Santi del 21 Maggio
*Adilio Dazronch *Beinio, Fabio e & *Carlo Eugenio De Mazenod *Cristoforo Magallanes e 24 & *Emanuele Gomez Gonzalez e Adilio Daronch *Enrico VI *Eugenio Mazenod *Giovanni Mopinot *Godrico *Hemming di Abo *Isberga *Lucio Del Rio *Mancio di Ebora *Martiri di Pentecoste ad Alessandria *Martiri Messicani *Nicostrato e Antioco *Ospizio *Paterno di Vannes *Pietro Parenzo *Polieuto *Silao *Teobaldo di Vienne *Timoteo *Vittorio e & *Zeno di Verona *Altri Santi del giorno
*Beato Adilio Daronch - Chierichetto e Martire (21 Maggio)
Dona Francisca, Brasile,25 ottobre 1908 - Feijão Miúdo, Brasile, 21 maggio 1924
Manuel Gomez Gonzalez, sacerdote della diocesi di Feredico Westphalen, nato il 29 maggio 1877 a San José de Ribarteme (Spagna), ed il giovane laico Adilio Daronch, nato il 25 ottobre 1908 a Dona Francisca (Brasile), furono uccisi insieme in odio alla fede cattolica il 21 maggio 1924 nella foresta nei pressi di Feijão Miúdo (Brasile). Dopo un rapidissimo processo di beatificazione, il 16 dicembre 2006 è stato riconosciuto il loro martirio.
Sono stati dichiarati "Beati" il 21 ottobre 2007.
Mi sono, spesso, chiesto quale guadagno non sarebbe per la vita cristiana se l’anelito ardente alla santità neutralizzasse e sostituisse quell’aurea mediocritas che fa adagiare l’anima, troppo spesso, nelle mezze misure e in tanti piccoli compromessi. Quale recupero di vitalità non apporterebbe al nostro evangelizzare, alla nostra fede, al nostro sentirci Chiesa, al nostro essere testimoni credenti e credibili e al nostro appartenere a Cristo l’anelito ardente alla santità.
In un mondo sordo alla voce dell'amore i testimoni della fede ci aiutino a ri-scrivere, se necessario, una nuova antropologia, dove al posto della natura non ci sia la cultura; dove al posto dell'uomo in progress, dell'uomo indistinto, indifferenziato, dell'apolide, del cittadino asessuato, schiavo dell'economia e di questo disastroso nuovo ordine mondiale, ci sia l'uomo pienamente uomo. Intriso di Vangelo.
Ci liberano da una questa «cultura libertaria», che è all'origine di questa società delle pulsioni e dell'io; di questa società egoistica e megalomane da cui proviene l'idea di una libertà irresponsabile e senza limiti che mercifica tutto. Per questo vale la pena invocarli ed imitarli.
Questi schizzi biografici presentano alcuni tratti della vita del beato martire Adìlio Daronch ucciso in odium fidei insieme col suo parroco Don Emanuele Gómez González. Per quanto riguarda il giovane chierichetto, urge precisare, che i fatti esterni sono scarni e senza grande interesse di cronaca come avviene, normalmente, per un ragazzo di appena sedici anni; di lui, infatti, non sono rimaste tracce documentarie significative, ma i ricordi di due sue sorelle (Carmelinda Daronch Socal e Zolira Daronch Ziani), di altre persone che l’anno conosciuto, così come quello, per esempio, del suo barbaro assassino.
Facciamo un passo indietro: l’Italia è stata interessata dal fenomeno dell'emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo l'unità d'Italia verso il 1880, anche il Mezzogiorno (Calabria, Campania e Sicilia). Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 furono quasi nove milioni da tutto il paese.
Tale fenomeno ebbe come destinazioni soprattutto l'America del sud e gli Stati Uniti. Negli Stati Uniti e in Brasile si caratterizzò prevalentemente come un'emigrazione di lungo periodo.
Il Brasile ha oggi la più grande popolazione italiana fuori dall'Italia. Il picco massimo dell'emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. Furono le grandi "fazendas" la meta di agricoltori e braccianti italiani; in questi luoghi si lavorava la canna da zucchero ma sopratutto il caffè. Il lavoro era abbastanza duro. Non sono state poche, a tal proposito, le sofferenze in un ambiente abbastanza estraneo. L’Agordino, infatti, poi, si è caratterizzato per una storica e massiccia emigrazione; in particolare l’emigrazione di molti nel Sud America. Il Brasile è stato, poi, certamente il paese che ne ha accolto il maggior numero.
Sebastiano Daronch, nonno del beato, e Francesca Schena, nonna del piccolo Adìlio, con i figli Luigi, Vincenzo, Giovanna Maria e Pietro (padre di Adìlio), arrivarono in Brasile, nel gennaio, 1890, con la nave "Europa" all’Isola dei Fiori (Rio de Janeiro) e venne loro assegnato il lotto 519 della Linea 11, Nucleo Soturno dell’ex colonia Silveira Martins, località nella quale Francesca Schena si distinse come una brava ostetrica. Pietro, il padre del nostro beato, all’età di 18 anni, si traferì a Dona Francisca (distante 30 km), per lavorare come apprendista calzolaio e sellaio. Il 15 gennaio 1905, contrasse matrimonio con Judithe (Ida) Segabinazzi, sestogenita dei coniugi Felippe e Praxedes Girardi (Giordani), nata il 2 febbraio 1884 a Silveira Martins. La cerimonia nuziale si svolse a Soturno e venne officiata dal parroco, P. Guido Spiesbenger, pallottino, e con testimoni Fiorenzo Dellamena e João Custódio Neto. La coppia si stabilì a Dona Francisca.
Ebbero tre figli, Herminia, Abílio e il nostro Adilio. Alcuni, anni dopo, però, la famiglia si trasferì a Passo Fundo, dove nacque Zolmira, ed inseguito si spostarono a Nonoai dove vennero alla luce Carmelinda, Annita, João e Vilma.
Il padre del nostro piccolo beato morirà a Marcelino Ramos, il 5 maggio 1923, durante uno scontro armato tra opposte fazioni, la madre invece, morirà a Dona Francisca il 23 marzo 1932. Adílio era una giovane serio, devoto e tranquillo. La sua vita era già stata segnata dalla morte del padre, e di conseguenza dall’incombere di quei problemi che investono, in situazioni simile, tutto il nucleo famigliare.
La sorella Zolmira ricorda che amava il calcio e andare a cavallo. Ne possedeva uno a cui era molto legato e che gli piaceva molto. Era un giovinetto educato e disciplinato, molto studioso. La stessa sorella, in una lettera a Don Arlindo Rubert annota: «[…] la mamma ci insegnò sempre la retta via, fino ali ultimi momenti della sua vita ci diceva: "Essere poveri non è difetto, poveri ma onesti"». Adílio accompagnava volentieri, insieme, con gli amici João Marcondes Lajus, detto Nené Lajus, e Marco, Don Emanuele, nelle sue visite, servendo con piacere la santa messa. La famiglia di Adílio sia per la sua onestà che il suo spirito caritatevole era molto apprezzata e stimata. Don Emanuele ricorse spesso ai buoni servigi della famiglia Daronch e mantenne con la stessa una sincera amicizia.
Quando il sacerdote fondò la scuola, i figli di Pietro e Giuditta, furono suoi allievi, come pure alunni di catechismo. Fu, infatti, Don Emanuele a prepararli ai sacramenti. Adílio fece con lui la prima comunione.
Il clima famigliare era alquanto armonioso: la mamma aveva gran cura della famiglia, animava i figli allo studio e nella catechesi. I contatti del beato parroco con la famiglia Daronch si intensificarono maggiormente dopo la morte del padre di Adílio: lo zelante parroco prese a cuore la situazione non facile della famiglia. Proprio per questa confidenza e per questo affetto, Giuditta, la mamma del piccolo chierichetto acconsentì a che il figlio accompagnasse Don Emanuele in quel lungo viaggio durante il quale doveva visitare alcune comunità lontane affidate alla sua cura pastorale. La viva testimonianza dei beati Don Emanuele Gómez González ed Adílio Daronch, sacerdote e chierichetto uccisi in odium fidei, in Brasile, il 21 maggio 1924 ci ricordano che la «la fede cristiana è – si potrebbe dire – una fede ostinata: ogni volta che s’imbatte con la morte proclama che la morte non ha l’ultima parola.
E questo lo crediamo, lo affermiamo e vorremmo annunziarlo al mondo, perché sappiamo che c’è già stata una prima vittoria della vita sulla morte: nella risurrezione di Gesù Cristo» (cit. Sofia Cavalletti). Adílio, nella sua semplicità ha esemplificare agli occhi della Chiesa e del mondo un’adolescenza riuscita, ovvero una figura dell’umano giovanile totalmente risolta nella forma del dono.
Ha delineato in che modo possa e debba essere realizzata pienamente anche da parte di un ragazzo la logica pasquale che è il cuore del cristianesimo e la chiave dell’antropologia.
Amare e donare si realizzano nell’offrire se stessi nelle mani di Dio come un canale attraverso il quale Gesù fa conoscere il suo amore al mondo. Sia anche per noi, così!
(Autore: Andrea Maniglia – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Adilio Daronch, pregate per noi.
*Santi Beinio, Fabio, Emanuele e Fermo - Corpi santi (21 Maggio)
Traslazione: XVII secolo
Il 22 ottobre 1633 veniva posta la prima pietra del monastero delle Carmelitane Scalze di Vienna, dedicato a San Giuseppe.
Fu eletta prima priora Paola Maria di Gesù, oriunda di Genova, che morì poi in concetto di santità il 15 gennaio 1646.
Tale monastero fu dotato di un elevato numero di reliquie, pare oltre duecento, fatte pervenire da ogni parte.
Il bollandista Daniele Papebroech (1628-1714) fu pregato dal carmelitano scalzo Paolo di Tutti i Santi, definitore dell’Ordine in Germania, derogando alla solita regola di non trattare "operose ac singillatim" dei martiri "recentiori memoria Romae editis", di trattare circa alcuni dei martiri delle cui reliquie erano entrati in possesso.
