Santi del 15 Luglio
*Abudemio *Andrea Nguyen Kim Thong Nam *Anna Maria Yavohey *Ansuero di Ratzeburg *Antonio Beszta-Borowski *Atanasio di Napoli *Bernardo II di Baden *Bonaventura *Bonosa, Zosima ed Eutropio *Catulino e & *Ceslao di Cracovia *Davide di Svezia *Eutropio, Zosima e Bonosa *Felice di Tubzak *Felicissimo di Mosciano *Filippo e 10 Infanti *Giacomo di Nisibi *Giuseppe Studita di Tessalonica *Gumberto di Ansbach *Ignazio de Azevedo e 39 & *Michele Bernardo Marchand *Pietro Aymillo *Pietro Nguyen Ba Tuan *Plechelmo *Pompilio Maria Pirrotti *Terenzio *Uriel Arcangelo *Valentina *Vladimiro di Kiev *Altri Santi del giorno *
*Sant'Abudemio - Martire (15 Luglio)
Martirologio Romano: Nell’isola di Ténedo nel mare Egeo davanti alle coste dell’Ellesponto, Sant’Abudemio, martire.
Il suo martirio avvenne nell'isola di Tenedo sotto Diocleziano o sotto Giuliano. Il motivo del martirio fu che il santo non volle mangiare carni immolate agli idoli.
Più tardi sorsero numerose e varie leggende intorno a questo martire, che è ricordato dal Martirologio Romano il 15 luglio.
(Autore: Giovanni Battista Proja - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Abudemio, pregate per noi.
*Sant'Andrea Nguyen Kim Thong Nam - Martire (15 Luglio)
Martirologio Romano:
Nella provincia di Mỹ Tho in Cocincina, ora Viet Nam, Sant’Andrea Nguyễn Kim Thông Nam (Nam Thuông), martire, che, catechista, condannato dopo il carcere all’esilio sotto l’imperatore Tự Đức, legato con catene e caricato di un una trave, portò a compimento durante il viaggio il suo martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Andrea Nguyen Kim Thong Nam, pregate per noi.
*Beata Anna Maria Javohey - Fondatrice (15 Luglio)
Jallongers (Francia), 10 novembre 1779 - Parigi, 15 luglio 1851
Fondò a Parigi la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe, dedicate alla cura degli infermi e alla formazione cristiana della gioventù femminile.
Martirologio Romano: A Parigi in Francia, Beata Anna Maria Javouhey, vergine, che fondò la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe per la cura dei malati e la formazione cristiana della gioventù femminile, diffondendola nelle terre di missione.
Quinta di dieci figli, Anna Maria Javouhey nacque il 10 novembre 1779 a Jallongers vicino Seurre in Francia.
A sette anni “Nanette” seguì la famiglia trasferitasi a Chamblanc; nel 1789 fece la Prima Comunione e poté vedere gli sconvolgimenti sociali e la crisi religiosa scaturita in quegli anni, dalla Rivoluzione Francese e con l’imposizione della Costituzione civile del clero, con alcuni ecclesiastici che aderirono e altri no.
Ed è proprio uno di questi, l’abate Ballanche, che col suo apostolato semiclandestino, diventa il suo consigliere e guida; Anna a partire dall’11 novembre 1798, prende ad interessarsi dell’educazione dei fanciulli e con molta premura degli ammalati poveri.
Desiderosa di consacrarsi completamente a Dio, ricerca un Ordine religioso che possa soddisfare la sua vocazione; entra per primo nel noviziato delle Sorelle della Carità, fondate da s. Giovanna Antida Thouret, nel settembre-novembre 1800 a Besançon; poi nel 1803 va in Svizzera ed entra nella Trappa diretta da Agostino de Lastrange.
Ma nel giugno 1804 ritorna a Chamblanc per unirsi a tre sorelle anch’esse desiderose di consacrarsi a Dio; il 14 aprile 1805 giorno di Pasqua, le quattro sorelle fanno benedire ed approvare i loro progetti dal papa Pio VII che era di passaggio a Chalon-sur-Saône, di ritorno da Parigi, dove il 2 dicembre 1804 aveva consacrato Napoleone imperatore.
Così preso coraggio, aprono a Chalon nel 1806, una scuola denominata “Associazione S. Giuseppe”, intanto il 12 dicembre 1806 Napoleone firma l’autorizzazione della piccola Comunità, così nel maggio 1807, le quattro sorelle Javouhey e altre cinque suore, pronunciano i voti nella chiesa di S. Pietro, eleggendo Anna come superiora, la quale aggiunse al suo nome quello di Maria e adotta come abito quello blu delle vignaiole di Borgogna.
Dopo essere stata alloggiata per cinque anni nel vecchio monastero di Autun, l’Associazione S. Giuseppe, si sposta nel giugno 1812 a Cluny nell’ex convento dei Recolletti, vicino alla celebre abbazia di S. Pietro. Da questo luogo la Fondazione, prenderà il nome di Congregazione delle “Suore di S. Giuseppe di Cluny”.
Da lì madre Javouhey intraprenderà altre iniziative di diffusione della Comunità, così il 10 gennaio 1817 le prime quattro suore sbarcano nell’isola Bourbon; re Luigi XVIII intanto conferma l’esistenza della sua Congregazione e le abilita all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera.
Dopo aver fondato vari istituti in Francia, madre Anna Maria s’imbarca a Rochefort il 1° febbraio 1823 per raggiungere il Senegal dove fonderà quattro comunità; ritornata in Francia nel 1824, l’operosa superiora si dedica alla redazione degli Statuti dell’Associazione, che saranno approvati nelle varie sedi negli anni 1825, 1827 e 1829.
A lei si rivolse il ministro della Marina Chabrol, per offrirle di ricostituire nella Guyana Francese, l’antica fondazione della “Nouvelle-Angoulême” e madre Javouhey accetta, così il 28 giugno 1828 lascia Brest e sbarca a Cayenna il 10 agosto. Trascorse in quel clima tropicale, cinque anni di sacrifici per ricostituire il centro ed il villaggio di La Massa a 200 km da Cayenna.
Nel 1883 ritorna a Cluny per risolvere delle controversie sorte con il vescovo di Autun sulla giurisdizione della Fondazione; il 26 dicembre 1835 torna in Guyana e là con circa 500 schiavi demaniali liberati, si occupa nuovamente di La Massa, che è divenuto un centro di educazione dei negri, per farli usufruire al meglio della loro libertà e del loro lavoro.
Nel 1843 lascia i suoi amati negri per ritornare in Francia, per trattare i numerosi problemi spirituali, suscitati dalla sua opera; aprì un secondo noviziato a Parigi, che diverrà l’attuale Casa Madre.
Il suo lavoro continuò fino all’esaurimento delle sue forze, finché madre Anna Maria morì a Parigi il 15 luglio 1851e seppellita a Senlis, nella grande cappella della Congregazione. Fu una donna eccezionale, basti pensare che per una donna era una cosa fuor del comune in quei tempi, percorrere 45.000 km attraverso i mari e con i velieri di allora; in anticipo sui tempi, la madre Javouhey lavorò con tutte le sue forze alla promozione umana e cristiana della razza nera, subito capì la necessità di un clero locale, così fece preparare al sacerdozio i primi tre preti senegalesi, ordinati a Parigi nel 1840 e una giovane ex schiava delle Antille, divenne suora della Congregazione e visse e morì nell’isola di S. Lucia nei Carabi.
Ebbe l’intuizione profetica delle Chiese locali, segni visibili dell’universalità della Chiesa; fin dal 1817 mandò le sue figlie in ogni parte del mondo, nonostante le vicende spesso non favorevoli della Storia.
Papa Pio XI le conferì il titolo di “prima donna missionaria” per il suo impegno nell’evangelizzazione delle terre lontane.
Donna dall’intelligenza sorprendentemente pratica, dalla volontà di ferro, dalla forte personalità, è bene descritta da una frase del re di Francia, Luigi Filippo (1835): “La signora Javouhey, ma è un grand’uomo”.
