Santi del 22 Febbraio
*Beato Antonio Cocq - Certosino (22 febbraio)
Avigliana, Torino, 1390 - Chiusa Pesio, Cuneo, 22 febbraio 1458
Antonio Coq, nacque ad Avigliana, da una nobile famiglia, antenata di Camillo Benso, conte di Cavour. Entrò nella Grande Chartreuse di Grenoble, dove fece la sua professione religiosa e fu ordinato sacerdote. Venne trasferito alla Certosa di Pesio, per sottrarlo alla popolarità ognor crescente. Nel silenzio dell’alta montagna trascorre il resto della vita, in preghiera e scrivendo opere ascetiche. Compose pure uno studio sulla Certosa, poi andato perso. Sia per la sua casata sia per la sua fama di dottrina e santità, ebbe corrispondenza con i duchi di Savoia e con lo stesso re di Francia.
Dedicò un trattato sul libro di Giobbe a Jolante sorella del re e madre dei principi di Savoia Filiberto e Carlo. Ospitò alla Certosa Luigi, figlio di Carlo VII; gli predisse la riconciliazione con il padre e la sua ascesa al trono.
Infatti nel 1461 salì al trono con il titolo di Luigi XI e fu famoso per essere riuscito a riunire sotto il dominio della corona la maggior parte del territorio francese. Quando Carlo VIII scese in Italia, gli venne consegnato il Libro delle profezie di Cocq. Anche alla Chiusa Pesio, Antonio ebbe fama di santità per la fede, il distacco dal mondo, l’amore al silenzio e alla preghiera contemplativa. Morì il 22 marzo 1458.
Antonio Le Cocq (o Le Coq) nacque ad Avigliana nel 1390 da nobile famiglia. Ancora oggi, nell’antica e importante cittadina della bassa Val di Susa, si ha memoria della sua casa che sorge nei pressi della chiesa del Gesù. Dovette essere un giovane assai incline alla preghiera se nel farsi religioso decise, a venti anni, di essere certosino. A sette miglia da Susa vi era la certosa di Montebenedetto, ma volle entrare nella Grande Chartreuse di Grenoble, la più antica. Si distinse per il rispetto della Regola, venne ordinato sacerdote e professò solennemente. Come i confratelli, accompagnò la solitudine del corpo all’unione totale con Dio. Il suo esempio però cominciò ad essere additato e il suo nome divenne noto anche fuori della certosa. Nonostante la giovane età aveva frequenti visite da parte di gente semplice e di nobili. Trascorsi sei anni, per non disturbare la quiete del monastero, il Capitolo Generale decise che sarebbe tornato in Italia, tra le montagne di Chiusa Pesio, nei pressi di Mondovì. Nel decreto era nominato come "nuovo professo" secondo la norma prevista quando si cambiava certosa. Le sue giornate tornarono ad essere scandite dalle orazioni, dalle austerità e dallo studio. Amava dipingere immagini di Cristo, della Madonna e di santi e per lui era come pregare, come fu per il beato Angelico.
L’umiltà di Antonio aumentava come cresceva la stima di quanti lo conoscevano. Nel celebrare la S. Messa si commuoveva e alle volte andava in estasi. Il monaco portinaio testimoniò che amava recarsi su una vicina altura, detto il bricco della Madonnina, dove si immergeva in una profonda contemplazione e più volte lo vide pregare sollevato da terra, con le mani stese a forma di croce e il capo circondato da raggi splendenti. Anche in cella lo videro rapito, con il corpo sollevato da terra. Aveva il dono di leggere nei cuori e di prevedere il futuro ed era un riferimento anche per gli altri monaci. Quando fra Raimondo Franco della Briga fu destinato con un incarico di responsabilità alla certosa di S. Pietro di Genova fu il beato che lo convinse ad accettare. Nel Capitolo Generale del 1447 i superiori della Lombardia decisero che non avrebbe lasciato Chiusa Pesio per dedicarsi solo allo studio. Era ormai nota a tutti la sua santità.
Il beato Le Cocq era cercato per dottrina e santità dai duchi di Savoia e dal Re di Francia. A Jolanda di Francia, figlia di Carlo VII e sposa del Beato Amedeo IX di Savoia, dedicò un trattato sul libro di Giobbe. Contro la duchessa, futura reggente, si scatenerà l’odio dei cognati. Jolanda aveva per il Beato una grande stima e gli chiese di ospitare il fratello Luigi. L’erede voleva anzitempo il trono e il padre giunse persino ad ordinarne l’arresto. Una situazione assai complessa costrinse il delfino, con poca scorta, a rifugiarsi prima presso il duca di Borgogna e poi in varie province. A Pesio i monaci pensarono che fosse un semplice gentiluomo, ma rivelatore e fortunato fu il suo incontro con Antonio. Trascorsero insieme alcune ore, il certosino gli diede molti consigli dicendogli che non era corretto ambire alla corona prima del tempo. Gli predisse la riconciliazione con il padre e l’ascesa al trono, come avvenne nel 1461. Luigi XI passò alla storia per aver riunito sotto il dominio della corona la maggior parte del territorio francese, proseguendo l’opera paterna di unità e stabilità dopo la terribile la Guerra dei Cent’anni.
Il monarca lo tenne sempre in grande considerazione e lo avrebbe voluto presso di sé, se la morte non fosse sopraggiunta (chiamò poi s. Francesco da Paola). Si conservavano nella certosa alcune lettere autografe del re che bruciarono nel 1515 in un furioso incendio. Dalla Francia giunsero anche alcune sacre suppellettili e fondi per l’abbellimento della chiesa. Molti furono i vantaggi che nei decenni a venire furono concessi alla certosa.
