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Santi del 17 Giugno

Il mio Santo > I Santi di Giugno

*Sant'Adolfo di Maastricht - Vescovo (17 giugno)

sec. VII
Santi Botulfo, abate in Inghilterra, e Adolfo, vescovo di Maastricht, fratelli.
Nati all'inizio del secolo VII da una di quelle nobili famiglie sassoni che avevano conquistata l'Inghilterra e si erano fatte cristiane, o, secondo un'altra tradizione, dall'illustre prosapia dei re di Scozia, furono spinti dal desiderio di perfezione ad abbandonare il loro paese e a passare il mare. Non si sa in qual luogo si fermassero, se nel Belgio o in Germania, ma è certo che, dopo qualche tempo, essi vestirono l'abito monastico.
Secondo la loro Vita, da considerarsi però piuttosto favolosa, la fama della santità di Adolfo non tardò a giungere agli orecchi del re della regione in cui si trovava, che, consentendo alla volontà popolare, lo avrebbe nominato vescovo di Maastricht (o di Utrecht): si noti, tuttavia, che il suo nome non figura nelle liste episcopali delle due città.
Botulfo invece, rispondendo alla chiamata di due monache sorelle del re dell'Inghilterra meridionale, che lo consideravano loro guida spirituale, fece ritorno in patria, dove ebbe dal sovrano il permesso di costruire un monastero nel luogo che più gli piacesse.
Nel 654, il santo scelse dunque un eremo chiamato Icanno (Ikanhoe, corrispondente, secondo alcuni a Boston, nella contea di Lincoln, secondo altri a Iken nel Suffolk) e, fondatovi un monastero, ne fu saggio abate.
Morì, illustre per miracoli, il 17 giugno del 680 e fu sepolto nel suo monastero insieme col fratello Adolfo: in seguito, le loro reliquie furono divise fra i monasteri di Thorney, di Ely e di Westminster.
Oggi in Inghilterra esistono settanta chiese dedicate a Botulfo che, sempre insieme col fratello, viene festeggiato il 17 giugno.
(Autore: Pietro Burchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Adolfo, pregate per noi.

*Sant'Antido (o Antidio) di Besancon - Vescovo e Martire (17 giugno)
m. 411 circa

Martirologio Romano: A Besançon nella Gallia lugdunense, ora in Francia, sant’Antidio, vescovo e martire, che si tramanda abbia ricevuto la condanna a morte sotto il re dei Vandali Croco.
Nel Martirologio Romano è commemorato il 25 giugno nelle liste episcopali di Besancon, composte nel secolo IX, si specifica che fu ucciso e sepolto al X miglio dalla città da Croco, re dei Vandali, e che nel 1042 le sue reliquie furono trasferite nella chiesa di San Paolo a Besancon.
Dello stesso periodo è una fantastica passio infarcita di luoghi comuni e di strane vicende, giudicate dal Baronio piuttosto degne di un mago che di un Santo.
Sembra, comunque, che a Besancon sia esistito e sia stato venerato un martire locale Antido, del quale non si sa nulla con sicurezza, più tardi eletto vescovo della città.
(Autore: Charles Vens – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Antidio, pregate per noi.

*Beato Arnaldo (Arnoldo) da Foligno (17 giugno)

Francescano, nominato da Bonifacio VIII lettore del sacro palazzo apostolico, fu confessore della Beata Angela da Foligno (v.), di cui scrisse la Vita.
Morì nel 1313 e nel Martirologio Francescano è ricordato al 17 giugno.
(Autore: Germano Cerafogli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Arnaldo da Foligno, pregate per noi.

*Sant'Avito - Abate (17 giugno)
m. 530 circa
Martirologio Romano:
A Orléans in Francia, Sant’Avito, abate.
Il ricordo più antico di Avito è in due passi di Gregorio di Tours. Nel primo (Hist. Franc., III, 6) è detto che il re burgundo Sigismondo fu nel 523 messo a morte dal vincitore Clodomiro re dei Franchi, nonostante i tentativi fatti per salvarlo «a beato Avito abbate Miciacense, magno tunc temporis sacerdote».
Nel secondo (De gloria Confessorum, 99), Gregorio racconta che «Avitus abbas Carnoteni pagi, quem Pertensem vocant, saepius imminere dissolutionem sui corporis Spiritu sancto revelante
praedixit. Qui recedens a corpore, honorifice apud Aurelianensem urbem humatus est: super quern fideles Christiani ecclesiam construxerunt», chiesa che Gregorio stesso ebbe occasione di visitare (Hist. Franc., VIII, 2).
Di Avito parla anche l'autore del Liber historiae Francorum, che trascrive, amplificandole, le notizie date da Gregorio: «Beatus autem Avitus, qui erat tunc vir sanctus Dei abbas in Aurelianis civitate, deprecabatur Chlodomirum... ».
Adone, attingendo le notizie da Gregorio di Tours, pone la celebrazione di Avito al 19 dicembre, senza motivo alcuno, però, poiché nel Martirologio Geronimiano Avito è menzionato al 17 giugno («In Aurelianis civitate Aviti presbyteri»).
L'elogio di Adone, soppresso da Usuardo, che ricorda Avito al 17 giugno, è rimasto in alcuni mss., in cui il nome Avitus fu corrotto in Adiutus e il Baronio, indotto in errore da questa corruzione, celebra Avito al 17 giugno e Adiutus al 19 dicembre. Beda al 15 giugno menziona un Vitus, nome che è certamente una contrazione di Avitus.
Nei secc. IX-X furono redatte quattro Vitae di Avito (cf. BHL, I, pp. 136-37, nn. 879-82), tutte di scarso valore, che si ripetono con poche varianti. Stando ad esse, Avito nacque in Arvernia verso la metà del sec. V e abbracciò la vita religiosa a Menat presso Clermont. Si trasferì poi a Micy, presso Orleans, conducendo vita eremitica. Morto nel 520 Massimino, abate di Micy, Avito gli successe, cedendo alle suppliche dei monaci.
Si ritirò saltuariamente nelle foreste di Perche, non lontano da Châteaudun, in un luogo che più tardi si chiamò Celle-de-Saint-Avit. Quivi morì verso il 530, un 17 giugno, e fu sepolto a Orléans nella chiesa di San Giorgio.
Qualcuno ha voluto distinguere due Aviti, uno di Menat e l'altro di Micy, ma sembra che tale distinzione sia priva di solido fondamento.
(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Avito, pregate per noi.

*Santi Blasto e Diogene - Martiri (17 giugno)

Martirologio Romano: A Roma sulla via Salaria Vecchia, Santi Blasto e Diogene, martiri.
Santi Blasto e Diogene, martiri, venerati a Roma.
Di questi due santi, venerati nella antichità e nel Medioevo in Roma, si ha notizia dal Martirologio Geronimiano al 17 giugno. Di un Blasto, tribuno di Claudio il Gotico e da lui condannato a morte perché cristiano (269), si parla negli Atti del martire san Valentino, ma niente ci autorizza a identificarlo col nostro.
Per San Diogene si conserva il testo dell'epigrafe sepolcrale del presbitero Marea, nella quale si accenna a una violazione della tomba durante l'assedio di Vitige (536).
Essi furono sepolti nella chiesa di San Giovanni martire sulla via Salaria «ad septem palumbas» (presso l'Acqua Acetosa), e ivi venerati come ci attestano gli Itinerari medievali.
I loro corpi furono trasportati da Papa Pasquale I nella basilica di Santa Prassede, come risulta dal catalogo marmoreo; altre reliquie si trovano nella chiesa di San Marcello in Via Lata come è dimostrato da una iscrizione dell'XI-XII secolo.
(Autore: Dante Balboni - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Blasto e Diogene - Martiri, pregate per noi.

