate per noi.
*Beato Rodolfo Acquaviva - Gesuita, Martire (25 Luglio)
Atri (Teramo), 2 ottobre 1550 – Coculin, Salsette (India), 25 luglio 1583
Martirologio Romano: A Salsette in India, Beati martiri Rodolfo Acquaviva, Alfonso Pacheco, Pietro Berna, Antonio Francesco, sacerdoti e Francesco Aranha, religioso, della Compagnia di Gesù, uccisi dagli infedeli per aver esaltato la croce.
Il Beato Rodolfo Acquaviva fa parte del gruppo di cinque gesuiti martiri nell’ex possedimento di Gôa, oggi India, che sono celebrati sotto il nome di “Martiri di Salsette”, dal nome della Missione posta in detta penisola indiana.
Essi sono:
- Rodolfo Acquaviva (1550-1583) oggetto di questa scheda;
- Alfonso Pacheco, spagnolo di Castiglia (1551-1583);
- Antonio Francisco, portoghese di Coimbra (1553-1583);
- Francesco Aranha, coadiutore portoghese, (1550?-1583);
- Pietro Berno, altoatesino di Ascona (1553-1583); 4 sacerdoti e un coadiutore.
Tutti diversi fra loro come nazionalità, nascita, formazione e personalità, ma tutti uniti intimamente nell’anelito missionario e ideale cristiano e che la sorte accomunò nel martirio.
Il nobile Rodolfo Acquaviva, nacque il 2 ottobre 1550, da Giangirolamo Acquaviva duca di Atri (Teramo); la sua famiglia era imparentata con le più nobili famiglie d’Italia, fra cui i Gonzaga di Mantova.
Due suoi fratelli Giulio e Ottavio, furono più tardi cardinali della Chiesa e uno zio venne eletto Generale della Compagnia di Gesù.
Come capitò poi al giovane San Luigi Gonzaga, anche Rodolfo dovette vincere le resistenze del padre, prima di poter entrare il 2 aprile 1568, nel celebre Noviziato romano dei Gesuiti, proprio quando il 9 marzo 1568, nasceva a Castiglione delle Stiviere (Mantova) san Luigi Gonzaga, che frequenterà poi lo stesso Noviziato qualche decennio dopo, illuminandolo con la sua santità.
A Roma ebbe come compagno di studi, san Stanislao Kostka (1550-1568) suo coetaneo, ma che lascerà questa terra proprio nell’anno in cui si conobbero al Noviziato.
Nel 1576 fu destinato dai superiori alla missione dei Gesuiti dell’India; frequentò il corso di preparazione a Lisbona in Portogallo, dove ricevé nel 1578 l’ordinazione sacerdotale e partì per l’India il 24 marzo 1578.
Aveva solo 28 anni, ma di lui i superiori avevano grande stima e fiducia, tanto è vero che fu messo a capo della piccola spedizione, incaricata di recarsi alla corte del Gran Mogol, Akbar (1542-1605), il quale aveva chiesto con insistenza, l’invio di alcuni missionari (giunti nel 1580, 1590 e 1594).
Fu ricevuto dal Gran Mogol il 17 febbraio 1580 e padre Rodolfo Acquaviva seppe conquistarsi la simpatia e la fiducia di Akbar, uomo desideroso di formarsi una cultura.
Ma nonostante tutti i suoi sforzi, il sovrano musulmano, di temperamento eclettico, non si convinse a cambiare il tenore dissoluto della sua vita e anche le speranze in una sua graduale conversione svanirono; così padre Acquaviva fu richiamato a Gôa e nominato superiore della missione nella Penisola di Salsette.
Lì i missionari subivano angherie di parecchi pagani e bramani, che consideravano la penisola come un territorio quasi sacro, i loro attacchi avevano più volte scatenato l’intervento punitivo dei portoghesi, e ciò aumentò l’intolleranza e un crescente pericolo per i missionari stessi.
I missionari gesuiti, riuniti dal nuovo superiore Rodolfo Acquaviva, decisero d’intraprendere un’opera di persuasione nei loro confronti a partire proprio da Coculin, centro del paganesimo intollerante; là giunti stavano issando una croce, quando la popolazione aizzata dallo stregone Pondù li aggredì e furono barbaramente uccisi il 13 luglio 1583 e padre Rodolfo il 25 luglio.
Le loro salme furono dopo qualche giorno recuperate dai portoghesi e trasferite solennemente a Gôa.
Il processo di beatificazione, iniziato nel 1598, si concluse solo sotto Papa Leone XIII, che li elevò alla gloria degli altari come Beati il 30 aprile 1893.
Festa il 25 luglio per tutti.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Rodolfo Acquaviva, pregate per noi.
*San Teodemiro di Cordova - Martire (25 Luglio)
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, San Teodemiro, monaco di Carmona e martire ancor giovane durante la persecuzione dei Mori.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teodemiro di Cordova, pregate per noi.
*Santa Valentina - Martire (25 Luglio)
Etimologia: Valentina = che sta in buona salute, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, Santi Valentina, Tea e Paolo, martiri nella persecuzione dell’imperatore Massimiano, sotto il governatore Firmiliano.
La vergine Valentina, che aveva rovesciato a calci un altare dedicato agli idoli pagani, dopo varie crudeli torture, corse incontro allo Sposo gettata nel fuoco insieme alla vergine Tea; Paolo, invece, condannato a morte, dopo avere ottenuto un breve tempo per la preghiera e aver implorato con tutto il cuore Dio per la salvezza di tutti, ricevette la corona del martirio con la decapitazione.
Paolo, Valentina, Thea e compagni, martiri di Cesarea di Palestina nel 309, la cui festa ricorre al 25/7.
Questo è quello che si trova in un documento: "Una cristiana, minacciata di prostituzione, non sopportò e disse una parola al tiranno, come mai avesse potuto conferire il potere a giudici tanto spietati, fu allora torturata (qua si parla di Thea).
Mentre i carnefici con accanimento e violenza le applicavano, eseguendo l'ordine del giudice, le torture, un'altra donna non sopportò la spietatezza, la crudeltà e l'inumanità di quanto si andava facendo.
Come quella dinanzi nominata, aveva abbracciato il proposito della verginità.
Fisicamente per nulla perfetta e d'aspetto disprezzabile, ma di spirito virile, aveva preso una risoluzione superiore alle forze del suo corpo.
«E sino a quando - gridò essa al giudice in mezzo alla folla - torturerai questa mia sorella in modo così crudele».
Egli, amaramente punto, comanda che la donna sia subito presa.
Essa è trascinata in mezzo al tribunale e, poiché ricorse all'augusto nome del nostro Salvatore, dapprima è esortata con blandi discorsi a sacrificare e, visto il suo rifiuto, è spinta con violenza all'altare.
Ma essa agisce coerentemente con se stessa e, permanendo nella sua prima coraggiosa determinazione, dà all'altare un intrepido e audace calcio e rovescia quanto vi era sopra col braciere.
Pertanto il giudice, a guisa di bestia feroce eccitato a collera, le fa applicare dapprima ai fianchi una tortura, che nessuno aveva mai sopportato, in modo da sembrare avidamente satollarsi di quelle carni crude.
Ma quando la sua follia fu sazia, le unì tutt'e due e le condannò a morte per fuoco.
Di queste due donne l'una, a quanto si dice, era oriunda della contrada di Gaza, l'altra proveniva da Cesarea, era molto conosciuta e si chiamava Valentina".
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Valentina, pregate per noi.