Antonio fu un fecondo scrittore anche se le sue opere non vennero mai stampate. Oltre al commento sul libro di Giobbe che dedicò a Jolanda, scrisse il "Liber consolationis" in cui raccolse alcuni pensieri tratti da S. Bonaventura e da S. Bernardo e un libro di profezie dalla storia singolare. Carlo VIII Re di Francia, mentre nel 1494 andava alla conquista del regno di Napoli, si fermò ad Asti un mese perché colpito dal vaiolo. Memore della devozione del padre Luigi XI verso Antonio, sapendo che nella certosa si conservava un libro di profezie, spedì un suo cavaliere con lettera al priore, chiedendo del libro. Non c’era il tempo di copiarlo e fu mandato l’originale. Probabilmente andò perso durante la battaglia di Fornovo o non fu più restituito perché il contenuto non era da divulgare. Antonio compose anche uno studio sulla certosa, anch’esso poi andato perso.
Dopo quarantotto anni di vita religiosa, il dotto certosino serenamente spirò il 22 marzo 1458 e come era abitudine dei monaci fu sepolto senza alcun monumento. Presso il suo sepolcro ci furono molte grazie e si raccoglievano piante e fiori da cui si ricavavano unguenti contro la febbre. Molti venivano al monastero e si dice che per non turbare la quiete il priore gli ordinò di non fare più miracoli. Grazie alla fama del beato, furono molti i lasciti per grazie ricevute giunte in particolare da Mondovì. Il suo corpo fu poi trasferito sotto la grande croce comune.
Nell’Ordine gli è stato dato il titolo di beato, non confermato perché i certosini per umiltà non lo chiesero a Roma. Sia a Pesio che nella casa natia ad Avigliana fu affrescato il suo ritratto. I certosini da Montebenedetto nel 1498 di trasferirono a Banda nei pressi di Villar Focchiardo, poi andarono ad Avigliana e infine, fino alla soppressione napoleonica, a Collegno. L’importane agiografo piemontese Giacinto Gallizia gli ha dedicato un libro insieme al Beato Cherubino Testa nel 1724.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte Santi e Beati)
Giaculatoria - Beato Antonio Cocq, pregate per noi.
*Beato Diego Carvalho – Gesuita, Martire (22 febbraio)
Schede dei Gruppi a cui appartiene il Beato Diego Carvalho:
“Beati Martiri Gesuiti in Giappone" (4 febbraio)
“Beati Martiri Giapponesi Beatificati nel 1867-1989-2008” - Senza data
Cordoba (Portogallo), 1578 – Sendai (Giappone), 22 febbraio 1624
Martirologio Romano: Nella città di Sendái in Giappone, Beato Diego Carvalho, sacerdote della Compagnia di Gesù e Martire, che, dopo gli oltraggi, il carcere e i faticosi viaggi compiuti in pieno inverno, sottoposto infine al supplizio dell’acqua ghiacciata, con intrepida fede confessò Cristo insieme a molti Compagni.
I Gesuiti con San Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l’evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo ‘shogun’ (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato ‘Taicosama’, che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l’opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello ‘shogun’ Hideyoshi, che emanò l’ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l’accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l’imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell’inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime, fra le migliaia che persero la vita anonimamente e Papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 Beati, 33 erano dell’Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c’è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.
Al gruppo dei 33 Gesuiti, la cui celebrazione comune è al 4 febbraio, appartiene il portoghese Diego Carvalho, che nacque a Cordoba nel 1578; attratto dalla spiritualità della Compagnia di Gesù, da qualche decennio fondata da s. Ignazio di Loyola (1491-1556), entrò fra i Gesuiti nel 1594.
A 22 anni, ancora novizio fu mandato nel 1600 alla Missione delle Indie, a Macao possedimento portoghese nella Cina Meridionale, compì gli studi in Filosofia e Teologia e fu ordinato sacerdote; nel 1609 raggiunse il Giappone, da dove dopo cinque anni di attività apostolica, ripartì a causa del decreto di espulsione dei missionari del 1614, emanato dall’imperatore Tokugawa.
In questo forzato esilio, padre Diego Carvalho fu impegnato alla fondazione della missione in Cocincina (Vietnam) insieme al confratello padre Francesco Burzoni.
Nel 1616 rientrò clandestinamente in Giappone, dove gli vennero indicati per la sua attività missionaria, i distretti settentrionali di Oxu e il Dewan; era un lavoro entusiasmante perché gli permetteva di visitare e attirare alla fede cattolica, le migliaia di giapponesi emigrati in quelle zone per lavorare nelle miniere d’oro scoperte da poco.
Naturalmente non mancavano le difficoltà, a causa delle condizioni climatiche e le asperità del luogo, per i continui e necessari travestimenti, gli accorgimenti per salvaguardare dalle dogane gli arredi per la celebrazione della Messa.
Grazie alla sua tenacia e zelo infaticabile, riuscì a contattare tutte le comunità affidatagli, accrescendo il numero dei convertiti; nel 1620 raggiunse anche l’isola di Yeso, dove il 5 agosto poté celebrare una prima Messa e il 15 agosto un’altra presso le miniere per i minatori cattolici.
Poté visitare, attraversando lo Stretto di Tzugaru, a Tacavoca i miserabili campi di concentramento, dove erano state raccolte le nobili famiglie giapponesi cristiane, vittime della persecuzione e condannate a morire lentamente di stenti e ristrettezze.