*San Botulfo - Abate in Inghilterra (17 giugno)

sec. VII
Santi Botulfo, abate in Inghilterra, e Adolfo, vescovo di Maastricht, fratelli.
Nati all'inizio del secolo VII da una di quelle nobili famiglie sassoni che avevano conquistata l'Inghilterra e si erano fatte cristiane, o, secondo un'altra tradizione, dall'illustre prosapia dei re di Scozia, furono spinti dal desiderio di perfezione ad abbandonare il loro paese e a passare il mare.
Non si sa in qual luogo si fermassero, se nel Belgio o in Germania, ma è certo che, dopo qualche
tempo, essi vestirono l'abito monastico.
Secondo la loro Vita, da considerarsi però piuttosto favolosa, la fama della santità di Adolfo non tardò a giungere agli orecchi del re della regione in cui si trovava, che, consentendo alla volontà popolare, lo avrebbe nominato vescovo di Maastricht (o di Utrecht): si noti, tuttavia, che il suo nome non figura nelle liste episcopali delle due città.
Botulfo invece, rispondendo alla chiamata di due monache sorelle del re dell'Inghilterra meridionale, che lo consideravano loro guida spirituale, fece ritorno in patria, dove ebbe dal sovrano il permesso di costruire un monastero nel luogo che più gli piacesse.
Nel 654, il santo scelse dunque un eremo chiamato Icanno (Ikanhoe, corrispondente, secondo alcuni a Boston, nella contea di Lincoln, secondo altri a Iken nel Suffolk) e, fondatovi un monastero, ne fu saggio abate.
Morì, illustre per miracoli, il 17 giugno del 680 e fu sepolto nel suo monastero insieme col fratello Adolfo: in seguito, le loro reliquie furono divise fra i monasteri di Thorney, di Ely e di Westminster.
Oggi in Inghilterra esistono settanta chiese dedicate a Botulfo che, sempre insieme col fratello, viene festeggiato il 17 giugno.
(Autore: Pietro Burchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Botulfo, pregate per noi.

*Santi Egidio, Luigi, Giovanni e Paolo - Martiri Mercedari (17 giugno)

Questi quattro Santi Mercedari, Egidio, Luigi, Giovanni e Paolo, si trovavano a Fez in Marocco in missione di redenzione, quando, mentre stavano predicando la fede in Cristo, vennero catturati dai mussulmani.
Subirono diversi maltrattamenti senonché gli furono strappate le lingue, tagliate mani e piedi ed infine furono decapitati meritando così il trionfo della gloria dei martiri.
L’Ordine li festeggia il 17 giugno.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Egidio, Luigi, Giovanni e Paolo, pregate per noi.

*Sant'Erveo (Hervè) - Abate e Eremita in Bretagna (17 giugno)

Nato in Galles - m. 575 c.
Emblema:
Lupo
Martirologio Romano: In Bretagna, Sant’Ervéo, eremita, che, come si racconta, pur privo della vista fin dalla nascita, cantava tuttavia con letizia le meraviglie del paradiso.
La storia di Sant’Hervé, così come ci è stata tramandata da una “Vita” del XIII secolo, lo vuole
figlio di un menestrello inglese di nome Hyvarnion, espulso dal suo paese dai sassoni e rifugiatosi fortunosamente alla corte del re franco Childeberto.
Fu subito assai apprezzato per la sua musica, ma non essendo provvisto di un adeguato galateo dovette abbandonare la vita di corte dopo due o tre anni e si trasferì dunque in Bretagna. Qui convolò a nozze con Rivanona, una ragazza orfana, dalla quale ebbe un bambino che nacque cieco ed a cui fu imposto il nome Hervé, che significa “amarezza”.
Ogni qualvolta che il bambino piangeva, la mamma era solita cantargli delle canzoni e così egli crebbe nutrendo un grande amore per la musica e la poesia.
Quando il padre morì, Rivanona affidò il bambino ad un sant’uomo di nome Artian. In seguito Hervé si trasferì presso un suo zio, che aveva una piccola comunità monastica a Plouvien, ove si cimentò in ogni genere di lavoro nella fattoria. Una leggenda narra che un giorno stava lavorando nei campi quando sopraggiunse un lupo che divorò l’asino che trainava l’aratro.
Guirano, il giovane aiutante di Hervé, urlò per avvertirlo del pericolo, ma questi si mise a pregare ammansendo il lupo, che accettò di finire il lavoro di aratura.
Quando lo zio non poté più dirigere la scuola, la affidò alle sue cure, anche se dovette essere coadiuvato da un gruppo di monaci e professori.
Dopo qualche tempo ebbe l’ispirazione di trasferire la scuola a Léon, dove il vescovo gli propose il conferimento dell’ordinazione presbiterale che però umilmente rifiutò. Con i suoi compagni
proseguì poi ancora verso Occidente ed ai bordi della strada per Lesneven fece sgorgare una sorgente, che ancora oggi porta il suo nome, per i compagni assetati. Giunsero infine a Lanhouarneau ed Hervé provvide a fondare un monaster, ove rimase per il resto dei suoi giorni, circondato di venerazione per la sua fama di santità e la sua arte oratoria.
Nei dintorni erano tutti soliti ricorrere a lui quale esorcista.
É considerato santo patrono di chi soffre di problemi agli occhi ed è solitamente rappresentato in compagnia del lupo e di Guirano, sua giovane guida. Rifulge tra i più popolari santi bretoni ed è figura centrale delle ballate e del folclore indigeno.
Il suo culto in origine aveva centro presso Lanhouarneau, sino a quando nel 1002 le sue reliquie non vennero distribuite fra vari luoghi, fattore che comportò di conseguenza l’estensione della sua venerazione a tutta la regione.
Il suo sepolcro, sito a Finisterre, scomparve tra gli sconvolgimenti della Rivoluzione Francese. Sulle sue reliquie si prestavano i giuramenti solenni fino al 1610, quando fu prescritto il giuramento sul Vangelo. In Bretagna il nome Hervé è secondo solo ad Ivo quanto a diffusione. (Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Erveo (lat. Herveus; fr. Hervé), il cui nome ha permesso la confusione con molti altri antichi Santi bretoni, visse nel sec. VI, ma la sua leggenda, scritta forse nel sec. XIII, non merita alcun credito. Non si può che approvare il giudizio dato da Lobineau: "Il culto di Sant’ Erveo è così pubblico e così antico in Bretagna che non si può dubitare ragionevolmente che vi sia stato un santo di questo nome, ma si potrebbe dubitare se si consultano i suoi atti pieni di tante favole che hanno più l'aria di un romanzo fatto per divertire che della storia di una persona che sia realmente vissuta".
É peraltro attraverso la figura che traccia di lui questa leggenda che Erveo è rimasto un Santo popolarissimo in Bretagna: molte chiese e cappelle sono innalzate in suo onore, il suo nome è frequentemente dato nel Battesimo ed è anche divenuto un diffuso nome di famiglia.
La sua Vita, che si legge come una bella leggenda, ce lo rappresenta come un San Francesco di Assisi del sec. VI, che sovente fa miracoli alla maniera di Elia e di Eliseo. Suo padre, venuto dalla Gran Bretagna al seguito del re Childeberto, si ritirò in Bretagna per vivere in solitudine, quando un angelo gli apparve e gli ordinò di sposare una ragazza, Rivanona, che avrebbe incontrato l'indomani presso un pozzo.
Da questa unione voluta da Dio, nacque Erveo (Hoarveus). Sin dalla nascita, secondo il voto di sua madre, i suoi occhi furono privati della luce terrestre, ma aperti allo splendore del paradiso. Ancor
giovane, si ritirò in solitudine, e i miracoli fiorirono sui suoi passi; fu un camminatore infaticabile, guidato dal giovane Guirano, e accompagnato dal suo lupo. Questo, un giorno, aveva divorato l'asino col quale il Santo lavorava, ma Erveo I'aveva addomesticato costringendolo a prendere il posto dell'asino.
Tanto era grande la sua santità, che fu invitato, benché semplice esorcista, a un concilio di vescovi, che si sarebbe riunito in cima al Menez-Bré.
Intorno ad Erveo gravitano altri Santi: sua madre, San Rivanona, suo zio, Sant’Urfoedo, sua cugina, Santa Cristina, che muore insieme con lui, e i Ss. Maiano, Guesnoveo, Conogano e Mornrodo.
Morì e fu sepolto a Lanhouarneau, dove aveva riuniti finalmente i suoi discepoli, pur senza che si possa parlare di un vero monastero. Le sue reliquie sarebbero state trasportate a Brest al tempo delle invasioni normanne, poi disperse nel sec. XI, parte a Nantes, parte a Rennes.
I cantanti bretoni lo tengono per loro patrono, perché gli si attribuisce un Cantico del paradiso, conosciuto ancor oggi, e gli scultori amano rappresentarlo come un eremita cieco, appoggiato a un bastone, e accompagnato talvolta dal suo fedele Guirano, e sempre dal suo lupo. È festeggiato il 17 giugno e figura in questa data nei calendari di Quimper e di Saint Brieuc.
(Autore: Jean Evenou – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Erveo, pregate per noi.