Come ogni fondatore, madre Javouhey ha lasciato alle Suore di S. Giuseppe di Cluny, uno “spirito” ossia il modo di amare Dio e un “progetto particolare” ossia il modo di servire la Chiesa e il mondo; questi due elementi costituiscono il patrimonio di famiglia.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta a Roma il 13 febbraio 1908; è stata beatificata il 15 ottobre 1950 in San Pietro da Papa Pio XII.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Anna Maria Javohey, pregate per noi.
*Sant'Ansuero di Ratzeburg - Abate e Martire (15 Luglio)
Martirologio Romano: A Ratzeburg nell’Alsazia, ora in Germania, Sant’Ansuero, abate e martire, che fu lapidato con altri ventotto monaci dai Vinédi insorti contro i predicatori della fede cristiana.
Nato a Schleswig, fu monaco e poi abate del monastero benedettino di San Giorgio, a Ratzeburg, e zelante apostolo del cattolicesimo presso gli Slavi.
In un assalto di una tribù pagana degli Obodriti fu trascinato su una montagna e lapidato, con ventotto compagni monaci e laici, il 15 luglio 1066.
Pregò i carnefici di ucciderlo per ultimo, perché ai compagni non venisse meno, nel momento supremo, il conforto del loro capo spirituale. Morì in ginocchio, sull'esempio di santo Stefano, pregando per i suoi nemici.
Le reliquie di Ansuero furono traslate dal vescovo Evermodo (1154-87) nel Duomo di Ratzeburg (un braccio a Santa Maria in Stade).
Il suo culto è attestato da un Officio proprio nei breviari di Schleswig e di Ratzeburg. La Riforma disperse le reliquie e affievolì la venerazione per il santo; ma tuttora, la domenica successiva al 15 luglio, si tiene nel Lauenburg una funzione di ringraziamento per la conversione dal paganesimo al cristianesimo.
Presso Ratzeburg si vede una croce di Sant'Ansuero, e nel Duomo della città un grande quadro con dodici figurazioni della vita e del martirio del santo. La sua memoria, nell'Ordine benedettino, ricorre il 15 luglio.
(Autore: Alfonso M. Zimmermann - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ansuero di Ratzeburg, pregate per noi.
*Beato Antonio Beszta-Borowski - Sacerdote e Martire (15 Luglio)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Borowskie Olki, Polonia, 9 settembre 1880 – Piliki, Polonia, 15 luglio 1943
Il Beato Antoni Beszta-Borowski, sacerdote diocesano, nacque a Borowskie Olki (Bialystok), Polonia, il 9 settembre 1880 e morì a Piliki, Polonia, il 15 luglio 1943.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.
Martirologio Romano: Nella cittadina di Bielsk Podlaski in Polonia, Beato Antonio Beszta-Borowski, sacerdote e martire, che, durante la guerra, fu arrestato da nemici della fede e morì fucilato per Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Beszta-Borowski, pregate per noi.
*Sant'Atanasio di Napoli - Vescovo (15 Luglio)
Martirologio Romano: A Napoli, Sant’Atanasio, vescovo, che, dopo aver sofferto molto da parte del suo empio nipote Sergio, fu scacciato dalla sua sede e passò al cielo a Veroli tra i monti Ernici nel Lazio afflitto dalle tribolazioni.
Le notizie sulla figura e sull'attività di Atanasio, uno dei più insigni vescovi della Chiesa napoletana, sono tramandate principalmente dalla biografia contenuta nella cronaca del contemporaneo Giovanni Diacono e nella più ampia Vita di autore anonimo, del sec. X.
Nato verso l'832 da Sergio I, duca di Napoli e dalla nobile Drosa, Atanasio fu ammesso giovanissimo tra i chierici della chiesa di Santa Maria Maggiore.
Fu quindi posto direttamente alle dipendenze vescovo Giovanni IV (843-849) che, lo prese grandemente a cuore. Completò la sua formazione letteraria e spirituale e fu successivamente elevato agli ordini del suddiaconato e del diaconato.
Giovanni Diacono rileva che fin da allora, a causa delle sue virtù, «quasi iam Episcopus venerabatur». Alla morte del vescovo Giovanni, nell'849, Atanasio appena diciottenne fu eletto vescovo concordemente dal clero, dai duchi e dal popolo, e fu consacrato a Roma da Leone IV nella basilica vaticana il 22 dicembre dello stesso anno.
Condusse una vita molto austera, dedicando alla preghiera, allo studio e alle penitenze il tempo libero dagli impegni pastorali. Sembra che ogni giorno celebrasse due Messe: una per i suoi particolari bisogni, l'altra per il suo popolo. Ebbe grande cura dell'istruzione letteraria e teologica del suo clero, impegnandolo anche nella trascrizione dei codici; istituì pure scuole per cantori e lettori.
Giovanni Diacono precisa che Atanasio fece dono alla biblioteca dell'episcopato di tre codici delle opere di Giuseppe Flavio. Perché le funzioni sacre fossero celebrate in maniera degna, stabilì che da parte di un gruppo di sacerdoti ebdomadari, ogni giorno nella sua cattedrale fosse cantata la Messa, ad imitazione di quanto si faceva a Roma nella basilica lateranense. Incaricò vari chierici (custodes) della cura di diverse chiese e cappelle.
Restituì alla disciplina religiosa il monastero del Santissimo Salvatore nell'Isola Megaride, affidando a quei monaci la chiesa di Santa Lucia a Mare con le sue rendite. Fondò un monastero benedettino vicino alla basilica di San Gennaro extra moenia. Restaurò varie chiese ed in particolare nelle adiacenze della cattedrale rinnovò un oratorio (cubiculum) dedicato a San Gennaro, ornandolo splendidamente.
Arricchì la cattedrale di numerosa e preziosa sacra suppellettile e di arazzi di gran pregio.
Curò i bisogni temporali del suo clero, dei monaci e del popolo e fu munifico verso i poveri: eresse, infatti, per essi e per i pellegrini un ospizio presso il vestibolo della stessa cattedrale; e molti signori napoletani spronati dal suo esempio concorsero a dotarlo. Aveva, inoltre, ottenuto dal padre che i possedimenti della estinta diocesi di Miseno fossero uniti alla mensa episcopale.
Partecipò al sinodo romano dell'861, ove tenne il terzo posto tra i padri conciliari. In quel tempo si recò più volte alla corte dell'imperatore Ludovico II, che conduceva una campagna militare contro i Saraceni che infestavano l'Italia meridionale, e vi si fece apprezzare grandemente.
I rapporti con l'autorità civile, che erano stati ottimi durante il governo del padre Sergio I e del fratello Gregorio, divennero molto tesi sotto il nipote Sergio II. Dopo aver spogliato di suppellettili preziose varie chiese, e forse perché rimproverato per l'alleanza con i Saraceni, motivo al quale accenna Ludovico II in una lettera dell'871 all'imperatore Basilio (Baronio, Annales, XV, pp. 225 sg.), il duca giunse ad arrestare Atanasio e gli altri zii.
In seguito alla reazione del clero, il duca dopo alcuni giorni liberò il vescovo, continuando tuttavia a controllarlo, e dopo essersi fatto promettere che non si sarebbe allontanato dalla città. Ma Atanasio, dopo aver sigillato il tesoro della cattedrale ed aver lanciato l'anatema a chi avesse osato violarlo, si rifugiò con alcuni chierici nel monastero del Santissimo Salvatore nell'Isola Megaride. Sergio II giunse a proporre ad Atanasio di rinunziare al vescovado, e di farsi monaco. Al rifiuto del vescovo, il duca ingiunse alle truppe di espugnare l'isola.
Atanasio allora mandò un chierico a chiedere aiuto a Ludovico II che era accampato nei pressi di Benevento. Per ordine dell'imperatore, Marino, duca di Amalfi, giunse con la sua flotta nel golfo di Napoli, liberò Atanasio e lo portò a corte. Sergio allora saccheggiò il tesoro della cattedrale, perseguitando al tempo stesso numerosi ecclesiastici. Il papa Adriano II, dopo lettere indirizzate al duca e al clero, e dopo un vano tentativo di conciliazione tramite Anastasio Bibliotecario e l'abate Cesario, lanciò l'interdetto sulla città e scomunicò Sergio II.
