Santi del 17 Marzo
*Sant'Agricola di Chalon sur Saone - Vescovo (17 marzo)
m. 580
Martirologio Romano: A Châlon-sur-Saône in Burgundia, nell’odierna Francia, Sant’Agricola, vescovo, che per circa dieci lustri resse questa Chiesa, consolidandola con vari concili.
Vita di Sant’Agricola
Nato da famiglia senatoria nel 498, Agricola ricevette una severa educazione. Nel 532 fu eletto alla sede episcopale di Chalon-sur-Saône, dove a lungo risplendette per il suo zelo e le sue virtù. San Gregorio di Tours lo definisce «homo valde elegans et prudens» e ne loda lo zelo e l'abilità nella predicazione e l'austerità di vita. Si dice, infatti, che per tutta la vita Agricola si sia limitato a prendere poco cibo al tramonto.
Si distinse ancora nella costruzione di vari edifici, in particolare di una chiesa non meglio identificata, che San Gregorio di Tours dice splendente di marmi e mosaici.
Verso la fine del suo episcopato, tramite il suo arcidiacono, curò la traslazione nella chiesa dell'ospedale dei lebbrosi, nei pressi della città, delle spoglie di san Desiderato (Didier), sacerdote ed eremita a Gourdon, che era morto in grande fama di santità. Il nome di Agricola si trova tra quelli dei partecipanti a diversi concili locali.
Fu rappresentato dal sacerdote Avolo al concilio di Orléans del 538, partecipò nella stessa città direttamente a quelli del 541 e del 549.
Nello stesso anno prese parte al concilio di Clermont, dove furono confermate le decisioni di quello di Orléans sulla disciplina del clero. Nel 552 fu presente al concilio di Parigi, nel 570 a quello di Lione, e nel 579 a quello convocato nella sua città episcopale dal re Gontrano, dove furono deposti i vescovi di Embrun e Gap.
Venanzio Fortunato nella Vita di San Germano, vescovo di Parigi, racconta che Agricola, avendo un suo domestico gravemente infermo, si rivolse al santo vescovo e ne ottenne la guarigione.
Agricola morì nel 580, forse il 17 marzo, a ottantatré anni, dopo aver retto la diocesi per ben quarantotto anni, e fu sepolto nella chiesa di San Marcello.
Nell'878 le sue reliquie, assieme a quelle del vescovo san Silvestro, furono traslate nella chiesa di San Pietro per opera del vescovo Gerbaldo.
L'autore degli atti di tale traslazione afferma che Papa Giovanni VIII, di ritorno dal concilio di Troyes (agosto 878), ne avrebbe autorizzato il culto, assieme a quello di altri vescovi e del sacerdote Desiderato.
Nel 1315 nella diocesi di Chalon-sur-Saône fu istituita una festa comune, celebrata il 30 aprile, nella quale si ricordavano gli antichi vescovi e san Desiderato. Agricola è ricordato il 17 marzo nel Martirologio Romano e nel Proprio della diocesi di Autun, alla quale la diocesi di Chalon-sur-Saône fu unita.
(Autore: Gian Michele Fusconi – Fonte : Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agricola di Chalon sur Saone, pregate per noi.
*Beato Corrado di Baviera (di Chiaravalle) - Monaco e Eremita (17 marzo)
m. 17 marzo 1154
Patronato: Molfetta
Etimologia: Corrado = audace nel consiglio
Emblema: Cappa, Bordone, Cilicio, Corona e scettro, Prospetto del duomo di Molfetta
Martirologio Romano: A Modugno vicino a Bari in Puglia, Beato Corrado, che condusse vita eremitica in Palestina, abitando fino alla morte in una misera grotta.
Corrado naque a Ravensburg, in Svevia, attorno al 1105, da Enrico IX di Welf detto il Nero e Wulfilde di Sassonia. Enrico divenne nel 1120 duca di Baviera, succedendo al fratello Guelfo V. Gli successe nel 1126 il primogenito Enrico X il Superbo, mentre il secondogenito Guelfo VI divenne duca di Spoleto. Le figlie Giuditta, Matilde e Wulfilde contrassero importanti matrimoni, e da Giuditta, sorella maggiore di Corrado, nacque l’imperatore Federico Barbarossa. Tra gli avi di Corrado bisogna annoverare S. Corrado di Costanza.
Essendo il minore tra i figli maschi, educato negli studi letterari, fu avviato dai genitori alla carriera ecclesiastica presso Colonia con l’intento di farlo succedere all’Arcivescovo Federico, suo cugino paterno. In questo periodo il giovane si ornò di virtù tali da essere considerato degno di sommo onore, suscitando ammirazione tra il clero e il popolo. Si istruì negli studi superiori e nella disciplina ecclesiastica, in diritto canonico e civile.
Ma in quel periodo il suo animo si infervorò ascoltando la predicazione di Arnoldo, abate cistercense di Morimond. Comprese che la sua vocazione era quella monastica e, trasgredendo alle aspettative della famiglia, abbandonò gli onori del proprio rango per abbracciare, ancora adolescente, la severa regola dell’Ordine Cistercense presso Morimond.
Poco dopo Arnoldo avviò una spedizione in Terra Santa per la fondazione di un monastero, coinvolgento i monaci di Morimond e suscitando la disapprovazione di S. Bernardo di Chiaravalle, colonna dell’Ordine, convinto che in quel periodo in Palestina fossero necessari soldati piuttosto che monaci. In due epistole, una inviata al canonico Brunone dei conti di Berg e Altena, e l’altra inviata a Papa Callisto II, egli cercò un appoggio per impedire la spedizione, dato che tra i monaci coinvolti vi era Corrado, il nobile giovane trascinato via da Colonia qualche anno addietro con grande scandalo.
All’inizio del 1125 Arnoldo morì all'improvviso, e l’impresa fallì. Ma Corrado proseguì da solo il pellegrinaggio, attratto dal fascino mistico della terra di Gesù. Varcò le Alpi e, raggiunta la Puglia, visitò i Santuari di S. Michele sul Gargano e di S. Nicola a Bari, tappe obbligate per i pellegrini diretti in Palestina. Tuttavia, sfinito dal viaggio intrapreso con mezzi di fortuna, si ammalò prima di imbarcarsi, e trovò rifugio presso la comunità benedettina di S. Maria ad Cryptam nell’agro di Modugno, nella diocesi di Bari. Corrado visse gli ultimi mesi della sua breve vita in una grotta adiacente alla cappella, facendo esperienza di monachesimo eremitico, pregando, digiunando e dormendo sulla roccia nuda. Egli suscitò grande ammirazione nella gente del posto, che cominciò subito a ricorrere alla sua intercessione. Morì probabilmente nell’inverno tra il 1125 ed il 1126, poco più che ventenne. La tradizione fissa il giorno della morte al 17 marzo. Il suo corpo venne inumato nella cappella di S. Maria ad Cryptam, e la tomba divenne meta di pellegrinaggi.