*Beata Eufemia di Altenmunster - Badessa (17 giugno)

Etimologia: Eufemia = che parla bene, acclamata, dal greco
Figlia dei Conti di Andechs, Bertoldo II e Sofia, fu sorella della Beata Matilde, badessa di Diessen, e della riformatrice del monastero di Admont, Agnese.
Morì il 17 giugno del 1180 circa e fu sepolta a Diessen.
Le sue virtù vengono elogiate alla pari di quelle della Beata Matilde. Prova del culto di Eufemia è la denominazione di Santa e Beata che le viene sempre attribuita.
Ne fanno memoria, al 17 giugno, il Supplemento al Menologio del Bucelino e il Martirologio Benedettino del Lechner.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Eufemia di Altenmunster, pregate per noi.

*Beato Filippo Papon - Martire (17 giugno)

Martirologio Romano: Sulla costa francese in una galera ancorata al largo di Rochefort, Beato Filippo Papon, sacerdote di Autun e martire, che, parroco, relegato durante la rivoluzione francese a causa del suo sacerdozio ad una umiliante condizione di prigionia, dopo aver dato l’assoluzione a un compagno moribondo, anch’egli spirò.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Filippo Papon, pregate per noi.

*Sant'Imerio di Amelia - Vescovo (17 giugno)

Emblema: Bastone pastorale
Un Ambrogio abate vissuto, sembra, nel sec. XII, scrisse per primo la Vita di Imerio, ma di essa rimane solamente il prologo. Esiste invece una Vita molto piú recente scritta dal vescovo di Amelia, Antonio Maria Graziano (15921611).
Più importanti sono una narrazione della traslazione delle reliquie di Imerio da Amelia a Cremona, avvenuta nel sec. X ed una raccolta di miracoli fatti dal santo nel sec. XII, composta quest'ultima
da Giovanni monaco, contemporaneo ai fatti.
Secondo la Vita, Imerio nato nel Bruzio (odierna Calabria) fu prima anacoreta, poi cenobita ed in ultimo vescovo di Amelia, una cittadina in provincia di Terni, dove morì il 17 giugno di un anno imprecisato.
Liutprando (o Luizo), vescovo di Cremona (962-972), trasportò le reliquie di Imerio nella sua sede, prelevandole, verso il 965, "de oppido sancti Flaviani sito in episcopatu Imeliensi".
Rimaste poi sotto le rovine di una chiesa, furono ritrovate nel 1129 e sul sepolcro avvennero numerosi miracoli narrati dal monaco Giovanni, vissuto al tempo del vescovo Offredo (1168-1185).
Nel 1196 Sicardo, altro vescovo di Cremona, pose il corpo di Imerio in un'arca di pietra con quello del martire Archelao e consacrò un altare in loro onore.
Imerio è sconosciuto agli antichi martirologi.
Fu iscritto nel Martirologio Romano dal Baronio che ne prese l'elogio dal De Natalibus e dal Molano. Le notizie date dalla tardiva Vita sono tutt'altro che certe e completa incertezza regna anche sull'epoca in cui Imerio sarebbe vissuto, per la quale le ipotesi oscillano tra il IV e il VI secolo.

Nella diocesi di Cremona la sua memoria si celebra il 18 giugno.

(Autore: Filippo Caraffa – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Imerio di Amelia, pregate per noi.

*Sant'Ipazio Egumeno - Abate (17 giugno)

m. 446
Di vita austera e duri digiuni, si stabilì in un monastero abbandonato in Calcedonia, Asia Minore, lo ricostruì e vi formò una prospera comunità.
Martirologio Romano: In Bitinia, nell’odierna Turchia, Sant’Ipazio, egúmeno del monastero dei Rufiniani, che con una vita di sobrietà e e di austeri digiuni insegnò ai suoi discepoli la perfetta obbedienza alla vita monastica e ai laici il timore di Dio.
É noto soprattutto per la ‘Vita’ scritta dal suo discepolo Callinico. Nato forse in Frigia, egli era figlio di un letterato che voleva ispirargli la passione della retorica, mentre la sua vocazione era quella di farsi monaco.
Fuggito, si rifugiò in Tracia occupandosi come pastore, poi andò a raggiungere un ex soldato divenuto un’asceta, chiamato Giona e con lui fondarono un monastero raccogliendo un buon numero di confratelli, il convento venne assalito durante un’incursione degli Unni.
Si spostò, insieme a Giona a Costantinopoli per chiedere aiuto contro queste incursioni a favore anche delle popolazioni che le subivano, qui ritrovò suo padre col quale si riconciliò.
Verso il 400, attraversò il Bosforo e si sistemò nel monastero dei Rufiniani, chiamato così perché fondato dal pretorio Rufino qualche anno prima, presso la chiesa dei Ss. Apostoli.
Ipazio ebbe molte difficoltà con questa nuova destinazione sia per la condizioni dell’edificio andato in rovina, sia per le cattive disposizioni di alcuni suoi discepoli.
Ospitò nel 403 i tre monaci egiziani perseguitati dal patriarca Teofilo detti “Fratelli lunghi”.
Fu visitato varie volte dalle tre sorelle dell’imperatore Teodosio II, le quali venivano a chiedere la sua benedizione, lo stesso imperatore lo visitò due volte. Molto venerato dai contadini del circondario che gli attribuivano svariati miracoli.
Combatté il nestorianesimo e si oppose alla restaurazione dei giochi olimpici da lui ritenuti una sopravvivenza del paganesimo. Morì a 80 anni nel 446, i Menologi dicono il 17 giugno.
Abbiamo sei Santi con il nome Ipazio di cui ben cinque sono martiri, ma tutti sono dell’Oriente Cristiano.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ipazio Egumeno, pregate per noi.

*Santi Isauro, Innocenzo, Felice, Ermia, Pellegrino e Basilio - Martiri (17 giugno)
Martirologio Romano: A Pojani in Macedonia, nell’odierna Albania, santi Isauro, Innocenzo, Felice, Ermia, Pellegrino e Basilio, martiri.
Sono martiri ateniesi celebrati da menei e sinassari bizantini o al 17 giugno o al 7 luglio: nei rispettivi elogi rimane probabilmente traccia della passio oggi perduta.
Il diacono Isauro ed i compagni Basilio ed Innocenzo lasciano Atene per recarsi ad Apollonia a condurre vita di perfezione in una grotta, quando si imbattono in Felice, Pellegrino ed Ermia, i quali seguendo le esortazioni di Isauro donano ai poveri le loro sostanze e si uniscono a lui.
I parenti cercano invano di dissuaderli, ma poi li denunziano essi stessi al perfetto Triponzio. Vengono arrestati, interrogati ed al loro rifiuto di rinnegare la fede condannati alla decapitazione.
Prima però sono condotti dal figlio del prefetto, Apollonio, che rinnova i tentativi per indurli ad apostatare. Posti alla prova del fuoco e dell'acqua, ne escono miracolosamente illesi ed a questo fatto molti astanti si convertono (e tra questi i nobili fratelli Rufo e Rufiniano, poi martiri); infine subiscono la pena capitale.
La trama del racconto è assai più semplice e verosimile di tanti altri delle medesime fonti; inoltre i testi liturgici bizantini insistono sui grandi miracoli che avvengono sulle loro tombe (o, più precisamente sulla tomba di Isauro); questo ci induce a credere che almeno di questi si venerasse il sepolcro in qualche chiesa di Costantinopoli: elemento che accresce notevolmente l’attendibilità delle fonti riferite.
Il Martirologio Romano celebra i martiri ateniesi al 17 giugno però omette il nome di Basilio, cambia Hermia in Hieremia ed asserisce che la città di Apollonia fosse in Macedonia (indicazione arbitraria e pur vaga, poiché sappiamo che ben trentadue città di questo nome si trovavano nel mondo greco, di cui tre in Macedonia).

(Autore: Giovanni Lucchesi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Isauro, Innocenzo, Felice, Ermia, Pellegrino e Basilio, pregate per noi.