Fece dunque menzione di Beinio, Fabio, Emanuele e Fermo, la cui festa comune era celebrata al 21 maggio, ma singolarmente erano invece festeggiati rispettivamente il 21, il 27, il 30 maggio ed il 1° giugno.
Il dotto gesuita, osservando come il nome Emanuele non potesse appartenere ad un martire romano dei primi secoli e, di conseguenza, "ex designatione inventoris vel donatoris inditum credi possit", concluse dunque che "Quibus porro indiciis crediti sint illi, quorum sic translata sunt ossa, vere martyres Christi fuisse, tacentibus donationum instrumentis, dicere nequimus".
Era dunque evidente ci si trovasse di fronte a dei corpi santi, estratti dalle catacombe, ma ai quali arbitrariamente furono assegnati dei nomi per poter porre tali reliquie ala venerazione dei fedeli.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Beinio, Fabio, Emanuele e Fermo, pregate per noi.
*San Carlo Eugenio De Mazenod - Vescovo e Fondatore (21 Maggio)
Aix in Provenza, Francia, 1 agosto 1782 - Marsiglia, Francia, 21 maggio 1861
Nato ad Aix in Provenza il 1° agosto 1782 figlio di una nobile famiglia, Carlo Giuseppe Eugenio Mazenod trascorre la sua gioventù in Italia, esule della rivoluzione francese. Torna in patria nel 1802, sei anni più tardi, entra nel Seminario di San Sulpizio a Parigi e viene ordinato sacerdote ad Amiens nel 1811.
Torna ad Aix e qui, nel 1816, fonda la Società dei missionari di Provenza che più tardi si chiameranno Oblati di Maria Immacolata. Nominato vicario della diocesi di Marsiglia e poi, nel 1837, vescovo "per ben 37 anni", attua pienamente il suo motto: «Mi ha mandato per evangelizzare i poveri».
Muore il 21 maggio 1861, lasciando in testamento agli Oblati che lo circondava queste parole: «Praticate tra voi la carità, la carità, la carità" e a al di fuori lo zelo per la salvezza delle anime». É stato beatificato il 19 ottobre 1975 da Paolo VI e proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 1995.
Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Marsiglia in Francia, San Carlo Eugenio de Mazenod, Vescovo, che, per portare il Vangelo tra i poveri, istituì i Missionari Oblati di Maria Immacolata e per circa venticinque anni diede lustro alla sua Chiesa con le virtù, le opere, la predicazione e gli scritti.
Suo padre era presidente della Corte dei conti della Provenza e aveva visto con trepidazione il 5 maggio 1789 radunarsi gli stati generali a Parigi, sotto l’influsso delle idee rivoluzionarie e massoniche.
Nel 1790 l’illustre magistrato, Monsieur de Mazenod, da Aix-en-Provence, si rifugiò con la famiglia a Nizza, allora appartenente alla repubblica di Genova, per il momento ancora libera dai rivoluzionari di Francia.
Un ragazzo esule
Portava con sé un bambino di otto anni, nato il 2 agosto 1782, a Aix, intelligente, di singolare bontà, di nome Eugenio. Dai suoi genitori, il piccolo aveva imparato a conoscere e amare Gesù e la sua Chiesa, a pregare come si parla al più grande Amico e unico Signore.
Quando le armate rivoluzionarie dilagheranno anche a Genova, nel regno di Piemonte e in Italia, per diffondervi, tramite violenze di ogni genere, la negazione di Gesù Cristo e della sua Chiesa, Eugenio e la sua famiglia si rifugiarono prima a Torino, poi a Venezia e a Napoli, infine a Palermo.
A Venezia, Eugenio frequentò le lezioni tenute dai fratelli Zinelli, santi preti, dai quali ebbe scuola e formazione spirituale così salda che né le difficoltà dell’esilio, né le idee sovversive del tempo, né gli ambienti in cui si trovò, poterono intaccare la sua fede.
Anzi, proprio in quel tempo in cui aveva sentito di migliaia di martiri caduti per amore a Gesù sotto la ghigliottina o per la persecuzione dei rivoluzionari, era sbocciato in lui il desiderio di consacrare la vita al suo Signore e Maestro: «Sarò sacerdote per Lui. Io vivrò per Lui».
In prima linea
Nel 1802 a 20 anni, poté rientrare in Francia e a Parigi chiese di essere accolto nel Seminario di Saint Sulpice. Il dibattito era caldissimo sui diritti del Papa Pio VII, conculcati, e sulle offese atroci fattegli da Napoleone, giunto al potere. Eugenio de Mazenod, nella difesa del Papa, diventò uno dei più stretti collaboratori di Mons. Emery, che lo nominò suo agente di collegamento con i Cardinali romani, esuli a Parigi.
Finalmente il 21 dicembre 1811, poté essere ordinato sacerdote da Mons. Demandolx, Vescovo di Amiens.
Nel 1812, rientrò a Aix-en-Proven­ce, la sua città natale, dove iniziò il suo apostolato predicando la Quaresima in provenzale nella chiesa della Maddalena «per i suoi rispettabili fratelli, i poveri». Fu un successo per le confessioni e le conversioni ottenute.
Subito fondò un’opera per la formazione cristiana della gioventù e accettò di dedicarsi all’apostolato nelle carceri. Nel 1815, si impegnò ancora di più nelle missioni parrocchiali iniziando nell’antico Carmelo di Aix la Società dei Missionari di Provenza, per l’apostolato della gente più povera delle campagne. Era nato il primo nucleo degli Oblati di Maria Immacolata.
Padre dei suoi sacerdoti
Nel frattempo era stata ripristinata la diocesi di Marsiglia, da affidarsi al Canonico Fortunato De Mazenod, come Arcivescovo, e a suo nipote Mons. Eugenio, come vicario generale. Correva l’anno 1823 e Mons. Fortunato aveva 73 anni, suo nipote e vicario ne aveva 41: entrambi, con perfetto accordo, intendevano rivitalizzare la diocesi che troppo aveva patito durante la rivoluzione e l’impero. Nessuna difficoltà riuscì a fermarli nel progetto di «preparare un Clero all’altezza dei tempi».
Per 14 anni, Mons. Eugenio De Mazenod sarà vicario generale, poi toccherà a lui raccogliere nelle sue mani il governo episcopale di Marsiglia, fino a essere considerato il 2º fondatore della medesima diocesi.
La città portuale stava enormemente sviluppandosi e crescendo; aumentavano i traffici e i commerci, portando nuovi problemi economici e sociali. L’Arcivescovo pensò subito di rendere i metodi di apostolato più adeguati alla crescita della diocesi per rispondere con il Vangelo di Gesù, sempre valido e attuale, ai nuovi problemi.
In breve, 22 nuove parrocchie.
Oltre a far erigere il grande Santuario di Nostra Signora della Guardia e la nuova cattedrale, progettò un grande numero di chiese nuove e molte altre fece restaurare. Chiamò in diocesi ben 25 Ordini religiosi a collaborare con i suoi preti diocesani per un apostolato che doveva arrivare a tutti, anche ai più lontani.
Ai suoi preti, già come vicario generale, poi come Arcivescovo, si rivolge con la premura di un padre e un vero maestro di santità, affinché, «a immagine di Cristo», con le dimensioni del suo Cuore divino che «abbraccia Dio e il mondo nella carità teologale e non ha pace finché c’è un’anima da salvare».
A ognuno di loro, chiede regolarità di vita, dedizione a Cristo e al ministero del confessionale, della predicazione, del catechismo, con l’intento di portare tutti a Gesù Eucaristico e da Lui al Cielo.
Centro della sua Azione è l’Eucaristia: «Lì – spiega con frequenza – Gesù è in stato di vittima come sulla croce. È non solo la vittima, ma anche il Sacerdote che si offre e si immola per noi, per attirare su di noi tutte le grazie meritate con il Suo Sacrificio, per allontanare i castighi della giustizia divina che le nostre infedeltà ci attirano».
L’impulso missionario
Soprattutto la povera gente del popolo, in primo luogo le note «pescivendole» di Marsiglia, si affezionano a lui, aristocratico anche nell’aspetto, ma così fedele alla sua vocazione di Vescovo, di Padre e Maestro della fede. Marsiglia intera lo venera, già in vita, come un santo.
Ai suoi Oblati, di Maria Immacolata, perfezionando la loro fondazione, dà come motto l’affermazione di Gesù: "Dio mi ha mandato a evangelizzare i poveri». L’ora di Dio giunge per loro quando nel 1841, vengono chiamati in Canada: 4 suoi missionari e 2 coadiutori laici si imbarcano per quel Paese lontano, subito seguiti da altri. Per la loro opera, sostenuta dal santo Arcivescovo, il messaggio di Gesù si propaga in condizioni eroiche dal Fiume Rosso all’Oceano Glaciale, dal Pacifico alla baia di Hudson.
In 20 anni, gli Oblati crescono da 60 a 415, davvero benedetti da Dio con l’affluenza di numerose vocazioni.
Altre missioni seguiranno negli Stati Uniti, nel Messico, a Ceylon, in Sud-Africa. Vedere espandersi il Regno di Gesù nella sua diocesi di Marsiglia e in terra di missione, è la gioia più grande di questo pastore dal cuore ardente come Gesù. Come grazia ultima, chiede di poter morire in piena lucidità. Offre a Dio il suo estremo sacrificio, mentre intorno a lui i suoi «figli», cantano dolcemente la «Salve Regina». È il 21 maggio 1861.
Papa Paolo VI lo beatificò il 19 ottobre 1975 e Giovanni Paolo II, il 3 dicembre 1995, lo iscrisse tra i santi: Sant’Eugenio de Mazenod.