Allorché il duca di Benevento imprigionò a sorpresa Ludovico II, Atanasio poté rifugiarsi a Sorrento, dove era vescovo suo fratello Stefano, quindi si recò a Roma per ottenere l'assoluzione del suo popolo dall'interdetto.
Assieme a Landolfo di Capua ed agli apocrisari papali, Atanasio raggiunse in Sabina Ludovico Il, che era stato liberato, e lo convinse a riprendere la difesa dell'Italia meridionale. Adriano II, a sua volta, invitò l'imperatore a riportare Atanasio sulla sede napoletana. Ma sulla via del ritorno Atanasio si ammalò gravemente nei pressi di Veroli; accolto nel monastero di San Quirico, dipendente da Montecassino, vi morì il 15 luglio 872.
Fu sepolto nell'oratorio di San Pietro dell'abbazia di Montecassino. Solo nell'876 papa Giovanni VIII assolse dalla scomunica il duca Sergio II e ne promosse all'episcopato il fratello Atanasio II. L'anno seguente si procedette alla solenne traslazione delle venerate spoglie di Atanasio a Napoli, dove il 31 luglio furono collocate nell'atrio della basilica di San Gennaro extra moenia, nell'oratorio del vescovo San Lorenzo, vicino al sarcofago di Giovanni IV.
Nel sec. XIII le sue reliquie furono traslate nella cattedrale, dove furono poste sotto l'altare della cappella del Santissimo Salvatore. Tale traslazione è ricordata il 5 aprile. Il capo, invece, è custodito in un prezioso reliquiario nel Tesoro della Cattedrale. La sua festa è celebrata il 15 luglio. In tale data figura anche nel Martirologio Romano.
(Autore: Gian Michele Fusconi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Atanasio di Napoli, pregate per noi.
*Beato Bernardo II di Baden - Margravio (15 Luglio)
Baden, 1428 - Moncalieri (TO), 15 luglio 1458
Patronato: Moncalieri (TO), Baden Baden (Germania)
Emblema: Stendardo
Martirologio Romano: Nel villaggio di Moncalieri in Piemonte, Beato Bernardo, che, margravio del Baden, fu colto da morte mentre si recava in Oriente in difesa dei popoli cristiani dopo la presa di Costantinopoli da parte dei nemici.
Moncalieri, città medioevale a poca distanza da Torino è forse l’unica in Italia ad avere come patrono un principe tedesco.
Bernardo figlio del margravio di Baden Giacomo V e di Caterina di Lotaringia, nacque verso il 1428; Baden è una regione storica della Germania sud-occidentale corrispondente alla Selva Nera e il cui centro più importante, oggi è Baden Baden; il margravio invece nel Medioevo, era un titolo corrispondente a quello di marchese, dato ai feudatari tedeschi, ai quali era affidata la difesa delle terre di confine.
Di Bernardo si hanno poche notizie sulla sua vita, venne educato alla corte di Francia e avviato alla carriera militare sotto Francesco Sforza (1401-1466), condottiero di ventura e dal 1447 al servizio della Repubblica Ambrosiana, con il quale partecipò alla difesa di Milano dall’assalto dei Veneziani.
Si sa che ebbe promessa in sposa Maddalena, figlia di Carlo VII di Francia, ma non sembra che il matrimonio sia stato celebrato.
In seguito lasciò la vita militare per scegliere quella diplomatica, più adatta alla sua indole pacifica, quindi svolse la sua attività al servizio dell’imperatore Federico III, rinunciando per questo al trono di Baden, di cui era diventato margravio dopo la morte del padre; lasciando la reggenza al fratello Carlo, per dedicarsi a missioni di pace verso numerosi principi dell’Europa di allora.
Alla caduta di Costantinopoli nel 1453 fu inviato dall’imperatore Federico III presso varie corti di Francia e d’Italia, per stringere alleanze e per raccogliere fondi necessari per organizzare una crociata che si preparava contro i Turchi.
E nell’ambito di queste missioni di alta politica, nel 1458 si reca a Genova per trattare un’alleanza della flotta genovese con quella veneziana, per contrastare i musulmani; ma a Genova trova la città in preda ad una epidemia di peste, nonostante che venga sconsigliato di entrarvi, Bernardo volendo compiere il suo dovere entra comunque, venendo contagiato.
Pur essendo ammalato, riprende il viaggio per tornare a Baden attraversando il Piemonte, ma giunto a Moncalieri muore il 15 luglio 1458 con l’assistenza dei frati francescani che l’avevano ospitato; suppongo che la causa della morte di questo giovane principe di 30 anni, non sia stata la peste, ma le conseguenze d’indebolimento del fisico, dopo che ne ebbe superata la fase acuta; se no da contagiato non poteva rimettersi in viaggio, con la possibilità di estendere l’epidemia in altri luoghi ed agli stessi accompagnatori.
Durante i solenni funerali ne vennero esaltate le virtù di messaggero e operatore di pace, e avvenne un primo miracolo, con la guarigione immediata di un moncalierese, ammalato gravemente agli arti inferiori.
Venne sepolto nella chiesa di S. Maria della Scala e sul suo sepolcro continuarono a verificarsi numerosi miracoli, che ne fecero estendere la venerazione e il culto di beato in varie regioni d’Europa.
Papa Clemente XIV il 16 settembre 1769 ne confermò il culto, dichiarandolo patrono del Granducato di Baden, oltre che della diocesi di Friburgo, della città di Moncalieri e quella di Vic nella diocesi di Nancy in Francia.
È solitamente rappresentato vestito con l’armatura, appoggiato ad un’asta, alla cui estremità vi è una croce o un vessillo.
Moncalieri nei giorni precedenti il 15 luglio, giorno della sua celebrazione liturgica, gli riserva tutta una serie di manifestazioni religiose, folcloristiche in costume, rievocative, con la processione dell’urna d’argento, contenente le reliquie del Beato Bernardo II margravio di Baden e suo patrono.
Preghiera
O glorioso Beato Bernardo di Baden,
che pur vivendo tra le ricchezze e le comodità della vita,
hai saputo praticare in sì alto grado la carità,
la preghiera, la mortificazione, la continenza,
ottieni a noi che ti invochiamo come nostro patrono,
l’amore di Dio, il distacco dai beni e i piaceri della terra,
affinché possiamo imitarti in vita,
ed essere un giorno beati con Te in Paradiso. Amen.
Oppure:
O Dio, Tu sei grande e meraviglioso nei Tuoi Santi,
e attraverso il loro misericordioso amore celeste
non cessi mai di offrire a noi,
poveri e bisognosi sulla terra,
doni materiali e spirituali.
Umilmente Ti preghiamo per l’intercessione
ed i grandi meriti del Tuo Servo,
il Beato Bernardo di Baden:
purifica i nostri cuori, benedici le nostre case,
la nostra terra ed il nostro lavoro,
e fa’ dimorare presso di noi la verità e l’umiltà,
la castità e la temperanza, l’amore e la pietà.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Oppure:
O Dio, che in questo giorno hai coronato nei cieli
il Beato Bernardo, tuo Confessore,
concedi propizio che, mentre celebriamo devotamente la sua festa,
cerchiamo di imitarne anche gli esempi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Per maggiori informazioni e relazioni di grazie rivolgersi a: Parrocchia di Santa Maria della Scala - Via Principessa Maria Clotilde 3 - 10024 Moncalieri (TO)
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bernardo II di Baden, pregate per noi.
*San Bonaventura - Vescovo e Dottore della Chiesa (15 Luglio)
Bagnoregio, Viterbo, 1218 - Lione, Francia, 15 luglio 1274
Giovanni Fidanza nacque a Bagnoregio (Viterbo) nel 1218.
Bambino fu guarito da San Francesco, che avrebbe esclamato: «Oh bona ventura». Gli rimase per nome ed egli fu davvero una «buona ventura» per la Chiesa.