*Beato Joseph-Marie Cassant - Trappista (17 giugno)

Casseneuil. 6 marzo 1878 - Santa Maria del Deserto (Tolosa), 17 giugno 1903
Nasce il 6 marzo 1878 a Casseneuil (Francia) in una famiglia di arboricoltori da cui riceve una solida educazione cristiana. A sedici anni entra nell'abbazia cistercense di Santa Maria del Deserto.
Per tutti i poveri e gli umili, egli è un trascinatore formidabile. Colpito da tubercolosi offre, per Cristo e per la Chiesa, le sue sofferenze fisiche che lo condurranno alla morte nel 1903.
Iddio sceglie i suoi Santi in tutte le categorie umane, non solo in merito alla loro intelligenza, virtù, capacità di sacrificio e sofferenza, opere sociali, fervido apostolato, carisma e doni celesti, età e
sesso, ma anche per la semplicità e purezza di cuore. Un’anima eletta diceva che un Santo umile sarà “una guida semplice per i semplici cristiani”.
Joseph Cassant nacque il 6 marzo 1878 a Casseneuil nel Sud della Francia, da una famiglia di coltivatori benestanti e devoti ai principi cristiani.
L’ambiente familiare, oltre ai genitori e Joseph c’era anche un altro fratello più piccolo, favorì nel ragazzo il sorgere di un desiderio unico e forte, quello di farsi sacerdote.
E già nella fanciullezza cercò di vivere coscientemente secondo quello che sarà il suo motto per tutta la vita: “Tutto per Gesù”. Pur essendo tutto casa e chiesa, comprese che era necessaria anche la frequenza a scuola per poter accedere al Seminario Minore, ma sfortunatamente nel profitto scolastico si dimostrò un fallimento totale.
Inoltre la sua salute era così malferma, che era probabile di non avere una vita lunga tanto da realizzare il suo sogno.
Adolescente prese a frequentare, su consiglio del parroco di Casseneuil don Filhol, l’abbazia cistercense di Santa Maria del Deserto, nella diocesi di Tolosa, entrandovi come novizio il 5 dicembre 1894.
L’abbazia seguiva la Regola dell’Ordine Cistercense Riformato, cioè della riforma trappista del XVII secolo, voluta dall’abate Armand Le Bouthillier de Rancé.
La vita dei monaci trappisti si svolge nella solitudine, nel silenzio e nella preghiera; per questo mai nessun monastero verrà costruito espressamente in città. Ebbe la grazia d’incontrare un’anima sensibile e intuitiva dei bisogni delle anime, il maestro dei novizi padre André Malet, che trovando Joseph timido e ansioso, lo incoraggiò sin dal primo incontro “Abbi fiducia! Io ti aiuterò ad amare Gesù”, anche gli altri novizi non tardarono ad apprezzare il nuovo venuto, il quale era sempre contento e sorridente.
A 21 anni doveva fare il servizio militare ma ebbe un definitivo esonero per ragioni di salute nel marzo 1900.
Il 24 maggio, solennità dell’Ascensione, venne ammesso a pronunciare i voti definitivi; ma Joseph-Marie sempre più cosciente dei suoi limiti, desiderò di offrirsi a Cristo in completa identificazione con Lui, come sacerdote nel sacrificio della Messa.
Cominciò allora la preparazione al sacerdozio, tuttavia i corsi di teologia tenuti da un confratello che mancava di comprensione, furono l’occasione di far subire al giovane monaco degli affronti molto dolorosi per la sua sensibilità; la sua esperienza di studente fu piena di un instancabile impegno e deludenti risultati.
Padre André Malet lo confortò e incoraggiò continuamente e così superati infine gli esami in maniera soddisfacente, padre Joseph-Marie Cassant fu ordinato sacerdote il 12 ottobre 1902.
Fu sempre più evidente che si era accelerato i tempi, perché ormai tutti sapevano che era ammalato di tubercolosi in fase avanzata, il giorno dopo l’ordinazione l’abate lo mandò a casa a Casseneuil, in compagnia di suo fratello Emile, con il motivo di dargli l’opportunità di rimettersi in salute dopo gli sforzi degli ultimi periodi.
Padre Cassant trascorse in famiglia sei settimane, ricevendo le cure dei familiari, amici e parrocchiani, ma nel cuore il desiderio di ritornare al monastero. Il 2 dicembre 1902 ritornò a Santa Maria del Deserto, per celebrare la Santa Messa e incontrare Dio nel suo monastero; diceva: “Quando io non sarò più in grado di celebrare la Messa, possa Dio degnarsi di prendermi da questo mondo”.
Dopo poco tempo fu trasferito in infermeria ed esonerato dalle attività comunitarie; la scienza medica allora poteva dare solo dei palliativi, la malattia era incurabile e le sofferenze ci furono tutte, accettate dal giovane monaco come la strada obbligata per amare Gesù totalmente.
Nell’infermeria padre André Malet incontrò così un discepolo che era diventato suo maestro, completamente imbevuto di quella spiritualità d’amore e d’unione con la volontà di Dio, che egli gli aveva trasmesso.
Padre Cassant celebrò la sua ultima Messa il 31 maggio 1903 e ricevette l’estrema unzione il primo giugno; morì all’alba del 17 giugno mentre padre André celebrava per lui una Messa privata, aveva 25 anni.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, con la semplicità del funerale trappista, il suo corpo fu inumato nella cripta di S. Maria del Deserto.
Nel 1935 il Capitolo Generale dell’Ordine votò l’introduzione della sua causa di beatificazione; Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificato il 3 ottobre 2004 in Piazza S. Pietro a Roma.
Dal volume “Le acque di Siloe” di Thomas Merton, edizione Garzanti, citiamo: “Di tutti i trappisti che vissero, soffrirono e lavorarono nei monasteri da quando, nel diciassettesimo secolo, De Rancé aveva riformato la vita cistercense, fu proprio quest’umile padre, uno dei monaci apparentemente più oscuri e semplici, a richiamare per primo l’attenzione sulla sua santità”.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Joseph-Marie Cassant, pregate per noi.

*San Marciano - Martire (17 giugno)

Martirologio Romano: A Silistra in Mesia, nell’odierna Bulgaria, Santi martiri Nicandro e Marciano, che, soldati, durante la persecuzione di Diocleziano, respinsero l’elargizione fatta dall’imperatore all’esercito e, rifiutatisi fermamente di sacrificare agli dèi, furono condannati a morte dal governatore Massimo.
Santi Nicandro, Daria e Marciano, martiri
Il martirologio romano (calendario ufficiale della chiesa latina) al giorno 17 giugno recita: "Apud Venafrum, in Campania, sanctorum martyrum Nicandri et Marciani, qui in persecutione Maximiani
capite caesi sunt ".
La notizia del martirologio è ratificata anche da diversi studiosi, fra i quali Mabillon nel suo "Museo italico".
Ufficiale d’origine egiziana dell’esercito romano convertitosi al cristianesimo, Nicandro, subì il martirio sotto l'imperatore Massimiliano, pur di non abiurare la sua nuova fede.
Venne decapitato e sepolto nell'antico cimitero militare romano presso l’attuale città di Venafro.
Secondo altre fonti invece il martirio avvenne sotto Diocleziano, nel 303.
Stessa sorte subirono la moglie Daria e il fratello Marciano.
Dopo secoli, per l'ostinazione di un frate cappuccino, di un convento molisano, convinto che lì si trovasse il sarcofago dell'ex ufficiale dell'esercito romano, il sepolcro venne rinvenuto e su di esso si edifico in un secondo tempo una basilica.
Nel 1650, il Vescovo di Venafro, Ludovico Ciogni, romano, fece trarre a parola da alcuni codici esistenti in Roma il racconto del martirio dei Santi, che fu inserito nelle seconde Lezioni dell'Ufficio Divino, recitato dai canonici e dai sacerdoti delle diocesi di Isernia e Venafro fino alla riforma liturgica operata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
Le spoglie di San Marciano invece per tradizione sono custodite nella chiesa di San Falco a Palena, in provincia di Chieti, dove furono traslate da Venafro, secondo un'attendibile ricostruzione, per preservarle dall'invasione dei Saraceni che colpì la cittadina di Venafro nel X secolo.
Il culto di San Nicandro in tempi antichi è stato fervente in tutta l’Italia meridionale, tanto da apparire in più casi nella toponomastica del Mezzogiorno.
(Autore: Vincenzo Moretti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Marciano, pregate per noi.