Autore: Paolo Risso
In casa sua ci sono dodici domestici, e lui da piccolo ogni tanto li fa stare immobili e schierati ad ascoltare i suoi discorsi, che imitano quelli dei predicatori. Ha tre nomi (Carlo, Giuseppe, Eugenio), secondo l’uso della famiglia, che è nobile per parte di padre e ricca per la dote proveniente dalla madre. Scoppiata nel 1789 la Rivoluzione francese, i Mazenod fuggono in Italia (Torino, Venezia, Napoli, Palermo), ma già nel 1795 la madre torna in patria, e chiede il divorzio dal marito per salvare il patrimonio dalle confische.
Eugenio ricompare ad Aix-en-Provence solo nel 1802, a vent’anni. Potrebbe avviarsi alla carriera amministrativa, come suo padre; ma durante il soggiorno veneziano (1794-97), il sacerdote Bartolo Zinelli lo ha già avviato alla vita di fede. E lui, nel 1808, entra nel seminario di San Sulpizio a Parigi, ricevendo poi l’ordinazione sacerdotale ad Amiens nel 1811.
Tornato ad Aix, si dedica unicamente alla predicazione, con alcuni altri sacerdoti votati alla missione popolare nelle campagne scristianizzate dalla Rivoluzione (e dai pessimi esempi di prima). Con essi, nel 1816, egli fonda la Società dei Missionari di Provenza, che più tardi si chiameranno Oblati di Maria Immacolata, con tutti i riconoscimenti pontifici, ma sempre scarsi di numero: nel 1841 saranno appena 59. Intanto Eugenio de Mazenod diventa vicario generale della diocesi di Marsiglia (che è guidata da un suo vecchio zio).
Più tardi ne sarà vescovo e, in 37 anni di ministero nella grande città portuale, si scriverà: "egli ricostruì l’opera di quindici secoli". Il tutto, in mezzo a frequenti scontri con i Governi di Parigi – monarchici o repubblicani che fossero – e a penosi dissensi con sacerdoti che non accettavano la regola della vita in comune da lui imposta.
Ma gli volevano bene i semplici fedeli; "e in particolare le famose e tremende pescivendole si affezionarono a quel prelato aristocratico tanto fedele alla sua vocazione: l’evangelizzazione del povero" (N. Del Re). Oltre a guidare la diocesi, Eugenio continua a governare i suoi Oblati, che negli anni Quaranta del secolo "esplodono": i 59 del 1841 saranno 415 vent’anni dopo, e continueranno a crescere, andando a predicare in Canada, Stati Uniti, Messico e poi in Africa e in Asia.
Da giovane prete aveva preso il tifo in mezzo ai prigionieri di guerra austriaci, sostituendo il loro cappellano che di tifo era morto.
E pure la morte sua è ancora predicazione. Egli ha sempre chiesto al Signore la grazia di morire in piena lucidità, e così avviene: Eugenio de Mazenod si spegne al canto del Salve Regina, in mezzo agli Oblati, che sulla sua spinta andranno "fino all’estremo limite delle terre abitate", come dice Paolo VI beatificandolo nel 1975. Nel 1995, Giovanni Paolo II lo proclama Santo.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Carlo Eugenio De Mazenod, pregate per noi.
*Santi Cristoforo Magallanes e Compagni (21 Maggio)
Memoria dei Santi Martiri Cristoforo Magallanes, presbitero, e compagni, che furono perseguitati in diverse diocesi del Messico in odio al nome di Cristo e alla Chiesa Cattolica, ed avendo testimoniato Cristo Re conseguirono la corona del martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Cristoforo Magallanes e Compagni, pregate per noi.
*Beati Emanuele Gomez Gonzalez ed Adilio Daronch (21 Maggio)
+ Feijão Miúdo, Brasile, 21 maggio 1924
Manuel Gomez Gonzalez, sacerdote della diocesi di Feredico Westphalen, nato il 29 maggio 1877 a San José de Ribarteme (Spagna), ed il giovane laico Adilio Daronch, nato il 25 ottobre 1908 a Dona Francisca (Brasile), furono uccisi insieme in odio alla fede cattolica il 21 maggio 1924 nella foresta nei pressi di Feijão Miúdo (Brasile).
Dopo un rapidissimo processo di beatificazione, il 16 dicembre 2006 è stato riconosciuto il loro martirio. Sono stati dichiarati "beati" il 21 ottobre 2007.
Emanuele Gomaz Gonzalez nacque il 29 maggio 1877 presso Tuy-Pontevedra, in Spagna, da Giuseppe e Giuseppa Gonzalez. Terminato il percorso di studi richiesto, il 24 maggio 1902 ricevette l’ordinazione presbiterale nel suo paese natale ed iniziò ad esercitare il ministero sacerdotale nella sua diocesi.
Dal 1904 fu accolto dietro sua richiesta dalla vicina diocesi di Braga, in Portogallo, divenendo parroco di Val de Vez e poi, nel 1911, di Monsaò.
Con l’insorgere di problemi politici e religiosi, nel 1913 gli fu concesso di salpare per il Brasile.
Qui, dopo una tappa a Rio de Janeiro, monsignor Miguel de Lima Valverde lo accolse nella diocesi di Santa Maria (Rio Grande do Sul).
Per breve tempo fu dunque parroco Soledade, finchè il 7 dicembre 1915 gli fu affidata l’immensa parrocchia di Nonoai, quasi una piccola diocesi: qui svolse una così intensa opera pastorale da cambiare in otto anni il volto della parrocchia, prendedosi cura anche degli indios e dovendosi occupare talvolta anche della vicina parrocchia di Palmeiras de Missoes quale amministratore. Proprio nel territorio di questa seconda parrocchia affidata alle sue cure avrebbe subito il martirio.
Adilio Daronch nacque il 25 ottobre 1908 presso Dona Francisca, nella zona di Cachoeira do Sul (Rio Grande do Sul) in Brasile. I suoi genitori, Pedro Daronch e Judite Segabinazzi, avevano 8 figli: nel 1911 la famiglia si trasferì a Passo Fundo e nel 1913 a Nonoai. Adilio faceva parte del gruppo di adolescenti che accompagnava Padre Manuel nei suoi lunghi e faticosi viaggi pastorali, tra cui quello presso gli indios Kaingang. Fedele chierichetto, Adilio era anche alunno della scuola fondata dal missionario.
Il vescovo di Santa Maria , monsignor Atico Eusebio da Rocha, chiese al sacerdote spagnolo di recarsi in visita presso un gruppo di coloni teutonici brasiliani stanziati nella foresta Tres Passon. Dopo aver celebrato la Settimana Santa nella parrocchia di Nonoai, Padre Manuel si incamminò con il giovane Adilio nonostante la regione fosse scossa da movimenti rivoluzionari. Sostò in un primo tempo a Palmeria, ove amministrò i sacramenti e non mancò di esortare al rispetto reciproco i rivoluzionari locali, almeno in nome della comune fede cristiana. I più estremisti non gradirono però l’intervento del religioso, neppure l’aver dato sepoltura per pità cristiana alle vittime delle bande locali.
Proseguirono poi il loro viaggio verso Braga ed in seguito nella colonia militare della zona, ove il 20 maggio 1924 celebrò per l’ultima volta l’Eucaristia. I fedeli indigeni avvertirono il sacerdote del pericolo che avrebbe corso inoltrandosi nella foresta, ma egli non diede loro ascolto, ardendo dal desiderio di portare loro la grazia divina. Giunti ad un emporio, in cerca di informazioni su come raggiungere i coloni di Tres Passos, trovarono dei militari che con gentilezza si offrirono di accompagnarli. Si trattava in realtà di un’imboscata appositamente organizzata: Padre Manuel ed il suo fedele ministrante Adilio, allora appena sedicenne, furono in realtà condotti in una remota zona della foresta ove ad attenderli trovarono i capi militari. Giunti su un’altura, i due compagni di martirio vennero legati a due alberi e fucilati, morendo così in odio alla fede cristiana ed alla Chiesa cattolica. Era il 21 maggio 1924.
Le bestie della foresta rispettarono quasi miracolosamente i corpi dei due martiri e solo dopo quattro giorni i coloni di Tres Passos riuscirono a dar loro sepoltura. Dal 1964 le loro spoglie, ormai considerate vere e proprie reliquie, vennero traslate nella chiesa parrocchiale di Nonoai, mentre sulla collina di Feijão Miúdo venne eretto un monumento a ricordo dell’eccidio. I cristiani del luogo mai dimenticarono l’eroica testimonianza del parroco e del chierichetto morti per amore del Vangelo e numerosi devoti presero ad accorrere sulle loro tombe ed invocare aiuto dal Signore per loro intercessione.
Dopo un rapidissimo processo di beatificazione, iniziato con il nulla osta concesso dalla Santa Sede il 29 marzo 1996, il 4 dicembre 1998 la Congregazione per le Cause dei Santi riconobbe la validità dell’inchiesta diocesana ed il 16 dicembre 2006 finalmente Papa Benedetto XVI poté riconoscere ufficialmente il martirio di questi due fedeli servi della causa di Cristo.
Il Cardinale José Saraiva Martins ha proceduto alla loro beatificazione il 21 ottobre 2007 nella cattedrale di Sant’Antonio in Federico Westphalen.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Emanuele Gomez Gonzalez ed Adilio Daronch, pregate per noi.
*Beato Enrico VI - Re d’Inghilterra, martire (21 Maggio)
Windsor, 6 dicembre 1421 – Londra, 21 maggio 1471
Un caso di martirio nell'Inghilterra del Quattrocento, assolutamente caduto nell'oblio quantomeno agli occhi del opinione pubblica.
É la triste ma al tempo stesso gloriosa vicenda del sovrano Enrico VI. Nato da Enrico V e da Caterina di Valois il 6 dicembre 1421 presso Windsor, rimase orfano del padre all'età di soli nome mesi.
Caso probabilmente unico nella storia di re asceso al trono in così tenera età, venne a stabilirsi pertanto in Inghilterra un periodo di reggenza, che fu purtroppo caratterizzato da lotte furiose fra le famiglie che si contendevano il governo della nazione.
Finalmente Enrico VI assunse il comando nel 1442 e due anni dopo convolò a nozze con Margherita di Provenza. Forti simpatie riuscì ad accattivarsi grazie al suo carattere mite e buono, ma anche e soprattutto per la sua pietà.