Ma nel 1623 anche il signore del regno di Oxu, Masamune, fino allora favorevole ai cristiani, si trasformò in loro persecutore; allo scoppio di questa persecuzione padre Diego Carvalho si trovava a Miwake nel feudo di Giovanni Gotò fervente cattolico, per celebrarvi il Natale e l’Epifania, ma per non compromettere il suo ospite, subito partì e così sfuggì all’arresto delle guardie, le quali avvertite da due apostati si recarono fra i cristiani di Orosce dove si era rifugiato.
Ma anche da qui padre Diego era fuggito insieme ad una sessantina di cristiani rifugiandosi in un vallone profondo, ma le orme lasciate sulla neve dai fuggitivi li tradirono.
Per salvare i fedeli, padre Carvalho si consegnò ai soldati insieme ad una decina di cristiani che non avevano voluto lasciarlo e fu condotto a Sendai.
Il 18 febbraio 1624 i prigionieri furono trascinati sulla riva del fiume Hirose e fatti sedere nudi in una grande buca riempita di acqua, in quel periodo gelida, legati a dei pali stettero in quella tortura per tre ore, poi ricondotti in prigione, ma alcuni morirono per strada.
Essendo i superstiti costanti nel dichiarare la loro fede, la tortura fu ripetuta il mattino del 22 febbraio; i martiri furono lasciati nell’acqua gelata tutto il giorno, finché morirono; padre Diego Carvalho morì per ultimo poco prima della mezzanotte. La sua celebrazione come Beato Martire Gesuita, è al 22 febbraio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Diego Carvalho, pregate per noi.
*Beata Isabella di Francia – Principessa (22 febbraio)
1225 - 22 febbraio 1270
Figlia del Re Luigi VIII e di Santa Bianca di Castiglia, sorella di San Luigi IX.
Educata dalla madre con una profonda e severa religiosità, fin dall'infanzia si distinse per la profonda pietà. Una lunga malattia fece maturare in lei la decisione di dedicarsi alle sue pratiche di pietà, alle pie letture e alla cura dei poveri.
Si distinse in modo particolare per il culto alle reliquie dei Santi e per il mantenimento dei crociati.
Dopo aver rifiutato molte proposte di matrimonio e successivamente alla morte della madre, con l'aiuto del fratello, fonda un monastero a Longchamp presso Parigi, poi distrutto durante la Rivoluzione francese.
Non adottò la regola di Santa Chiara, ma per andare incontro alla comunità di religiose di nobile origine scrisse una regola che mitigava il voto di povertà.
Tale regola fu approvata nel 1263 da Papa Urbano IV e fu adottata da altri monasteri di Clarisse, specialmente in Francia. Visse santamente a Longchamp sino alla morte avvenuta dopo due anni di malattia.
Sepolta inizialmente nella chiesa del convento, ora le sue reliquie sono a Parigi presso la tomba di San Luigi IX e in parte nella Cattedrale di Meaux.
Martirologio Romano: A Longchamp nella periferia di Parigi in Francia, Beata Isabella, Vergine, che, sorella del Re San Luigi IX, avendo rinunciato a nozze regali e ai piaceri del mondo, fondò il convento delle Suore Minori, con le quali servì Dio in umiltà e povertà.
La Principessa Isabella, sorella minore del Re San Luigi IX di Francia, nacque nel 1225 dal Re Luigi VIII e dalla Regina Santa Bianca di Castiglia. La principale fonte circa la vita di questa Beata è la “Vita” scritta da Agnese di Harcourt, badessa del monastero di Longchamp fondato dalla stessa Isabella, che si occupò di lei negli ultimi dieci anni della sua vita. Édifficile a distanza di così tanto tempo discernere se le sue scelte di vita quali il rifiuto del matrimonio e del cibo, comuni a numerose altre ragazze di un tempo, fossero dettate da convinzioni spirituali e da libere scelte, piuttosto che da elementi patologici, psicologici o politici.
Sin dall’adolescenza Isabella nutrì una repulsione verso la sua condizione regale, disprezzando il lusso che la circondava e cadendo in una profonda anoressia, al punto che alla madre per tentare di aiutarla non restò che appellarsi ad una “donna santa”. Costeì si limitò però a fare una profezia, cioè che la giovane principessa sarebbe ancora vissuta come “morta al mondo”. In seguito rifiutà non pochi pretendenti ed al Papa Innocenzo IV, che le aveva scritto affinchè accettasse la mano del Re Corrado di Gerusalemme per il bene della cristianità, rispose con fermezza negativamente, chiedendo piuttosto con risolutezza ed ottenendo di poter emettere il voto perpetuo di verginità.
Nel 1226 era asceso al trono suo fratello, che si rivelò per lei ispiratore della carità verso i poveri e del fervore religioso: quotidianamente infatti Isabella era solita invitare alla sua mensa numerosi mendicanti e visitava malati e poveri. Luigi prese parte a due crociate, risultate però inefficaci, e quando nella prima fu fatto prigioniero in Egitto, per Isabella fu un duro colpo, giàcche sovvenzionava il sostentamento di dieci cavalieri per contribuire al recupero dei luoghi santi.
Altra figura influente nella sua vita fu Santa Chiara d’Assisi e nel 1252, alla morte della madre, Isabella decise di fondare a Longchamp un convento ove vivere secondo gli ideali delle clarisse: Re Luigi approvò e finanziò tale progetto ed alcuni francescani, fra cui San Bonaventura, furono chiamati a collaborare alla formulazione della regola e delle costituzioni. Il nuovo monastero, sito nei sobborghi parigini, fu dedicato all’Umiltà della Beata Vergine Maria.
Da allora Isabella profuse buona parte delle proprie sostanze a sostegno del convento e proseguì la sua attività di assistenza ai poveri.