*Beata Maria l'Addolorata - Vergine e Martire (17 giugno)

+ Woluwe-Saint-Pierre, Belgio, 18 giugno 1290
Maria l’Addolorata (Lenneke Mare, Ellendige Marie, Marie la Misérable) fu una giovane vissuta nella seconda metà del XIII secolo nel ducato di Brabante, nell’attuale Belgio. Scelse di vivere da reclusa nella chiesetta di Santa Maria, fuori dal suo villaggio di Woluwe-Saint-Pierre.
Un giovane che aveva respinto perché lei aveva consacrato la sua verginità a Dio l’accusò di furto.
Maria venne quindi condannata a morte con la pena destinata ai ladri: fu sepolta viva e infilzata con un palo acuminato. Il suo corpo fu inizialmente sepolto nella chiesetta di Santa Maria e poi trasferito nella chiesa parrocchiale di San Pietro a Woluwe, dove Maria tuttora gode di culto locale.
Una giovane reclusa
Nella seconda metà del XIII secolo, presso la cittadina di Woluwe in Belgio, non molto lontano da Bruxelles, nacque una bambina chiamata Maria. La sua famiglia era molto umile, ma altrettanto religiosa.
In giovanissima età decise di dedicarsi interamente a Dio, vivendo in povertà e rimanendo vergine. Scelse come sua dimora la chiesetta suburbana di Santa Maria, dove assunse lo stile di vita delle recluse: in pratica, non usciva quasi mai di lì, se non per andare in cerca di elemosine.
Un’accusa ingiusta
Un giovane del luogo s’innamorò di lei, ma dovette fare i conti con il suo rifiuto: si era votata a Dio, non poteva concedersi a un uomo. Offeso da quel rifiuto, pensò di farla sua con un ricatto.
Nascose quindi nella sporta che Maria usava per raccogliere le sue elemosine un calice d’argento, sottratto a uno dei suoi benefattori. In seguito la minacciò: l’avrebbe denunciata per furto, a meno che, ovviamente, non avesse deciso di cambiare idea. Per tutta risposta, la giovane lo respinse ancora una volta.
A quel punto, l’uomo non aveva altra scelta: l’accusò di furto presso il borgomastro e fu tanto insistente che l’autorità civile, benché Maria fosse circondata dalla stima di tutto il paese, la costrinse agli arresti.
Quando fu interrogata, la ragazza rispose candidamente che l’accusatore aveva trovato il calice nella sporta, ma lei proprio non sapeva chi ce l’avesse messo.Visto che l’accusatore continuava ad insistere sulla colpevolezza di Maria, il giudice la condannò a morte.
La preghiera di Maria l’Addolorata
Durante la notte, la giovane venne tirata fuori dal carcere e condotta fuori dalla città. Quando passò vicino alla chiesetta di Santa Maria, dove per tanti anni aveva vissuto di preghiera e di elemosine, domandò di potersi fermare per pregare un momento.
La sua biografia riporta il contenuto di quell’orazione e le intenzioni che la animarono. Per prima cosa, chiese al Signore e alla Madonna di sostenerla nel suo immenso dolore: è per questo che, popolarmente, venne soprannominata "Maria l’Addolorata".
Pensò poi a tutti coloro che, come lei, vivevano una qualche forma di sofferenza. Implorò il perdono divino per il suo pretendente e accusatore e, infine, pregò per tutti coloro che, passando per quel luogo, si fossero ricordati di lei.
Il martirio
Giunse infine sul luogo della sua morte, o meglio, del supplizio tipico dei condannati per furto. Mentre molti popolani piangevano per lei, venne sepolta viva. Immediatamente dopo, mentre con tutta probabilità respirava ancora, fu trafitta da un palo acuminato, spinto sempre più in fondo da tre uomini, che si succedevano in quell’incarico. Era il 18 giugno 1290.
Qualche ora dopo, il giovane che l’aveva accusata iniziò a contorcersi e a ululare: sembravano tutti sintomi di una possessione diabolica. Solo dopo sette anni, in seguito a vari infruttuosi pellegrinaggi, ne fu liberato proprio quando fu portato sul sepolcro di Maria, nella chiesetta dove aveva vissuto. Il suo corpo fu poi traslato nella chiesa parrocchiale di San Pietro a Woluwe.
Il culto
Pochissimo dopo la sua morte, venne scritta una sua "Vita" in latino, accolta dagli studiosi Henskens e Papebroch negli "Acta Sanctorum" del mese di giugno. Nel 1363, ad Avignone, dodici vescovi approvarono la concessione di un’indulgenza alla chiesetta di Santa Maria, dove all’epoca la reclusa era ancora sepolta.
Maria l’Addolorata è ancora ricordata, sebbene in un ambito locale molto ristretto, per cui le viene tradizionalmente attribuito il titolo di Beata.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*San Nicandro - Martire (17 giugno)

Martirologio Romano: A Silistra in Mesia, nell’odierna Bulgaria, Santi martiri Nicandro e Marciano, che, soldati, durante la persecuzione di Diocleziano, respinsero l’elargizione fatta dall’imperatore all’esercito e, rifiutatisi fermamente di sacrificare agli dèi, furono condannati a morte dal governatore Massimo.
La celebre persecuzione ordinata dell’imperatore Diocleziano arrivò nel 304 anche a Venafro, ridente cittadina dell’attuale Molise, dapprima insediamento preistorico e poi Prefettura e Colonia romana.
Tra l’anfiteatro romano - conservato fin ai giorni nostri - e il tempio pagano della dea Bona - sulle cui fondamenta sorge oggi la Cattedrale di Santa Maria Assunta in cielo - vivevano due ufficiali dell’esercito romano: Nicandro e Marciano.
Le antiche fonti storiche non si pronunciano sulla loro provenienza (forse nativi della Grecia) ne
tanto meno sulla loro parentela (fratelli?), ma riferiscono per certo come i due aderirono alla Fede cristiana e rifiutarono di compiere atto di culto alle divinità pagane.
Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una meravigliosa vicenda familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch’essa al cristianesimo, interverrà a spronare lo sposo incitandolo a non abiurare la Fede.
Questo costerà anche a lei il martirio, che avrà luogo in un secondo momento rispetto a Nicandro e Marciano.
I loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, ove già nel 313 sorgerà la Basilica cimiteriale a loro dedicata.
Nel 1930 furono rinvenuti i loro sepolcri, da dove miracolosamente si rinnova il prodigio della “santa manna”, un liquido misterioso che scaturisce in circostanze liturgiche particolari.
La tradizione plurisecolare li acclama “ad immemorabili” patroni delle città e delle Diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro e il loro culto è attestato anche oggi dalla fede viva che accompagna le antichissime tradizioni manifestate in modo del tutto singolare nei loro festeggiamenti.
Questi costituiscono un unico nel loro genere, per le tante sfumature antropologiche e religiose espresse con fare di altri tempi…
Il 16 giugno, a mezzanotte, la popolazione venafrana bussa insistente alla porta della basilica, affidata dal 1573 ai padri Cappuccini. All’ apertura della porta del convento e al proclama dell’apertura dei festeggiamenti, si sonda una banda musicale fatta di strumenti semplicissimi (“bandarella”) che suonerà per tutta la notte nelle vie della città.
Ma è la sera del 16 che i festeggiamenti entrano nel vivo: all’imbrunire il busto argenteo di San Nicandro (l’originale fu rubato nel 1986) e le altre Reliquie dei Ss. Martiri vengono portate processionalmente dalla monumentale chiesa della SS.Annunziata - ove sono conservate tutto l’anno - alla Basilica.
Il giorno successivo, festa liturgica, accorrono in pellegrinaggio dal circondario numerosi fedeli e intere parrocchie; si rinnova il dono da parte del sindaco di ceri votivi, e la consegna al Vescovo delle chiavi della città, a simboleggiare il patrocinio di San Nicandro su Venafro.
L’evento più atteso però è quello del 18 giugno sera, quando uno stuolo immenso di popolazione, accorsa anche da lontano ad ammirare il suggestivo spettacolo, riaccompagna i Santi alla Chiesa dell’Annunziata percorrendo un tragitto processionale di circa cinque ore.
È qui che si dà sfogo a tutta la propria devozione, cantando ripetutamente l’antico Inno Popolare, sacro a generazioni e generazioni di venafrani.
Un tripudio di suoni e di colori commuoventi…
Periodicamente si svolge anche “l’Opera di San Nicandro”, una rappresentazione teatrale che narra gli eventi e il martirio dei santi Venafrani.
Nel 2003 la Diocesi di Isernia-Venafro ha celebrato solennemente i 1700 anni dal martirio di questi Patroni.
Frutto di questo avvenimento è stata la pubblicazione di un pregevole volume (AA.VV., NICANDRO, MARCIANO E DARIA, Conoscere e venerare i Patroni di Venafro a 1700 anni dal loro martirio, ed.VITMAR, Venafro 2003) che tratta scientificamente la storiografia e le tradizioni sui santi Martiri venafrani.
Oltre l’anica e nota testimonianza del Martirologio romano, che al 17 giugno recita: «Presso Venafro, in Campania, i Ss. Martiri Nicandro e Marciano, sono decapitati durante la persecuzione di Massimiano», si possono così avere numerose ratifiche da documenti come il “Museo Italico” del Mabillon, il “Breviarium Syrriacum”, e dagli studi dei Padri bollandisti.
Oltre al luogo del loro martirio il loro culto è affermato a Sannicandro Garganico (FG) e a Minturno (LT) ove si venerano come patroni e a Ravenna e L’Aquila ove sorgono chiese a loro dedicate.
(Autore: Don Francesco Ferro, Venafro – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Nicandro, pregate per noi.