Nel 1453, in seguito ad una sua malattia mentale, da cui guarì due anni dopo, si scatenò nuovamente in Inghilterra una lotta di fazioni.
É il periodo comunemente denominato “guerra delle due rose”, che vide protagoniste le famiglie di York e di Lancaster. Il regno di Enrico VI fu indubbiamente molto travagliato: sconfitte e vittorie si alternarono.
Più volte imprigionato, venne altrettante volte liberato per intervento della consorte e degli eserciti amici.
Dal 1464 rimase per ben cinque anni nella Torre di Londra, trattato decisamente male. Nel 1471 venne infine nuovamente catturato e nella notte tra il 21 e il 22 maggio assassinato nella Torre di Londra. Sepolto nel chiostro di Chertsey, nel 1484 il suo corpo fu esumato e traslato a Windsor nella cappella di San Giorgio.
La fama di martirio che si era guadagnata, subito diede adito ad un grandissimo culto popolare, accresciuto dai prodigi che avvenivano affidandosi alla sua intercessione.
Nel 1494 fu chiesta al pontefice Innocenzo VIII l’autorizzazione per un processo di canonizzazione, poi le pratiche si arenarono a causa dello scisma anglicano ed il culto stesso andò scemando.
Nel 1910 fu compiuta la ricognizione delle ossa.
L'autorevole Bibliotheca Sanctorum annovera il re inglese Enrico VI quale Beato martire.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico VI, pregate per noi.
*San Eugenio Mazenod - Vescovo (21 Maggio)
Aix in Provenza, 1 agosto 1782 - Marsiglia, 21 maggio 1861
Nato ad Aix in Provenza il 1° agosto 1782, passò la sua gioventù in Italia, esule della rivoluzione francese.
Tornato in patria fu ordinato sacerdote bel 1811, fondò nel 1816 la congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, che conta oggi quasi 7000 membri sparsi in tutto il mondo.
Nominato vescovo di Marsiglia nel 1837, attuò pienamente il suo motto: "Mi ha mandato per evangelizzare i poveri".
Morì il 21 maggio 1861, lasciando in testamento agli Oblati che lo circondavano le seguenti parole: "Praticate tra voi la carità, la carità, la carità… e a al di fuori lo zelo per la salvezza delle anime.
Numerosi favori essendo stati attribuiti alla sua intercessione, è stato beatificato il 19 ottobre 1975 da Papa Paolo VI.
Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Marsiglia in Francia, San Carlo Eugenio de Mazenod, vescovo, che, per portare il Vangelo tra i poveri, istituì i Missionari Oblati di Maria Immacolata e per circa venticinque anni diede lustro alla sua Chiesa con le virtù, le opere, la predicazione e gli scritti.
In casa sua ci sono dodici domestici, e lui da piccolo ogni tanto li fa stare immobili e schierati ad ascoltare i suoi discorsi, che imitano quelli dei predicatori.
Ha tre nomi (Carlo, Giuseppe, Eugenio), secondo l’uso della famiglia, che è nobile per parte di padre e ricca per la dote proveniente dalla madre.
Scoppiata nel 1789 la Rivoluzione francese, i Mazenod fuggono in Italia (Torino, Venezia, Napoli, Palermo), ma già nel 1795 la madre torna in patria, e chiede il divorzio dal marito per salvare il patrimonio dalle confische.
Eugenio ricompare ad Aix-en-Provence solo nel 1802, a vent’anni.
Potrebbe avviarsi alla carriera amministrativa, come suo padre; ma durante il soggiorno veneziano (1794-97), il sacerdote Bartolo Zinelli lo ha già avviato alla vita di fede.
E lui, nel 1808, entra nel seminario di San Sulpizio a Parigi, ricevendo poi l’ordinazione sacerdotale ad Amiens nel 1811.
Tornato ad Aix, si dedica unicamente alla predicazione, con alcuni altri sacerdoti votati alla missione popolare nelle campagne scristianizzate dalla Rivoluzione (e dai pessimi esempi di prima).
Con essi, nel 1816, egli fonda la Società dei Missionari di Provenza, che più tardi si chiameranno Oblati di Maria Immacolata, con tutti i riconoscimenti pontifici, ma sempre scarsi di numero: nel 1841 saranno appena 59.
Intanto Eugenio de Mazenod diventa vicario generale della diocesi di Marsiglia (che è guidata da un suo vecchio zio).
Più tardi ne sarà vescovo e, in 37 anni di ministero nella grande città portuale, si scriverà: "egli ricostruì l’opera di quindici secoli".
Il tutto, in mezzo a frequenti scontri con i Governi di Parigi – monarchici o repubblicani che fossero – e a penosi dissensi con sacerdoti che non accettavano la regola della vita in comune da lui imposta.
Ma gli volevano bene i semplici fedeli; "e in particolare le famose e tremende pescivendole si affezionarono a quel prelato aristocratico tanto fedele alla sua vocazione: l’evangelizzazione del povero" (N. Del Re).
Oltre a guidare la diocesi, Eugenio continua a governare i suoi Oblati, che negli anni Quaranta del secolo “esplodono”: i 59 del 1841 saranno 415 vent’anni dopo, e continueranno a crescere, andando a predicare in Canada, Stati Uniti, Messico e poi in Africa e in Asia.
Da giovane prete aveva preso il tifo in mezzo ai prigionieri di guerra austriaci, sostituendo il loro cappellano che di tifo era morto.
E pure la morte sua è ancora predicazione. Egli ha sempre chiesto al Signore la grazia di morire in piena lucidità, e così avviene: Eugenio de Mazenod si spegne al canto del Salve Regina, in mezzo agli Oblati, che sulla sua spinta andranno "fino all’estremo limite delle terre abitate", come dice Paolo VI beatificandolo nel 1975.
Nel 1995, Giovanni Paolo II lo proclama Santo.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Eugenio Mazenod, pregate per noi.
*Beato Giovanni (Jean) Mopinot - Religioso e Martire (21 Maggio)
Schede dei gruppi a cui appartiene il Beato Giovanni (Jean) Mopinot:
“Beati Martiri Lasalliani di Rochefort” - Religiosi professi
“Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort” - 64 martiri della Rivoluzione Francese
Rheims, Francia, 12 settembre 1724 – Rochefort, Francia, 21 maggio 1794
Jean (Giovanni) Mopinot era nato a Rheims, in Francia, il 12 settembre 1724 ed era entrato nel noviziato lasalliano (i Fratelli delle Scuole cristiane) il 14 gennaio 1794.
Imprionato durante la Rivolzione francese su particolari imbarcazioni chiamate pontoni, morì di stenti e per malattia il 21 maggio 1794 al largo di Rochefort, primo di un gruppo di confratelli anch'essi prigionieri.
Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 1° ottobre 1995 insieme a 63 martiri morti durante la Rivoluzione transalpina: furono le vittime delle sofferenze patite per la fede, conosciuti come «Martiri dei pontoni di Rochefort».
Si salvarono dai maltrattamenti subiti 285 persone che furono liberate il 12 febbraio 1795: tornati nei loro paesi, lasciarono testimonianze scritte dell'eroico esempio dei loro compagni, permettendo così l'avvio dei processi di beatificazione. I Fratelli delle Scuole cristiane imprigionati nei pontoni furono sette.
Tre si salvarono, mentre i rimanenti quattro (compreso Jean) morirono in prigione.
Dei 4 deceduti in carcere non sono giunte notizie di fratel Pierre-Christope, che non è stato beatificato. (Avvenire)
Martirologio Romano: Al largo di Rochefort sulla costa francese, Beato Giovanni Mopinot, fratello delle Scuole Cristiane e martire, che, durante la rivoluzione francese, fu detenuto, in quanto religioso, in una sordida galera, dove morì di malattia.
Il Papa Giovanni Paolo II beatificò il 1° ottobre 1995 un gruppo di 64 martiri morti durante la Rivoluzione Francese, vittime delle sofferenze patite per la fede, noti quali “Martiri dei pontoni di Rochefort”.
Sulla vecchia imbarcazione “Deux-Associés”, ancorata nella regione de La Rochelle, furono imprigionati e morirono fra gli altri anche tre Fratelli delle Scuole Cristiane. Patirono sofferenze e vessazioni terribili a causa della loro fede e morirono in seguito ai maltrattamenti subiti. Ben 285 sopravvissuti furono invece liberati il 12 febbraio 1795 e, tornati ai loro paesi, lasciarono testimonianze scritte dell’eroico esempio dei loro compagni, permettendo così l’avvio dei processi per la loro beatificazione.
I Fratelli delle Scuole Cristiane imprigionati nei pontoni furono in realtà complessivamente sette: Roger, Léon, Uldaric, Pierre-Christophe, Donat-Joseph, Avertin et Jugon.
Questi ultimi tre furono appunto tra i sopravvissuti e liberati il 12 febbraio 1795. Tra i quattro morti in prigione invece, non furono tramandate notizie circa fratel Pierre-Christophe, che conseguentemente non è stato beatificato.
Il Martyrologium Romanum, che commemora i martiri singolarmente o in gruppo a seconda dell’anniversario del martirio, pone in data odierna la festa di Fratel Léon, al secolo Jean Mopinot.
Questi nacque nella città francese di Rheims il 12 settembre 1724 ed entrò nel noviziato lasalliano il 14 gennaio 1744. Imprigionato nei pontoni, morì infine ammalato al largo di Rochefort il 21 maggio 1794, primo fra i suoi confratelli.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Mopinot, pregate per noi.
*San Godrico - Eremita (21 Maggio)
+ 22 maggio 1170
Nato a Walpole, nel Norfolk, da poveri genitori, Godrico divenne mercante ambulante per aiutare i suoi genitori.
In seguito distribuì ai poveri la fortuna abilmente accumulata e si diede alla pratica dei pellegrinaggi, recandosi a Roma, in Terra Santa e a Compostela.