Nel 1309 quella comunità benedettina venne soppressa, ed i molfettesi, il 9 febbraio di un anno imprecisato, si impossessarono del corpo. Col gesto di inumarne i resti nella Cattedrale, Corrado veniva riconosciuto Santo Patrono di Molfetta, ed un messale del XIV secolo testomonia che già in quel periodo al 9 febbraio era fissata la festa della “Traslatio Sancti Corradi Confessoris”, celebrata con una messa propria.
Più volte S. Corrado ha manifestato la sua potente intercessione. Ad esempio nei periodi di siccità portando in processione la reliquia del suo cranio si è ottenuta spesso la pioggia.
Famoso è un episodio del 1529 quando, essendo di notte la città assaltata di sorpresa dalle truppe francesi del conte Caracciolo, i cittadini si sentirono chiamare nel sonno da un guerriero che li andava avvertendo del pericolo imminente. Essi, raggiunte le mura, videro nel mezzo di un bagliore la Madonna dei Martiri, S. Corrado, nel quale riconobbero il misterioso guerriero, e S. Nicola. L’esercito francese, atterrito, fuggì.
Molfetta fu immune per sua intercessione da molte epidemie, tra cui la pestilenza del 1657, e per riconoscenza fu raccolto dell’argento per far scolpire un busto in cui conservare il suo cranio.
Gli è stato attribuito anche il potere di placare tempeste, alluvioni e terremoti.
Con lo spostamento della sede episcopale, il 10 luglio 1785 le reliquie vennero trasferite nella nuova Cattedrale, e il Duomo Vecchio, prima intitolato all’Assunta, venne a lui dedicato.
Il 7 aprile 1832, sotto il pontificato di Gregorio XVI, si concluse a Roma il processo di canonizzazione equipollente.
Corrado fu proclamato Santo, e nel 1834 giunse la messa propria, la cui preghiera di colletta, tradotta in italiano nel 1967, esclama:
“O Dio, tu hai voluto che il Santo Confessore ed Eremita Corrado divenisse cittadino della patria celeste, concedi benigno che, nella sua solennità, disprezzando gli affetti disordinati delle cose terrene, siamo infiammati dal desiderio delle realtà celesti”.
Dal 1893 il corpo è custodito in una teca mobile d’argento e cristallo, spostata nel 1981 nella cappella dei SS. Pietro e Paolo della Cattedrale. In una cassaforte si conserva il busto argenteo contenente il teschio, ed il reliquiario della terza vertebra cervicale, portato un tempo al capezzale dei moribondi. Frammenti delle ossa sono sparsi nelle varie chiese della città. A Modugno si conservano le falangi del pollice destro nella Cattedrale, ed un frammento osseo presso il Santuario di S. Maria ad Cryptam.
Per secoli si ritenne che Corrado fosse morto anziano, e come tale fu rappresentato, con barba bianca, cappa e bordone da pellegrino. Compaiono spesso il cilicio e il teschio, simboli dell’automortificazione, e corona e scettro abbandonati al suolo, segno delle origini nobili.
La festa liturgica cade il 9 febbraio, giorno della traslazione. Il 17 marzo si commemora il transito. La seconda domenica di luglio si festeggia il trasferimento delle reliquie nella nuova Cattedrale. (Autore: Pietro Angione)
Figlio di Enrico il Negro, duca di Baviera, fu mandato giovanetto a Colonia per essere istruito da quei dotti canonici nelle scienze sacre e profane, e vi compì progressi tali da lasciar presagire un brillante, avvenire. Egli, invece, attratto dalla fama di s. Bernardo, si portò a Chiaravalle, dove vestì l'abito religioso, ottenendo poco dopo il permesso di recarsi in Palestina per consacrarsi, nella terra di Gesù, a vita eremitica. Vi rimase alcuni anni in compagnia di un vecchio solitario cui, nella sua umiltà, faceva da servitore.
Aumentando poi, a cagione dell'infelice riuscita della seconda crociata, il pericolo islamico e avendo appreso che la salute di s. Bernardo declinava, decise di tornare a Chiaravalle. Raggiunta Bari, dopo una malattia durante il viaggio per mare, e appreso, sembra, che s. Bernardo era ormai deceduto, Corrado, dopo aver venerato il sepolcro di San Nicola, si ritirò nel territorio di Modugno. in una grotta dedicata alla Madonna, dove morì il 17 marzo 1154 (o 1155), famoso per santità e miracoli.
Il suo corpo fu portato a Molfetta, di cui è patrono, e deposto nell'antica cattedrale, che gli fu dedicata. Il 10 luglio 1785 fu trasferito nella nuova, in un altare a destra di chi entra ornato di una tela di Corrado Giaquinto. Il suo capo, però, è custodito in un reliquiario che viene portato in processione in certe circostanze. È festeggiato il 9 febbraio (dies natalis), il 17 marzo (patrocinio) e il 10 luglio (traslazione).
Il suo culto fu confermato da Gregorio XVI il 6 aprile 1832 e posto definitivamente al 17 marzo dal Nuovo Martirologio Romano.
(Autore: Balduino Bedini -Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Gabriele Lalemant - Gesuita, Martire in Canada (17 marzo)
Scheda del Gruppo a cui appartiene San Gabriele Lalemant:
"Santi Martiri Canadesi" (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni)
Parigi, 10 ottobre 1610 – Canada, 17 marzo 1649
Martirologio Romano: Nel territorio degli Uroni in Canada, passione di San Gabriele Lalemant, sacerdote della Compagnia di Gesù, che con strenua dedizione diffuse l’anuncio della gloria di Dio nella lingua delle popolazioni del luogo, prima di essere tratto da alcuni ostili idolatri a crudelissimi supplizi.
La sua memoria si celebra unitamente a quella dei suoi compagni il 19 ottobre.
Se nel colonizzare il Nuovo Mondo, come veniva chiamato il Continente Americano, si attivarono più o meno con interessi politici, economici e di sfruttamento coloniale, Inglesi, Francesi, Spagnoli, cioè le grandi Potenze dell’epoca, vi furono di pari passo, altri uomini appartenenti a Congregazioni religiose di antica fondazione, oppure che si costituirono negli anni successivi, che portarono la luce del Vangelo ed i principi cristiani, alle popolazioni locali.