Assai probabilmente, ella però non emise mai i voti perpetui, forse a motivo delle sue precarie condizioni di salute: la stessa sua decisione di vivere in un luogo separato dell’edificio, non a stretto contatto con le celle delle suore, fu dovuta a quanto pare a motivi di umiltà uniti al desiderio di scongiurare l’eventuale elezione a badessa.
Per dieci ani condusse in monastero una vita di digiuno, penitenza, contemplazione e preghiera.
Prima della sua morte, avvenuta il 22 febbraio 1270, il suo cappellano, il confessore e Suor Agnese, suo futura biografa, furono testimoni di un suo rapimento estatico. Pochi mesi dopo morì a Tunisi il suo santo fratello, di ritorno dalla seconda crociata.
Papa Leone X, con bolla pontificia del 3 gennaio 1521, dichiarò “Beata” la principessa Isabella di Francia, una delle prime sante clarisse. Un tempo la sua festa era celebrata dall’ordine francescano all’8 giugno insieme alle consorelle Agnese di Boemia e Camilla Battista da Varano. Luigi IX fu invece uno dei primi terziari francescani ad essere riconosciuto Santo.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Isabella di Francia, pregate per noi.
*Beato Maometto Abdalla – Mercedario (22 febbraio)
Di origine africana, il Beato Maometto Abdalla era Mercedario nel Convento di San Lazzaro in Saragozza, presso il fiume Ebro.
Si distinse nell’Ordine per moltissime virtù dando grande esempio per una vita tutta dedita alle cose divine e santamente morì nel cospetto del Signore.
L’Ordine lo festeggia il 22 febbraio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santa Margherita da Cortona - Religiosa (22 febbraio)
Laviano, Perugia, 1247 – Cortona, Arezzo, 22 febbraio 1297
Nata a Laviano (Perugia) nel 1247, diciottenne va a convivere con un giovane Nobile di Montepulciano, che non la sposa neppure quando nasce un figlio, e che muore assassinato nove anni dopo.
(La tradizione racconta di un cagnolino che la guida a ritrovarlo cadavere, in un bosco).
Allontanata dai parenti dell'uomo e dalla propria famiglia trova accoglienza a Cortona. Lavora come infermiera per le partorienti, educa il figlio, che si farà poi francescano, e si dedica agli ammalati poveri.
Prende con sé alcune volontarie che si chiameranno «Poverelle», promuove l'assistenza gratuita a domicilio, si fa aiutare da famiglie importanti e nel 1278 fonda l'ospedale della Misericordia.
Vive un periodo da contemplativa e una domenica ricompare a Laviano, per raccontare in chiesa, durante la Messa, le sue vicende giovanili, e per chiedere perdono.
A Cortona spesso la gente va da lei, nella cella presso la Rocca dove si è stabilita nel 1288: chiede il suo intervento nelle contese cittadine e nelle lotte con altre città.
Nel 1289 Margherita è tra coloro che danno vita alla Confraternita delle Laudi. Morirà a Cortona nel 1297. (Avvenire)
Patronato: Prostitute pentite
Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino
Martirologio Romano: A Cortona in Toscana, Santa Margherita, che, fortemente scossa dalla morte del suo amante, lavò con una salutare vita di penitenza le macchie della sua giovinezza e, accolta nel Terz’Ordine di San Francesco, si ritirò nella mirabile contemplazione delle realtà celesti, ricolmata da Dio con superiori carismi.
Nulla è perduto, se si ama davvero: si può così sintetizzare l’esperienza avventurosa e peccatrice di Santa Margherita da Cortona, che, proprio grazie all’amore, riesce a dare una svolta alla propria vita fino a raggiungere le vette del misticismo e della carità più pura ed illuminata.
Nasce nel 1247 a Laviano, un paesino a mezza strada tra Montepulciano e Cortona, in una povera famiglia contadina.
Orfana di mamma, viene allevata da una matrigna gelosa e bisbetica, in mezzo a maltrattamenti ed angherie.
Bellissima e, per questo, ammirata e corteggiata, a 18 anni scappa di casa per realizzare il suo sogno d’amore con un giovane nobile di Montepulciano.
Che le spalanca le porte del suo castello e la fa sua amante per nove anni, ma che non la sposa, nemmeno quando dalla loro unione nasce un figlio.
Il giovanotto non doveva essere neppure uno stinco di santo, se è vero che muore assassinato e la leggenda narra che sia stato un cagnolino (con il quale viene comunemente raffigurata nelle immagini) ad aiutare Margherita a ritrovarne il cadavere.
Ovvio che la famiglia di lui, all’indomani del funerale, la cacci sdegnosamente di casa e così Margherita, da un giorno all’altro, passa dalle agiatezze di una vita mondana e dispendiosa alle misere condizioni di una ragazza madre, senza un tetto e senza di che mangiare.
Dato che neppure si può parlare di tornare a casa sua, da dove è già fuggita una volta e dove tutti si vergognano della sua vita peccaminosa, qualche biografo sostiene che Margherita arrivi a prostituirsi per sbarcare il lunario, e non ci sarebbe proprio di che stupirsi, viste le sue condizioni e l’assoluta mancanza di valori.
Va a stabilirsi a Cortona, trovando una casa e un lavoro come ostetrica, e qui avviene la sua metamorfosi.
Conquistata dall’ideale francescano, si dedica agli ammalati poveri, visitandoli e curandoli a domicilio, scoprendo in se stessa una volontà e un talento di organizzatrice che neppure lei sapeva di possedere.
Raduna attorno a sé un gruppo di volontarie e insieme a loro organizza una rete fittissima di carità per chiunque ha bisogno di aiuto.
