Santi del 18 Aprile
*Andrea da Montereale *Andrea Hibernon *Antusa di Costantinopoli *Atanasia di Egina *Bonaventura da Bastia *Caloger0 di Brescia *Eleuterio ed Anzia *Ermogene ed Elpidio *Eusebio di Fano *Galdino *Giovanni Isauro *Giuseppe Moreau *Idesbaldo delle Dune *Lasreano o Molasso *Luca Passi *Luigi Leroy *Maria dell'Incarnazione *Perfetto di Cordova *Pusicio *Romano Archutowski *Savina Petrilli *Ursmaro *Altri Santi del giorno *
*Beato Andrea da Montereale - Agostiniana (18 Aprile)
Mascioni (L'Aquila), 1402/04 - Montereale, 18 aprile 1479
Nato a Mascioni (L'Aquila) da una modesta famiglia intorno al 1403, a quattordici anni entrò nel vicino monastero degli agostiniani di Montereale.
Nel 1431 fu studente di teologia a Rimini, e negli anni successivi a Padova e Ferrara, ottenendo prima i gradi scolastici di lettore e baccelliere e poi quello di maestro in sacra teologia.
Nel 1453 e nel 1471 fu eletto provinciale dell'Umbria.
In più occasioni il generale dell'Ordine lo nominò suo vicario per ristabilire l'osservanza nei conventi di Norcia, di Amatrice e di Cerreto di Spoleto.
Superate alcune incomprensioni e ingiuste accuse che lo spinsero a lasciare gli incarichi il beato Andrea nel 1471 fu eletto di nuovo provinciale. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel convento di Montereale, dove morì nell'aprile del 1479 e dove, nella chiesa che fu dell'Ordine, si venerano le sue spoglie mortali. Il suo culto fu approvato da Clemente XIII l'11 maggio 1764. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Montereale in Abruzzo, Beato Andrea, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che si dedicò alla predicazione in Italia e in Francia.
Nato a Mascioni (L'Aquila) da una modesta famiglia intorno al 1402/04, a quattordici anni entrò nel vicino monastero degli agostiniani di Montereale.
Nel 1431 fu studente di teologia a Rimini, e negli anni successivi a Padova e Ferrara, ottenendo i gradi scolastici di lettore e baccelliere. Nel 1438 fu inviato in studio et universitate Senensi per spiegare i libri delle Senteme, e in seguito gli fu concesso il titolo di maestro in sacra teologia.
Nel 1453 e nel 1471 fu eletto provinciale dell'Umbria. Unitamente ai suoi impegni di governo e d'insegnamento dovette svolgere altri delicati compiti, giacché per la sua comprovata rettitudine in più occasioni il Padre Generale dell’Ordine lo nominò suo vicario per ristabilire l’osservanza nei conventi di Norcia, di Amatrice e di Cerreto di Spoleto. L'esercizio di questo incarico di riformatore gli cagionò non poche sofferenze e incomprensioni.
Essendo priore e reggente dello studio di Siena, rinunziò ai due uffici probabilmente a causa delle accuse che alcuni religiosi inviarono a Roma contro di lui.
Ignoriamo il risultato della verifica che seguì, ma ci è pervenuto il giudizio del Padre Generale Massari da Cori, Preside nel 1463 dello Studio di Perugia, il quale scrisse che Andrea sopportando le ingiustizie e mostrando sempre pazienza “maximum ostendit exemplum sanctitatis”.
I fatti posteriori confermano questo elogio giacché, nel 1471 fu eletto di nuovo Provinciale e mantenne la stima e la fiducia dei superiori maggiori dell'Ordine, che continuarono a servirsi di lui per promuovere la regolare osservanza. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel convento di Montereale, dove morì nell’aprile del 1479 e dove, nella chiesa che fu dell'Ordine, si venerano le sue spoglie mortali. Tra le festività locali legate alla sua memoria spicca tuttora quella celebrata il 13 di settembre, giorno in cui nel 1691 elevò la destra dalla tomba a protezione del paese dal terremoto. Il suo culto fu approvato da Clemente XIII l’ 11 maggio 1764. La sua memoria liturgica ricorre il 18 aprile.
(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea da Montereale, pregate per noi.
*Beato Andrea Hibernon - Francescano (18 Aprile)
Murcia, Spagna, 1534 – Gandia, Spagna, 18 aprile 1602
Martirologio Romano: Nella città di Gandía nel territorio di Valencia sulla costa della Spagna, Beato Andrea Hibernón, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, che, da giovane derubato del suo denaro dai briganti, coltivò poi mirabilmente la povertà.
Il Beato Andrea Hibernon (1534-1602), commemorato in data odierna dal Martyrologium Romanum, non è che uno dei quattro fratelli laici appartenenti all’Ordine Francescano dei Frati Minori che, quasi contemporaneamente, edificarono la Spagna in quello che si rivelò il secolo d’oro della sua spiritualità e della sua letteratura.
Gli altri tre furono San Pasquale Baylón (1540-1592), il Beato Sebastiano dell’Apparizione (1502-1600) ed il Beato Giuliano di Sant’Agostino (1553-1606).
Andrea Hibernon nacque nel 1534 a Murcia, nel sud della Spagna, da una nobile famiglia di Cartagena caduta quasi in rovina.
Fu battezzato nella cattedrale cittadina, ove un suo zio era cappellano.
La mamma, donna di profondi sentimenti religiosi, lo educò con amore ai doveri verso Dio e verso il prossimo.
Il ragazzo trascorse innocentemente l’infanzia ad Alcantarilla ed in seguito si trasferì a Valencia, in casa di uno dei suoi zii, ove la sua giovinezza fu contraddistinta da un’innata purezza.
Il suo animo generoso lo spinse ad impegnarsi per creare una buona dote alla sorella e dunque, pur senza trascurare i suoi doveri religiosi, si mise a lavorare sodo giorno e notte, risparmiando anche sulle più piccole somme di denaro.
A vent’anni pensò di fare ritorno in famiglia portando con sé tutto l’ammontare del suo guadagno, ma per strada venne assalito dai briganti, che lo spogliarono di tutto ciò che possedeva.
La sua delusione non poté che essere molto amara e l’infausto avvenimento cambiò la sua vita.
Toccata così con mano la fragilità dei beni e dei piaceri terreni, da quel giorno decise di dedicare l’intera sua vita al Signore ed al suo prossimo.
Il 1° novembre 1557 Andrea fu ammesso alla vestizione del saio in qualità di fratello laico nel convento di Albacete.
Dopo il noviziato fu ammesso alla solenne professione dei voti ed inviato nella sua città natale in qualità di frate cercatore.
Fu in quel convento che egli venne a conoscenza della riforma molto austera introdotta in Spagna nel 1555 da San Pietro d’Alcantara.
Fra’Andrea nel febbraio del 1563 passò allora al convento di Elche, dei Francescani Scalzi (detti Alcantarini), ove l’anno successivo ebbe l’opportunità di assistere alla vestizione religiosa di San Pasquale Baylón, che come lui per tutta la vita fu un umile fratello cercatore.
Fra’Andrea rimase sino al 1574 presso Elche, eccetto un breve soggiorno a Villena, dedito alle occupazioni più umili e faticose.
Nel 1574 i superiori lo destinarono a collaborare alla fondazione del convento di Valencia in cui, essendo ancora giovane e forte, fu nuovamente addetto ai lavori più pesanti.
In quel periodo strinse amicizia con San Giovanni de Ribera, arcivescovo di Valencia.
Questi aveva subito percepito di trovarsi di fronte ad un eccezionale fratello laico.
Non potendo incontrarlo di giorno per le sue pressanti occupazioni nel governo della diocesi, sovente lo andava a trovare di sera in convento per conversare con lui.
Dai documenti del processo di beatificazione risulta che Fra’Andrea parlasse dell’incarnazione, della passione, della morte e della risurrezione del Signore con tanta venerazione, che gli uditori ne restavano ammirati e si domandavano da dove un ignorante fratello laico potesse aver tratto cotanta scienza.
Anche numerosi sacerdoti esperti in teologia e sacra scrittura accorrevano da lontano per esporgli i loro dubbi sulle più spinose questioni religiose, per poi tornare sempre meravigliati dalle sue dotte risposte.
Fra’Andrea meditava continuamente i divini misteri e, quando ricorreva la loro memoria liturgica, moltiplicava i digiuni e le penitenze.