Quindi essi costituirono l’altra faccia della colonizzazione, non portarono guerra, violenza, sfruttamento, ma solidarietà umana e spirituale, aiuti sanitari, istruzione, accoglienza per i più disagiati e deboli, che non mancano mai in ogni angolo della Terra.
E nell’America Settentrionale e precisamente in Canada, al confine con gli Stati Uniti, arrivarono come seconda generazione di Missionari, i padri Gesuiti ed i Francescani. Fra i Gesuiti vi fu un gruppo di otto sacerdoti e fratelli coadiutori, che a gruppetti o singolarmente, si spinsero nelle inesplorate e vastissime terre americane, tra immense foreste e laghi grandi come mari.
Il loro apostolato si svolse primariamente fra i “pellerossa” della zona; compito non facile, visto il loro carattere sospettoso e mutevole; i primi successi relativi, si ebbero con la tribù più vicina degli Uroni; i Gesuiti usarono il metodo di farsi “selvaggi fra i selvaggi”, cioè adottare e adattarsi agli usi e costumi locali, avvicinandosi alla mentalità degli Indiani, cercando di comprendere le loro debolezze, riti, superstizioni.
Ma dopo il 1640, la tribù degli Uroni fu attaccata ferocemente da quella degli Irochesi, per natura più combattivi e crudeli, più intelligenti e perspicaci e dotati di veloci cavalli; la guerra tribale fu violenta, portando allo sterminio quasi totale degli Uroni e annullando così l’opera dei missionari.
E nel contesto di questa guerra fra Uroni ed Irochesi, persero la vita gli otto martiri gesuiti, che in varie date testimoniarono con il loro sangue la fede in Cristo, suscitando negli stessi Irochesi, una tale ammirazione di fronte al loro coraggio, nell’affrontare le crudeli e raffinate sevizie, che usavano per torturare i loro nemici, da giungere a divorare il cuore di alcuni di loro, per poterne secondo le loro credenze, assimilare la forza d’animo ed il coraggio.
E come si diceva degli antichi martiri cristiani: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, così il loro sacrificio non fu inutile, perché nei decenni successivi, la colonia cattolica riprese vigore e si affermò saldamente in quei vasti Paesi.
I martiri furono beatificati il 21 giugno 1925, dal grande ‘Papa delle Missioni’ Pio XI e dallo stesso pontefice canonizzati il 29 giugno 1930. Citiamo i loro nomi:
Sacerdoti Carlo Daniel († 1648), Giovanni De Brébeuf, Gabriele Lalemant, Carlo Garnier, Natale Chabanel († tutti nel 1649); fratello coadiutore Renato Goupil († 1642), sacerdote Isacco Jogues e il fratello coadiutore Giovanni de la Lande († 1647). Ricorrenza liturgica per tutti al 19 ottobre.
Gabriele Lalemant nacque a Parigi il 10 ottobre 1610, da distinta famiglia; sotto l’aspetto debole e quasi fragile, nascondeva un’anima ardente e generosa.
A 20 anni entrò nella Compagnia di Gesù e mentre studiava per sacerdote, si preparava per diventare missionario, chiedendo di essere inviato nella Nuova Francia, come allora si chiamava il Canada; con il permesso dei Superiori, fece anche il voto di essere sempre al servizio degli indigeni.
Dopo essere stato ordinato sacerdote, fu incaricato dell’insegnamento nel Collegio di Moulins e poi a Bourges; nel 1646 furono accettate le sue insistenti richieste e quindi il 20 settembre 1646 giunse a Québec.
Il Superiore della Comunità gesuitica di tutta la Missione, che era suo zio Girolamo Lalemant, conoscendo la natura gracile ed impressionabile del nipote, lo trattenne con compiti da svolgere in città.
Solo nel luglio 1648 lo affiancò al padre Giovanni de Brébeuf, come missionario nel villaggio di Sant’Ignazio, nel territorio degli Indiani Uroni.
Svolse con tenacia il suo apostolato fra queste popolazioni, restie al cambiamento dei loro riti, per una religione che non comprendevano; per poterli avvicinare imparò egregiamente la loro ostica lingua.
Il 16 marzo 1649, gli Uroni furono assaliti dai feroci Indiani Irochesi, i quali massacrarono quanti potevano e catturando i missionari; padre Giovanni de Brébeuf fu torturato a lungo e poi ammazzato (vedere scheda propria), padre Gabriele Lalemant, fu torturato subito dopo, con ferocia ancora maggiore, prolungando i suoi tormenti dalle diciotto fino alle nove del mattino successivo del 17 marzo; quando visto che alzava gli occhi al cielo per chiedere conforto a Dio, i carnefici glieli strapparono e nelle orbite vuote posero dei carboni ardenti.
Alla fine un selvaggio, stanco di vederlo soffrire così a lungo, con la scure fracassò la testa dell’intrepido martire. Poi apertogli il petto, ne strappò il cuore divorandolo e sorbendone il sangue, perché secondo le loro credenze, avrebbe assimilato in questo modo la forza e il coraggio dimostrati dal missionario.
La sua personale ‘passione’ è ricordata al 17 marzo.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gabriele Lalemant, pregate per noi.
*Santa Gertrude di Nivelles (17 marzo)
Nivelles - Brabante (Belgio), 626 - ivi, 17 marzo 659
Figlia di Pipino di Landen, signore nel Brabante e antenato di Carlo Magno, alla morte del padre (639) si fa monaca con la madre Itta e la sorella Begga. La madre fonda un monastero "doppio", di uomini e donne, governati tutti dalla badessa.
E badessa è Itta, fino alla morte (652). Le succede Gertrude, che accetta il titolo, ma lascia a un frate il potere effettivo e riserva a sé il compito di istruire monaci e monache.
Chiama dall'Irlanda monaci dotti nelle Scritture e manda gente a Roma per rifornire la comunità di libri liturgici. Fu presto circondata dall'aureola di santa.
Ma il suo vero prodigio fu la pace portata tra le famiglie signorili locali, divise da eterni scontri che per la gente portavano solo saccheggi, razzie di ostaggi e anni di miseria.
Quando muore, a 33 anni nel 659, la venerazione è immediata. Il suo corpo viene deposto in una cappella che poi ingrandita, abbattuta e ricostruita diventerà basilica. (Avvenire)
Etimologia: Geltrude = la vergine della lancia, dal tedesco
Emblema: Topo
Martirologio Romano: A Nivelles in Brabante, nell’odierno Belgio, Santa Geltrude, badessa, che, nata da nobile famiglia, prese il sacro velo delle vergini dal vescovo Sant’Amando e resse con saggezza il monastero fatto costruire dalla madre, fu assidua nella lettura delle Scritture e si consumò nell’austera pratica di veglie e digiuni.