Riesce a contagiare nel suo progetto caritativo le famiglie nobili della zona, che mettono a sua disposizione somme ingenti con le quali, già nel 1278; riesce ad aprire il primo ospedale per i poveri di Cortona.
L’assistenza è assicurata dalla confraternita delle Poverelle e dai Mantellati, per la quale ha scritto gli Statuti di chiara impronta francescana ed alla quale, soprattutto, offre la testimonianza della sua vita interamente votata ai più deboli.
Scende in piazza, quando è necessario, per pacificare gli animi e per rasserenare il turbolento clima politico del suo tempo, ma, soprattutto, Margherita si dedica ad una intensa preghiera e ad una grande penitenza, che la portano alle più alte vette della mistica, nella Rocca sopra Cortona, dove ha ricavato una piccola cella in cui vive gli ultimi anni in meditazione e solitudine.
Qui l’ex concubina muore il 22 febbraio 1297, ad appena 50 anni.
Ci vogliono più di 4 secoli prima che la Chiesa la proclami santa, nel 1728, ad opera di Benedetto XIII, e Margherita diventa così una gloria dell’Ordine Francescano e la patrona di Cortona, che da sette secoli custodisce il suo corpo incorrotto.
(Autore: Gianpiero Pettiti)
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*Beata Maria di Gesù (Emilia d’Oultremont d’Hooghvorst) - Fondatrice (22 febbraio)
Wégimont, Liegi (Belgio), 11 ottobre 1818 – Firenze, 22 febbraio 1879
La Beata belga Maria di Gesù (al secolo Emilia d’ Oultremont d’Hoogvorst), madre di quattro figli, rimasta vedova, senza venir meno ai suoi doveri materni, si dedicò alla fondazione ed alla guida della Congregazione delle Suore di Maria Riparatrice e, aiutata da Dio, superò parecchie sofferenze e si guadagnò la vita eterna. Giovanni Paolo II la Beatificò il 12 ottobre 1997.
Martirologio Romano: A Firenze, Beata Maria di Gesù (Emilia) d’Oultremont, che in Belgio, madre di quattro figli, rimasta vedova, senza per nulla trascurare i suoi doveri materni, si dedicò a fondare e guidare la Congregazione delle Suore di Maria Riparatrice e, confidando nell’aiuto divino, superate non poche difficoltà, concluse piamente il suo pellegrinaggio terreno mentre faceva ritorno in patria.
Il 23 dicembre 1993, fu riconosciuta l’eroicità delle sue virtù e a seguito dell’approvazione, in data 17 dicembre 1996, di un miracolo attribuito alla sua intercessione, la Venerabile Maria di Gesù d’Oultremont, vedova d’Hooghvorst, è stata proclamata Beata a Roma il 12 ottobre 1997, da Papa Giovanni Paolo II.
Emilia d’Oultremont nacque a Wégimont, Liegi (Belgio) l’11 ottobre 1818, dal Conte Emile d’Oultremont e dalla contessa Marie de Lierneux de Presles; ricevette una solida formazione umanistica e religiosa, che le diede un carattere energico, sia sul piano fisico (diventò un’ottima atleta) sia sul piano morale; la sua risolutezza ed energia, fu uno dei tratti fondamentali della sua personalità.
La devozione al Sacro Cuore, alla Vergine Maria e soprattutto all’Eucaristia, si radicarono nel suo animo di fanciulla e caratterizzarono da quel momento in poi, lo sviluppo della sua spiritualità.
Rispettosa della volontà dei genitori, acconsentì di sposare un giovane dotato di qualità spirituali e religiose, Victor Van Der Linden, barone d’Hooghvorst; il matrimonio fu celebrato il 19 ottobre 1837 a Liegi.
I comuni ideali con il marito, fin dall’inizio le permisero di dedicarsi alla preghiera e alle opere di carità, vivendo con pienezza la vita di giovane sposa. Dalla felice unione, nacquero quattro figli, due ragazze e due ragazzi; che allevò con amore facendoli crescere in un sereno e gioioso ambiente familiare. Emilia d’Oultremont trovò nei Padri della Compagnia di Gesù una serie di guide spirituali, che la compresero e la guidarono nella sua ricerca di perfezione nell’amore di Dio.
Negli anni dal 1839 al 1846, in cui soggiornò lungamente a Roma, Emilia fu gratificata da particolari esperienze interiori, che la indirizzarono sempre più ad un amore totale verso Dio; a 24 anni quando aveva già due figli, mentre stava pregando nella cameretta di s. Ignazio di Loyola, presso la Chiesa del Gesù a Roma, ebbe la visione del santo fondatore dei Gesuiti, che con le Costituzioni dell’Ordine in mano, l’assicurò che un giorno avrebbe seguito le sue Regole.
Il 10 agosto 1847, colpito dalle febbri malariche, contratte durante una caccia nelle Paludi Pontine, morì ancora giovane, il marito barone Victor d’Hooghvorst. Sopportò questa prova con fede e rassegnazione, dedicandosi completamente ai suoi figli, ai poveri e ammalati e a diverse opere diocesane.
Nel contempo assisté i genitori sofferenti fino alla morte, sopravvenuta nel 1850 per la mamma e nel 1851 per il padre.
Dopo di ciò volle consacrarsi a Dio con il voto di castità, autorizzata dal suo padre spirituale; sentendosi sempre più portata verso la vita religiosa; si trasferì a Parigi con le due figlie, per essere più vicina agli altri due figli, studenti in un collegio dei Gesuiti.