Decise poi di dedicarsi alla vita eremitica nelle foreste di Durham e poi in un luogo vicino al santuario di San Cutberto.
La sua fama si diffuse ben presto, tanto che le folle lo visitavano per esserne edificate e confortate.
Morì il 22 maggio 1170 e fu sepolto nella piccola chiesa da lui stesso costruita.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 21 maggio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Godrico, pregate per noi.
*San Hemming di Abo - Vescovo (21 Maggio)
Nato a nord di Uppsala in Svezia alla fine del 1200, divenne vescovo di Abo, odierna Turku in Finlandia. Morì il 21 maggio 1366.
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Turku in Finlandia, Sant’Hemming, vescovo, che rifulse per il suo zelo pastorale: rinnovò la disciplina di questa Chiesa con l’indizione di un sinodo, favorì gli studi dei chierici, diede maggior decoro al culto divino e promosse la pace tra i popoli.
Prima che la Svezia conoscesse l’avvento della Riforma Protestante luterana, vi era stata una fioritura di Santi della religione cattolica, una fra tutti Santa Brigida. Nell’eletta schiera troviamo Sant’ Hemming, nacque nella parrocchia di Balinge a nord di Uppsala, verso la fine del 1200 (sec. XIII). Visto le sue attitudini alla vita sacerdotale, fu mandato a studiare ad Uppsala nelle scuole dipendenti dalla cattedrale, dopo ordinato sacerdote, proseguì gli studi all’Università di Parigi dove conobbe, fra gli altri insigni maestri anche Pietro Ruggero de Rosière che diventerà poi Papa con il nome di Clemente VI.
Nel 1329 fu nominato canonico del duomo di Abo, odierna Turku in quella parte del regno svedese dal nome Osterland, odierna Finlandia, sulla sponda opposta alla Svezia del Golfo di Botnia.
Fattosi ammirare nella nuova sede dal clero locale, divenne naturale che alla morte del vescovo Bengt nel 1338, egli venisse eletto all’unanimità dai canonici riuniti e che contrariamente alla regola non fecero votazioni e scrissero parole di elogio e apprezzamento per la sua persona, nella lettera che comunicava le loro decisioni all’arcivescovo di Uppsala, da cui dipendeva la diocesi di Abo.
La sua opera fu enorme e qualificata: organizzò la mensa episcopale, diede maggiore importanza e incremento alle scuole per sacerdoti annesse al duomo (precursori dei seminari diocesani), incrementò il tesoro della cattedrale con vasi e oggetti preziosi, regalò al duomo la sua ricca raccolta di libri amanuensi di teologia e diritto canonico, che aveva iniziato a raccogliere nel suo periodo parigino; conscio della cultura ricevuta personalmente, dispose che i più meritevoli fra gli aspiranti sacerdoti potessero andare a Parigi a studiare.
L’organizzazione della diocesi fin nella più piccola parrocchia, le liturgie, le festività, l’amministrazione dei beni, il riposo festivo, ecc. furono discussi e regolamentati nei sinodi da lui indetti; a leggere gli articoli e gli argomenti che vennero disciplinati, sembra che si parli di una diocesi e parrocchie del nostro tempo e non del lontano 1352.
Viaggiò molto e per quell’epoca era una cosa non facile, verso il 1347 andò in Francia dove per incarico di Santa Brigida di Svezia a cui era legato da una grande amicizia, dovette visitare Papa Clemente VI, già suo maestro a Parigi, che stava nella sua sede di Avignone per persuaderlo a tornare a Roma, ed inoltre animato, come la regina Brigida, di desiderio di pace, cercò di riappacificare, senza riuscirvi, i re di Francia ed Inghilterra che erano in guerra.
Egli morì il 21 maggio 1366 dopo 29 anni circa di episcopato, fu quasi subito considerato un Santo e già dal 1400 veniva invocato come intercessore nei casi di malattia e pericolo. Nonostante l’abitudine del clero di Abo di registrare tutti i miracoli che gli venivano attribuiti e i pellegrinaggi alla sua tomba nel duomo, non si arrivò mai ad una dichiarazione ufficiale della Santa Sede sulla sua santità, perché tutti gli atti relativi andarono persi.
Comunque però la Santa Sede nel 1514, un poco prima che subentrasse la riforma Protestante, autorizzò una traslazione del corpo del vescovo Hemming e la deposizione delle sue reliquie in un reliquiario, ancora oggi nel duomo di Abo (Turku) ormai in Finlandia; esiste una pala d’altare proveniente da Urdiala in Finlandia che lo rappresenta insieme a Santa Brigida, con l’aureola di santo e con un angelo che gli pone sul capo la mitria di vescovo.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Hemming di Abo, pregate per noi.
*Sant'Isberga (Gisella) - Badessa (21 Maggio)
VIII secolo – inizio IX secolo
Patronato: Artois
Nella data odierna, dedicata in Oriente alla festa del santo imperatore Costantino I il Grande e di sua madre Elena, si ricorda invece in Occidente la figura di Santa Isberga, sorella quasi leggendaria del primo Sacro Romano Imperatore Carlo Magno.
Se da un lato è pur vero che la Chiesa latina non ha mai concesso a nessuno dei suoi figli il titolo di “Uguale agli Apostoli” che i bizantini tributano a Costantino e non solo, resta comunque il fatto che il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, indicò il caso di Carlo Magno quale classico esempio di equivalenza fra venerazione tradizionale e regolare beatificazione (De servorum Dei beatificatione, I, cap. 9, n. 4).
La pietà popolare ha inoltre voluto cingere il Padre dell’Europa anche di una corona di santità tutta al femminile, annoverante sua beata madre Berta, la sua beata sposa Ildegarda e la predetta Santa sorella Isberga.
Quest’ultima, che figura nei calendari della diocesi francese di Arras, sarebbe vissuta nell’VIII secolo, per poi morire agli inizi del secolo successivo.
La tradizione la vuole badessa di un non meglio specificato monastero, nonché patrona della regione dell’Artois, attorno ad Arras.
Gli storici sostengono invece che l’unica sorella dell’imperatore Carlo Magno si sia chiamataGisella e sia effettivamente stata badessa di un monastero presso Soissons.
Non è dunque da escludere una identificazione tra le due persone, i cui nomi sono entrambi di origine germanica.
Il culto di Isberga è indiscussamente antico e supportato da sufficiente documentazione, anche se la sua figura non ha mai goduto una popolarità paragonabile a quella di altri personaggi di stirpe reale europei.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Isberga, pregate per noi.
*Beato Lucio del Rio - Mercedario (21 Maggio)
+ Barcellona, Spagna, 1342
Confessore di Giacomo II°, Re di Castiglia e dell’Infanta Isabella, il mercedario Beato Lucio del Rio, si gloriava della sola croce del Signore.
E per i meriti della croce, nel convento di Sant’Eulalia in Barcellona morì centenario nell’anno 1342 raggiungendo le delizie eterne del paradiso.
L’Ordine lo festeggia il 21 maggio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Lucio del Rio, pregate per noi.
*San Mancio di Ebora - Vescovo e Martire (21 Maggio)
† Ebora, Portogallo, 15 maggio V-VI sec. (?)
Martirologio Romano: A Évora in Portogallo, San Mancio, Martire.
Poche sono le notizie sicure che noi possediamo intorno a san Mancio (Manzio). Forse era di origine romana e fu ucciso dai Giudei nel territorio di Ebora in Portogallo il 15 maggio. Non si conosce l’anno del suo martirio e neppure il secolo, che alcuni ritengono il V o il VI.
Le pretese di coloro che lo dicono vissuto nel I secolo e che lo fanno il primo vescovo di Ebora non hanno fondamento.
Le reliquie furono venerate nella chiesa a lui dedicata, ad Ebora, fino agli inizi del secolo VIII, epoca dell’invasione dei musulmani, quando vennero trasferite al monastero benedettino di Villanueva di San Mancio, in diocesi di Palencia, la cui chiesa fu consacrata a Mancio il 27 maggio 1195.
A Sahagun, probabilmente nella stessa epoca, gli si dedicò un’altra chiesa nella quale, nel 1565, fu trasferita la testa. Nel 1592 fu inviato un braccio alla chiesa a lui dedicata in Ebora, come attesta il Breviario di questa diocesi, stampato nel 1702.
La festa si celebra a Ebora il 21 maggio, alla stessa data segnata dagli Atti leggendari, dal Martirologio di Floro e da alcuni messaggi di quello di Usuardo.
Baronio, alla stregua del Trujillo nel suo Thesaurus concionatorum, gli assegnò la data del 15 maggio, giorno in cui si celebra anche la festa dei Varones apostòlicos.
Nella città di Cesena, in Romagna, l'11 aprile 1685 fu posta la prima pietra della chiesa del Suffragio, intitolata alla Natività della Madonna e a san Mancio e il 15 maggio si recita l’Ufficio del martire con le lezioni del secondo Notturno compilate dal vescovo Antonio Maria Cadolini, approvate dalla Santa Congregazione dei Riti il 9 marzo 1824.
Ma si tratta di un culto tardivo, dovuto alle fantasticherie di un cronista di nessun valore, Bernardino Manzoni, definito dal Lanzoni «uno dei più ingenui campanilisti del secolo XVII, che sognava ad occhi aperti», il quale, senza alcuna ragione, volle fare di Mancio un cittadino cesenate dei tempi di Cristo e per giunta, data la somiglianza dei nomi Manzius e Manzonius, un ascendente della sua famiglia.
(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mancio di Ebora, pregate per noi.
*Santi Martiri di Pentecoste ad Alessandria (21 Maggio)
m. 339
Martirologio Romano: Commemorazione dei Santi martiri, uomini e donne, che ad Alessandria d’Egitto nei sacri giorni di Pentecoste il vescovo ariano Giorgio, sotto l’imperatore Costanzo, fece crudelmente uccidere o relegare in esilio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Pentecoste ad Alessandria, pregate per noi.