*Beato Paolo Buralo - Cardinale (17 giugno)

Itri, Gaeta, 1511 - Torre del Greco, 17 giugno 1578
Martirologio Romano:
A Napoli, Beato Paolo Buralo, dell’Ordine dei Chierici regolari Teatini, vescovo prima di Piacenza e poi di Napoli, che si adoperò nel rinnovamento della disciplina della Chiesa e a fortificare nella fede il gregge a lui affidato.
Il Beato Paolo Burali è la prova di quanto è potente la Grazia di Dio e quanto irresistibile la sua chiamata; egli nacque ad Itri presso Gaeta nel 1511 dal ramo dei nobili Burali di Arezzo, lì trasferitosi al seguito di re Ladislao; al battesimo ebbe il nome di Scipione che poi cambiò quando fece la sua professione religiosa.
Ad appena 14 anni fu iscritto all’Università di Salerno e dopo frequentò quella di Bologna, dove ebbe come maestro il famoso Ugo Boncompagni che diverrà Papa con il nome di Gregorio XIII ed in questa Università, a 25 anni, si laureò brillantemente in diritto civile e canonico “con argomentazioni acute e sottili, non come alunno, ma con la sicurezza di un professore”.
Svolse la sua attività di avvocato e giudice per dodici anni nelle aule giudiziarie del Tribunale di Napoli, con tanta rettitudine e integrità da meritarsi l’appellativo di “amico della verità e padre dei poveri”.
Desiderando una vita più ritirata nella sua città nativa, lasciò il Foro ma fu costretto a riprendere la professione perché Carlo V lo promosse regio consigliere e più tardi Ferdinando di Toledo lo nominò uditore generale dell’esercito; il re di Napoli conscio della sua saggezza e competenza giuridica lo inviò presso il Papa Paolo IV per dirimere questioni e controversie di carattere civile ed ecclesiastico, tale compito l’ebbe anche presso la Corte di Spagna.
I successi professionali non offuscarono mai il suo spirito, teso verso la perfezione e il desiderio della santità occupava il primo posto nella sua vita, per questo si affidò alla guida spirituale del veneziano Giovanni Marinoni teatino, erede e collaboratore di s. Gaetano, che stava nel convento di S. Paolo Maggiore a Napoli.
Nonostante avesse 46 anni, il 25 gennaio 1557 lasciò definitivamente l’attività giudiziaria ed entrò nell’Ordine dei Chierici Regolari (Teatini) prendendo il nome di Paolo e benché avesse chiesto di essere fratello laico, ritenendosi degno solo di questo, la Grazia di Dio attraverso il suo superiore Marinoni, lo conquistò al sacerdozio, ordinazione avvenuta il 26 marzo 1558.
E in un crescendo di attività che gli venivano affidate, lo si vide impegnato nel 1564 per volere del papa Pio IV e su richiesta delle autorità napoletane, come ambasciatore presso la Corte di Spagna per impedire o almeno moderare l’attività del Tribunale dell’Inquisizione a Napoli, che bisogna dire nonostante Napoli fosse un vicereame di Spagna, anche per suo merito l’Inquisizione non ha avuto un seguito devastante come in altre zone coinvolte.
Rifiutò i vescovadi di Castellammare, di Crotone, di Brindisi, fu posto al governo della Comunità teatina di S. Paolo Maggiore a Napoli e di S. Silvestro al Quirinale a Roma.
Il 23 luglio 1568 papa Pio V, lo nominò vescovo di Piacenza, qui il beato Paolo Burali si rivelò in tutta la sua grandezza di organizzatore ecclesiastico e di maestro di spiritualità, la sua attività apostolica si esplicò in tutti i campi e nessun aspetto della vita religiosa fu escluso dal suo zelo, indisse due Sinodi di cui pubblicò gli atti (1570 e 1575), chiamò ad aiutarlo alla guida del seminario, il teatino s. Andrea Avellino, applicò alla diocesi e allo stesso seminario i recenti decreti Tridentini, chiamò a collaborare i teatini, i somaschi, i cappuccini.
Il 23 luglio 1568 in pubblico Concistoro, il papa Pio V lo nominava cardinale e poi nel 1576 Papa Gregorio XIII suo antico maestro a Bologna, lo trasferì come arcivescovo nella grande e importante città di Napoli.
Di fronte a tutte queste dignità si lamentava spesso “ Il Signore perdoni al padre Giovanni (Marinoni) che non volle accettarmi come fratello laico”, e per ubbidienza accettò tutte queste nomine, nonostante le sue vane resistenze. Il governo della diocesi di Piacenza, così completo, l’aveva
reso ‘logoro di forze’ ma il suo spirito era sempre vivo ed a Napoli dovette confrontarsi con una realtà più vasta e dura da modellare.
Chiuse il seminario e mandò tutti a casa, perché né gli studi né la disciplina, né il comportamento erano quelli richiesti dalle disposizioni conciliari, nominò nuovi professori e rettore, chiamò alla direzione il padre teatino Giuseppe Barbuglia che già a Piacenza aveva collaborato.
Ebbe il coraggio di chiudere i monasteri femminili di S. Arcangelo a Baiano e S. Maria degli Angeli nella città di Napoli, perché ormai diventati come alberghi delle figlie della nobiltà, mantenendo tutti i loro privilegi e comodità che nulla avevano a vedere con la vita di clausura e la disciplina, ormai inesistente.
Abolì la prerogativa del viceré che con il suo baldacchino era presso l’altare, mentre il vescovo era più lontano. Pubblicò nel 1577 un “Catechismo per i sacerdoti” e iniziò ad applicare le direttive del Concilio di Trento, ma la sua opera non poté estendersi e soprattutto non né poté vedere i frutti, perché le malattie che lo affliggevano e l’età avanzata lo portarono alla morte ad appena due anni dalla sua investitura a Napoli.
Morì a Torre del Greco alle falde del Vesuvio, dove si era ritirato per un breve periodo di riposo il 17 giugno 1578. San Filippo Neri deplorò la sua morte come una perdita per tutto il mondo cristiano.
Il suo corpo riposa in un urna nella cripta della Basilica di San Paolo Maggiore di Napoli, trasformata in chiesa con accesso diretto dalla piazza, insieme ai corpi e reliquie di San Gaetano, del Beato Marinoni e altri venerabili teatini. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Al battesimo gli danno un nome da condottiero: Scipione. Discende da un casato nobiliare di Arezzo, e sua madre, Vittoria Olivares, è di famiglia catalana. Frequenta le prime scuole a Napoli, capitale di un regno che ha per sovrano il re di Spagna, rappresentato sul posto da un viceré. Suo padre, Paolo Burali, che lavora per il governo vicereale, lo avvia agli studi prima all’Università di Salerno e poi a quella di Bologna, dove a 25 anni si laurea in Diritto civile e canonico.
Tornato a Napoli, si fa apprezzare come avvocato, e viene chiamato spesso a fare il giudice. (Una volta, dopo aver dovuto condannare una povera vedova a una pena in denaro, provvede di tasca sua a rimborsarla).
Lo chiamano a compiti governativi, diventa consigliere regio e magistrato militare, ma la sua scalata ai buoni posti s’interrompe nel gennaio 1557: Scipione Burali abbandona a 46 anni tutte le cariche ed entra nell’Ordine dei Chierici Regolari, detti Teatini, fondati a Roma nel 1524 da san Gaetano da Thiene. Ha frequentato il loro convento napoletano di San Paolo Maggiore, e lì viene accolto nell’inverno 1557, vestendo il saio e prendendo il nome di suo padre: Paolo. Nel marzo 1558 viene ordinato sacerdote.
Due anni dopo è eletto preposto del convento, e poi c’è un momentaneo ritorno agli affari di Stato: nel 1564 va a Madrid come ambasciatore presso il re Filippo II, per combattere il suo progetto di introdurre nel Napoletano i sistemi sciagurati dell’Inquisizione spagnola, detestatissima da tutti: la classe aristocratica e i “plebei” sono pronti a fare insieme la rivoluzione. Così Madrid lascia perdere.
Nel dicembre 1563 si è concluso dopo 18 anni il Concilio di Trento, e viene ora la parte più difficile: applicare i suoi decreti, incominciando dalla riforma del clero. Troppi sacerdoti sono impreparati, ignoranti, poltroni. E questa massa opaca fa resistenza passiva a qualsiasi mutamento. Per cambiare ci vogliono uomini nuovi. Uno di essi è Paolo Burali, che nel 1568 viene nominato vescovo di Piacenza da Pio V.
Per lui sono otto anni senza respiro: creazione del seminario, due visite pastorali all’intera diocesi, due sinodi, scuola ai preti, predicazione continua ai fedeli, con l’aiuto dei Teatini, Somaschi e Cappuccini. Paolo Burali si colloca nella pattuglia dei grandi vescovi riformatori con i quali ha lavorato per anni: partendo da Carlo Borromeo in Milano e nel Nord Italia, e proseguendo con Gianfrancesco Bonomi a Vercelli, Girolamo Ragazzoni a Bergamo, Gabriele Paleotti a Bologna. Pio V lo nomina cardinale nel 1570 (da Madrid re Filippo II ha tentato invano di opporsi).
Nel 1576 Gregorio XIII lo nomina arcivescovo di Napoli. Ritorna dunque a casa, ma non per riposarsi, anche se il fisico è indebolito. Niente riposo, perché la situazione è anche peggiore di quelle che ha conosciuto. Il seminario è il regno del disordine e dell’ignoranza: e lui lo chiude, mandando tutti a casa.
Qualche monastero femminile è diventato residence con tutti gli agi, per le figlie dell’aristocrazia. E allora, quelli che in Napoli ricordano la sua amabilità in anni lontani, scoprono ora la sua energia nel ripulire: chiusure, soppressioni, ritorno alla severità delle regole negli istituti che lascia sopravvivere. Ma il fisico non lo sorregge. Va a Torre del Greco per un po’ di riposo, e qui lo coglie la morte. Nel 1772 Clemente XIV lo proclama Beato. Il corpo è custodito a Napoli nella chiesa di San Paolo Maggiore.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Paolo Burali, pregate per noi.