Superando le obiezioni dei parenti, Emilia si orientò apertamente verso la vita religiosa e l’8 dicembre 1854, durante una lunga e intensa preghiera nella cappella del castello familiare di Bauffe, le fu rivelato dalla Madonna ciò che Dio attendeva da lei; la fondazione di una Congregazione votata alla riparazione degli oltraggi perpetrati contro il S.mo Sacramento.
Nel 1855 Emilia iniziò una prima forma di vita in comune, con alcune giovani riunite intorno a lei, che volevano anch’esse consacrarsi a Dio.
L’8 novembre 1855 furono poste le basi della nuova Istituzione e il 21 aveva inizio, sotto la direzione dei gesuiti padri Petit e Studer, il noviziato delle postulanti che si erano presentate; lo Studer, Padre Provinciale dei Gesuiti di Parigi, divenne poi il grande protettore della nuova fondazione.
L’avvio ufficiale della nuova Famiglia religiosa, ebbe luogo il 1° maggio 1857 a Strasburgo, con il nome di “Istituto di Maria Riparatrice”.
Emilia d’Oultremont, dovendosi occupare ancora dell’educazione dei figli, fu costretta a procrastinare il suo ingresso nel nuovo Istituto, anche se di fatto lo dirigeva.
Man mano sorsero le nuove Case dopo la prima di Strasburgo, a Liegi e a Maduré (India) dove nel 1859, Madre Maria di Gesù, come aveva preso a chiamarsi, inviò sette suore Riparatrici; nel maggio 1860 fece un pellegrinaggio a Loyola, in devozione a s. Ignazio, “il vero Padre della sua anima”.
Elaborò le Costituzioni; espresse in una celebre lettera alle Suore, il 2 luglio 1862, lo spirito che doveva animare le religiose, un invito dinamico a fissare lo sguardo su Maria, per apprendere da lei il cammino tipico di una Riparatrice.
Desiderava che le sue religiose esprimessero il loro impegno nella Chiesa, con una presenza di semplicità e di servizio, attraverso la preghiera, l’adorazione del Santissimo Sacramento esposto ogni giorno, gli Esercizi Spirituali di Sant’ Ignazio, l’istruzione religiosa e altre opere secondo le necessità ed i luoghi; “restaurare nelle persone, con l’aiuto di Maria, l’immagine di Dio offuscata dal peccato”.
Sposatosi i due figli maschi, mentre le due figlie Olimpia e Margherita l’avevano seguita entrando nell’Istituto delle Riparatrici, madre Maria di Gesù poté entrare definitivamente nella sua Opera nel 1864; per la scelta delle sue figlie di farsi suore, fu accusata dai nobili parenti di averle influenzate; tutto ciò le procurò profonde sofferenze e incomprensioni.
Ma dovette subire anche l’atroce dolore per una madre, di vederle morire giovani dopo alcuni anni; Margherita morì il 23 gennaio 1867 per la tubercolosi e Olimpia, la maggiore, si ammalò gravemente, restando per lungo tempo inferma fino alla morte, avvenuta il 14 dicembre 1872.
Madre Maria di Gesù, dovette affrontare così anche un lungo periodo di stanchezza spirituale, che la portò talvolta anche alla disperazione; però ne seppe uscire rimanendo inalterata la sua fede e la devozione, senza trascurare la direzione dell’Istituzione.
Intanto la Famiglia religiosa di "Maria Riparatrice", si diffondeva abbondantemente con altre Case aperte a Parigi, Tolosa, Londra, Tournai, nell’Isola di Reunion, Nantes, Bruxelles, Siviglia, Wexford, Le Mans, Liesse, Pau, Cordova.
Il 25 marzo 1873, ricevette una nuova temporanea approvazione dell’Istituto, la definitiva arriverà nel 1883 dopo la sua morte.
Trascorse gli ultimi anni, rasserenata nello spirito, ma vittima di grandi sofferenze fisiche e morali, sia nel campo familiare sia all’interno della stessa Istituzione.
Mentre si trovava di passaggio a Firenze, in casa del figlio Adrien, in attesa di proseguire per il Belgio, madre Maria di Gesù, morì il 22 febbraio 1879 a 59 anni di età; la sua tomba si trova nella Chiesa di Santa Croce e San Bartolomeo in via Lucchesi a Roma.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria di Gesù, pregate per noi.
*San Massimiano di Ravenna – Vescovo (22 febbraio)
Pola, odierna Croazia, 498 – Ravenna, 22 febbraio 556
Martirologio Romano: A Ravenna, San Massimiano, Vescovo, che svolse con fedeltà il suo ufficio pastorale e difese l’unità della Chiesa contro l’eresia.
San Massimiano fu il ventottesimo vescovo di Ravenna, anzi primo vescovo d’Occidente a portare il titolo di arcivescovo in quanto titolare di una diocesi metropolitana. Aveva ricevuto la consacrazione episcopale dal papa Vigilio nel 546 e resse la sede per dieci anni. Grazie alla sua solida condizione finanziaria e sfruttando con il suo grande intuito l’eminente posizione di vicario del pontefice Vigilio e dell’imperatore Giustiniano, egli divenne una delle più importanti figure nell’Italia del VI secolo. Sul suo conto sono state tramendate notizie abbastanza precise grazie alla biografia redatta dal sacerdote Agnello, il quale pur essendo vissuto ben due secoli dopo fu profondo conoscitore degli scritti del santo pastore.
Massiamiano nacque nel 498 a Pola, in Istria, oggi in territorio croato, e divenne diacono della Chiesa locale. Il fortunato ritrovamento di un “tesoro” per mano sua o del padre gli permise di approdare alla corte imperiale di Costantinopoli, ove poté guadagnarsi la stima dell’imperatore San Giustiniano (santo per le Chiese ortodosse).