Si può affermare che fosse insaziabile di austerità.
In convento erano suoi non solo i lavori più ripugnanti e faticosi, ma anche gli abiti più consunti ed i tozzi di pane secco avanzati a mensa dai confratelli.
Amava essere partecipe dei dolori del Signore per il bene delle anime del Purgatorio.
Più volte fu notato andare in estasi, levitare da terra cinto da un’aureola, al sentir parlare del Calvario e della crocifissione di Gesù.
In seguito, tra il 1574 ed il 1584, Fra’Andrea prestò servizio, a secondo delle necessità, nei conventi di Elche e di Valencia.
Su invito del duca di Gandia, santificò con la preghiera, il lavoro e la penitenza anche il convento di quella città, dove in seguito terminò i suoi giorni, non prima di aver compiuto altri due brevi soggiorni a Murcia ed a Valencia.
I superiori gli facevano ogni tanto cambiare residenza al fine di ristabilire o consolidare la riforma nei vari conventi della provincia di San Giuseppe, di cui egli era indubbiamente considerato una colonna portante, nonostante Fra’Andrea si stimasse quale più grande peccatore della terra e si rattristasse sentendosi talvolta elogiare per l’esatta osservanza della regola: “Dio mio, concedimi di essere veramente quello che si pensa che io sia”.
Quando fu poi in età avanzata, i confratelli presero a soprannominarlo “il Santo vecchio”, ma l’interessato reagiva borbottando: “Non dite santo, ma stolto”.
Non gli mancarono talvolta alcuni rimproveri da parte di superiori non molto avveduti, ma egli subì sempre in silenzio, prostrato a terra, proponendosi di adempiere al meglio le varie incombenze di questuante, infermiere, portinaio, cantiniere e refettoriere che di volta in volta gli venivano assegnate.
Fra’Andrea iniziava ogni sua giornata partecipando al maggior numero possibile di Messe e ricevendo la Comunione ogni volta che la regola glielo consentiva.
Pregava inoltre per tutte le necessità della Chiesa, ma gli stava innanzitutto a cuore la conversione dei mori, assai numerosi a quel tempo nella Spagna meridionale.
Molti infatti si convertirono grazie ai suoi buoni esempi ed ai suoi insegnamenti.
In suffragio delle anime del Purgatorio cercava di acquistare il maggior numero di indulgenze.
Quando un confratello sacerdote si recava a confortare un moribondo o a predicare qualche missione popolare, Fra’Andrea lo accompagnava con la preghiera.
Nutriva una particolare devozione verso Maria Santissima, che tutti i giorni venerava con la recita del Piccolo Ufficio e la corona delle sette allegrezze, nonché con soventi pellegrinaggi ai santuari a lei dedicati.
Straordinaria fu anche la devozione che il frate nutrì verso l’angelo custode, in cui era solito riporre piena fiducia.
Essendo ben più laborioso dei suoi confratelli, rischiava di non svegliarsi in tempo per la recita del Mattutino: provvedeva allora puntualmente il suo angelo custode a destarlo dal sonno dicendogli: “Fra’Andrea, è tempo di andare a pregare”.
Una mattina, anziché andare in cucina a preparare il pranzo, si era attardato in chiesa per servire tutte le Messe, ma il suo angelo gli apparve e nel giro di mezz’ora lo aiutò nel recuperare il tempo perduto.
Nelle vite dei santi è comunque cosa assai frequente trovare episodi soprannaturale e sarebbe un errore considerarli grossolanamente come leggende o fantasticherie.
Sempre secondo le notizie emerse dai processi, Fra’ Andrea fu anche divinamente favorito dai doni della profezia, della bilocazione, dei miracoli in favore di malati e poveri.
Infine, ben quattro anni prima gli fu rivelato il giorno e l’ora della sua ormai prossima morte: ebbe dunque modo di prepararsi adeguatamente alla visione di Dio.
Il suo confessore asserì che il frate avesse conservata intatta per tutta la vita l’innocenza battesimale.
Morì nel convento di Gandia il 18 aprile 1602, dopo aver recitato con un superstite filo di voce il santo rosario. Molti miracoli si verificarono sulla tomba di Fra’ Andrea, motivo per cui il pontefice Pio VI lo beatificò il 13 maggio 1791.
Le sue spoglie mortali sono ancora oggi oggetto di venerazione a Murcia, presso la chiesa dei Frati Minori Francescani.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea Hibernon, pregate per noi.
*Sant'Antusa di Costantinopoli - Vergine, Principessa imperiale (18 Aprile)
Costantinopoli, 750 ca. – 801
In data odierna il Martyrologium Romanum commemora la santa principessa Antusa, vergine, figlia dell’imperatore iconoclasta Costantino V Coprònimo.
Sant’Antusa aiutò i poveri, liberò gli schiavi, costruì chiese e monasteri e ricevette l’abito monastico dal santo vescovo Tarasio. La tradizione orientale la vuole anche morta martire, ma questa versione dei fatti non è contemplata dal martirologio latino.
Martirologio Romano: A Costantinopoli, Santa Antusa, vergine, che, figlia dell’imperatore Costantino Copronimo, si adoperò con ogni mezzo nell’aiutare i poveri, nel riscattare gli schiavi, nel riparare le chiese e nel costruire monasteri e ricevette la veste monacale dal vescovo san Tarasio.
Figlia dell’imperatore d’Oriente Costantino V Copronimo e dell’imperatrice Irene, alla nascita le fu dato il nome di Antusa in omaggio alla santa omonima dell’Onoriade, venerata il 27 luglio, fondatrice di monasteri maschili e femminili, che perseguitata a causa dell’iconoclastia, aveva poi vaticinato il felice esito della difficile gravidanza gemellare dell’imperatrice.
La principessa Antusa nacque verso il 750 a Costantinopoli e rimase ben presto orfana della madre, rimanendo insieme al fratello gemello Leone, alla corte dell’empio padre.
Costantino V Copronimo (718-775), imperatore d’Oriente dal 741 al 755, figlio di Leone III l’Isaurico, sin dall’inizio del suo regno, ripristinò il prestigio imperiale, riconquistando lo Stato dall’usurpatore Artavasde, combatté gli Arabi e salvò Costantinopoli la capitale, attaccata dai Bulgari, vincendoli nel 755 ad Anchialo; riportò anche successi sugli Slavi.
In Occidente le cose non andarono bene, perse nel 751, ad opera dei Longobardi, l’esarcato di Ravenna; l’intervento poi di re Pipino e di Carlo Magno, fecero tramontare i suoi progetti di riconquista della Penisola Italiana, inoltre i dissidi religiosi con il Papato provocarono la rottura con Roma.
Se all’interno dell’Impero, la sua politica amministrativa fruttò una reale prosperità alla monarchia, d’altra parte la questione dell’iconoclastia, turbò profondamente il suo regno.
Il Concilio di Hieria del 754, condannò il culto delle immagini e l’imperatore ne pose in atto i deliberati con un rigore, che dopo la congiura del 765, ebbe carattere di persecuzione.
I monaci più degli altri furono colpiti e ciò valse a Costantino V da parte degli avversari, insultanti soprannomi (Copronimo, da kópros, sterco; staffiere).
Antusa non condivise le posizioni del padre e rinunziando al matrimonio, dedicò la sua vita al servizio di Cristo; quando nel 775 Costantino V morì e gli successe l’altro figlio e fratello di Antusa con il nome di Leone IV, la principessa distribuì le sue ricchezze ai poveri, restaurando chiese, edificando monasteri e riscattando schiavi.
Quando anche Leone IV morì nel 780, sua moglie Irene, diventò reggente per il figlio minore Costantino VI e offrì alla cognata Antusa di associarsi a lei nel governo dell’Impero. Ma Antusa ormai era tutta di Dio e preferì rifiutare, continuando nelle sue pratiche di carità, occupandosi soprattutto delle vedove e degli orfani, provvedendo alla loro educazione a sue spese, finché nel 784 ricevette l’abito monacale dal patriarca san Tarasio, nel monastero della Concordia di Costantinopoli, dove trascorse gli ultimi suoi anni, svolgendo anche i servizi più umili e assistendo con amore le consorelle. Morì a quasi 52 anni nell’801; la tradizione orientale la considera anche come martire, ma questo titolo non è riconosciuto dal Martirologio latino; è celebrata sia in Oriente che in Occidente, il 18 aprile.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Antusa di Costantinopoli, pregate per noi.