Studiò a Parigi e durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell'Ordine dei Frati Minori.
Insegnò teologia all'università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola.
Nel 1257 venne eletto generale dell'Ordine francescano, carica che mantenne per diciassette anni con impegno al punto da essere definito secondo fondatore dell'Ordine.
Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di San Francesco.
Fu nominato vescovo di Albano e cardinale. Partecipò al II Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca.
Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274. (Avvenire)
Patronato: Fattorini
Etimologia: Bonaventura = fortunato, significato intuitivo
Emblema: Bastone pastorale, cappello da cardinale
Martirologio Romano: Memoria della deposizione di San Bonaventura, vescovo di Albano e dottore della Chiesa, che rifulse per dottrina, santità di vita e insigni opere al servizio della Chiesa.
Resse con saggezza nello spirito di San Francesco l’Ordine dei Minori, di cui fu ministro generale.
Nei suoi molti scritti unì una somma erudizione a una ardente pietà.
Mentre si adoperava egregiamente per il II Concilio Ecumenico di Lione, meritò di giungere alla visione Beata di Dio.
Bonaventura (nato nel 1218 a Bagnorea, l'attuale Bagnoregio) disse di aver dato le sue preferenze all'Ordine fondato da San Francesco per aver riscontrato una mirabile somiglianza tra la crescita della Chiesa e quella della famiglia francescana: entrambe annoveravano agli inizi uomini semplici, pescatori e contadini, e più avanti uomini di scienza.
Quando Bonaventura entrò nell'Ordine, i figli di San Francesco, al pari di quelli di San Domenico, si erano spinti fino a Parigi, a Oxford, a Cambridge, a Strasburgo e in altre università europee.
L'evoluzione non era stata indolore.
Parecchi della "vecchia" generazione guardavano con perplessità all'allentata disciplina religiosa e alla nuova apertura culturale dei giovani frati.
Ma Bonaventura sapeva dire una parola tranquillizzante e stimolatrice per gli uni e per gli altri.
A frate Egidio che nella sua semplicità gli chiedeva come avrebbe potuto salvarsi lui, privo di ogni scienza teologica, fra Bonaventura rispose: "Se Dio dà all'uomo soltanto la grazia di poterlo amare, questo basta...
Una vecchierella può amare Dio anche più di un maestro di teologia".
Dotato di buon senso, pratico e speculativo al tempo stesso, Bonaventura aveva saputo applicare al solido tronco francescano gli innesti delle giovani generazioni con le accresciute esigenze, anche culturali, smentendo quanti paventavano, come Jacopone da Todi, che la scienza portasse detrimento alla semplicità della regola francescana.
Bonaventura, discepolo di Alessandro di Hales a Parigi, come San Tommaso era rimasto in questa città dapprima come maestro di teologia, poi come generale dei frati Minori, carica alla quale venne eletto a soli trentasei anni. Creato cardinale, dovette accettare anche la consacrazione episcopale, precedentemente rifiutata per umiltà, ed ebbe la sede suburbicaria di Albano Laziale.
Da Papa Gregorio X ebbe l'incarico di preparare il secondo concilio di Lione, al quale era stato invitato pure Tommaso d'Aquino, morto due mesi prima dell'apertura avvenuta il 7 maggio 1274.
Il 15 luglio dello stesso anno moriva anche fra Bonaventura, assistito personalmente dal Papa.
Alla base della dottrina teologica insegnata da fra Bonaventura con la parola e con gli scritti (tra i suoi libri più noti “Itinerario della mente in Dio”) è l'amore o carità.
"Non basta - egli scrive - la lettura senza l'unzione; non basta la speculazione senza la devozione; non basta l'indagine senza la meraviglia; non basta la circospezione senza l'esultanza; l'industria senza la pietà; la scienza senza la carità; l'intelligenza senza l'umiltà; lo studio senza la grazia".
(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bonaventura, pregate per noi.
*Santi Bonosa, Zosima ed Eutropio - Martiri (15 Luglio)
† Roma, 211
Martirologio Romano: Presso l’odierna Fiumicino, Santi Eutropio, Zosima e Bonosa, Martiri.
Bonosa, nobildonna romana, fu martirizzata per la fede cristiana con la sorella Zosima ed Eutropio, sotto l’imperatore Settimio Severo.
Nel 1256 alcune sue reliquie furono traslate da Porto, località presso Roma, nell’abbazia di Clairvaux in Francia dal monaco Goffredo; all’epoca la martire godeva di grande venerazione in una chiesa dedicata a Lei nel quartiere Trastevere.
Fino al 1888 la chiesa di Santa Bonosa a Roma custodì il suo corpo; dopo che questa fu demolita, oggi la vergine riposa nella parrocchia romana di Santa Maria della Mercede e Sant’Adriano.
Fino al XIX secolo Bonosa nell’Urbe era invocata dai pastori, che ne custodivano l’immagine negli ambienti infetti delle stalle, perché li preservasse dalla varicella e dal vajolo; il Suo culto giunse a Martina Franca (Taranto) nel ‘700 in seguito alle epidemie che funestarono il Regno di Napoli in quegli anni, a cui in valle d’Itria fecero fronte efficace le invocazioni del popolo anche a San Martino di Tours e a San Rocco.
Il suo quadro, che rappresenta la Santa nell’atto di benedire una popolana che Le raccomanda il suo bambino chiazzato di macchioline tipiche della varicella, si trova a Martina Franca nella chiesa dei Cappuccini oggi sede dei Padri Somaschi, immersa nell’incantato paesaggio della valle dei trulli.
Santa Bonosa è invocata contro il vajolo, la varicella e le malattie infettive in genere.
(Autore: Damiano Nicolella – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Bonosa, Zosima ed Eutropio, pregate per noi.
*Santi Catulino e Compagni - Martiri (15 Luglio)
Martirologio Romano: Sempre nello stesso luogo, commemorazione dei Santi Catulino, diacono e martire, in onore del quale Sant’Agostino tenne un sermone al popolo, e altri martiri, che riposano nella basilica di Fausto.
Santi Catulino, diacono, e Compagni, martiri
Il Martirologio Geronimiano ricorda al 15 luglio Catulino, (Catullino) diacono, e altri martiri (di cui non è dato il nome), sepolti nella basilica sanctae Faustae (si deve però intendere sancti Fausti).
Adone aggiunse al nome di Catulino, ricordato da solo nel Calendario di Cartagine (sec. VI), i nomi dei martiri Gennaro, Fiorenzo, Giulia e Giusta (tralasciando quello di Pollutana) che, però, pur seguendo immediatamente nel Geronimiano l'elogio di Catulino, non possono, a quanto sembra, ricondursi al suo gruppo.
Di certo si può dire solo che Catulino fu sepolto in San Fausto, assieme a molti altri cristiani uccisi tutti nello stesso giorno: esaminando gli Atti di uno di questi martiri, il vescovo Felice di Tibiuca, il Delehaye è giunto a fissare la data del martirio al 15 luglio 303, agli inizi, cioè, della persecuzione di Diocleziano.
La menzione del nome del solo Catulino, che viene fatta ignorando la più alta dignità di Felice, secondo alcuni potrebbe essere spiegata dal fatto che Catulino apparteneva alla sede metropolitana, o, secondo altri, dal particolare rilievo della sua testimonianza che, però, si ignora in quali circostanze sia stata resa.
Possidio (Indiculus, IX, in PL, LXVI, col. 19) segnala un panegirico tenuto da Sant'Agostino in onore di Catulino il cui testo, però, non è stato ancora reperito.
(Autore: Mario Salsano – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Catulino e Compagni, pregate per noi.
*Beato Ceslao di Cracovia - Domenicano (15 Luglio)
Cracovia, Polonia, 1180 c. - Wroclaw, 17 luglio 1242
Lì conobbe san Domenico Guzman e assistette alla miracolosa resurrezione di un giovane operata dallo stesso Domenico.Giacinto e Ceslao decisero di entrare nell'ordine dei Predicatori, e furono mandati in Polonia per erigere nuove fondazioni.