Nel 545, alla morte del Vescovo di Ravenna, i fedeli della città chiesero all’imperatore di insignire del pallio un candidato da loro proposto, ma questi consigliò invece a papa Vigilio di destinare alla sede vacante proprio Massimiano. Così fu ed il nuovo vescovo fu consacrato il 14 ottobre 546, ma ciò inevitabilmente causò un forte attrito con la popolazione ravennate, che considerava la sua nomina nulla più che un’indebita interferenza nella vita cittadina. A Massimiano non restò che accamparsi fueri delle mura, ospite del Vescovo ariano dei goti, ma con tatto e diplomazia riuscì gradualmente ad accattivarsi la simpatia dei suoi fedeli e ad ottenere il permesso di prendere possesso della sede episcopale.
Il suo episcopato rappresentò l’età d’oro della Chiesa di Ravenna: infatti furono completate e consacrate le basiliche di San Michele e San Vitale, molte altre furono abbellite, e sempre a lui si devono interamente San Giovanni, Santo Stefano e varie chiese nella natia Pola, decorate con splendidi mosaici. Elevata fu la quantità di libri di cui fu autore: cronache, descrizioni di Ravenna, cataloghi dei vescovi della città e dodici volumi di suoi sermoni. Preparò anche un’accurata edizione della Bibbia corredata da note a margine e redasse un sacramentario sul quale presumibilmente si basò in seguito quello leonino.
Le sue attività si estesero a tutta l’Italia, di cui a tutti gli effetti fu primate durante le lunghe assenza da Roma di papa Vigilio, ed i suoi sforzi furono incentrati in particolar modo sul ripristino dell’armonia e dell’unità all’interno delle chiese divise dallo scisma detto dei “Tre capitoli”. Il suo biografo Agnello ebbe a descriverlo anche come pastore che “accoglieva gli stranieri, richiamava coloro che cadevano in errore, dava ai poveri ciò di cui necessitavano e consolava i sofferenti”.
Massimiano morì a Ravenna il 22 febbraio 556 e le sue spoglie furono tumulate nella basilica di Sant’Andrea, ove rimasero sino al 1809 per poi essere trasferite in cattedrale, in seguito alla sconsacrazione della chiesa da parte dell’amministrazione napoleonica della città.
Nella basilica di San Vitale, inaugurata in pompa magna alla presenza degli imperatori Giustiniano e Teodora, San Massimiano è raffigurato accanto all’imperatore nel grandioso mosaico sul lato nord del santuario, con in mano una croce tempestata di gemme preziose.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Massimiano di Ravenna, pregate per noi.
*Santi Nove Fratelli di Kola - Martiri georgiani (22 febbraio) “Chiese Orientali”
VI secolo
Il 22 febbraio la Chiesa Ortodossa Georgiana festeggia nove Santi fanciulli, martiri nel VI secolo presso il villaggio di Kola, alla sorgente del fiume Mtkvari. I loro nomi sono: Guram, Adarnerse, Baqar, Vache, Bardzim, Dachi, Juansher, Ramaz e Parsman. Erano pagani, ma un giorno si recarono in chiesa per richiedere il Battesimo e ricevere la Santa Comunione.
La ferma scelta della fede in Cristo ed il ripetuto rifiuto del culto degli idoli pagani costò loro la vita e fu così che in tenera età si meritarono la palma del martirio.
Molti secoli fa, il villaggio di Kola era situato alla sorgente del fiume Mtkvari. Cristiani e pagani ci abitavano insieme come vicini. Un giorno i bambini, cristiani e pagani, stavano giocando insieme, ma quando i bambini cristiani sentirono suonare le campane della chiesa, avendo riconosciuto la chiamata alla preghiera lasciarono cadere i loro giochi.
Nove bambini pagani – Guram, Adarnerse, Baqar, Vache, Bardzim, Dachi, Juansher, Ramaz e Parsman – seguirono i bambini cristiani in chiesa.
Ma i cristiani regolarmente li fermarono alle porte della chiesa e li rimproverarono dicendo: “Voi siete figli di pagani. Non potete entrare nella santa casa di Dio”, e se ne andarono via dispiaciuti e tristi.
Un giorno i nove bambini pagani cercarono di entrare in chiesa con la forza, ma furono scacciati e sgridati. “Se desiderate entrare in chiesa, dovete credere nel Signore nostro Gesù Cristo ed essere battezzati nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito”, gli venne detto, “è necessario ricevere la Santa Comunione e unirsi alla comunità dei credenti cristiani”.
Con grande gioia i giovani promisero ai cristiani che avrebbero ricevuto il santo battesimo.
Quando i cristiani di Kola riferirono al loro sacerdote la buona notizia del desiderio dei ragazzi pagani, egli ricordò le parole dell’Evangelo: «Colui che ama il padre o la madre più di me non è degno di me: e colui che ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. E colui che non prende la sua croce, e non mi segue, non è degno di me (Matteo 10: 37-38).
Egli non aveva paura della rabbia che sarebbe seguita da parte della comunità pagana, ma prese i ragazzi in una notte fredda d’inverno e li battezzò nel fiume gelato. Mentre il Santo Sacramento veniva celebrato accadde un miracolo: l’acqua divenne calda e una moltitudine di angeli apparve ai giovani. Grandemente incoraggiati nella loro fede, i bambini decisero di rimanere nella comunità cristiana, piuttosto che ritornare dai loro genitori.