*Santi Martiri Messicani (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni) (21 Maggio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Martiri Messicani”
+ Messico, XX secolo
Martirologio Romano: Santi Cristoforo Magallanes, sacerdote, e compagni, martiri, che in varie regioni del Messico, perseguitati in odio alla fede cristiana e alla Chiesa cattolica, per aver professato Cristo Re ottennero la corona del martirio.
Nel 1917 venne promulgata in Messico una nuova Costituzione, ispirata a principi anticlericali, firmata dal presidente Don Venusiano Carranza.
Da essa ebbe origine una fase di violenta persecuzione religiosa.
L’episcopato messicano espresse la sua contrarietà alla nuova legge fondamentale della nazione, provocando però in tal modo una forte reazione da parte governativa.
Dal 1926 in avanti, sotto la presidenza di Don Plutarco Elìas Calles, la persecuzione si fece ancor più violenta con l’espulsione dei sacerdoti stranieri, la chiusura delle scuole private e di alcune opere benefiche.
I laici messicani costituirono un’organizzazione denominata Lega in Difesa della Libertà Religiosa, che proclamò: “Deploriamo la guerra, ma la nostra dignità oltraggiata e la nostra fede perseguitata ci obbliga a correre per difenderci sullo stesso campo su cui si sviluppa l’attacco”.
Il popolo non poté resistere alle privazioni religiose che il boicottaggio portava, cosicché decise di difendere la propria libertà religiosa, senza il diretto intervento del clero, per mezzo delle armi.
Ebbe così inizio la guerra civile, meglio conosciuta in Messico come “movimiento cristero”.
Questo movimento non fu dunque promosso dalla gerarchia ecclesiastica, bensì dal mondo laicale, che cercò comunque l’appoggio dei propri pastori, anche se generalmente il clero accettò di sostenere esclusivamente la resistenza pacifica.
Alcuni sacerdoti furono ostili al movimento, altri abbandonarono le parrocchie, qualcuno di essi furono invece attivamente favorevoli a questo e presero parte persino ai combattimenti.
Infine, bisogna però dire che preferirono prodigarsi nella cura delle anime del gregge loro affidato, pur essendo ben consci di rischiare la vita: è questo il caso dei 25 martiri che furono canonizzati il 21 maggio 2000, in pieno anno giubiliare, da Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro.
Inoltre altri 14 vittime della medesima persecuzione soto state beatificate tra il 1988 ed il 2005 nel corso di tre cerimonie. Infine per altri 7 Servi di Dio è ancora in corso il processo per il riconoscimento del loro martirio.
I 25 santi martiri messicani (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni), per volontà di Giovanni Paolo II, entrarono subito dopo la canonizzazione nel Calendario Romano al 21 maggio con il grado di “memoria facoltativa”.
Il Martyrologium Romanum commemora invece i diversi Santi e Beati separatamente, ciascuno nell’anniversario del martirio.
Per maggiori informazioni sui singoli personaggi, rimandiamo alle singole schede loro dedicate nel giorno della festa:
Cristobal Magallanes Jara, Sacerdote, 25 maggio
Roman Adame Rosales, Sacerdote, 21 aprile
Rodrigo Aguilar Aleman, Sacerdote, 28 ottobre
Julio Alvarez Mendoza, Sacerdote, 30 marzo
Luis Batis Sainz, Sacerdote, 15 agosto
Agustin Caloca Cortes, Sacerdote, 25 maggio
Mateo Correa Magallanes, Sacerdote, 6 febbraio
Atilano Cruz Alvarado, Sacerdote, 1 luglio
Miguel De La Mora De La Mora, Sacerdote, 7 agosto
Pedro Esqueda Ramirez, Sacerdote, 22 novembre
Margarito Flores Garcia, Sacerdote, 12 novembre
Jose Isabel Flores Varela, Sacerdote, 21 giugno
David Galvan Bermudez, Sacerdote, 30 gennaio
Salvador Lara Puente, Laico, 15 agosto
Pedro de Jesus Maldonado Lucero, Sacerdote, 11 febbraio
Jesus Mendez Montoya, Sacerdote, 5 febbraio
Manuel Morales, Laico, 15 agosto
Justino Orona Madrigal, Sacerdote, 1 luglio
Sabas Reyes Salazar, Sacerdote, 13 aprile
Jose Maria Robles Hurtado, Sacerdote, 26 giugno
David Roldan Lara, Laico, 15 agosto
Toribio Romo Gonzalez, Sacerdote, 25 febbraio
Jenaro Sanchez Delgadillo, Sacerdote, 17 gennaio
David Uribe Velasco, Sacerdote, 12 aprile
Tranquilino Ubiarco Robles, Sacerdote, 5 ottobre
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri Messicani, pregate per noi.
*Santi Nicostrato e Antioco - Martiri (21 Maggio)
Nicostrato e Antioco, tribuni, Santi, Martiri di Cesarea di Palestina.
I tribuni Nicostrato e Antioco e i loro compagni soldati sono noti soltanto per il ruolo secondario da essi sostenuto nella passio, del resto favolosa, di Procopio di Cesarea.
Si può dunque, a buon diritto, non solo dubitare del loro martirio, ma anche della loro stessa esistenza.
Nicostrato ed Antioco sono tuttavia annunciati nei sinassari bizantiní, come compagni di martirio di Procopio, ma senza alcuna particolare notizia, in date diverse: 7, 19, 20 e 21 maggio. Sono inoltre menzionati nella notizia di San Procopio all'8 giugno.
Sconosciuti ai martirologi medievali dell'Occidente, Nicostrato ed Antioco sono stati introdotti da C. Baronio nel Martirologio Romano al 21 maggio.
(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Nicostrato e Antioco, pregate per noi.
*Sant'Ospizio (Ospicio) - Eremita (21 Maggio)
m. 581
Martirologio Romano: Presso Nizza in Provenza, in Francia, Sant’Ospicio, eremita, che fu uomo di mirabile spirito di penitenza e predisse l’arrivo dei Longobardi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ospizio, pregate per noi.
*San Paterno di Vannes - Vescovo (21 Maggio)
m. 460-490 circa
Martirologio Romano: A Vannes nella Bretagna, in Francia, commemorazione di San Paterno, vescovo, che si tramanda sia stato ordinato vescovo in questo giorno da san Perpetuo di Tours in un Concilio provinciale qui radunato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paterno di Vannes, pregate per noi.
*San Pietro Parenzo - Podestà e Martire (21 Maggio)
Roma, XII sec. – Orvieto, 21 maggio 1199
Patronato: Orvieto
Emblema: Palma
Nella storia millenaria della Chiesa, è purtroppo accaduto che le divergenze d’interpretazione dottrinale, sulla natura umana e divina di Gesù, sulla figura e l’importanza di Maria nel disegno della Redenzione, sul culto dei Santi, delle reliquie, delle immagini, sul mistero Trinitario, ecc. oltre a portare a Concili chiarificatori e semmai di condanna delle eresie ideologiche che affioravano specie in Oriente, provocarono anche scontri e persecuzioni fra le varie parti, capeggiati da vescovi e patriarchi locali, dove anche e soprattutto il potere imperiale aveva la sua parte.
Quindi si produssero martiri, persecuzioni e scismi più o meno rientrati o ancora perduranti; anche in Occidente vi furono eresie o movimenti di lotta, forse non tanto per questioni dottrinarie, ma soprattutto sulla interpretazione del vivere cristiano e segnatamente sul comportamento del clero e della gerarchia.
I danni alla Chiesa furono egualmente grandi e varie eresie, scismi e movimenti di lotta, funestarono l’ideologia cristiana, operando in questi scontri non solo verbali, politici o religiosi, anche tante vittime da ambo le parti, per il concetto sbagliato di imporre con la forza agli altri credenti, la propria ideologia o appartenenza.
Non stiamo qui ad enumerare le tante eresie o movimenti eretici, sorti in Occidente o che operarono, più o meno violentemente in Occidente; ma la biografia del santo di cui parliamo, il podestà e martire Pietro Parenzo si inserisce proprio in queste lotte, che videro protagonisti al suo tempo, gli eretici catari o patarini, che operavano nel territorio di Orvieto, alla fine del secolo XII.
Prima di proseguire vediamo chi erano i ‘catari’; il nome di derivazione greca e poi latina medioevale, vuol dire “puro”; il catarismo fu una dottrina ereticale diffusa in Europa dal secolo XI, proveniente dall’Oriente, che predicava la contrapposizione assoluta tra il bene e il male, intesi come principi o forze che governano il mondo e nella vita morale, e inoltre il più rigoroso ascetismo.
I ‘patarini’ invece appartenevano alla ‘pataria’, un movimento religioso e politico sorto a Milano nel sec. XI, che si proponeva di purificare i costumi del clero, in particolar modo eliminando la simonia; per le sue caratteristiche democratiche, che originarono anche contrasti tra le diverse fazioni cittadine, fu considerato come un movimento di emancipazione delle classi popolari dai vincoli feudali.
Forse confondendo il termine ‘pataria’ con il termine ‘cataro’, passò nel XIII secolo a significare ‘eretico-cataro’; dal XIV sec. significò solo genericamente ‘eretico’.
I metodi per imporre le loro idee furono non sempre pacifici, anzi piuttosto violenti, tali da suscitare una reazione da parte dei cattolici nei periodi successivi; l’opera riformatrice del Poverello d’Assisi, qualche decenni dopo, userà ben altri metodi pacifici con l’esempio di povertà evangelica, dando frutti che durano ancora abbondantemente, con il francescanesimo che ne derivò.
Di Pietro si sa che nacque a Roma nella nobile famiglia romana dei Parenzo, il padre Giovanni fu senatore nel 1157 e giudice nel 1162, la madre si chiamava Odolina.
Non si sa l’anno di nascita, né come trascorse la sua fanciullezza e gioventù; aveva dei fratelli ed era sposato; ma evidentemente era una persona degna di rispetto e molto considerata, se nel 1199 papa Innocenzo III (1198-1216) e il popolo romano, lo mandarono come rettore e podestà in Orvieto, dove gli eretici catari o patarini, avevano messo salde radici; inoltre la città, già libero Comune nei secoli XI e XII, era teatro delle lotte fra guelfi e ghibellini, cioè tra fautori del papato e quelli dell’imperatore di Germania.