*San Pietro Da - Martire (17 giugno)

Martirologio Romano: In località Qua Linh nel Tonchino, ora Viet Nam, San Pietro Đa, martire: falegname e sacrestano, sebbene sottoposto a molte e crudeli torture, rimase tuttavia fermo nella sua professione di fede, morendo alla fine sul rogo sotto l’imperatore Tự Đức.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Da, pregate per noi.

*Beato Pietro Gambacorta (17 giugno)

m. 1435
Martirologio Romano:
A Venezia, Beato Pietro Gambacorta, fondatore dell’Ordine degli Eremiti di San Girolamo, i cui primi seguaci furono dei briganti da lui convertiti.
Pietro Gambacorta nacque a Pisa nel 1355. Quando era ancora bambino la famiglia fu esiliata dalla città e si stabilì a Firenze. Tornato dall’esilio fiorentino a Pisa nel 1369. Tornato a Pisa dall’esilio fiorentino, Pietro lasciò di nascosto la casa paterna per dedicarsi alla vita ascetica.
In un primo tempo soggiornò presso i monasteri di Vallombrosa, Camaldoli e La Verna; poi, quando aveva circa 25 anni, iniziò a vivere da eremita in un luogo solitario sui monti vicino a Montebello (Urbino), dove accolse alcuni discepoli, dei quali il primo fu un sacerdote pisano, Pietro Tuccini, segno evidente che l’opera di Pietro, ancorché svoltasi nelle Marche, ebbe una certa risonanza a Pisa.
Da questo primo nucleo di eremiti ebbe origine la  Congregazione di San Girolamo  (Girolamini), cui si sottoposero altri eremi e cenobi che erano stati da poco fondati, in particolare quelli dei Beati
Beltrame da Ferrara, di Angelo da Corsica e di Nicola da Forca Palena.
Riconosciuta dalla Santa Sede, la Congregazione si espanse rapidamente sotto la guida di Pietro, che nonostante l’intensa attività non abbandonò mai il suo eremo, facendovi spesso ritorno.
Morì a Venezia il 17 giugno 1435, durante uno dei frequenti viaggi, e fu sepolto nel monastero di San Girolamo.
In seguito si sono perse le tracce della sua tomba, che non è stata più ritrovata nonostante accurate ricerche. La  Congregazione del Beato Pietro da Pisa  è sopravvissuta fino al 1933.
Fonti principali sono una Vita scritta poco tempo dopo la morte (dalla quale sono state tratte altre Vitae più recenti), pervenutaci però sotto forma di breve compendio, e gli Atti del Processo, in seguito al quale, nel 1693, Pietro fu beatificato da Papa Innocenzo XII. La festa, che ricorre il 17 giugno, è celebrata a Pisa, Urbino, Venezia e a Napoli.
Giaculatoria - Beato Pietro Gambacorta, pregate per noi.

*San Ranieri di Pisa (17 giugno)

1118 - 1161
Nacque nel 1118 da Gandulfo Scacceri e Mingarda Buzzacherini. Malgrado gli sforzi dei genitori desiderosi di impartirgli un'educazione rigorosa, visse la giovinezza all'insegna dello svago e del divertimento. Ma a diciannove anni la sua vita cambiò.
Fu decisivo l'incontro con Alberto, un eremita proveniente dalla Corsica che si era stabilito nel monastero pisano di San Vito.
Scelse quindi di abbracciare in pienezza la fede, tanto da partire per la Terra Santa.
A 23 anni decise di vivere in assoluta povertà, liberandosi di tutte le ricchezze per darle ai poveri. Trascorse un lungo periodo presso gli eremiti di Terra Santa vivendo esclusivamente di elemosine.
Mangiava due volte alla settimana sottoponendo il suo corpo a grandi sacrifici. Tornato a Pisa nel 1154, circondato dalla fama di santità, vi operò miracoli, così come aveva fatto in Terra Santa. Morì venerdì 17 giugno 1161.
Nel 1632 venne eletto patrono principale della diocesi e della città di Pisa. (Avvenire)
Patronato: Pisa
Etimologia: Ranieri = invincibile guerriero, dal tedesco
Emblema: Pilurica, acqua
Martirologio Romano: A Pisa, San Raniero, povero e pellegrino per Cristo.
Ranieri nacque l'anno 1118. I genitori, Gandulfo Scacceri e Mingarda Buzzaccherini che appartenevano entrambi a famiglie benestanti, decisero di affiancare negli studi del loro unico figlio don Enrico di San Martino in Kinzica.
Ma Ranieri, particolarmente dotato per la musica (imparò a suonare la lira) e per il canto, preferiva i divertimenti e gli svaghi agli studi e agli impegni.
A nulla valsero gli sforzi dei genitori di ricondurlo ad un comportamento più cristiano: il giovane pisano trascorse la sua giovinezza trascurando gli insegnamenti dei genitori e quelli di don Enrico.
Fu all'età di 19 anni che Ranieri decise di cambiare radicalmente vita.
L'incontro con un eremita di nome Alberto, proveniente dalla Corsica e stabilitosi nel monastero pisano di San Vito, lo spinse ad abbracciare con convinzione la fede cristiana e porsi così al servizio di Dio. Ricevuto da Dio l'invito a recarsi in terra Santa, Ranieri partì senza indugio.
All'età di 23 anni decise di vivere in assoluta povertà: si liberò di tutte le ricchezze e le donò ai poveri e ai bisognosi.
L'unica sua preoccupazione rimase quella di imitare meglio possibile il suo maestro, Gesù Cristo.
Indossata la veste del penitente consegnata a tutti i pellegrini che si recavano al monte Calvario, la pilurica, trascorse un lungo periodo presso gli eremiti in Terra Santa, dove compì numerosi miracoli.
Punì il suo corpo con lunghi digiuni, astenendosi normalmente dal cibo tutti i giorni della settimana esclusi il giovedì e la domenica, cercando di vincere l'orgoglio personale dovuto alla fama che già lo circondava presso i fedeli. La rinuncia a sé e il totale servizio a Dio gli consentirono di superare le numerose tentazioni che il maligno non gli fece mai mancare nei 13 anni di soggiorno in Terra Santa. Tornato a Pisa nel 1154 già circondato dalla fama di santo, continuò ad operare miracoli anche nella città natale: l'ammirazione dei suoi concittadini non poteva che accompagnarlo fino all'ultimo giorno di vita. Ranieri morì dopo sette anni dal suo rientro dalla Terra Santa, venerdì 17 giugno 1161.
Agli occhi dei pisani, Ranieri fu santo già in vita.
Una volta abbandonata la vita terrena, un suo discepolo, il canonico Benincasa, si incaricò di scrivere nel 1162 una Vita del santo, testo che conobbe una certa fortuna per la traduzione del carmelitano fra Giuseppe Maria Sanminiatelli del 1755 e nuovamente edita sempre a Pisa nel 1842.
Laico, come numerosi Santi di quel secolo, Ranieri fu ricordato dai pisani anche per l'abitudine del santo di donare a chi gli si rivolgeva pane e acqua benedetti, ragione per la quale il canonico Benincasa chiamava il santo "Ranieri dall'Acqua" (forse immaginandone il cognome, ma certamente attestando l'abitudine dei prodigi per mezzo dell'acqua da lui benedetta).
Nel 1632 l'Arcivescovo di Pisa, il Clero locale, il Magistrato pisano, coll'annuenza della sacra Congregazione dei Riti elessero Ranieri patrono principale della città e della diocesi.
Il 1689 venne decisa la traslazione del suo corpo, che fu definitivamente collocato sull'altare maggiore.
Durante la notte della traslazione i pisani illuminarono le loro case per rendere omaggio alla figura del loro Santo più amato.
(Autore: Massimo Salani – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ranieri di Pisa, pregate per noi.