*Sant'Atanasia di Egina - Eremita (18 Aprile)
Martirologio Romano: Nell’isola di Égina, Santa Atanasia, vedova e poi eremita ed egumena, insigne per l’osservanza della disciplina monastica e per le virtù.
Le vicende di Atanasia sono narrate in due Vitae sostanzialmente identiche, una greca e una latina. La prima, attribuita, forse a torto, a Simeone Metafraste, è nel cod. vat, greco n. 1660, dell'anno 916 ca. (ff. 211-228); la seconda nelle opere di Lippomano e di Surio, donde passò negli Acta SS. Augusti.
Secondo la Vita Atanasia visse nel sec. IX nell'isola di Egina in Grecia. Ancora fanciulla si distinse per le sue virtù. Sebbene desiderasse consacrarsi a Dio, tuttavia, per obbedire ai genitori, si sposò. Morto il marito in guerra, Atanasia fu costretta a risposarsi, ma convinse il secondo marito alla astinenza coniugale.
In seguito, entrato costui in un monastero, dove morì, Atanasia, raccolto intorno a sé un certo numero di vergini, si diede a vita monastica.
Fu eletta superiora (egumena) e maestra di spirito. Volendo, tuttavia, servire Dio in maggior solitudine, si rinchiuse in una cella attigua alla chiesa di Santo Stefano, dove morì dopo aver esortato le consorelle a generosa carità verso i poveri.
La santa non deve confondersi né con l'omonima moglie di Sant'Andronico celebrata il 9 ottobre, né con la compagna di santa Matrona che non sembra sia stata mai onorata da alcuna Chiesa. Nei sinassari Atanasia è commemorata il 18 aprile; nel Martirologio Romano il 14 agosto.
(Autore: Marko Japundzic - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Atanasia di Egina, pregate per noi.
*Beato Bonaventura da Bastia - Laico Francescano (18 aprile)
† 1408
Il Beato Bonaventura di Bastia è un laico francescano, che abitò a lungo nel convento di Cervara.
Non conosciamo né la sua data di nascita né il luogo.
Egli aumentò le strutture del suo convento.
Il Beato Bonaventura morì nel 1408 a Bastia, presso Assisi.
Viene ricordato il 18 aprile.
(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bonaventura da Bastia, pregate per noi.
*San Calogero di Brescia - Martire (18 Aprile)
† Albenga, Savona, 18 aprile 121
Secondo gli Atti dei SS. Faustino e Giovita, Caio era un bresciano che, convertito al cristianesimo dalla costanza dei due martiri, fu poi martirizzato ad Albenga sotto Adriano (117-138). Il martire, la cui festa ricorre il 18 aprile, ebbe culto limitato alle diocesi di Brescia, Milano, Asti, Ivrea e Tortona. Le sue reliquie, verso la metà del sec. IX, sarebbero state trasferite nel monastero di S. Pietro al Monte, a Civate (Como).
Etimologia: Calogero = di bella vecchiaia, dal greco
Emblema: Palma
La storia di San Calogero di Brescia, il cui nome è spesso riportato anche nella particolare forma di Calocero e che le fonti agiografiche chiamano anche col nome romano di Caio, si può desumere dagli atti dei santi Faustino e Giovita (Passio beatissimi martyris Faustini et Iovite - Epitome della I, II e III parte della "Legenda Maior") per opera dei quali si era convertito al Cristianesimo. Tutti e tre, infatti, erano soldati bresciani e probabilmente militavano nella medesima coorte poiché, allorché dovettero essere processati, vennero insieme trasferiti a Milano. Il processo si svolse presso le Terme d'Ercole ma nessuno dei tre abiurò la fede. Fu così che, condannati a morte, vennero condotti presso un tempio fuori le mura, poco lontano dall'anfiteatro, in uno spiazzo usato per le corse dei cavalli. Questa era probabilmente un'area che in origine, quando Milano era ancora la Midland dei Celti, era considerata sacra ed è molto verosimile che lì sgorgasse anche una sorgente, ritenuta miracolosa dalla popolazione, poi, nel 222 a.C., alla conquista di Milano, il console Marcello aveva sostituito il tempio celtico con uno dedicato a Giove e l'area era rimasta sacra per secoli, conservando un ampio spiazzo tutt'attorno; ma col passare del tempo e il mutare delle consuetudini, i passatempi della comunità erano diventati più rozzi e l'area sacra del tempio di Giove fuori le mura era diventata una pista per le corse. La zona in realtà alle corse si prestava ben poco poiché era lasciata a prato e non aveva alcun tipo di pavimentazione che le rendesse quantomeno sicure: correre coi cavalli in quella zona significava, perciò, tentare il suicidio oppure dimostrare un insolito coraggio, era il luogo, insomma, delle cosiddette "corse dei plaustri" che si svolgevano a Milano come in altre città dell'Impero per soddisfare i ben noti gusti morbosi della plebe dell'Impero, avida di passare il tempo tra spettacoli e gare che garantissero forti emozioni. All’epoca dei tre martiri, però, si trovavano ormai sempre meno coraggiosi disposti a gareggiare, per cui, per non rinunciare al divertimento, era da tempo invalso l'uso di far correre i condannati a morte, legati a carri lanciati a folle velocità e tirati da cavalli imbizzarriti.
Questa era la sorte riservata anche a Caio, Faustino e Giovita, i tre ex ufficiali dell'esercito imperiale, colpevoli di alto tradimento e tutti si aspettavano questa fine cruenta quando ognuno dei tre venne legato al carro. Al segnale convenuto, i cavalli vennero liberati e i carri partirono con la solita veemenza tra gli urli e i fischi della folla, ma un inaspettato prodigio la deluse: i tre Santi riuscirono prontamente a governare i propri carri e a fuggire dal patibolo evitando, per questa volta, il martirio. Calogero prese la strada per Vigevano proseguendo fino ad Asti per rifugiarsi nella comunità cristiana locale dove, tra gli altri, convertì al Cristianesimo Secondo, il primo martire di Asti che andò a Milano a farsi battezzare e ad aiutare Faustino e Giovita rimasti colà. In seguito, Calogero, non si sa bene per quale ragione, si trasferì ad Albenga, dove continuò la sua opera missionaria. Fu lì che venne scoperto dalla polizia imperiale la quale pensò bene di decapitarlo immediatamente per evitare ulteriori sorprese. L'esecuzione avvenne presso l’antica foce del Centa, in località Campore nell’anno 121 sotto l'imperatore Adriano (117-138), era il 18 aprile. Il ricordo di Calogero divenne ben presto un forte culto locale restando, però, limitato alle diocesi di Brescia, Milano, Asti, Ivrea e Tortona. In regione Doria, in prossimità dell'imbocco della galleria dell'attuale SS Aurelia in direzione di Alassio, possono ancora osservarsi i ruderi della prima basilica cristiana di Albenga, eretta attorno ai secoli IV e V e dedicata a San Calogero. La presunta Tomba di San Calogero è conservata ad Albenga nel Museo Civico Ingauno, mentre nella Cattedrale di San Michele è conservata l'urna con le reliquie del Santo. A Milano è probabilmente sopravvissuta fino ai giorni nostri la memoria del mancato martirio di San Calogero nella toponomastica viaria del centro storico della città: non lontano da Porta Ticinese, infatti, si trova Via S. Calogero. Proprio in questa zona della città ora si trova la chiesa di S. Vincenzo in Prato il cui nome, nel quale sopravvive il riferimento a un non meglio precisato prato, fa pensare che in quella zona fosse da sempre presente un'area non edificata come testimoniato dalla tradizione agiografica circa i Santi Faustino e Giovita che parla di un tempio romano nella zona, un edificio sacro pagano che sarebbe crollato in seguito a un periodo di forti piogge, rivelando tra l'altro l'esistenza di una sorgente. Sul luogo del crollo venne in seguito riedificata una chiesa cristiana, dedicata alla Madonna, la sorgente pare fosse rinomata per la salubrità delle acque che ne sgorgavano e il punto preciso della fonte, nota col nome di Fonte di San Calogero, pare fosse custodito sotto l'altare della chiesa; successivamente, la chiesa venne ampliata e dedicata a San Vincenzo al cui nome è tuttora legato all'edificio sacro, si ha notizia, però, di un Oratorio di San Calogero, eretto a fianco della chiesa di San Vincenzo, attorno al quale venne poi costruito un monastero femminile. L'Oratorio di San Calogero venne irreparabilmente danneggiato durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e fu, purtroppo, demolito. Ad Albenga è sopravvissuto fino ai nostri giorni il complesso del monastero di San Calogero, ormai abbandonato e trasformato in zona archeologica, che si vuole sorto presso il luogo del martirio e che avrebbe custodito le spoglie mortali del Santo evangelizzatore della zona finché queste non vennero traslate nella chiesa della città. Ma secondo un'altra tradizione, che sembra cozzare con quella ligure, il luogo di sepoltura attuale delle spoglie mortali di San Calogero è Civate, presso cui furono traslate verso la metà del IX secolo.