Durante il viaggio di ritorno si fermò a Praga dove fondò la casa domenicana presso la chiesa di San Clemente, prima di fare ritorno a Cracovia.
Nel 1232 Ceslao diventò padre provinciale della Polonia. Girò per altri quattro anni per tutta la Slesia e la Polonia fondando case, finché nel 1236 si dimise e, tornò a Wroclaw, dove nel 1241 fu partecipe della liberazione della città dall'assedio dei tartari.
Morì il 17 luglio 1242 e fu sepolto nella chiesa di Sant'Adalberto. (Avvenire)
Nacque in Slesia probabilmente nel 1180, passò la giovinezza a Cracovia in una Polonia che ripresasi dalle invasioni mongole, ricresceva in quel cristianesimo introdotto due secoli prima dal re Miecislao I e che avrebbe poi avuto la grande fioritura sotto il re Casimiro il Grande.
I suoi studi iniziati a Cracovia proseguirono nelle Università di Parigi e Bologna, le maggiori in quell’epoca; fu ordinato sacerdote dal vescovo Vincenzo Kadlubek di Cracovia, nel cui ambiente aveva maturato la sua cultura intellettuale e spirituale, giacché era uno dei primi, gli fu affidata la Collegiata di Sandomierz.
Nel 1220 si presentò la grande occasione della sua vita, fu destinato ad accompagnare insieme a San Giacinto, il vescovo di Cracovia Ivo Odrowaz a Roma, lì conobbe San Domenico Guzman e assisté alla miracolosa resurrezione del giovane Napoleone nipote del cardinale Stefano, operata dallo stesso San Domenico.
Allora Giacinto e Ceslao decisero di entrare nell’ordine dei Predicatori, furono così inviati a Bologna dove rimasero per un certo tempo, nel 1221 i suoi superiori di Bologna mandarono Ceslao insieme ad altri monaci in Polonia per erigere nuove fondazioni.
Durante il viaggio di ritorno si fermò a Praga dove fondò la casa domenicana presso la chiesa di San Clemente, giunto a Cracovia vi operò per molti anni presso la chiesa della SS. Trinità, nel monastero da poco fondato da altri confratelli nel 1222.
Da lì passò a Wroclaw dove rimase per sette anni come superiore diventando nel 1232 padre provinciale della Polonia.
Girò per altri quattro anni per tutta la Slesia e la Polonia fondando case, finché nel 1236 si dimise, costretto dall’esaurimento delle forze, da tutte le cariche, tornò a Wroclaw, dove nel 1241 fu partecipe della liberazione della città dall’assedio dei tartari.
Morì il 17 luglio 1242 e fu sepolto nella chiesa di Sant'Adalberto.
Papa Clemente XI confermò il culto il 27 agosto 1712 e Papa Benedetto XIV nel 1748 fissò il giorno della sua celebrazione al 20 luglio.
L'Ordine Domenicano lo ricorda il 17 luglio mentre il Martyrologium Romanum lo indica al 15 luglio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ceslao di Cracovia, pregate per noi.
*San Davide di Svezia (David di Vasteras) - Monaco e Vescovo (15 Luglio)
m. 1082
Etimologia: Davide = diletto, dall'ebraico
Emblema: Guanto, Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Västerås in Svezia, San Davide, vescovo, che, di nazionalità inglese, dopo essere divenuto monaco cluniacense, partì per convertire gli Svedesi a Cristo e, ormai anziano, morì piamente nel monastero da lui stesso fondato.
Vi sono ben 18 Santi con questo nome riportati dall’autorevole “Bibliotheca Sanctorum”, questo sta a dimostrarci la grande devozione che in ogni tempo, sia in Oriente che in Occidente, si è avuta in onore del grande profeta biblico.
Il Davide o meglio David che si celebra il 15 luglio fu vescovo di Västeras in Svezia, egli era un monaco cluniacense di origine anglosassone mandato verso il 1020 come missionario nella terra svedese.
Lavorò evangelizzando gli svedesi ancora pagani a partire dal Sud e poi nella Regione Centro-orientale del paese; abitò nel luogo dove ora sorge la chiesa di Munkathorp che con il suo nome ricorda appunto il monaco (munk) che battezzava i nuovi convertiti nell’acqua di una vicina sorgente.
Nella storia ecclesiastica della Svezia viene ricordato come l’apostolo del Västmanland e primo vescovo di Västerås. Probabilmente morì nel 1082 e il suo corpo fu sepolto a Munkathorp; quattro secoli dopo nel 1463 fu traslato nella cattedrale della sua sede vescovile.
Purtroppo come per altre reliquie di santi cattolici, quando in Svezia subentrò il luteranesimo, esse furono prese e sepolte nel cimitero e il suo sarcofago distrutto.
Il suo simbolo è un guanto, perché una leggenda dice che una volta appese i suoi guanti ad un raggio di sole. Festa liturgica il 15 luglio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Davide di Svezia, pregate per noi.
*Santi Eutropio, Zosima e Bonosa - Martiri (15 Luglio)
Martirologio Romano: Presso l’odierna Fiumicino, Santi Eutropio, Zosima e Bonosa, martiri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Eutropio, Zosima e Bonosa, pregate per noi.
*San Felice di Tubzak - Vescovo e Martire (15 Luglio)
Tubzak, 247 ca. – Cartagine, 15 luglio 303
Patronato: Venosa (PZ)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, sulla via detta degli Scillitani nella basilica di Fausto, deposizione di San Felice, vescovo di Tubzak e martire, che, ricevuto dal procuratore Magniliano l’ordine di dare alle fiamme i libri della Bibbia, rispose che avrebbe bruciato se stesso piuttosto che la Sacra Scrittura e fu per questo trafitto con la spada dal proconsole Anulino.
É un Santo martire venerato a Venosa (PZ); la ‘passio’ originale scritta da un contemporaneo, è stata probabilmente elaborata in altre ‘passiones’ scritte da autori dell’Italia Meridionale, per cui il luogo del martirio del vescovo africano Felice è trasferito da Cartagine a Venosa in Basilicata o a Nola in Campania; a loro volta queste ‘passiones’ sono state poi riassunte in vari Martirologi con altre deformazioni ed aggiunte.
Lo studioso agiografo Delahaye ha cercato di togliere gli elementi leggendari, presentando la seguente redazione originale.
Nel giugno del 303, il magistrato di una località vicino Cartagine, Tubzak o Thibinca oggi Zoustina, eseguendo gli ordini imperiali, fece convocare in tribunale il prete Afro ed i lettori Cirillo e Vitale, chiedendo loro di consegnare i libri sacri, essi risposero che erano in possesso del vescovo Felice, in quel giorno assente dalla città.
Il giorno seguente fu la volta del vescovo, il quale oppose un netto rifiuto alla richiesta del magistrato; gli fu dato tre giorni di tempo per riflettere, trascorsi i quali Felice venne inviato a Cartagine dal proconsole Anulino.
Dopo 15 giorni di carcere, alla nuova richiesta di consegnare i libri sacri, il vescovo si rifiutò ancora e pertanto venne condannato alla decapitazione, aveva 56 anni; la sentenza fu eseguita il 15 luglio del 303; il suo corpo venne sepolto nella basilica di Fausto, celebre per i molti corpi dei martiri lì sepolti.
In alcuni Martirologi è ricordato il 30 agosto, forse confuso con i santi romani Felice ed Adautto e in altri al 24 ottobre.
La moderna edizione del ‘Martyrologium Romanum’ lo riporta al 15 luglio, giorno del suo martirio. A questo punto aggiungiamo qualche nota per comprendere il perché del culto di San Felice in Italia Meridionale; può essere dipeso dalla presenza di reliquie del martire africano a Venosa, per cui le aggiunte leggendarie dicono che dopo l’interrogatorio, il proconsole Anulino non l’avrebbe fatto decapitare, ma lo avrebbe invece inviato in Italia, dove Felice transitò per Agrigento, Taormina, Catania, Messina ed infine a Venosa, dove il prefetto lo fece decapitare.