Eccola assalita dai topi neri, uno dei quali le morde un orecchio. Così appare Gertrude in un’illustrazione del XVI secolo che fa senso, ma che testimonia una singolare tradizione: Gertrude è stata a lungo venerata come protettrice contro le invasioni di topi.
La narrazione, priva di base storica, è tuttavia segno dell’ammirazione che l’ha sempre accompagnata.
Figlia di Pipino di Landen, gran signore nel Brabante e antenato di Carlo Magno, alla morte del padre (639) si fa monaca con la madre Itta e la sorella Begga.
La madre fonda un monastero “doppio”, di uomini e donne, governati tutti dalla badessa. E badessa è Itta, fino alla morte (652), dopodiché le succede Gertrude, che accetta il titolo, ma lascia a un frate il potere effettivo (coi problemi amministrativi che comporta) e riserva a sé il compito di rendere monaci e monache meno ignoranti, più motivati nella fede e più preparati a divulgarla.
Tutto ciò significa soprattutto studio, in quest’epoca ignorantissima e superstiziosa, quando basta un’eclisse di luna a terrorizzare le campagne, anche se sono già – in qualche modo – cristiane.
Gertrude chiama dall’Irlandamonaci dotti nelle Scritture e manda gente a Roma per rifornire la comunità di libri liturgici. Si tratta da un lato di diffondere la dottrina e dall’altro d’insegnare come e perché si prega.
Questa figura così nuova di donna si trova presto circondata dall’aureola di Santa, le si attribuiscono apparizioni e rivelazioni. E prodigi, come quello dei topi.
Ma il suo prodigio è un altro.
Gertrude, autorevole già per nascita e poi per questa crescente fama, se ne serve di continuo per fermare le interminabili guerricciole locali tra famiglie signorili.
Le persuade, le spinge, le “costringe” alla pace. E la pace vuol dire salvezza per i campagnoli esposti a tutto: saccheggi, incendi, razzie di ostaggi, violenze alle donne; il tutto seguìto da anni di miseria, altro che i topi.
Vedere Gertrude riuscire in queste imprese è per i “senza diritti” la prova di un suo rapporto privilegiato col Cielo.
Quando si stipula una pace davanti a lei, gli ex nemici si promettono concordia brindando insieme; e non manca certo il buon vino nelle terre della Mosella. Ma la gente qualsiasi, riconoscente a lei, dà a quella bevanda un nome fantasioso: la chiama “filtro di Santa Gertrude”, miracoloso rimedio contro guerra e odio. Già da viva, la canonizzano a modo loro.
Quando poi muore, a soli 33 anni, la venerazione è immediata. Il suo corpo viene deposto in una cappella che poi diventerà chiesa e basilica, ingrandita, abbattuta e ricostruita attraverso il tempo.
I suoi resti saranno poi raccolti in un prezioso reliquiario del XIII secolo, destinato esso pure a essere vittima della guerra: sarà infatti distrutto da un bombardamento nel 1940, insieme a tante case di Nivelles.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Gertrude di Nivelles, pregate per noi.
*Beato Giovanni Nepomuceno Zegrí y Moreno - Fondatore (17 marzo)
Granada, 11 ottobre 1831 - Malaga, 17 marzo 1905
Giovanni Nepomuceno Zegrì y Moreno, fondatore delle suore Mercedarie della carità, nacque nel 1831 a Granada, dove fu ordinato sacerdote nel 1855. Fu esaminatore sinodale nelle diocesi di Granada, Jaen e Orihuela, giudice sinodale e segretario nei concorsi a parroci di Malaga, canonico nella cattedrale di questa diocesi, visitatore delle religiose, formatore dei seminaristi. Infine, predicatore della regina Isabella II e cappellano reale.
Ma la sua attenzione principale furono i poveri, per i quali fondò la Congregazione religiosa, che pose sotto la protezione di Maria della Mercede. Morì nel 1905.
Martirologio Romano: A Málaga in Spagna, Beato Giovanni Nepomuceno Zegrí y Moreno, sacerdote, che consacrò il suo ministero al servizio della Chiesa e al bene delle anime e, per meglio rendere gloria a Dio Padre in Cristo, fondò la Congregazione delle Suore della Carità della Beata Maria Vergine della Mercede.
Giovanni Nepomuceno Zegrí y Moreno, fondatore della Congregazione religiosa delle Suore Mercedarie della Carità, nacque a Granada l'11 ottobre 1831 in una famiglia cristiana.
I suoi genitori, Antonio Zegrí Martín e Josefa Moreno Escudero, gli diedero una fine e curata educazione. Forgiarono la sua ricca personalità nei valori umano-evangelici, facendone un vero cristiano, impegnato nella causa di Gesù Cristo e dei poveri, fin dalla gioventù.
Fu un eccellente studente con una spiccata personalità. Seguì studi umanistici e di giurisprudenza, distinguendosi per la sua intelligenza e, soprattutto, per la sua grande umanità e per un'intensa vita cristiana: dedito all'orazione e alla carità verso i poveri.
Dio Padre, che chiama chi vuole per realizzare le sue grandi opere, lo chiamò a partecipare del sacerdozio di Gesù Cristo per diffondere tra gli uomini il Vangelo della carità redentrice. Frequentò i suoi studi nel Seminario di San Dionisio di Granada e fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Granada il 2 giugno 1855.
Essere sacerdote di Gesù Cristo fu la sua grande vocazione, tanto da essere disposto ai più grandi sacrifici per poter realizzare questo sogno, alimentato fin dalla prima gioventù.
Come sacerdote fu nelle parrocchie di Huétor Santillán e di San Gabriele di Loja (Granada). In entrambe le parrocchie svolse la sua vocazione di pastore, sull'esempio del Buon Pastore, che dà la vita per le sue pecore. Quando prese possesso di una di queste parrocchie, disse ciò che voleva essere per gli altri fin da quando aveva ricevuto la vocazione: come buon pastore correre verso le pecore smarrite; come medico curare i cuori malati a causa della colpa e spargere su tutti la speranza; come padre essere la provvidenza visibile per tutti quelli che, gemendo nell'abbandono, bevono il calice dell'amarezza e si alimentano con il pane della tribolazione.