La tomba attuale è custodita nella chiesa dedicata al Santo all'interno delle mura del paese ma pare che originariamente le spoglie fossero state deposte nella chiesa di San Pietro al Monte, secondo quanto afferma anche la leggenda di San Pietro al Monte di Civate, in cui parte rilevante ha la presenza di una fonte d'acqua dai poteri miracolosi.
Dall'altro versante del Monte di Civate, poi, sorge un altro paese, Caslino d'Erba, la cui principale attrazione è costituita dalla chiesa romanica della Madonna di San Calogero, situata in un'area sacra ove venne rinvenuta un'interessante lapide romana in cui sembra potersi leggere il voto che un fedele fa "alle Linfe e alle Acque", dando, così, la conferma del fatto che l'area in questione fosse in origine un vero e proprio monte sacro, sede terrena degli spiriti delle acque.
Va poi ricordato che il luogo del martirio del Santo è situato dalla tradizione di nuovo presso l'acqua: alla foce di un fiume. Infine, sia la piana di Albenga, creata dal fiume Centa sia la zona di Civate e Caslino, erano in passato soggette a frequenti alluvioni e frane per proteggersi dalle quali le popolazioni esasperate si affidavano all'intercessione di San Calogero.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Calogero di Brescia, pregate per noi.
*Santi Eleuterio ed Anzia - Martiri (18 Aprile)
Eleuterio, Vescovo dell’Illirico, e Anzia, sua madre, Santi, Martiri.
Gli Acta di Eleuterio, sia quelli greci (BHG, I, pp. 173-74, nn. 568-71b), sia quelli latini (BHL, I, p. 368, nn. 2450-52), sono molto leggendari. Secondo quelli greci, posteriori al sec. V, Eleuterio figlio di Anzia, vedova del console Eugenio, fu ordinato diacono e prete e consacrato poi vescovo da un certo Aniceto. Inviato come vescovo nell’Illirico, fu prelevato dal comes Felice per essere portato a Roma al giudizio dell’imperatore Adriano.
Il colloquio, cominciato con promesse, finì con la condanna a morte di Eleuterio e di sua madre. Il martirio avvenne il 15 dicembre.
Una traduzione latina (BHL, I, p. 368, n. 2452) del testo greco, anteriore al sec. VIII, dice che Aniceto, dopo aver consacrato E., lo destinò vescovo in Apuliam Aecanam civitatem. Questi, insieme con la madre, ritornato a Roma, vi fu ucciso il 18 aprile.
I cittadini di Aeca rapirono i corpi dei due martiri e li portarono nella loro città. La qualifica “Episcopi Illyrici” è entrata nel Martirologio Romano per opera del Baronio, il quale l’ha presa da libri greci, e le relazioni di E. con Aeca sembrano, secondo Delehaye, puramente artificiali.
Così Floro ha letto, per errore, Apuliam Aecanam come Apuliam Messenam e il suo errore è entrato nel Vetus Romanum e quindi nel Martirologio Romano, ma Eleuterio non ha niente a che vedere con Messina.
Mentre sulla vita di Eleuterio nulla si sa, il suo culto è molto antico ed è bene accertato. Il suo nome (alcune volte nella forma latina di Liberalis) è nei sinassari greci ai giorni 15 dicembre e 21 o 20 luglio; nel Martirologio Geronimiano al 18 aprile e nuovamente al 5 settembre e al 24 novembre (“in civitate Riatensi”, cioè Rieti, dove era venerato); nel Calendario Marmoreo di Napoli al 18 aprile; nei libri mozarabici alla stesa data. Anche i libri liturgici sono testimoni di tale culto.
Numerose chiese sorgevano in Italia in onore di questo santo: a Roma, sulla via Labicana, a Nepi, a Vasto e a Parenzo d’Istria dove era solennizzato il 18 aprile come a Aeca. A Chieti era venerato il 21 maggio, come a Benevento, a Salerno, a Sulmona; il 13 maggio a Terracina; il 23 ad Arce, e il 31 dicembre a Canne in Puglia, come vescovo locale, figlio di Evanzia (corruzione di “Anzia”). Il famoso monastero di Maiella è pure dedicato a San Liberatore e da lui ha preso il nome Sant'Eleuterio presso l’antica Aequum Tuticum degli Irpini, sulla via Traiana.
Venendo a qualche conclusione, si può dire, col Lanzoni, che l’identificazione con un martire romano Liberalis non è da escludersi.
Nel cimitero ad clivum Cucumeris era sepolto il martire romano Liberale.
Qui venivano i pellegrini a venerarlo nel sec. VII secondo gli itinerari, e due iscrizioni, posteriori a Damaso, situate presso il sepolcro, pretendevano che egli fosse stato prima del martirio “patricio clarus de germine consul”.
(Autore: Filippo Caraffa – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Eleuterio ed Anzia, pregate per noi.
*Santi Ermogene ed Elpidio - Martiri (18 Aprile)
Martirologio Romano: A Melitene nell’antica Armenia, Santi Ermogene e Elpidio, Martiri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Ermogene ed Elpidio, pregate per noi.
*Sant'Eusebio di Fano - Vescovo (18 Aprile)
† 18 maggio 526
Martirologio Romano: A Fano nelle Marche, Sant’Eusebio, vescovo, che accompagnò il papa san Giovanni I inviato a Costantinopoli dal re Teodorico, seguendolo al ritorno anche nel carcere in cui venne rinchiuso.
La storia di Eusebio ha sicuri riferimenti e appoggi: egli sottoscrisse il sinodo romano di papa Simmaco nel 503.
Poiché nei documenti del sinodo del 499 risulta vescovo di Fano, Vitale, c’è da pensare che l’episcopato di Eusebio abbia avuto inizio tra il 500 e il 502. Altro riferimento storico sicuro è rappresentato dal fatto che Eusebio accompagnò papa Giovanni I nell’ambasceria, voluta da re Teodorico, presso l’imperatore Giustino, per ottenere da questi la revoca del decreto di requisizione delle chiese ariane.
Eusebio fu, infatti, uno dei cinque vescovi che, insieme con quattro senatori delle maggiori famiglie romane, accompagnarono il pontefice nel viaggio, che ebbe inizio nell’ottobre o novembre 525 e si concluse a Costantinopoli, prima delle feste di Natale, celebrate solennemente dal papa.
L’ambasceria, dopo gli onori solenni ricevuti dall’imperatore e dal popolo e dopo l’incoronazione dell'imperatore stesso da parte del pontefice, ripartì da Costantinopoli alla fine dell’aprile 526.
Il risultato parziale dell’ambasceria non soddisfece il re Teodorico, il quale, quando il pontefice sbarcò a Ravenna, lo fece, insieme coi vescovi che lo accompagnavano, chiudere in carcere, dove morì il 18 maggio 526. A questo punto, i documenti tacciono sul conto di Eusebio e a questa data la tradizione pone la sua morte, che sarebbe avvenuta a Fano.
Non abbiamo gli Atti di questo vescovo. La tradizione, accolta dagli storici locali, gli attribuisce la fondazione di un collegio di chierici, o di una canonica, presso la chiesa di San Pietro in Episcopio (allora cattedrale), chiesa che sarebbe stata restaurata dallo stesso santo e che, con rifacimento romanico, ancora esiste in via Rinalducci.
Più tardi, nel secolo IX, quando la cattedrale venne trasferita nella nuova chiesa di Santa Maria Maggiore, si trasferì accanto alla nuova sede anche la canonica, di cui si trova notizia nei documenti. Ai chierici di questa canonica san Pier Damiani diresse il suo opuscolo Ad clerica Ecclesia Fanensis.