Un’altra versione dice che fu inviato a Roma e condannato come schiavo a seguire gl’imperatori, per cui giunto a Nola venne ucciso il 29 luglio; le reliquie furono poi trasferite a Cartagine.
A seconda delle versioni gli vengono affiancati nel martirio altri compagni: il prete Gennaro ed i lettori Fortunanzio e Settimio; Adautto; Gennaro, Fortunanziano e Settimino.
Con ogni probabilità si tratta di santi africani, protagonisti delle vicende leggendarie di varie città meridionali, che hanno sostituito e venerato a Venosa, Afro e compagni, citati nell’originaria ‘passio’.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Felice di Tubzak, pregate per noi.
*San Felicissimo di Mosciano - Eremita (15 Luglio)
m. 15 luglio 1092
Nato nel villaggio di Mosciano, presso le sorgenti del Topino, in diocesi di Nocera Umbra, verso il 1070, entrò giovanetto nel monastero benedettino di Sant'Eutizio presso Norcia, ma ne fu richiamato dal padre, che voleva custodisse il bestiame.
Felicissimo continuò tuttavia negli esercizi di pietà e carità verso i poveri fino a suscitare le ire paterne per aver dato in elemosina una vacca.
Allora fuggì e si ritirò in una non lontana località solitaria, detta Pulcano, dove condusse vita di penitenza e attese alla conversione dei peccatori, operando molti miracoli.
Quivi morì, a ventidue anni, il 15 luglio1092.
Sul luogo, frequentemente visitato dalle popolazioni vicine, il vescovo di Nocera, Anselmo, nel 1164 fece costruire una chiesa in onore di Felicissimo.
Il culto si estese a tutta la diocesi e particolarmente viene celebrato il 15 luglio nella chiesa parrocchiale di San Giovanni a Mosciano, dove è venerata una immagine del Santo.
Un'altra immagine, che lo rappresenta in veste di pastore, è sulla porta maggiore della città insieme con quella del protettore principale San Rinaldo, ed una analoga è nella cattedrale.
Nel 1618 il vescovo Virgilio Florenzi procedette alla ricognizione del corpo.
(Autore: Giacomo Boccanera – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Felicissimo di Mosciano, pregate per noi.
*Santi Filippo e Dieci Infanti - Martiri (15 Luglio)
IV sec. (?)
Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, Santi martiri Filippo e dieci bambini.
Santi Filippo, Zenone, Narseo e dieci fanciulli, Martiri in Alessandria.
La lezione del 15 luglio del martirologio Romano in merito a questi santi non è molto esatta; è necessario perciò rifarsi al Martirologio Siriaco del secolo IV che al 15 giugno ricorda solamente Filippo e i dieci fanciulli.
Zenone, o più propriamente Zenobio, fu martire dell'Isauria e la sua commemorazione ricorre il 13 luglio.
Per quanto riguarda Narseo (nel Geronimiano: Naseo) i critici ritengono trattarsi di un'errata trascrizione di un nome geografico, poiché nell'antichità non appare nessun santo di tal nome. L'epoca del martirio di Filippo e dei dieci fanciulli è ignota.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Filippo e Dieci Infanti, pregate per noi.
*San Giacomo di Nisibi - Vescovo (15 Luglio)
† 338
Martirologio Romano: A Nisibi in Mesopotamia, nel territorio dell’odierna Turchia, San Giacomo, primo vescovo di questa città, che partecipò al Concilio di Nicea e governò in pace il suo gregge, nutrendolo e difendendolo dall’assalto dei nemici della fede.
Nel suo magistrale studio su Giacomo, P. Peeters ha esaminato le fonti che forniscono informazioni su questo personaggio, tentando di isolare, tra gli sviluppi leggendari, gli elementi storici certi.
Da tale ricerca risulta che i particolari biografici a noi pervenuti sono assai scarsi. Come aveva già fatto notare G. Cuypers negli Acta SS., occorre leggere con una certa prudenza sia il capitolo della Historia Religiosa che Teodoreto dedica al vescovo di Nisibi, sia ciò che a riguardo narra Elias bar Sinaya nella Cronaca dei Metropolitani di Nisibi.
Il luogo e la data di nascita di Giacomo sono sconosciuti, anche se Teodoreto afferma che nacque nella stessa Nisibi. Verosimilmente intorno al 308 Giacomo fonda la sede di Nisibi e ne diviene primo vescovo.
Nel 325 partecipa al concilio di Nicea in cui, secondo san Atanasio, si distingue tra gli ardenti difensori della fede ortodossa. Si sa, d’altra parte, che, secondo una certa tradizione, sant'Efrem avrebbe accompagnato il suo maestro ed amico al concilio.
Secondo quanto afferma BarhadbSabba Arbaya ne "La Causa della Fondazione delle Scuole", Giacomo, al suo ritorno da Nicea, avrebbe fondato la prima scuola di Nisibi; ciò è possibile, pur tenendo presente che la celebre scuola di questo nome fu fondata solo un secolo più tardi, nel 457, da Narsete il Lebbroso.
Allorché Sapore attaccò Nisibi, nel 338, Giacomo era ancora vescovo. Morì nello stesso anno durante l’assedio della città, come afferma il Chronicon Edessenum; e ciò spiega, sembra, perché il vescovo fu inumato entro le mura della città di cui rimase, per sua intercessione celeste, insigne difensore.
Un’altra tradizione vuole che, nel 363, quando Gioviano cedette Nisibi ai Persiani, i suoi abitanti trasportassero le reliquie del Santo ad Amida; in tal caso occorrerebbe spiegare come mai, alla fine del X secolo, l’imperatore bizantino Giovanni Tzimisces, abbia ritrovato tali reliquie a Nisibi trasportandole poi a Costantinopoli.
Poiché questo particolare è riportato da alcuni martirologi, conviene aggiungere che, secondo Gennadio, Giacomo sarebbe stato confessore durante la persecuzione di Massimino.
Con ancora maggiore circospezione conviene leggere l’episodio narrato nel V secolo da Fausto di Bisanzio nella sua Storia d'Armenia, secondo cui Giacomo avrebbe scoperto l’arca di Noè sul Monte Ararat!
E. Tisserant ha chiaramente fatto il punto sulla pretesa attività letteraria di Giacomo ed, in particolare, sulla attribuzione a lui delle Demonstrationes di Afraate.
Il culto di Giacomo si affermò rapidamente; il Martirologio Siriaco del IV secolo, seguito dal Geronimiano, lo menziona al 15 luglio, data conservata dai martirologi occidentali fino al Romano.
Nei sinassari bizantini, invece, lo si incontra al 13 gennaio come, d’altra parte, nel Sinassario Alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malìg (=18 tubali). Nella Chiesa siriaca, secondo le fonti pubblicate da F. Nau, è commemorato in più di sei date diverse.
Nella Chiesa armena, in cui il culto di Giacomo è molto diffuso, soprattutto in base alla tradizione che lo pone in relazione con Gregorio l’Illuminatore, è ricordato il 7 khalots (= 15 dicembre)
(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giacomo di Nisibi, pregate per noi.
*San Giuseppe Studita di Tessalonica - Martire (15 Luglio)
Costantinopoli, 760 circa - 15 luglio 832
Martirologio Romano: Nella Tessaglia in Grecia, transito di San Giuseppe, vescovo di Salonicco, fratello di San Teodoro Studita: dapprima monaco, compose moltissimi inni; quindi, non appena elevato all’episcopato, patì molte e aspre difficoltà per difendere la disciplina ecclesiastica e il culto delle sacre immagini e, relegato in esilio in Tessaglia, vi morì oppresso dalla fame.
Nacque a Costantinopoli verso il 760 da una famiglia nobile i cui membri si distinsero tutti per la loro fedeltà alla religione.
Suo padre, Fotino, intendente delle finanze, diede le dimissioni dalla carica quando vide che la sua presenza alla corte era un pericolo per la sua fede. Sua madre Teoctista era sorella di Platone, abate di un monastero dell'Olimpo e, più tardi, di quello di Studion a Costantinopoli, il quale fu duramente perseguitato per aver difeso le regole della morale.