La sua vita sacerdotale fu caratterizzata da una profonda esperienza di Dio; da un profondo amore a Gesù Cristo Redentore, al quale si configurò, imparando fino alla sofferenza l'obbedienza; da un grande amore a Maria, sua Madre e protettrice senza uguali; da una vita intensa di orazione, fonte di carità; da una passione grande per il Regno dei suoi poveri ed un intenso amore alla Chiesa, vivendo la comunione con lei, nonostante l'oscurità della fede e delle sofferenze che gli giunsero fin nel seno della stessa Chiesa.
Fu un instancabile evangelizzatore. Gli piaceva pregare, riflettere e scrivere i suoi sermoni. Non diceva ciò che non pregava e proclamava ciò che era al centro del suo cuore, infiammato dall'amore di Dio. Annunciava quello in cui credeva. La sua parola invitava tutti a vivere la vita cristiana con radicalità, accogliendo con amore gli impegni che comporta la religione cristiana. Tutta la sua vita fu Eucaristia, pane spezzato per essere mangiato; celebrazione dell'amore di Dio nel dono della sua stessa esistenza. Fu, anche, riconciliazione.
Celebrò il sacramento del perdono facendosi perdono, misericordia e compassione per tutti, specialmente per i suoi nemici e per quelli che lo calunniarono.
Ricoprì incarichi importanti, però visse la meravigliosa umiltà di Dio, rivelata nell'inno della lettera ai Filippesi 2,5. Fu esaminatore sinodale nelle diocesi di Granada, Jaén e Orihuela; giudice sinodale e segretario nei concorsi a parroci nella diocesi di Malaga; canonico della cattedrale di Malaga e visitatore delle religiose. Inoltre, fu formatore dei seminaristi, predicatore di Sua Maestà, la Regina Isabella II e cappellano reale.
Interessato ai problemi sociali e alle necessità dei più disagiati, si sentì chiamato a fondare una Congregazione religiosa per liberare gli uomini e le donne dalle loro schiavitù. La fonda a Malaga il 16 marzo 1878 sotto la protezione ed ispirazione di Maria della Mercede, la pellegrina umile della gratuità di Dio. Il fine: praticare tutte le opere di misericordia spirituali e corporali nella persona dei poveri. Chiedere alle religiose che tutto quello che facevano fosse per il bene dell'umanità, in Dio, per Dio e verso Dio.
La Congregazione, in pochi anni, si estese in molte diocesi spagnole sotto l'esigenza della dinamicità della sua ispirazione carismatica: Curare tutte le piaghe, rimediare tutti i mali, calmare tutti i dolori, allontanare tutte le necessità, asciugare tutte le lacrime, non lasciare, se possibile, fuori in tutto il mondo un solo essere abbandonato, afflitto, indifeso, senza educazione religiosa e senza aiuti.
Padre Zegrí, infiammato dall'amore di Dio, giunse a dire che la carità è l'unica risposta a tutti i problemi sociali e che non finirà fin tanto che ci sarà un solo dolore da curare, una sola disgrazia da consolare, una sola speranza da versare nei cuori ulcerati; fino a che ci saranno regioni lontane da evangelizzare, sudori da spargere e sangue da versare per fecondare le anime e generare la verità nella terra.
Provato come oro nel crogiuolo e sotterrato nel solco della terra, come il chicco di grano, poiché fu calunniato e allontanato dall'opera da lui fondata, prima dalla Chiesa e, poi, dalle stesse religiose, muore il 17 marzo 1905 nella città di Malaga, solo ed abbandonato, come egli aveva deciso di morire; ad esempio del Crocifisso, fissi gli occhi nell'autore e perfezionatore della nostra fede. Muore come figlio fedele della Chiesa e, sotto il segno dell'obbedienza della fede, come i grandi testimoni ed i grandi credenti.
Elaborò una ricca spiritualità alla quale oggi si dissetano le sue religiose, i mercedari della carità e tante persone laiche che, conoscendo la sua vita, la carità che esercitò verso i poveri ed il modo in cui decise di morire, desiderano fare un cammino di vita cristiana fin dalla sua ispirazione carismatica. I cardini fondamentali della sua spiritualità sono:
- la carità redentrice, che rende benefici all'umanità e porta ai poveri il Vangelo dell'amore e della tenerezza di Dio, poiché la carità, che è Dio, si manifesta asciugando le lacrime, soccorrendo nelle disgrazie, facendo del bene a tutti e lasciando al suo passaggio torrenti di luce;
- l'amore e la configurazione con Gesù Cristo Redentore, nel suo mistero pasquale, poiché il gesto dell'amore mistico che quasi identifica con Gesù Cristo il cuore dell'uomo, disinteressato di ogni ricompensa, è il sublime ideale della carità;
- l'amore a Maria della Mercede, poiché Nostra Signora della Mercede è di tutti e per tutti, giacché non vi è titolo più dolce, invocazione più soave, nomenclatura più ampia, che la mercede e la misericordia di Maria.
Visse e fece sue tutte le virtù cristiane in modo eroico, soprattutto la fede, la speranza e la carità e tutte quelle virtù umane che danno consistenza alla carità e la rendono essenziale nelle relazioni: umiltà, affabilità, dolcezza, tenerezza, misericordia, bontà, mansuetudine, pazienza, generosità, gratuità e benevolenza. Si distinse anche per la sua prudenza, per la sua fortezza nella sofferenza, per la sua trasparenza nella ricerca della verità e per il senso di giustizia che ebbe in tutti i suoi atti e decisioni. La Chiesa riconobbe le sue virtù eroiche proclamandolo Venerabile il 21 dicembre 2001.
Dio Padre, per sua intercessione, fece un miracolo nella persona di Giovanni della Croce Arce, nella città di Mendoza, Argentina, che la Chiesa ha considerato di secondo grado, restituendogli il pancreas, che gli era stato estirpato totalmente in un intervento chirurgico.
La sua vita è una sfida per tutti noi che seguiamo la sua spiritualità, non tanto per ciò che fece, ma perché seppe amare alla maniera di Dio, diffondendo il Vangelo della carità ai più bisognosi. Egli ci rivelò che la tenerezza e la misericordia di Dio si fanno realtà nel cuore degli uomini per il mistero della redenzione del Figlio e camminando con Lui.
Padre Zegrí fece un cammino di discepolato dandosi totalmente ed esclusivamente a Gesù Cristo crocifisso, come possiamo leggere nel suo testamento spirituale, vivendo i suoi stessi atteggiamenti e sentimenti, offrendosi totalmente a lui per il bene dell'umanità; perdonando coloro che lo calunniarono, non tenendo conto del male e creando vincoli di comunione, di incontro e di relazione; costruendo un'umanità nuova in onore della carità più squisita ed amando Maria, la donna nuova, che sostenne la sua esistenza nella fede e la sua fede ancorata nel mistero di Dio.