Eusebio curò la disciplina del clero e la vita cristiana del popolo. Secondo quanto afferma Giovanni, abate di Nonantola (secolo XII), nella Vita manoscritta di san Fortunato, dopo che del primitivo sepolcro si era perduta ogni notizia, le reliquie furono ritrovate sotto l’altare maggiore della cattedrale di Santa Maria Maggiore, insieme con quelle di San Fortunato e san Orso, nel 1113, quando, in seguito all’incendio della canonica dei chierici e della cattedrale stessa, avvenuto nel 1111, fu iniziata la costruzione della nuova.
In tale circostanza le reliquie di Eusebio furono identificate, poiché portavano la scritta Corpus Sondi Eusebi e furono collocate sotto l’altare della cappella sita presso la sagrestia, in cornu epistola, insieme con quelle di san Orso, mentre quelle di san Fortunato vennero riposte sotto l’altare maggiore. La cappella è tuttora dedicata a san Eusebio e a san Orso ed è ornata da un quadro di Ludovico Carracci che raffigura la Vergine, regina del cielo, con accanto i due santi vescovi Orso ed Eusebio.
Il quadro è stato dipinto nel 1615; sovrasta la dedica: «B. Virgini Coelorum Reginae et SS. Urso et Eusebio Patronis dicatum».
La festa di Sant’Eusebio si celebra a Fano il 18 aprile.
(Autore: Vittorio Bartoccetti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eusebio di Fano, pregate per noi.
*San Galdino - Vescovo (18 Aprile)
Milano, 1096 - 18 aprile 1176
Figlio di piccoli nobili, Galdino è nato a Milano, avviandosi poi alla vita ecclesiastica.
Nel 1160 è arcidiacono della cattedrale, e lo troviamo con l'arcivescovo Oberto al campo dei milanesi. Nel 1162 assiste alla distruzione della città ordinata dall'imperatore, Federico I Barbarossa.
Lui e l'arcivescovo sono schierati con Alessandro III, eletto papa nel 1159 da una parte dei cardinali, mentre altri eleggevano il filo-tedesco, antipapa, Ottaviano de' Monticelli col nome di Vittore VI. Scisma nella Chiesa, dunque.
Nel 1165 Galdino viene nominato cardinale e succede a Oberto sulla cattedra di Ambrogio. La città però è in rovina. Nel 1167 incomincia la ricostruzione, e uno dei protagonisti è lui.
Riorganizza la Chiesa in Lombardia e pianifica il soccorso ai molti poveri. Rimesse in piedi le strutture fondamentali per miserie vecchie e nuove, dice agli amministratori e fa incidere sulla pietra: «Voi siete qui solo per servire i poveri».
Restaura la cattedrale, aiutato da donne milanesi che donano i pochi gioielli salvati dai saccheggi del Barbarossa. Morirà nel 1176 sul pulpito della chiesa di Santa Tecla, dopo un sermone. (Avvenire)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Milano, San Galdino, vescovo, che si adoperò per la ricostruzione della città distrutta dalle guerre per il potere e, al termine di un discorso contro gli eretici, rese lo spirito a Dio.
Settembre 1847. In Milano, ancora sotto il dominio degli Asburgo, entra il nuovo arcivescovo, festeggiatissimo perché è italiano (Bartolomeo Romilli) mentre il predecessore era austriaco. Si fanno in suo onore tre archi di trionfo, dedicati a sant’Ambrogio, a san Carlo e a san Galdino: ma la scritta in onore di quest’ultimo è fatta sparire dal Governo, perché allude troppo. Galdino, infatti, è strettamente legato alle lotte di Milano, e di altre città lombarde, contro Federico I Barbarossa.
Figlio di piccoli nobili, Galdino è nato a Milano, avviandosi poi alla vita ecclesiastica. Nel 1160 è arcidiacono della cattedrale, e lo troviamo con l’arcivescovo Oberto al campo dei milanesi.
Nel 1162 assiste alla distruzione della città ordinata dall’imperatore. Lui e l’arcivescovo sono schierati con Alessandro III, eletto papa nel 1159 da una parte dei cardinali, mentre altri eleggevano il filo-tedesco Ottaviano de’ Monticelli col nome di Vittore VI. Scisma nella Chiesa, dunque: papa e antipapa. In Milano, Oberto proclama la scomunica di Federico come responsabile dello scisma.
Nel 1165 Galdino viene nominato cardinale. Ora deve seguire il papa nei suoi spostamenti; e nel marzo 1166 si trova appunto con Oberto in Benevento, a fianco di Alessandro III.
Ma durante il soggiorno Oberto muore, e il papa nomina Galdino suo successore. Lui deve raggiungere la Lombardia clandestinamente, travestito da pellegrino, e in città lo accolgono le rovine.
Nel 1167, infine, dopo cinque anni terribili, incomincia la ricostruzione, e uno dei protagonisti è lui. Riorganizza la Chiesa in Lombardia, confermandola nella fedeltà ad Alessandro III, e pianifica il soccorso ai poveri che si sono moltiplicati: quelli di prima, e quelli di miseria recente, i carcerati per debiti, quelli che non osano chiedere.
Rimesse in piedi le strutture fondamentali per miserie vecchie e nuove, dice agli amministratori (anzi, fa incidere sulla pietra): "Voi siete qui solo per servire i poveri". "Strappa il patrimonio della Chiesa dalle fauci dei rapinatori", dice una sua biografia.
Restaura la cattedrale, aiutato da donne milanesi che donano i pochi gioielli salvati dai saccheggi del Barbarossa.
E ricomincia da capo a insegnare le preghiere, a pretendere il canto degno di Dio e del suo popolo. Predica instancabilmente. Anzi, muore sul pulpito della chiesa di Santa Tecla, dopo un sermone.
E in questo stesso anno la Lega Lombarda vince la battaglia di Legnano. (Per questo, ancora nel 1847, il nome di Galdino risulta sospetto al Governo austro-ungarico).
Lo stesso Alessandro III lo proclama Santo. E nel XIX secolo il Manzoni darà il suo nome al loquace frate cercante dei Promessi sposi. Fra Galdino: anche in memoria, pensiamo, del pane per i poveri, che per molto tempo in Milano si chiamò appunto “pane di San Galdino”.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Galdino, pregate per noi.
*San Giovanni Isauro - Monaco (18 Aprile)
Martirologio Romano: Nello stesso luogo, San Giovanni Isauro, monaco, che fu discepolo di San Gregorio Decapolita e lottò strenuamente sotto l’imperatore Leone l’Armeno in difesa delle sacre immagini.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Isauro, pregate per noi.
*Beato Giuseppe Moreau - Sacerdote e Martire (18 Aprile)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri di Angers” - Martiri della Rivoluzione Francese
Saint-Laurent-de-la-Plaine, Francia, 21 ottobre 1763 - Angers, Francia, 18 aprile 1794
Il sacerdote Joseph Moreau cadde vittima in odio alla fede durante la Rivoluzione Francese.
Fu beatificato il 19 febbraio 1984 insieme ad una folta schiera di martiri della diocesi di Angers.
Martirologio Romano: Ad Angers in Francia, Beato Giuseppe Moreau, sacerdote e martire: durante la rivoluzione francese fu ghigliottinato nel Venerdì della Passione del Signore in odio alla fede cristiana.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Moreau, pregate per noi.
*Beato Idesbaldo delle Dune - Abate (18 Aprile)
1090/1100 - 1167
Si tratta di un celebre abate che dal 1155 guidò l'abbazia cistercense delle Dune. Nato verso il 1090, si pensa che appartenga alla famiglia nobile dei van der Gracht, signori di Moorsel nella Fiandra occidentale. Entrò nel 1150 nella celebre abbazia dopo essere rimasto vedovo, morì nel 1167.
Fu seppellito nel capitolo della chiesa in una bara di piombo. Nel 1577 l'abbazia fu devastata e i monaci trasportarono il suo corpo nel rifugio alla fattoria di Bogaerde.
Nel 1623 fu effettuata una ricognizione e la bara fu aperta davanti a molti testimoni, il corpo fu trovato intatto.
Nel 1796 fu trasportato al sicuro da Bruges dov'era, per salvarlo dalle truppe rivoluzionarie e infine nel 1830 fu deposto nella cappella dell'ospedale della Potterie presso l'abbazia dove è tuttora.