Giuseppe aveva due fratelli, Teodoro, futuro abate di Studion, ed Eutimio, che morì giovane, e una sorella, Teoctista.
Tutti furono educati molto cristianamente, specialmente dalla madre, che ebbe per loro una cura tutta particolare.
Verso il 780 san Platone, dal monastero dei symboles in Bitinta di cui era abate, andò a Costantinopoli, dove mostrò un grande zelo per la religione.
Il suo ascendente fu tale che tutti i membri della famiglia di Giuseppe abbracciarono la vita religiosa.
La madre e la figlia entrarono in un monastero della capitale; Fotino e i suoi tre figli si ritirarono con Platone nella loro proprietà di Saccoudion in Bitinia, che trasformarono in monastero.
Giuseppe si fece notare fra i monaci più ferventi ed austeri e, quando Platone e suo nipote Teodoro furono perseguitati nel 795 per aver condannato il matrimonio adultero di Costantino VI, Giuseppe fu coinvolto nella persecuzione che si abbatté su Saccoudion, dove non poté rientrare che nel 797; quando poi le incursioni degli arabi obbligarono i monaci a ripiegare su Costantinopoli, essi si stabilirono nel monastero di san Giovanni Battista, fondato nel 463 dal console Studius, che assunse così grande importanza sotto la direzione di san Teodoro.
Negli ultimi mesi dell’806 o i primi dell’807, Giuseppe fu nominato arcivescovo di Tessalonica, senza che si sappia in quali circostanze.
Nell’808 un segretario di stato venne a domandargli perché non era in comunione con la corte né con il patriarca. Egli rispose che la sola causa era il fatto che fosse stato riabilitato il prete Giuseppe che aveva benedetto le nozze adultere di Costantino VI. L’imperatore Niceforo I, successore del deposto Costantino, che aveva fatto prendere questa misura, ordinò al patriarca Niceforo di riunire un concilio, che si tenne nel gennaio 809.
Questa assemblea condannò Platone, Teodoro e molti monaci, come pure Giuseppe. Essi furono gettati in prigione, poi esiliati nelle isole dei Principi e rinchiusi in luoghi separati. Giuseppe era strettamente sorvegliato e non riceveva che un magro nutrimento. I prigionieri non furono liberati che nell’ottobre 811 con l’avvento di Michele Rhangabé.
Frattanto Giuseppe era stato sostituito sul seggio di Tessalonica da un intruso il cui nome è rimasto sconosciuto.
Non si sa se ritornò nella sua città episcopale, ma fu ben presto compreso tra le vittime della persecuzione iconoclasta, che perdurò durante i tre regni successivi da Leone V l’Armeno a Teofilo. Infatti fu esiliato dall'815 all'821 e non poté ritornare a Tessalonica. Morì il 15 luglio 832.
Nell'844, in occasione del trasferimento nel monastero di Studion delle reliquie di suo fratello Teodoro, i suoi resti vi furono deposti presso la tomba di san Platone. La festa ha luogo il 15 luglio; tuttavia i menci greci più recenti la indicano al 14.
L’opera letteraria di Giuseppe comprende due omelie sulla croce, una su san Demetrio, un panegirico di San Nestore e soprattutto poesie religiose.
Lavorò con suo fratello San Teodoro a comporre il Triodion (Proprio del tempo, comprendente le dicci settimane che precedono la Pasqua) e il Pentecostarion (da Pasqua alla domenica dopo la Pentecoste inclusa) e diversi canoni.
San Eustratiadès ha pubblicato tutte le composizioni liturgiche tramandate sotto il suo nome. Durante la persecuzione Giuseppe aveva scritto versi epici contro gli iconoclasti, che però non sono pervenuti al loro destinatario, San Teodoro, che si lamenta nell’818 della loro scomparsa.
I poemi liturgici di Giuseppe lo hanno fatto confondere per lungo tempo col suo omonimo e contemporaneo, San Giuseppe l’Innografo.
(Autore: Raymond Janin – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Studita di Tessalonica, pregate per noi.
*San Gumberto di Ansbach - Abate (15 Luglio)
Martirologio Romano:
Ad Ansbach in Franconia, ora in Germania, San Gumberto, abate, che fondò nella sua villa questo cenobio.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gumberto di Ansbach, pregate per noi.
*Beato Ignazio de Azevedo e 39 Compagni - Gesuiti, Martiri (15 Luglio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Beati Quaranta Martiri Brasiliani Gesuiti” (15 e 16 luglio)
Oporto (Portogallo), 1527 - Arcipelago delle Canarie, 15 luglio 1570
Martirologio Romano: Passione dei Beati martiri Ignazio de Azevedo, sacerdote, e trentotto compagni della Compagnia di Gesù, che, mentre si dirigevano verso le missioni in Brasile su una nave chiamata San Giacomo, furono assaliti dai pirati e in odio alla religione cattolica trafitti con spada e lancia.
Pur essendo stati proclamati “Protettori del Brasile” nel 1574, questi 40 martiri gesuiti in realtà provenivano dal Portogallo e Spagna e morirono uccisi a nove miglia dalla costa delle Canarie, mentre erano diretti in Brasile, senza aver messo piede a terra, ma il desiderio di evangelizzare quelle popolazioni, che li aveva spinti ad intraprendere il lunghissimo e pericoloso viaggio per mare, disposti a dare la loro vita, fa ben meritare il titolo di ‘protettori’ che il Brasile ha loro attribuito.
Ignazio de Azevedo nacque nel 1527 presso Oporto in Portogallo da una famiglia nobile; a 21 anni, il 28 dicembre 1548, entrò fra i Gesuiti di Coimbra; nell’Ordine, fondato da Sant' Ignazio di Loyola si affermò per la sua genuina fede ed operosità, diventando per parecchi mesi rettore dei Collegi gesuiti di Lisbona e di Braga; nel 1558 fu anche Vice Provinciale dell’Ordine nel Portogallo.
Nel 1566 Ignazio de Azevedo fu inviato come Visitatore nella Missione del Brasile, dove i Gesuiti, giunti lì appena 17 anni prima, al seguito dei colonizzatori portoghesi, già avevano stabilito alcune Case anche in mezzo alle tribù dei cannibali.
Dopo tre anni di permanenza nelle missioni brasiliane, egli ritornò a Roma nel 1569, per relazionare sulle esperienze fatte, chiese con insistenza al Generale dei Gesuiti di allora, San Francesco Borgia (1510-1572) di inviare nuovi e numerosi missionari, essendo il Brasile sconfinato come territorio e con tanta possibilità di evangelizzazione fra quei popoli non cristiani.
Ottenne l’incarico di raccogliere nelle Province gesuitiche del Portogallo e di Spagna, quanti più religiosi adatti e giovani si offrissero e poi ripartire per il Brasile con la carica di Provinciale.
Ignazio ne radunò 68 con i quali si ritirò a Valle delle Rose presso Lisbona, per prepararli alle future fatiche, in un periodo durato cinque mesi.
Nei primi giorni del mese di giugno 1570, era pronta a salpare una flotta di otto navi, che nel piano di colonizzazione portoghese, dovevano portare e scortare nel Brasile, il viceré don Luigi de Vasconcellos e a queste navi si aggregò anche la “S. Giacomo”, noleggiata da Ignazio de Azevedo per il suo gruppo di missionari, i quali furono divisi in tre gruppi: Ignazio con altri 39 sulla nave “San Giacomo”, 20 sulla nave ammiraglia e tre su un’altra nave con il compito di fare catechismo ad alcune centinaia di fanciulli orfani, di ambo i sessi, raccolti per popolare la colonia.
La flotta partì il 5 giugno e raggiunse il 12 dello stesso mese, l’isola portoghese di Madera nell’Atlantico, di fronte alle coste dell’Africa settentrionale; attendendo per ripartire venti favorevoli, per ordine del viceré.