La sua Beatificazione introduce tutti noi nella mercede di Dio, in questo spazio di gratuità in cui il Signore è calore permanente, grazia gratuita e redentrice di tutto ciò che opprime gli uomini e le donne di oggi. A questo testimone della carità di Dio ci raccomandiamo perché lo Spirito Santo trasformi la nostra vita in fuoco di amore, in modo tale che nel nostro cammino di discepolato e, caricando sulle nostre spalle i dolori dell'umanità, assomigliamo ad un astro che illumina senza bruciare, ad una ventata che purifica senza distruggere, ad un ruscello che feconda senza inondare.
É stato beatificato da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003.
(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beato Giovanni Nepomuceno Zegrí y Moreno, pregate per noi.
*San Giovanni Sarkander - Martire (17 marzo)
Skoczow, Slesia, 20 dicembre 1576 - Olomouc, Moravia, 17 marzo 1620
Il martire moravo Giovanni Sarkander studiava teologia, ma era destinato al matrimonio. La fidanzata, però, morì prima delle nozze. Allora - nel 1608 a 32 anni - venne ordinato prete nella Compagnia di Gesù. La sua vita sacerdotale trascorse a Holesov, diocesi di Olomuc.
Per questioni legate alla Guerra dei Trent'anni, la comunità gesuita - malvista dai nobili protestanti - fu dapprima esiliata in Polonia.
Poi, al ritorno, Giovanni salvò Holesov dalle ire del re polacco Sigismondo III Wasa. L'episodio fu interpretato come connivenza col nemico (in realtà Giovanni era odiato per motivi di fede). Perciò fu imprigionato a Olomuc e torturato. Morì un mese dopo per le sofferenze subite. É Santo dal 1995.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Olomouc in Moravia, San Giovanni Sarkander, sacerdote e martire, che, parroco di Holešov, rifiutatosi di violare il segreto della confessione, fu sottoposto al supplizio della ruota e, gettato in carcere ormai in fin di vita, morì un mese più tardi.
Giovanni Sarkander, nacque il 20 dicembre 1576 a Skoczów in Slesia, allora nel principato di Tesin, che dal 1291 faceva parte del regno di Boemia, era figlio di una nobildonna del ramo dei cavalieri di Kornice e di Giorgio Mattia d’origine più umile.
Dopo la morte prematura del marito nel 1589, la madre trasferì la famiglia composta da cinque figli, Giovanni, Nicola, Paolo, Venceslao e una figlia, a Príbor in Moravia, città appartenente al vescovo di Olomouc e dove già viveva il suo figlio del primo matrimonio Matteo Vlcnovsky.
Giovanni frequentò la scuola parrocchiale del paese e poi insieme al fratello Nicola si trasferì ad Olomouc per continuare gli studi superiori nel collegio dei Gesuiti.
Ma nel 1599 a causa della peste, la scuola fu chiusa e così Giovanni fu costretto a completare gli studi filosofici dai Gesuiti di Praga, dove entrò il 20 ottobre 1600.
Due anni dopo era laureato, nel 1604 si trasferì a Graz in Austria, per gli studi di teologia, ma due anni dopo, il 3 settembre 1606 lasciò gli studi, promettendosi di sposare in Moravia con Anna Platská, appartenente ad una distinta famiglia luterana; comprò anche una casa a Brno e una vigna a Klobouky.
Non si hanno notizie precise, ma la fidanzata morì prima delle nozze e questo mutò le intenzioni di Giovanni Sarkander, che il 21 dicembre 1607 diede gli esami di teologia e il giorno seguente ricevette dal cardinale Dietrichstein gli Ordini minori nel castello di Kromeriz.
Il 22 marzo 1608 venne ordinato sacerdote a Brno; negli anni che vanno dal 1608 al 1616, trascorse la sua vita sacerdotale ricoprendo vari incarichi nelle parrocchie della diocesi di Olomouc; non tutto filò liscio, sia con le autorità ecclesiastiche che con quelle dell’imperatore d’Austria.
A Holesov i Gesuiti intendevano costituire un centro per la ricattolicizzazione della parrocchia, che era stata in balia della setta dei “Fratelli boemi”, (insieme di un movimento protestante molto forte in quel tempo specie in Boemia), inviando quindi i membri più abili, con l’intenzione di aprirvi anche una Casa di formazione dei gesuiti stessi, il suo nome fu consigliato dal cardinale e dal luogotenente di Moravia, come garanzia di sicuro successo.
Nel 1618 i nobili della Boemia, in maggior parte protestanti, si rivoltarono contro l’Impero d’Austria e anche una parte dei nobili della Moravia passò all’opposizione, al protettore di Giovanni Sarkander, il luogotenente Popel de Lobkovic fu tolto l’incarico e incarcerato a Brno e anche i Gesuiti, il 17 maggio 1619 dovettero lasciare Holesov.
Il Sarkander rimase solo come parroco, diventando l’oggetto dell’odio della maggioranza protestante degli abitanti; convinto dal suo decano e dai fedeli cattolici, si allontanò da Holesov andando a Cracovia, girando per un certo tempo a Czestochowa e Ratibor, poi ricevette una lettera del Popel che lo invitava a tornare a Holesov, cosa che fece a fine novembre 1619.
A febbraio 1620 nel corso della Guerra dei Trent’anni, la cavalleria del re polacco Sigismondo III Vasa,passando per la Slesia e la Moravia, diretta ad aiutare l’imperatore d’Austria, devastò e incendiò la regione. Holesov fu salvata perché Giovanni Sarkander con il cappellano Samuele Tucek uscì incontro alle truppe con una processione eucaristica.
Questo episodio però aumentò il sospetto dei nobili di Moravia contro il parroco, che credevano alleato di re Sigismondo; il nuovo giudice supremo della Moravia Venceslao Bitovsky fece allora incarcerare tutti i sacerdoti della regione, ma il Sarkander riuscì ad evitarlo, nascondendosi nel castello di Tovacov e da lì poi scappò nelle vicine foreste, ma qui venne catturato e condotto incatenato ad Olomouc, come traditore della patria.
L’odio degli accusatori, che lo sottoposero a ben quattro interrogatori, era scaturito per motivi religiosi, ma si mascherava con l’intento di farlo confessare di aver procurato l’intervento dei cosacchi. Con questo motivo politico fu sottoposto alla tortura del cavalletto e con le torce, per ben tre ore, solo le proteste dell’unico giudice cattolico del tribunale, fecero smettere la tortura, ma Giovanni Sarkander non sopravvisse al trattamento disumano e dopo un mese di sofferenze in carcere, morì il 17 marzo 1620.