Gli eretici minacciavano la fede e la pace della città con un’audacia crescente, poco contrastata dai vescovi Rustico e Riccardo, favoriti anche dalla tensione che si era creata tra Orvieto e il papa dopo il 1198, per questioni inerenti la città di Acquapendente.
Il principale scopo di Pietro, era quello di portare la pace fra le fazioni in lotta e nel contempo combattere l’eresia; il suo ingresso ad Orvieto fu accolto favorevolmente dai cattolici nel febbraio 1199, ma con ostilità dagli eretici e loro sostenitori.
Pietro Parenzo usò una eccezionale severità con provvedimenti adatti e con una repressione che apparve spietata, contro i sobillatori di discordie e contro gli eretici e mentre raccolse consensi ed ammirazione da parte dei cattolici, si attirò invece un odio mortale da parte degli eretici, che videro in lui un nemico, minacciandolo apertamente di morte.
Dopo una pausa per Pasqua, in cui si recò a Roma per riferire della situazione a papa Innocenzo III, ricevendone approvazione ed incoraggiamento a proseguire, Pietro Parenzo intuendo una possibile tragedia, fece testamento e il 1° maggio del 1199, tornò ad Orvieto.
Nel frattempo gli eretici avevano preparato una congiura e con il favore di un servitore, che la sera del 20 maggio aprì la porta del palazzo ai congiurati, Pietro fu preso, malmenato, legato e imbavagliato e condotto fuori città, in una misera capanna.
Gli fu proposto, in cambio della sua liberazione, di abolire tutti i provvedimenti presi, che rinunciasse al governo della città, a non molestarli più, anzi a favorirli.
Al suo rifiuto di deviare dalla fede e consentire i loro errori, uno dei congiurati lo colpì violentemente con un martello e poi tutti gli altri con coltelli e spade lo massacrarono; dopo fuggirono tutti.
Il mattino seguente, fra il cordoglio generale della parte cattolica, la notizia si sparse in città; il suo corpo accompagnato dal vescovo, dal clero e dal popolo, fu portato nella chiesa di S. Maria dove fu tumulato.
Si scatenò la reazione dei cattolici, che fecero giustizia sommaria dei congiurati che si riuscì a prendere, mentre il Comune rinnovava contro gli eretici catari, la pena del carcere e la confisca dei beni. Il Papa inviò la cavalleria romana ad Orvieto, che fu determinante per la sconfitta dell’eresia catara, ma anche per il trionfo in città dei guelfi contro i ghibellini.
Per i miracoli che si verificavano sulla sua tomba, anche al solo invocarlo, Pietro Parenzo fu da subito venerato come martire, non solo ad Orvieto, ma anche nelle città di Arezzo e Firenze; vari pellegrinaggi si organizzavano alla tomba e gli stessi pellegrini diretti a Roma, si fermavano ad Orvieto per pregare sul suo sepolcro; anche il Papa s’informò su quanto si raccontava, ciò nonostante non lo canonizzò mai ufficialmente.
Pur continuando un culto locale, solo il 16 marzo 1879, su richiesta del vescovo di Orvieto Antonio Briganti, la Santa Sede approvò il culto, stabilendo la celebrazione liturgica al 21 maggio, data usata sin dal 1200.
Il suo corpo riposa ora nel bellissimo Duomo di Orvieto, nella Cappella del Corporale.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Parenzo, pregate per noi.
*San Polieuto (Polieutto) - Martire (21 Maggio)
Martirologio Romano:
A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, San Polieuto, martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Polieuto, pregate per noi.
*San Silao - Vescovo e Abate (21 Maggio)
Silao è uno dei vari Santi irlandesi venerati in Italia.
Il suo culto è ancora vivo a Lucca, che ne possiede anche le sacre reliquie.
Nato al principio dell’undicesimo secolo da stirpe regia, fu dapprima sacerdote secolare per poi vestire l’abito benedettino.
Divenne vescovo di un’importante e tuttora ignota sede irlandese, ma per la prepotenza di un signore locale fu costretto a recarsi a Roma per invocare l’aiuto di Papa Gregorio VII.
Durante il viaggio fece una sosta a Lucca per incontrare la sorella Ermengarda, ma qui ne apprese la morte.
Proseguì allora verso Roma ma durante il ritorno si ammalò, per cui fu costretto a fermarsi a Lucca, dove morì santamente il 21 maggio di un anno intorno al 1100.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 21 maggio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Silao, pregate per noi.
*San Teobaldo di Vienne - Vescovo (21 Maggio)
m. 1001
Martirologio Romano: A Vienne in Burgundia, ora in Francia, San Teobaldo, vescovo, che per quarantaquattro anni onorò questa sede con il suo insigne esempio di carità e pietà.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Teobaldo di Vienne, pregate per noi.
*San Timoteo - Diacono e Martire (21 Maggio)
Martirologio Romano: In Mauritania, nel territorio dell’odierna Algeria, San Timoteo, diacono e martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Timoteo, pregate per noi.
*San Vittorio e Compagni - Martiri (21 Maggio)
Etimologia: Vittorio = vincitore, dal latino
Emblema: Palma
Questo santo non ha lasciato notizie di sé, si sa solo che ha subito il martirio a Cesarea di Cappadocia e che era un romano.
Dal "Martirologio Geronimiano" che lo cita al 21 maggio insieme ad altri due martiri Polieuto e Donato, è passato nel "Martirologio Romano" insieme agli altri due e celebrati nello stesso giorno, altro non si sa; comunque il gruppo lo si ritrova sempre nei martirologi storici occidentali.
La mancanza di notizie, contrariamente alle regole, non l’ha messo nel dimenticatoio della storia, egli è certamente più nominato nei secoli successivi ed ancora oggi, di quanto non fosse nominato e conosciuto in vita.
Vittorio è l’unico santo con questo nome, proviene dal latino Victorius una variante di Victor (vincitore), altri nomi derivati sono: Vittore, Vittoriano, Vittorino, Vittoriana, Vittoria.
In molti Paesi esso è tradotto nella loro lingua: Victoire in Francia; Victor e Victoria in Spagna e Gran Bretagna; Vike, Viktor e Viktoria in Germania; Vìtor in Portogallo, ecc.
In Inghilterra fu portato dalla celebre regina Vittoria il cui nome segnò un’epoca, uno stile “vittoriani”. Grande diffusione in Italia, perché fu il nome di diversi sovrani e principi di Casa Savoia. É invocato contro il fulmine, la grandine e gli spiriti maligni.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vittorio e Compagni, pregate per noi.
*San Zeno (Zenone) di Verona - Vescovo (21 Maggio - 12 Aprile)
Proveniente dall'Africa, forse dalla Mauritania, dal 362 alla morte fu vescovo di Verona, dove fondò la prima chiesa. Dovette confrontarsi con il paganesimo e l'arianesimo, che confutò nei suoi discorsi.
I suoi iscritti ricordano quelli di più affermati scrittori africani e ci danno notizie importanti su di lui e sulla sua attività pastorale. Preoccupazione primaria di Zeno fu quella di confermare e rinforzare clero e popolo nella vita della fede, soprattutto con l'esempio della sua carità, dell'umiltà, della povertà e della generosità verso i bisognosi.
Patronato: Verona, Pescatori
Etimologia: Zeno = divino, che viene da Giove, Zeus greco
Emblema: Bastone pastorale, Pesce
Martirologio Romano: A Verona, San Zeno, vescovo, dalle cui fatiche e dalla cui predicazione la città fu condotta al battesimo di Cristo.
La città di Verona, ha per il suo Santo patrono, una devozione “affettuosa e brusca”, che dura ininterrotta da sedici secoli; per il santo vescovo “moro e pescatore”, i veronesi eressero nel tempo una magnifica Basilica, più volte ricostruita e centro del suo culto.
San Zeno o Zenone, secondo la “Cronaca”, leggenda medioevale di Coronato, un notaio veronese vissuto sulla fine del VII secolo, era originario dell’Africa settentrionale, più precisamente della Mauritania.
Tale provenienza, mancando una documentazione certa, è stata confermata dal tenore dei suoi scritti, che rispecchiano lo stile e la sostanza di tanti altri celebri autori, dell’effervescente Africa dell’epoca, come Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio.
Non si sa, se egli giunse a Verona con la famiglia, né il motivo del trasferimento; d’altra parte bisogna considerare che nel IV secolo, dopo la fine delle grandi persecuzioni contro i cristiani, la Chiesa prese davvero un respiro universale, con scambio, viaggi e trasferimenti, di personaggi di grande dottrina e santità, si ricorda che africani erano S. Venanziano († 367) vescovo di Aquileia, Donato prete in Milano, il grande sant’Agostino, Fortunaziano, ecc.
Si è ipotizzato che Zeno fosse figlio d’un impiegato statale finito in Italia settentrionale, a seguito delle riforme burocratiche volute dall’imperatore Costantino; altra ipotesi è che Zeno si trovava al seguito del patriarca d’Alessandria, Atanasio, esule e in visita a Verona nel 340.
Rimasto nella bella città veneta, Zeno (Zenone il suo nome originario), avrebbe fatto vita monastica, fino a quando nel 362, fu eletto successore del defunto vescovo Cricino, divenendo così l’ottavo vescovo di Verona, il suo episcopato durò una decina d’anni, perché morì il 12 aprile del 372 ca.; la prima testimonianza su di lui si trova in una lettera di sant’Ambrogio al vescovo Siagro, terzo successore di san Zeno, che lo nomina come un presule “di santa memoria”; qualche anno dopo Petronio, vescovo di Verona fra il 412 e il 429, ne ricorda le grandi virtù e conferma la venerazione che gli era già tributata. La conferma del culto di San Zeno o Zenone, si ha anche da un antico documento, il “Rhytmus Pipinianus” o “Versus de Verona”, un elogio in versi della città, scritto fra il 781 e l’810, in cui si afferma che Zeno fu l’ottavo vescovo di Verona e poi c’è il cosiddetto “Velo di Classe”, dell’ottavo secolo, una preziosa tovaglia conservata a Ravenna, in cui sono ricamati i ritratti dei vescovi veronesi, fra i quali S. Zeno.