Il suo culto è stato approvato nel 1894. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Bruges nelle Fiandre, nell’odierno Belgio, Beato Idesbaldo, abate, che, rimasto presto vedovo ed esercitati per altri trent’anni incarichi nel palazzo dei conti, entrò in età matura nel monastero di Down, che resse santamente come terzo abate per dodici anni.
Si tratta di un celebre abate dal 1155 dell’abbazia delle Dune cistercense, nato verso il 1090, si pensa che appartenga alla famiglia nobile dei van der Gracht, signori di Moorsel nella Fiandra occidentale.
Entrò nel 1150 nella celebre abbazia dopo essere rimasto vedovo, morì nel 1167 in grande fama di santità, fu seppellito nel capitolo della chiesa in una bara di piombo.
Nel 1577 i Gueux (nome dispregiativo dei nobili fiamminghi, vuol dire in francese ‘pezzenti’) devastarono l’abbazia ed i monaci furono costretti a trasportare il suo corpo nel rifugio alla fattoria di Bogaerde.
Nel 1623 fu effettuata una ricognizione e la bara fu aperta davanti a molti testimoni, il corpo fu trovato intatto.
Per diversi giorni fu esposto alla venerazione dei fedeli che accorsero in massa, molte guarigioni avvennero in quell’occasione e il suo culto si estese sempre più.
Ancora nel 1796 fu trasportato al sicuro da Bruges dov’era, per salvarlo dalle truppe rivoluzionarie e infine nel 1830 fu deposto nella cappella dell’ospedale della Potterie presso l’abbazia dove è tuttora.
Il suo culto è stato approvato nel 1894 con decreto della Diocesi di Bruges.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Idesbaldo delle Dune, pregate per noi.
*San Lasreano o Molasso - Abate (18 Aprile)
m. 638
Martirologio Romano: A Leighlin in Irlanda, San Láisren o Molaise, abate, che diffuse pacificamente nell’isola il rito romano della celebrazione pasquale.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lasreano, pregate per noi.
*Beato Luca Passi - Sacerdote e Fondatore (18 Aprile)
Bergamo, 22 gennaio 1789 - Venezia, 18 aprile 1866
E' stato beatificato il 13 aprile 2013 sotto il pontificato di Papa Francesco.
Il Servo di Dio Don Luca Passi fin dalla giovinezza nutrì aspirazioni apostoliche-missionarie, per cui si consacrò al servizio del Signore e fu un autentico testimone della carità evangelica soprattutto nell’azione formativa umano-sociale e morale della gioventù.
Primo di undici figli, nacque a Bergamo il 22 gennaio 1789 da Enrico e Caterina Corner, donna di elevato sentire che lo educò alle virtù cristiane, mentre il padre gli fu maestro per gli studi scolastici e la preparazione ai Sacramenti della Confessione e Prima Comunione.
Verso la fine del secolo XVIII, quando Bergamo entrò bruscamente in contatto con le idee rivoluzionarie francesi, il conte Enrico, per proteggere i figli, trasferì la famiglia nella sua villa di campagna a Calcinate. Qui era pure il palazzo dello zio Mons. Marco Celio Passi, che nel 1798 divenne stabile dimora per i seminaristi di Bergamo allorché fu soppresso il seminario. Lo zio, vicario generale della diocesi, era un fulgido esempio per i nipoti e tre di essi lo seguirono nella vita sacerdotale: Luca, Marco Celio e Giuseppe.
Luca e Marco, quasi coetanei, in seminario si distinsero per pietà, devozione alla Madonna, impegno nello studio, osservanza delle regole, esercizio della correzione fraterna tra i compagni, fervorosa vita spirituale.
Ancora diacono, Don Luca iniziò un’intensa attività apostolica nella sua parrocchia di Calcinate dove gli era stato affidato l’incarico di priore della “Confraternita del SS. Sacramento”. Nella prolungata adorazione e contemplazione della SS. Eucaristia e del mistero di Cristo redentore dell’uomo, divampò in lui “l’urgenza di testimoniare e di evangelizzare”, pertanto con animo e cuore di pastore ardente di carità sacerdotale propose di dedicarsi al ministero della predicazione. E, avendo dato peculiari prove di quella passione e di quell’arte predicatoria che farà di lui uno dei grandi missionari apostolici della sua epoca, dai suoi superiori fu ritenuto idoneo a tenere alcuni sermoni fuori Bergamo già negli anni 1811-1812.
Il 13 marzo 1813, fu ordinato sacerdote. Il 16 maggio 1815 emise i voti dei “discepoli” nel “Collegio Apostolico” di Bergamo, che riuniva il fior fiore dei sacerdoti diocesani. I dodici aderenti al sodalizio si obbligavano a vivere secondo lo spirito degli Apostoli, facendo voto di obbedienza, di povertà di spirito, di impegno per la salvezza dei fratelli “per puro amore e gloria di Dio”.
Il giovane Don Luca sentì fortemente questo dovere, che lo porterà a predicare in molte città e paesi della penisola italiana, tanto da meritarsi, nel 1836, dal Papa Gregorio XVI il titolo di “Missionario Apostolico”. Nel ministero sacerdotale Don Luca si rivelò anche un suscitatore di apostoli laici, un geniale animatore e coordinatore della naturale tendenza dei giovani all’aggregazione, per avvicinarli alla fede e “formarli al buon costume”.
In Calcinate aveva allargato l’impegno della Confraternita del SS. Sacramento affidando a ciascuna associata alcune fanciulle, vicine di casa, perché ne prendessero amorevole cura, istruendole nella fede, sostenendole nelle virtù o correggendole, se necessario, dei loro difetti e facendole diventare delle piccole apostole fra le loro coetanee. Nacque così, nel 1815, la Pia Opera di S. Dorotea per la formazione cristiana delle ragazze; opera veramente innovativa e unica nel suo genere sul piano pastorale, capace di coinvolgere numerosi fedeli di una parrocchia o di una diocesi, sensibili al dovere di ogni cristiano di aver “cura” della gioventù per formarla all’onestà della vita. Con gli stessi intenti istituì la Pia Opera di S. Raffaele per i ragazzi.
Don Luca, coadiuvato dal fratello Don Marco, stabiliva le due associazioni, in accordo con i singoli parroci, al termine delle “Missioni” o dei “Quaresimali” e ovunque si recava per il ministero della predicazione. Soprattutto l’Opera di S. Dorotea ebbe vasta diffusione e molti Prelati, Sacerdoti e laici zelanti, meravigliati dei frutti di bene che produceva, la sostennero con ammirabile impegno.
Essa tendeva a creare una mirabile rete di amicizia tra le fanciulle stesse e le giovani, sull’esempio della Martire loro Patrona, in uno scambio vicendevole di aiuto e promozione che spesso porta notevoli vantaggi spirituali anche alle loro famiglie.
All’Opera di S. Dorotea appartenevano (e appartengono) giovani donne che si prendono cura delle fanciulle “col fine santissimo d’istillare ne' loro cuori il santo timor di Dio, e formarle al buon costume”, adoperandosi perciò, in clima di sincera amicizia, a correggerle con carità dei loro difetti, dar loro opportuni avvisi e saggi consigli, procurare che frequentino i sacramenti, attendano ai loro doveri e siano docili verso i loro superiori (cf. L. PASSI, Pia Opera di S. Dorotea diretta a formare i costumi delle fanciulle, IV edizione Lucca 1854, p. 17).
Nel 1838 Don Luca Passi fondò in Venezia l’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea, col fine primario di essere “anima” e sostegno della Pia Opera di S. Dorotea. Cofondatrice e prima superiora dell’Istituto fu Madre Rachele Guardini.
Don Luca promosse anche opere sociali di grande utilità pubblica; in particolare volse il suo interesse alla fascia dei giovani poveri, soprattutto agricoltori; per questo scopo pubblicò nel 1836 il Progetto Morale ed Economico e nel 1838 istituì in Calcinate le Terziarie di Santa Dorotea, dette “Suore contadine”, per addestrare appunto le fanciulle abbandonate ai lavori donneschi e agricoli, compatibilmente con la loro età.