Dopo la sua morte si instaurò subito un culto di venerazione, considerandolo come un martire della fede, essendo chiaro dalle testimonianze, che venne ucciso in odio alla fede cattolica, dai protestanti dell’epoca e non per motivi politici inesistenti. Il suo sepolcro nella chiesa cattedrale di S. Venceslao ad Olomouc, divenne meta di pellegrinaggi, di numerosi fedeli ma anche di sovrani tra i quali il re di Polonia Giovanni Sobieski nel 1683.
Il parroco e martire Giovanni Sarkander venne beatificato da Papa Pio IX il 6 maggio 1860 e canonizzato da papa Giovanni Paolo II il 21 maggio 1995, ad Olomouc in Cecoslovacchia.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Sarkander, pregate per noi.
*Santi Martiri di Alessandria d’Egitto (17 marzo)
m. 392 circa
Martirologio Romano: Commemorazione di moltissimi Santi Martiri ad Alessandria d’Egitto, che, al tempo dell’imperatore Teodosio, con il crescere del numero dei cristiani furono catturati dai fedeli di Serapide e, rifiutatisi con fermezza di adorare il loro idolo, furono crudelmente uccisi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri di Alessandria d’Egitto, pregate per noi.
*San Paolo di Cipro - Monaco e Martire (17 marzo)
m. 770 circa
Martirologio Romano: Nell’isola di Cipro, San Paolo, monaco, che, per aver difeso il culto delle sacre immagini, fu bruciato nel fuoco.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolo di Cipro, pregate per noi.
*San Patrizio - Vescovo (17 marzo)
Britannia (Inghilterra), 385 ca – Down (Ulster), 461
Fu l'instancabile evangelizzatore dell'Irlanda, che portò in larga parte alla fede cristiana. Al suo impulso di vescovo e pastore è legata la liturgia e la cultura irlandese. Molti manoscritti del martirologio geronimiano e il martirologio di Beda ricordano la sua "deposizione" il 17 marzo. (Mess. Rom.)
Patronato: Irlanda
Etimologia: Patrizio = di nobile discendenza, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Trifoglio
Martirologio Romano: San Patrizio, vescovo: da giovane fu portato prigioniero dalla Britannia in Irlanda; recuperata poi la libertà, volle entrare tra i chierici; fatto ritorno nella stessa isola ed eletto vescovo, annunciò con impegno il Vangelo al popolo e diresse con rigore la sua Chiesa, finché presso la città di Down in Irlanda si addormentò nel Signore.
San Patrizio è il patrono e l’apostolo dell’Isola Verde e la sua opera diede tanto frutto; infatti in Irlanda la predicazione del Vangelo non ha avuto nessun martire, sebbene i nativi fossero forti guerrieri e i suoi abitanti sono da sempre fierissimi cristiani.
Patrizio nacque nella Britannia Romana nel 385 ca. da genitori cristiani appartenenti alla società romanizzata della provincia.
Il padre Calpurnio era diacono della comunità di Bannhaven Taberniae, loro città d’origine e possedeva anche un podere nei dintorni.
Il giovane Patrizio trascorse la sua fanciullezza e l’adolescenza in serenità, ricevendo un’educazione abbastanza elevata; a 16 anni villeggiando nel podere del padre, venne fatto prigioniero insieme a migliaia di vittime dai pirati irlandesi e trasferito sulle coste nordiche dell’isola, qui fu venduto come schiavo.
Il padrone gli affidò il pascolo delle pecore; la vita grama, la libertà persa, il ritrovarsi in terra straniera fra gente che parlava una lingua che non capiva, la solitudine con le bestie, resero a Patrizio lo stare in questa terra verde e bellissima, molto spiacevole, per cui tentò ben due volte la fuga ma inutilmente. Dopo sei anni di servitù, aveva man mano conosciuto i costumi dei suoi padroni, imparandone la lingua e così si rendeva conto che gli irlandesi non erano così rozzi come era sembrato all’inizio.
Avevano un organizzazione tribale che si rivelava qualcosa di nobile e i rapporti tra le famiglie e le tribù erano densi di rispetto reciproco.
Certo non erano cristiani e adoravano ancora gli idoli, ma cosa poteva fare lui che era ancora uno schiavo; quindi era sempre più convinto che doveva fuggire e il terzo tentativo questa volta riuscì.
Si imbarcò su una nave in partenza con il permesso del capitano e dopo tre giorni di navigazione sbarcò su una costa deserta della Gallia, era la primavera del 407, l’equipaggio e lui camminarono per 28 giorni durante i quali le scorte finirono, allora gli uomini che erano pagani, spinsero Patrizio a pregare il suo Dio per tutti loro; il giovane acconsentì e dopo un poco comparve un gruppo di maiali, con cui si sfamarono.
Qui i biografi non narrano come lasciò la Gallia e raggiunse i suoi; ritornato in famiglia Patrizio sognò che gli irlandesi lo chiamavano, interpretò ciò come una vocazione all’apostolato fra quelle tribù ancora pagane e avendo ricevuto esperienze mistiche, decise di farsi chierico e di convertire gl'irlandesi.
Si recò di nuovo in Gallia (Francia) presso il Santo vescovo di Auxerre Germano, per continuare gli studi, terminati i quali fu ordinato diacono; la sua aspirazione era di recarsi in Irlanda ma i suoi superiori non erano convinti delle sue qualità perché poco colto.
Nel 431 in Irlanda fu mandato il vescovo Palladio da Papa Celestino I, con l’incarico di organizzare una diocesi per quanti già convertiti al cristianesimo.
Patrizio nel frattempo completati gli studi, si ritirò per un periodo nel famoso monastero di Lérins di fronte alla Provenza, per assimilare con tutta la sua volontà la vita monastica, convinto che con questo carisma poteva impiantare la Chiesa tra i popoli celti e scoti, come erano chiamati allora gli irlandesi.
Con lo stesso scopo si recò in Italia nelle isole di fronte alla Toscana, per visitare i piccoli monasteri e capire che metodo fosse usato dai monaci per convertire gli abitanti delle isole.
Non è certo che abbia incontrato il Papa a Roma, comunque secondo recenti studi, Patrizio fu consacrato vescovo e nominato successore di Palladio intorno al 460, finora gli antichi testi dicevano nel 432, in tal caso Palladio primo vescovo d’Irlanda avrebbe operato un solo anno, invece è più probabile che sia arrivato nell’isola intorno al 432 e confuso dai cronisti con Patrizio, perché il cognome di Palladio o il suo secondo nome, era appunto Patrizio.