Quando i loro genitori vennero a sapere che erano stati battezzati nella fede cristiana, trascinarono i loro bambini lontano dalla chiesa, picchiandoli e battendoli per costringerli tutti sulla strada di casa. Lì i bambini eroicamente subirono oltraggi e, sebbene fossero affamati e assetati da sette giorni, ripeterono ancora e più volte: “Noi siamo cristiani e non mangeremo o berremo qualcosa che è stato preparato per gli idoli!”.
Né lusinghe gentili, né abiti ricchi, né promesse di buone cose a venire poterono tentare i giovani timorati di Dio. Piuttosto, dissero: “Siamo cristiani e non vogliamo avere nulla da voi, solo che ci lasciate e ci permettiate di unirci alla comunità cristiana!”.
I genitori infuriati andarono dal principe e gli riferirono tutto ciò che era accaduto.
Ma il principe non fu loro di alcun aiuto, ma semplicemente disse loro: “Sono i vostri figli, fate con loro come volete”. I pagani ostinati gli chiesero l’autorizzazione a lapidare i bambini. Così scavarono una grande fossa nei pressi del luogo in cui i giovani erano stati battezzati, ed i bambini vi furono gettati dentro. “Siamo cristiani, e moriremo per Colui nel quale siamo stati battezzati!”, proclamarono i santi martiri, i nove bambini di Kola, prima di offrire le loro anime a Dio.
I loro atei genitori presero le pietre, e gliele scagliarono, finché la buca fu interamente riempita. Poi andarono e picchiarono a morte il sacerdote, derubandolo, e dividendo il bottino tra loro.
La lotta dei Nove martiri bambini Giusti di Kola avvenne nel VI secolo, nella regione storica di Tao nel sud della Georgia.
(Fonte: www.tradizione.oodreg.com)
Giaculatoria - Santi Nove Fratelli di Kola, pregate per noi.
*San Pàpia di Gerapoli – Vescovo (22 febbraio)
Gerapoli, II secolo
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Gerapoli nella Frigia, nell’odierna Turchia, San Pápia, Vescovo, che, uditore di Giovanni il Presbitero e amico di Policarpo, spiegò le parole del Signore.
Il più antico scrittore che fornisce delle notizie riguardanti San Papia, è Eusebio di Cesarea, con la sua “Historia Ecclesiastica”.
San Papia vissuto nel II secolo, contemporaneo di S. Policarpo di Smirne e di S. Ignazio d’Antiochia, era vescovo di Gerapoli nella Frigia, regione storica dell’Asia Minore e che dal 130 a. C. fece parte della provincia romana d’Asia.
Non conobbe personalmente gli Apostoli, ma secondo la sua propria testimonianza, egli apprese i principi e le fede cristiana da persone che l’avevano conosciuti, come Aristione e Giovanni il Presbitero; fu compagno di San Policarpo di Smirne.
Eusebio di Cesarea, gli attribuisce idee ‘millenaristiche’, forse, secondo moderni critici, confondendolo con un omonimo autore ebreo; il ‘Millenarismo’ era una dottrina escatologica, presente nel cristianesimo primitivo e poi variamente ripresa, riguardante un supposto regno messianico di Cristo sulla Terra, della durata di mille anni, destinato ad attuarsi tra una prima resurrezione dei morti, riservata ai beati e una seconda resurrezione, seguente al Giudizio Universale; ebbe come fondamento un’interpretazione letterale di un passo dell’Apocalisse (20, 1-3).
Scrisse cinque libri intitolati "Esegesi dei discorsi del Signore", testo di primaria importanza per la storia dell’esegesi neotestamentaria, soprattutto per quanto egli riferisce sugli Evangelisti Matteo e Marco e per la conoscenza della prima lettera di Giovanni e della prima di Pietro; è da considerare uno dei primi anelli della catena della tradizione orale.
La data della morte è del tutto sconosciuta, come non si può dire che sia morto martire, cosa possibile dato i tempi.
Il suo nome non compare negli antichi calendari, il primo a menzionarlo in Occidente, nel suo ‘Martirologio’ fu Adone, che lo pone al 22 febbraio, influenzato da San Girolamo che dedicò un capitolo a Papia di Geropoli nel suo “De Viris illustribus”, classificandolo però come discepolo di San Giovanni apostolo.
Errore proseguito fino al secolo XVI, quando Cesare Baronio nel suo "Martirologio Romano" pur rimanendo la memoria al 22 febbraio, corresse la qualifica di discepolo di San Giovanni apostolo in “Giovanni il presbitero”.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Papia di Gerapoli, pregate per noi.
*San Pascasio di Vienne – Vescovo (22 febbraio)
Prima del 441
Martirologio Romano: A Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Pascasio, vescovo, insigne per cultura e santità di costumi.
San Pascasio (o Paschade) divenne vescovo e governò la diocesi di Vienne agli inizi del V secolo.
Nella cronotassi ufficiale dei vescovi della diocesi è inserito all’undicesimo posto, come indicato dalla "Cronaca universale" di Adone.
Fa parte di quella prima schiera di vescovi antichi della diocesi di Vienne, che vengono considerati tutti Santi.
Non c’è una data certa del suo governo. Sappiamo che succede a San Simplicio menzionato nel 400 e precede San Claudio, vescovo prima del 441.
Viene ricordato per la sua integrità ed erudizione.
Inoltre San Pascasio è conosciuto quale un famoso confessore.
Su di lui, intorno al secolo X, si inventò un falso privilegio, secondo cui il Papa Silvestro in una sua lettera autografa lo nominava primate di tutti i Vescovi di Gallia.
La sua festa è stata fissata al 22 febbraio.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pascasio di Vienne, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (22 febbraio)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.