Con zelo instancabile, Don Luca trasfuse nelle aderenti all’Opera e nelle Suore il suo ardente desiderio di comunicare ai fratelli “il fuoco d’amor di Dio” di cui egli traboccava. Amava ripetere: “Chi non arde non accende” e ferma era la sua convinzione che “fa d’uopo dare anche la vita per la salvezza di un’anima”. Infaticabile fino all’ultimo, morì a Venezia il 18 aprile 1866.
Il suo carisma è ancora vivo nella missione che svolgono le Suore di Santa Dorotea [in Italia, in America Latina (Bolivia, Colombia, Brasile), in Africa (Burundi, Repubblica democratica del Congo, Camerun, Madagascar) e in Albania] e nell’animo e nell’attività dei numerosi Cooperatori/trici dell’Opera di S. Dorotea sparsi in tutto il mondo, che si fanno carico della formazione cristiana delle giovani generazioni, accompagnandole nella loro crescita con un amore intessuto di misericordia e di speranza.
(Autore: Suor Ritalberta Mazzoni, msd - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luca Passi, pregate per noi.
*Beato Luigi Leroy - Missioario Oblati di Maria Immacolata e Martire (18 Aprile)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri del Laos"! - 16 dicembre (celebrazione di gruppo)
Ducey, Francia, 8 ottobre 1923 – Ban Pha, Laos, 18 aprile 1961
Padre Louis Leroy, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, venne inviato subito dopo l’ordinazione sacerdotale alla missione nel Laos. Nonostante i suoi limiti fisici – era rimasto precocemente sordo – si diede all’apprendimento delle lingue locali e visitava senza sosta i villaggi che gli vennero affidati. Il 18 aprile 1961 venne prelevato da un drappello di militanti comunisti e ucciso nella foresta vicina: si realizzava in tal modo il suo sogno di gioventù, ovvero morire martire.
Inserito nel gruppo di quindici martiri capeggiato dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên, è stato beatificato l’11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos, insieme al suo confratello padre Mario Borzaga e al catechista Paul Thoj Xyooj. La sua memoria liturgica cade il 16 dicembre, unitamente a quella degli altri sedici martiri del Laos.
Louis Leroy nacque l’8 ottobre 1923 a Ducey, nella diocesi di Coutances in Francia. Primogenito di quattro figli, rimase orfano di padre. Lavorò per circa dieci anni nella fattoria di famiglia, finché, ventiduenne, si orientò alla vita religiosa tra i Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Frequentò lo scolasticato a Pontmain: era dotato di una notevole intelligenza pratica, ma aveva non poche difficoltà in latino e soffriva di frequenti mal di testa. In compenso, s’impegnava profondamente in tutto.
Nel 1947, insieme a un confratello, si recò in pellegrinaggio da Pontmain a Lisieux: percorsero centocinquanta chilometri a piedi per poter pregare sulla tomba di santa Teresa di Gesù Bambino. Lo stesso anno, Louis confidò a un altro compagno, con una tal sicurezza da colpirlo: «Sono entrato tra gli Oblati per andare in una missione difficile dove potrei morire martire».
Compì il noviziato a La Brosse-Montceaux, dove confermò le sue buone qualità. I compagni hanno testimoniato, in aggiunta, che era di carattere allegro e amava ridere, ma era sostanzialmente serio. La sua attività di contadino gli fu utile quando aiutò le monache Carmelitane di Limoges a traslocare in campagna: rimase molto legato a loro anche negli anni a venire. Infine, il 29 settembre 1952 compì la sua oblazione perpetua e, il 4 luglio 1954, venne ordinato sacerdote all’abbazia di Solignac.
In base all’uso tra gli Oblati di Maria Immacolata, scrisse quindi al suo superiore generale per dichiarare di essere pronto alla missione: «Prima di conoscere gli Oblati le missioni d’Asia mi attiravano e per queste missioni avrei voluto abbandonare la mia missione di contadino... La conoscenza delle missioni oblate mi ha allora fatto desiderare il Laos, e le difficoltà che questa missione ha incontrato e forse incontrerà ancora non hanno fatto altro che aumentare il mio desiderio per questo paese... Riceverei con gran gioia la mia obbedienza per il Laos se voi giudicherete buono d’inviarmi là...».
L’11 giugno 1955 giunse la consegna: doveva partire per il Laos.
Arrivato nel mese di novembre, venne inviato poco dopo a Xieng Khouang, il centro della missione. Si mise subito a studiare con pazienza le lingue locali, ma fu penalizzato da una precoce sordità. Nonostante questo limite, era infaticabile nel servizio agli ammalati, ardente nell’amore ai più poveri, paziente verso i peccatori.
Un anno dopo, disorientato dalla varietà di lingue e di dialetti, chiese di trascorrere qualche mese a Tha Ngon, nella valle del Mekong, per familiarizzare meglio con la lingua ufficiale, il lao. A fine 1957 era di ritorno a Xieng Khouang e da lì raggiunse la stazione missionaria di Ban Pha, in montagna. Risiedeva lì, ma visitava senza sosta gli altri villaggi che gli erano stati affidati, anche a ore di distanza dalla sua abitazione.
Nella sua corrispondenza con le monache carmelitane di Limoges si riflettono sia le sue speranze, sia le sue delusioni circa la vita missionaria; queste ultime erano causate soprattutto dall’incostanza dei fedeli laotiani, che spesso tornavano alle loro antiche usanze.
«Mi è capitato», scrisse, «di andare a trascorrere una notte in alcuni villaggi pagani per cercare di far loro conoscere la nostra religione ma, almeno apparentemente, ciò che ho detto loro non sembrava interessarli granché... [Il missionario] si rende presto conto che solo la grazia onnipotente di Dio può convertire un’anima».
Nel 1959 i missionari ricevettero l’ordine dalla Santa Sede di restare al proprio posto, a meno che non fossero anziani o malati. Anche padre Leroy rifiutò tenacemente di andarsene al seguito delle truppe reali, che avevano abbandonato Ban Pha: «Sono pronto a morire per il Signore», disse in lingua locale.
Il 18 aprile 1961 venne quindi prelevato da un drappello di militanti comunisti: chiese di poter indossare la sua veste, infilò nella cintura il caratteristico grande crocifisso dei Missionari Oblati e prese con sé il breviario. Fu poi ucciso nella foresta vicina.
La sua sepoltura improvvisata venne riconosciuta da alcuni fedeli, ma solo dopo due anni poté essere benedetta da un suo confratello: ormai era compresa in una risaia, che una cristiana aveva acquistato per preservare la sua memoria.
Padre Louis Leroy è stato inserito in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên. La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario un altro dei potenziali martiri, padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, suo confratello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette.
Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos.
A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La loro memoria liturgica cade il 16 dicembre, anniversario del martirio di un altro Missionario Oblato di Maria Immacolata, padre Jean Wauthier.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luigi Leroy, pregate per noi.
*Beata Maria dell'Incarnazione (Barbara Avrillot) - Carmelitana (18 Aprile)
Parigi, 1 febbraio 1566 - Pontoise, 18 aprile 1618
Barbara Avrillot ebbe il merito di introdurre la riforma carmelitana di santa Teresa d'Avila in Francia. Nata a Parigi nel 1566 da famiglia nobile, studiò dalle Suore Minori dell'Umiltà di Nostra Signora a Longchamp. Fu data in sposa al visconte di Villemor, da cui ebbe sei figli.
Ebbe come direttore spirituale san Francesco di Sales e nel 1601 conobbe gli scritti di Santa Teresa. Ne fu così colpita da mettersi in moto per portare in Francia le Carmelitane scalze. Il primo Carmelo sorse a Parigi nel 1604, seguito da Pointoise, Digione e Amiens. Tutte e tre le figlie di Barbara presero l'abito.
Così fece anche lei nel 1614, dopo la morte del marito, con il nome di Maria dell'Incarnazione. Morì nel 1618 ed è beata dal 1791. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Pontoise presso Parigi in Francia, Beata Maria dell’Incarnazione (Barbara) Avrillot, che, provata madre di famiglia e moglie devotissima, introdusse il Carmelo in Francia e fondò cinque monasteri, finché, alla morte del marito, fece lei stessa professione di vita religiosa.
È considerata la “madre e fondatrice del Carmelo in Francia” perché ha contribuito a diffondere più di tutti la riforma carmelitana di s. Teresa d’Avila.
Nacque a Parigi il 1° febbraio del 1566 e si chiamava Barbara Avrillot, figlia del signore di Champlatreux, Nicola Avrillot.