*Beata Teresa del Portogallo - Regina di Castiglia, Cistercense (17 giugno)

Coimbra, Portogallo, 1181 – Lorvão, Portogallo, 18 giugno 1250
La Beata Teresa del Portogallo, al secolo principessa Teresa Sanches de Portugal, era figlia di Sancio I, secondo sovrano portoghese.
Suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo.
Le due beate Mafalda e Sancha furono sue sorelle. Teresa nacque nella città portoghese di Coimbra nel 1181 e sposò il suo consanguineo Alfonso IX, re di Castiglia e Léon, al quale diede tre figli: Sancha, Dulce e Fernando.
Nel 1196 tale matrimonio fu dichiarato nullo per «impedimentum affinitatis» e quattro anni dopo Teresa si ritirò nel convento benedettino di Lorvao, che lei stessa aveva precedentemente fondato, e dopo averlo trasformato poi in abbazia cistercense nel 1229 prese il velo religioso.
Alla morte del padre Sancio I nel 1211, sorsero alcune diatribe dinastiche. Risolto il conflitto familiare, però, Teresa potè trascorrere il resto dei suoi giorni con circa trecento consorelle nel monastero portoghese di Lorvao, ove morì il 18 giugno 1250.
Venne sepolta a Lorvao, accanto a sua sorella Sancia, che lei stessa aveva fatto traslare. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Ourem in Portogallo, Santa Teresa, che, regina di León e madre di tre figli, dopo la morte del marito, condusse vita monastica sotto la disciplina cistercense nel monastero da lei stessa fondato.
La Beata Teresa del Portogallo, al secolo principessa Teresa Sanches de Portugal, è forse la meno famosa tra le sante che portano il bel nome di Teresa, seppur sia talvolta citata come Tarasia o Tareja. Esponente della numerosa prole di Sancio I, secondo sovrano portoghese, suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo. Sono dunque sorelle di Sancia le beate Mafalda (2 maggio), badessa di Arouca, e Sancha (11 aprile), monaca cistercense, caso non unico nel vasto panorama di santità fiorito alle corti europee: sono infatti venerate come sante anche le tre sorelle principesse ungheresi Margherita, Kinga e Iolanda.
Teresa nacque nella città portoghese di Coimbra nel 1181 e sposò il suo consanguineo Alfonso IX, re di Castiglia e Léon, al quale diede tre figli: Sancha, Dulce e Fernando. Nel 1196 tale matrimonio fu dichiarato nullo per “impedimentum affinitatis” e quattro anni dopo Teresa si ritirò allora nel convento benedettino di Lorvao, che lei stessa aveva precedentemente fondato, e dopo averlo
trasformato poi in abbazia cistercense nel 1229 prese il velo religioso.
Alla morte del padre Sancio I nel 1211, l’infanta Teresa avrebbe dovuto ereditare, secondo le disposizioni testamentarie di quest’ultimo, il castello di Montemor-o-Velho e tutto ciò che concerneva tale possedimento, compreso addirittura il titolo di “regina” in quanto signora di tale castello. Il nuovo sovrano Alfonso II, suo fratello, volendo accentrare nelle sue mani tutto il potere, non accettò dunque tale testamento ed impedì a Teresa di prendere possesso dei suoi titoli e dei redditi a lei spettanti, così come alle altre due infante sue sorelle Mafalda e Sancia.
Alla morte dell’ex marito nel 1230, Teresa favorì il passaggio della corona a San Ferdinando III, una dei cinque figli avuti da Alfonso IX da un secondo matrimonio con Berengaria, figlia di Alfonso VIII di Castiglia, incentivando così la pace tra i regni di Castiglia e di Léon.
Risolte le diatribe dinastiche, Teresa potè dunuqe trascorrere il resto dei suoi giorni con circa trecento consorelle nel monastero portoghese di Lorvão, ove morì il 18 giugno 1250. Le sue spoglie mortali furono ivi collocate accanto a quelle di sua sorella Teresa, che ella stessa vi aveva fatto traslare. Il 13 dicembre 1705 Teresa venne beatificata dal pontefice Clemente XI con la bolla “Sollicitudo Pastoralis Offici”, unitamente alla sorella Sancia. Il Martyrologium Romanum, nonché il calendario dell’ordine cistercense, commemorano la beata Teresa in data 17 giugno.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Teresa del Portogallo, pregate per noi.

*Santa Valeriana e Compagne - Martiri (17 giugno)

Aquileia, I-II sec
L’unica Santa Valeriana che porta questo nome, si trova in un gruppo di quattro martiri di Aquileia, commemorate nel ‘Martirologio Geronimiano’ al 17 giugno.
Esse sono Ciria, Musca, Valeriana e Maria; purtroppo l’antichità dei libri liturgici, la sorte distruttiva toccata all’antica città veneta di Aquileia, fondata dai romani nel 181 a.C., tramite l’invasione di Alarico nel 401 e poi interamente da Attila nel 452, hanno fatto perdere notizie certe sulle quattro martiri.
Ad ogni modo solo le prime due venivano ricordate prima nella liturgia aquilese e poi in quella udinese; l’antico breviario le considera sorelle, le quali disprezzarono la vita mondana e si consacrarono come vergini, al servizio di Cristo, dedicandosi Ciria alla vita contemplativa e Musca o Mosca a quella attiva.
Subirono il martirio ad Aquileia, perché durante le persecuzioni del I-II secolo, non si riuscì a farle sacrificare agli idoli. Delle altre due non vi sono ricordi particolari nei primi breviari aquilesi e non si sa perché Valeriana e Maria, sono accomunate come martiri anch’esse, con le due sorelle nel Martirologio Geronimiano.
Fra l’altro specie Valeriana è stata confusa negli studi agiografici, a volte con la martire africana Valeria venerata il 16 giugno o con la martire Valeria romana o milanese, venerata al 18 giugno.
È stata confusa anche con il Santo vescovo aquilese Valeriano, che si celebra il 27 novembre. Purtroppo siamo nel campo delle ipotesi e la distruzione di Aquileia e l’abbandono dei suoi abitanti, rifugiatosi nella laguna di Grado, non aiuta certamente ad identificare o sapere qualcosa di preciso su di loro, così lontane nel tempo, ma sempre splendenti dell’aureola dei martiri, nella storia del Cristianesimo.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Valeriana e Compagne, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (17 Giugno)
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Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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