Il metodo di evangelizzazione fu adatto ed efficace, gli irlandesi (celti e scoti) erano raggruppati in un gran numero di tribù che formavano piccoli stati sovrani (tuatha), quindi occorreva il favore del re di ogni singolo territorio, per avere il permesso di predicare e la protezione nei viaggi missionari.
Per questo scopo Patrizio faceva molti doni ai personaggi della stirpe reale ed anche ai dignitari che l’accompagnavano.
Il denaro era in buona parte suo, che attingeva dalla vendita dei poderi paterni che aveva ereditato, non chiedendo niente ai suoi fedeli convertiti per evitare rimproveri d’avarizia.
La conversione dei re e dei nobili a cui mirava per primo Patrizio, portava di conseguenza alla conversione dei sudditi. Introdusse in Irlanda il monachesimo che di recente era sorto in Occidente e un gran numero di giovani aderirono con entusiasmo facendo fiorire conventi di monaci e vergini.
Certo non tutto fu facile, le persone più anziane erano restie a lasciare il paganesimo e inoltre Patrizio e i suoi discepoli dovettero subire l’avversione dei druidi (casta sacerdotale pagana degli antichi popoli celtici, che praticavano i riti nelle foreste, anche con sacrifici umani), i quali lo perseguitarono tendendogli imboscate e una volta lo fecero prigioniero per 15 giorni.
Patrizio nella sua opera apostolica ed organizzativa della Chiesa, stabilì delle diocesi territoriali con vescovi dotati di piena giurisdizione, i territori diocesani in genere corrispondevano a quelli delle singole tribù.
Non essendoci città come nell’impero romano, Patrizio seguendo l’esempio di altri santi missionari dell’epoca, istituì nelle sue cattedrali Capitoli organizzati in modo monastico come centri pastorali della zona (Sinodo). Predicò in modo itinerante per alcuni anni, sforzandosi di formare un clero locale, infatti le ordinazioni sacerdotali furono numerose e fra questi non pochi discepoli divennero vescovi.
Secondo gli “Annali d’Ulster” nel 444, Patrizio fondò la sua sede ad Armagh nella contea che oggi porta il suo nome; evangelizzò soprattutto il Nord e il Nord-Ovest dell’Irlanda, nel resto dell’Isola ebbe dal 439 l’aiuto di altri tre vescovi continentali, Secondino, Ausilio e Isernino, la cui venuta non è tanto chiaro se per aiuto a Patrizio o indipendentemente da lui e poi uniti nella collaborazione reciproca.
Benché il santo vescovo vivesse per carità di Cristo fra "stranieri e barbari" da anni, in cuor suo si sentì sempre romano con il desiderio di rivedere la sua patria Britannia e quella spirituale la Gallia; ma la sua vocazione missionaria non gli permise mai di lasciare la Chiesa d’Irlanda che Dio gli aveva affidato, in quella che fu la terra della sua schiavitù.
Patrizio ebbe vita difficile con gli eretici pelagiani, che per ostacolare la sua opera ricorsero anche alla calunnia, egli per discolparsi scrisse una “Confessione” chiarendo che il suo lavoro missionario era volere di Dio e che la sua avversione al pelagianesimo scaturiva dall’assoluto valore teologico che egli attribuiva alla Grazia; dichiarandosi inoltre ‘peccatore rusticissimo’ ma convertito per grazia divina.
L’infaticabile apostolo concluse la sua vita nel 461 nell’Ulster a Down, che prenderà poi il nome di Downpatrick.
Durante il secolo VIII il santo vescovo fu riconosciuto come apostolo nazionale dell’Irlanda intera e la sua festa al 17 marzo, è ricordata per la prima volta nella “Vita” di s. Geltrude di Nivelles del VII secolo. Intorno al 650, San Furseo portò alcune reliquie di San Patrizio a Péronne in Francia da dove il culto si diffuse in varie regioni d’Europa; in tempi moderni il suo culto fu introdotto in America e in Australia dagli emigranti cattolici irlandesi.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Patrizio, pregate per noi.
*Beato Tommasello da Perugia - Domenicano (17 marzo)
Sec. XIII
Secondo un documento storico quasi contemporaneo al Beato, un elogio scritto nel “Necrologio” del convento di San Domenico di Perugia, il Beato Tommasello nacque a Perugia (quasi sicuramente prima della metà del XIII) ed entrò nel convento dell’ordine dei predicatori di San Domenico quando era ancora un fanciullo.
Il “Necrologio” afferma che fu per anni allievo di S. Tommaso d’Aquino, il grande dottore delle Chiesa. Si pensa che Tommassello sia stato discepolo dell’aquinate quando questi insegnava a Roma (1265-67), a Viterbo (1267-1268) e a Napoli (1272-1274).
Nel “Necrologio”, il beato Tommasello viene ricordato per la sua grande dottrina, il suo insegnamento e predicazione in Perugia e nelle città vicine, per la sua vita religiosa esemplare e santa. Il Necrologio, poi, esalta anche il suo spirito di mortificazione, ricordando, ad esempio, quella volta che si recò a Napoli per un capitolo provinciale, indossando una camicia di ferro sulle proprie carni nude. Al Beato furono attribuiti molti miracoli, che egli, per umiltà, cercava di tener nascosti; il clero e il popolo perugino lo stimavano per santo, già in vita.
Il cronista nel “Necrologio” scrisse che Tommasello dopo 28 (XXVIII) anni dalla sua nascita morì e fu sepolto nella chiesa del suo convento nei pressi dell’altare della Beata Vergine. Più tardi, nel 1285 il suo corpo venne tumulato in una tomba più degna.
Importanti autori hanno ritenuto, tenendo conto di tutto quello che afferma il Necrologio sul Beato, che la vita di Tommasello sia stata più lunga.
Uno di questi autori, il Taurisano, ha pensato ad un errore di scrittura, suggerendo che in realtà la cifra corretta indicante l’età della morte sia XXXVIII e non XXVIII.
Secondo la scritta di un’antica raffigurazione del beato, egli morì nel 1270. Al presente le spoglie del Beato Tommasello riposano nella chiesa di San Domenico a Perugia, insieme a quelle del Beato Nicola da Giovinazzo.
L’ordine domenicano ricorda il Beato discepolo di San Tommaso d’Aquino il 17 marzo.
(Autore: Francesco Roccia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Tommasello da Perugia, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (17 marzo)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.