Com’ era consuetudine per la nobiltà dell’epoca, appena adolescente fu affidata alle Suore Minori dell’Umiltà di Nostra Signora residenti a Longchamp. Rientrata in famiglia verso i 14 anni non le fu concesso di scegliere la vita religiosa e quindi a 16 anni fu data in sposa al visconte di Villemor, Pietro Acarie, signore di Montbrost e di Roncenay uomo di intemerati costumi.
Iniziò per lei la vita matrimoniale e di madre, avendo poi avuto sei figli, dando esempio a tutti della possibilità di vivere una vita religiosa e conforme ai comandamenti di Dio, pur essendo impegnata come madre e moglie, adempiendo i suoi doveri anche nella conduzione della casa e nei confronti dei dipendenti, prova vivente di come i coniugi cristiani possano proseguire insieme nella via della santità.
Si prodigò attivamente ad aiutare i bisognosi, specie nell’assedio di Parigi del 1590, durante le guerre di religione, che videro in campo gli Ugonotti ed i cattolici con l’intervento militare degli spagnoli, sotto il regno di Enrico IV.
Fu figlia devota della Chiesa e partecipò all’azione di contrasto contro l’eresia protestante che cercava di estendersi in Francia. Dio la favorì con grazie mistiche straordinarie ma anche mandandole prove esteriori ed interiori. Il re Enrico IV esiliò il marito da Parigi, dopo la disfatta della Lega cui apparteneva, le ingratitudini ferirono il suo cuore, ma ella combatté affinché suo marito fosse riabilitato, la lotta durò quattro anni, alla fine dei quali la famiglia si ricompose e le proprietà restituite.
Conobbe san Francesco di Sales il quale l’approvava e le faceva da guida spirituale. Nel 1601, letti gli scritti di s. Teresa di Gesù volle, lei laica, fare di tutto per introdurre in Francia la riforma carmelitana, nel 1602 raccolse le prime vocazioni, ottenne le autorizzazioni dal re, da cui era tenuta in grande considerazione, e nel 1603 papa Clemente VIII ne autorizzò la fondazione e quindi costruì il primo monastero.
Dalla Spagna, il 29 agosto 1604, giunsero sei Carmelitane Scalze fra cui una futura Beata Anna di San Bartolomeo e una futura Serva di Dio, Anna di Gesù, e il 17 ottobre poté così iniziare a Parigi la regolare vita monastica.
Barbara Avrillot ebbe la felicità di vedere entrare nel Carmelo tutte e tre le sue figlie e l’espandersi delle sedi anche a Pontoise, Digione, Amiens nel 1605/06. Nel 1613, il marito Pietro si ammalò gravemente e dopo nove giorni morì con la pace dell’uomo giusto, assistito dalla santa vedova confortata dalla celeste conferma della sua salvezza eterna.
Il 7 aprile 1614, libera ormai da ogni dovere e legame terreno, entrò nel Carmelo di Amiens come conversa, prendendo il nome di Maria dell’ Incarnazione. Visse la sua vita di clausura con umiltà lavorando in cucina, assistendo le sorelle ammalate, soffrì molto per le incomprensioni sorte con l’avvento di una nuova priora proveniente da un altro Carmelo, ebbe molte estasi e visioni che la confortavano nelle sue lunghe malattie e sofferenze.
Per la cagionevole salute fu trasferita nel Carmelo di Pontoise il 7 dicembre 1616 e qui dopo lunga malattia rese l’anima a Dio il 18 aprile 1618; il suo corpo riposa nella cappella dello stesso convento.
Le vicissitudini legate al decreto di Papa Urbano VIII, fecero sì che la causa di beatificazione venisse ripresa e aperta solo nel 1782 e conclusa con la cerimonia di beatificazione da parte di Papa Pio VI il 5 giugno 1791.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria dell'Incarnazione, pregate per noi.
*San Perfetto di Cordova - Martire (18 Aprile)
Martirologio Romano:
A Córdova nell’Andalusia in Spagna, San Perfetto, sacerdote e martire, che, per aver inveito contro la dottrina musulmana e professato con fermezza la fede cristiana, fu rinchiuso in carcere dai Mori e poi trafitto con la spada.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Perfetto di Cordova, pregate per noi.
*San Pusicio - Martire (18 Aprile)
Martirologio Romano: In Persia, San Pusicio, martire, che, capo degli artigiani del re Sabor II, per aver incoraggiato il sacerdote Anania ormai sul punto di rinnegare la fede fu trafitto al collo nel giorno del Sabato Santo, ottenendo così un posto considerevole nella schiera dei martiri trucidati dopo san Simeone.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pusicio, pregate per noi.
*Beato Romano (Roman) Archutowski - Sacerdote e Martire (18 Aprile)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Karolin, Polonia, 5 agosto 1882 – Majdanek, Polonia, 18 aprile 1943
Roman Archutowski, sacerdote dell’arcidiocesi di Varsavia, cadde vittima dei nazisti in odio alla sua fede cristiana.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.
Martirologio Romano:
Nella cittadina di Majdanek vicino a Lublino in Polonia, Beato Romano Archutowski, sacerdote e martire, che fu gettato in carcere da soldati stranieri per la sua fede cristiana e, oppresso dalla fame e dalla malattia, migrò nella gloria eterna.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Romano Archutowski, pregate per noi.
*Beata Savina Petrilli - Vergine (18 aprile)
Siena, 29 agosto 1851 - 18 aprile 1923
Martirologio Romano: A Siena, Beata Sabina Petrilli, vergine, che fondò la Congregazione delle Suore di Santa Caterina da Siena per sovvenire alle necessità delle ragazze bisognose e dei poveri.
Savina Petrilli nasce a Siena il 29 agosto 1851, secondogenita di Celso e Matilde Venturini. A 15 anni si iscrive nella Congregazione delle Figlie di Maria e ne è subito eletta presidente.
Due anni dopo emette il primo voto di verginità per un anno. Nel 1869 è ricevuta dal Papa Pio IX, che la esorta a camminare sulle orme di S. Caterina.
Il 15 agosto 1873 nella cappellina della casa paterna, con cinque sue compagne emette i voti di castità, povertà e obbedienza, alla presenza del confessore e col consenso dell'Arcivescovo mons. Enrico Bindi, che concede il permesso di iniziare un'opera a beneficio dei poveri.
La nuova piccola famiglia religiosa prende il nome di "Congregazione Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena".
Nel 1881 inizia la prima fondazione a Onano (Viterbo) e nel 1903 la prima missione a Belém (Brasile).
Le Costituzioni della Congregazione, che diventa di diritto pontificio, sono definitivamente approvate il 17 giugno 1906.
Successivamente madre Savina emette il voto di "non negare nulla volontariamente al Signore", il voto di "perfetta obbedienza" al direttore spirituale, il voto di "non lamentarsi deliberatamente nei patimenti esterni ed interni", il voto di "completo abbandono" alla volontà del Padre.
Il 18 aprile 1923 alle ore 17,20 madre Savina lascia la terra per entrare definitivamente nel possesso di Dio.
Oltre le 25 case in Italia, la Congregazione ha opere in Brasile, in Argentina, in India, negli Stati Uniti, nelle Filippine, nel Paraguay.
Il carisma trasmesso da madre Savina alle sue suore è quello di vivere radicalmente il sacerdozio di Cristo nell'adorazione e nella totale dipendenza dalla volontà del Padre fino all'immolazione, facendo come centro della vita l'Eucaristia; continuare la missione di Cristo che annuncia il Padre in un servizio di evangelizzazione e promozione ai fratelli, specialmente poveri.
Per madre Savina il povero è il sacramento di Cristo e può considerarsi quale mistero di fede, come l'Eucaristia. Perciò la Congregazione è a servizio dei poveri, "di tutti coloro che soffrono e sono oppressi". Giovanni Paolo II la proclama Beata in Piazza S. Pietro il 24 aprile 1988.
(Autore: Silvano Audano sdb – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Savina Petrilli, pregate per noi.
*Sant'Ursmaro – Vescovo e Abate di Lobbes (18 Aprile)
Martirologio Romano:
Nel cenobio di Lobbes nell’Hainault, nell’odierno Belgio, Sant’Ursmaro, vescovo e abate, che propagò la regola di San Benedetto e condusse il popolo alla fede cristiana.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ursmaro, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (18 Aprile)
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Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.