Anche il Papa San Gregorio Magno, alla fine del VI secolo raccontò un prodigio avvenuto in città, attribuito alla potente intercessione del santo; verso il 485 una piena del fiume Adige, sommerse Verona, giungendo fino alla chiesa dedicata a San Zeno, che aveva le porte aperte; benché l’acqua del fiume avesse raggiunto l’altezza delle finestre, non penetrò attraverso la porta aperta, quasi come se avesse incontrato una solida parete ad arginarla.
Ciò che maggiormente testimonia l’origine africana del santo, sono i suoi 93 “Sermones” o trattati, di cui 16 lunghi e 77 brevi, con la cui stesura, a detta degli studiosi, Zeno aprì la grande schiera degli scrittori cattolici, fu il primo dei grandi Padri latini e meriterebbe quindi di essere collocato fra i Dottori della Chiesa, per la scienza testimoniata con i suoi scritti.
I temi dei ‘Sermoni’ sono quelli affrontati nella predicazione: la genuinità della dottrina trinitaria, la mariologia, l’iniziazione sacramentale (l’Eucaristia e il Battesimo, con cui egli ammetteva i pagani solo dopo un’adeguata preparazione e un severo esame), la liturgia pasquale, le virtù cristiane della povertà, umiltà, carità e l’aiuto ai poveri e sofferenti. Gli argomenti dogmatici, morali, cristologici, biblici e gli episodi cui fa riferimento, sono espressi dal santo con uno stile che ne testimonia l’origine; dicono gli esperti che il suo latino è “caldo e conciso”, ricorda quello degli scrittori africani “abituati a tormentare le frasi e a coniare nuovi vocaboli, per scolpire in tutta la sua luminosa bellezza l’idea”.
Lo stile africano è ricordato anche in quel “procedere sentenzioso, nei giochi di parole e di immagini, in quei larghi sviluppi oratori, nei quali l’anima del Santo trasfonde tutta l’irruenza dell’entusiasmo e dello sdegno…” (Mons. Guglielmo Ederle, per lunghi anni abate della Basilica).
L’eleganza dello stile, accomunata alle espressioni sovrabbondanti e all’improvvisa mescolanza di lingua letteraria e di volgare, fece si che san Zeno fosse definito il “Cicerone cristiano”.
Condusse con le sue predicazioni, trascritte da qualche suo discepolo nei “Sermones”, vivaci battaglie contro i Fotiniani (ariani) e la rinascita nelle campagne, del paganesimo (dovuta soprattutto all’apostasia di Giuliano); le sue prediche erano affollate da neoconvertiti ma anche da pagani, attratti dalla sua abile oratoria. Dal panegirico pronunciato da San Petronio vescovo di Bologna, nella prima metà del V secolo, nella chiesa dove riposavano i resti del santo, si apprende che Zeno fu vescovo insigne per carità, umiltà, povertà, liberalità verso i poveri; sollecitava con forza clero e fedeli alla pratica delle virtù cristiane, dando loro l’esempio.
Costruì a Verona la prima chiesa, che si trovava probabilmente nella zona dell’attuale Duomo, dove si riconoscono le tracce dei primi edifici cristiani; si tratta della chiesa già citata, che prodigiosamente non fu allagata dalla piena del fiume Adige nel 588, e per questo fu donata a Teodolinda, moglie di re Autari, che fu testimone oculare dell’avvenuto prodigio.
Quella chiesa fu rifatta ai tempi di re Teodorico e nell’804 venne danneggiata, insieme al vicino monastero, da ‘uomini infedeli’, probabilmente dagli Unni e anche dagli Avari.
Il vescovo Rotaldo la volle ricostruire, commissionando il nuovo progetto all’insigne arcidiacono Pacifico; l’8 dicembre 806, il nuovo tempio fu consacrato e dal romitaggio sul Monte Baldo sopra Malcesine, scesero gli eremiti Benigno e Caro, ritenuti degni di trasportare le reliquie del santo nel nuovo tempio, dove furono poste in un basamento di marmi levigati, nella cripta sorretta da colonne.
Alla consacrazione furono presenti, il re Pipino, figlio di Carlo Magno, il vescovo di Verona, quelli di Cremona e Salisburgo, più una folla immensa.
Ma dal Nord Europa, ancora una volta calarono eserciti barbari, giungendo nell’antichissima e celebre città a cavallo dell’Adige; Verona è stata nei secoli la prima tappa dei popoli germanici e dell’Est europeo, che varcavano le Alpi per invadere e conquistare la Penisola e verso la fine del IX secolo, gli Ungheri assalirono Verona e saccheggiarono le chiese dei sobborghi.
Ma le reliquie di san Zeno erano state messe in salvo in cattedrale e solo nel 921, poterono tornare nella cripta della chiesa a lui dedicata. Per mettere al sicuro definitivamente le reliquie del santo e la tranquillità del culto per il Patrono, in quegli anni si decise di costruire una grande basilica, più vasta e più protetta. Non fu impresa facile; per la nuova basilica romanica, giunsero aiuti finanziari e tecnici dai re d’Italia Rodolfo e Ugo; lo stesso imperatore Ottone I, lasciando Verona nel 967, donò una cospicua somma al vescovo realizzatore Raterio.
La basilica, nel 1120, 1138, 1356, ebbe altre ristrutturazioni, modifiche e ampliamenti, specie all’interno, mentre il campanile fu eretto nel 1045 per iniziativa dell’abate Alberico; attualmente la vicina Torre merlata, è quanto resta della ricca abbazia benedettina, in cui furono ospitati, re, imperatori, cardinali.
Il portale bronzeo della Basilica, è da tempo chiamato, ‘il libro di bronzo’ e la ‘Bibbia dei poveri’; esso racconta in successive 48 formelle, episodi biblici e della vita di Gesù, oltre ai miracoli di San Zeno.
I miracoli raffigurati, furono tratti dai racconti del già citato notaio veronese Coronato, e dalle formelle si può apprendere quelli più eclatanti; quando san Zeno fu eletto vescovo di Verona, prese ad abitare con dei monaci, in un luogo solitario verso la riva dell’Adige e giacché viveva povero, era solito pescare nel fiume per cibarsi; e un giorno mentre stava pescando, vide più in là un contadino trascinato nella corrente del fiume, insieme al suo carro, dai buoi stranamente imbizzarriti.
Avendo intuito che si trattava di un’opera del demonio, fece un segno di croce, che ebbe l’effetto di far calmare i buoi, che riportarono così il carro sulla riva.
È uno dei tanti episodi di lotta con i demoni, che il santo vescovo, dovette affrontare lungo tutto il suo episcopato; poiché diverse volte lo disturbavano e tante volte San Zeno li scacciava adeguatamente; infatti nell’affresco della lunetta del protiro della basilica e nei bassorilievi di marmo che le fanno da base, S. Zeno è raffigurato fra l’altro mentre calpesta il demonio.
In un’altra formella del portale, si vede il demonio scacciato dai buoi nel fiume, che indispettito si trasferisce nel corpo della figlia di Gallieno, che doveva essere un nobile locale, ma poi individuato erroneamente come l’imperatore, in tal caso le date non corrispondono.
Gallieno, saputo del vescovo Zeno, che combatteva efficacemente i demoni, lo mandò a chiamare e così l’unica sua figlia fu liberata; per riconoscenza Gallieno gli concesse piena libertà di edificare chiese e predicare il cristianesimo, donandogli anche il suo prezioso diadema, che S. Zeno divise tra i poveri.
Nella basilica esiste una bella vasca di porfido, pesantissima, che la tradizione vuole regalata da Gallieno al vescovo, il quale volendo punire l’impertinente demonio, gli ordinò di trasportarla fino a Verona; il demonio obbedì, ma con tanta rabbia, tanto da lasciare sulla vasca l’impronta delle sue unghiate; al di là della tradizione, la vasca può essere un importante reperto archeologico, delle antiche terme romane della città.
Decine sono gli episodi miracolosi e i prodigi, che la tradizione e la leggenda, attribuiscono a san Zeno, sempre in lotta con i diavoli, perlopiù dispettosi, che cercavano sempre di ostacolarlo nella predicazione e nel suo ministero episcopale; si tratta di una particolare lotta del santo, che secondo alcune leggende avrebbe visto e scacciato il demonio, sin da quando era un chierico, mentre era in compagnia di s. Ambrogio.
Infine non si può soprassedere sull’ipotesi, che san Zeno fosse un uomo oltre che istruito e saggio, anche bonario e gioviale; lo attestano due importanti opere, un’anta dell’antico organo, ora custodita nella chiesa di San Procolo, e la grande statua in marmo colorato, della metà del XIII secolo, nella basilica, che lo raffigurano entrambe sorridente fra i baffi; la statua raffigura san Zeno seduto, vestito dai paramenti vescovili, con il viso scuro per le sue origini nord africane, che sorride e benedice con la mano destra, mentre con la sinistra sorregge il pastorale, a cui è appeso ad un amo un pesce, a ricordo della sua necessità di pescare nell’Adige per i suoi pasti frugali.
I veronesi indicano questa statua, come “San Zen che ride”; il santo è patrono dei pescatori d’acque dolci, il grosso sasso lustrato su cui, secondo la tradizione, sedeva mentre pescava nel fiume, è conservato in una piccola chiesetta denominata San Zeno in Oratorio, non lontano dalla millenaria basilica veronese, in cui riposa il santo Patrono. La festa liturgica di San Zeno è il 12 aprile; nella diocesi di Verona, però, la ricorrenza è stata spostata al 21 maggio, a ricordo del giorno della traslazione delle reliquie nella basilica, avvenuta il 21 maggio 807.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Zeno di Verona, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (21 Maggio)
*Santa Renata - Laica
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.