Il capitano della “S. Giacomo” per interessi commerciali, preferì puntare prima del Brasile, su Las Palmas nelle Isole Canarie che dal 1476 erano colonie spagnole.
Ignazio deciso anche lui a proseguire, anche senza la protezione della flotta, conscio del pericolo delle navi corsare che imperversavano sui mari in quei tempi, lasciò liberi i missionari di seguirlo, quattro rinunciarono, subito sostituiti con altri quattro tolti dalla nave ammiraglia.
La “S. Giacomo”, salpata da Madera il 30 giugno poté navigare agevolmente con i venti a favore, ma arrivati a nove miglia dalla costa, nell’arcipelago delle Canarie, verso la metà di luglio 1570, dovette fermarsi per la bonaccia (mancanza di vento).
Qui fu attaccata da cinque navi corsare, guidate da ugonotti (così chiamati in Francia i protestanti seguaci di Calvino, protagonisti delle guerre di religione dal 1562 al 1598) comandati dal corsaro francese Giacomo Souríe; i corsari ebbero l’ordine di risparmiare l’equipaggio ed i passeggeri ma di sterminare gli odiati gesuiti.
Infatti i 40 religiosi meno uno, il quattordicenne Giovanni Sanchez, che essendo cuoco serviva agli stessi pirati, furono massacrati a colpi di spada e lancia e buttati in mare, morti o moribondi.
Essi comunque divennero lo stesso 40, perché il giovane figlio del comandante della nave Giovanni Sanjoaninho, indossata furtivamente la veste talare di uno degli uccisi, fu preso per uno dei religiosi e ucciso; per essersi aggiunto ai martiri fu chiamato anche Giovanni Adauto.
Il martirio avvenne il 15 luglio 1570 tranne per uno, che fu ucciso il giorno dopo. Si narra che ad Avila in Spagna, la carmelitana Santa Teresa di Gesù, in un’estasi, vide uno dei martiri, il cugino Francesco Pérez Godoy salire in cielo con i suoi compagni e ne diede comunicazione al suo confessore; le notizie poi giunte da Madera e dal Brasile, confermarono la visione.
I 40 martiri della fede, costituiti da 26 sacerdoti, 13 novizi e un candidato, furono subito venerati come martiri in Brasile, dove a Bahia ebbero una prima solenne celebrazione il 15 luglio 1574 e inoltre nei loro Paesi d’origine Portogallo e Spagna.
I successivi decreti sul culto dei Santi emanati da papa Urbano VIII nel 1625, fecero interrompere questo pubblico culto, che fu poi confermato con decreto di Papa Pio IX l’11 maggio 1854, con celebrazione al 15 luglio.
Si aggiunge, che altri 14 gesuiti imbarcati sulla flotta del viceré, per altri avvenimenti succedutasi, che non possiamo narrare in questa scheda, furono uccisi da navi corsare; anche per loro è in corso il processo di beatificazione.
Per motivo di spazio si omette la lista dei 40 gesuiti, che sono classificati come i “Martiri del Brasile del 1570”, si possono comunque trovare consultando il libretto edito da ‘Jesus’ Società San Paolo, “Storia della vocazione e della missione di Ignazio di Loyola”.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ignazio de Azevedo e 39 Compagni, pregate per noi.
*Beato Michele Bernardo Marchand - Martire (15 Luglio)
Martirologio Romano: In una galera ancorata al largo di Rochefort sulla costa francese, Beato Michele Bernardo Marchand, sacerdote e martire, che, durante la rivoluzione francese, condotto prigioniero da Rouen su una sordida nave a causa del suo sacerdozio, morì su di essa di malattia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Michele Bernardo Marchand, pregate per noi.
*Beato Pietro Aymillo - Vescovo (15 Luglio)
Il Beato Pietro Aymillo, vescovo dell’Ordine Mercedario, fu esempio di vita osservante nelle regole e nelle virtù.
Molto stimato e uomo di grandissima santità, morì in Francia nella città di Narbona e colmo di meriti andò in Paradiso.
L’Ordine lo festeggia il 15 luglio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro Aymillo, pregate per noi.
*San Pietro Nguyen Ba Tuan - Martire (15 Luglio)
Martirologio Romano: Nella città di Nam Định in Tonchino, ora Viet Nam, San Pietro Nguyễn Bà Tuân, sacerdote e martire, che, detenuto in carcere per Cristo, morì oppresso dalla fame sotto l’imperatore Minh Mạng.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Nguyen Ba Tuan, pregate per noi.
*San Plechelmo - Vescovo Missionario (15 Luglio)
Irlanda, VII sec. - St-Odilienberg, Olanda, 713 ca.
Martirologio Romano: A Roermond sulla Mosa in Austrasia, nell’odierna Olanda, San Plechelmo, vescovo, che, originario della Northumbria, annunciò a molti le ricchezze di Cristo.
Santi Wirone, Plechelmo e Odgero
San Wirone o Wiro era originario dell’Irlanda, alcuni dicono della Scozia e verso la fine del secolo VII partì dalla sua patria, come missionario vescovo, per la Bassa Mosa (Olanda), insieme al vescovo missionario SanPlechelmo e del diacono Sant’Odgero per evangelizzare i Frisoni, popolazione di stirpe germanica, abitante nella Frisia olandese.
Pipino II di Heristal († 714) maggiordomo d’Austrasia, fece loro dono di una terra, chiamata Petersberg (Mons Sancti Petri) nella provincia di Overijssel, dove fondarono un monastero chiamato poi St-Odilienberg presso Roermond e una chiesa annessa.
La fondazione avvenne negli anni 695-700, ed è confermata dal rituale pellegrinaggio di Pipino d’Heristal a Odilienberg. I tre missionari partiti da varie regioni della Gran Bretagna, condussero nel monastero sopra citato e di cui erano i fondatori, una vita esemplare ed apostolica fra le popolazioni ancora non cristiane.
S. Wirone morì verso il 700, Sant'Odgero e San Plechelmo nel 713; le reliquie di Sant'Odgero si trovano nella città di Odilienberg, quelle di San Plechelmo si venerano ad Oldenzaal ed a Roermond (Limburgo olandese).
Per San Wirone la sua tomba fu scoperta nell’agosto 1881 a Roermond; egli ebbe subito dopo la morte un culto, nel Medioevo fu patrono della diocesi di Utrecht, dal 1599 patrono di tutte le diocesi d’Olanda e oggi ancora è il patrono di varie chiese e della diocesi di Roermond.
I vari Martirologi compreso quello Romano, pongono la sua festa all’8 maggio, mentre a Roermond da tempi antichi si celebra l’11 maggio.
I pellegrinaggi alla tomba di Odilienberg furono frequenti specie nel Medioevo e continuano tuttora; il monastero di Odilienberg passato poi ai Canonici Regolari, nel 1361 fu trasferito a Roermond, portando con sé le reliquie dei tre santi, che scomparvero ai tempi della Riforma Protestante.
Solo nel 1594 furono ritrovate, esse poi nel 1686 e nel 1881 furono riportate nella nuova chiesa; la testa di San Wirone, già nel Medioevo, fu portata ad Utrecht. La ricorrenza liturgica di San Plechelmo è al 15 luglio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Plechelmo, pregate per noi.
*San Pompilio Maria Pirrotti - Padre Scolopio (15 Luglio)
Montecalvo Irpino (AV), 29 settembre 1710 - Campi Salentina, (Lecce), 15 luglio 1766
Nato a Montecalvo, in Campania, il 29 settembre 1710, Domenico Pirotti - figlio di un noto avvocato beneventano - mutò nome in Pompilio Maria, entrando, diciottenne, nell'ordine degli Scolopi.
Da Napoli fu inviato a Chieti per continuare gli studi di filosofia, ma ammalatosi e nella speranza che il cambio di clima avesse potuto giovargli, fu trasferito a Melfi (Potenza) dove proseguì con successo gli studi sacri e profani, nel 1733 con la fama di teologo e non ancora sacerdote, andò a Turi (Bari), dando inizio all'insegnamento delle lettere e a quello di educatore della gioventù.
Secondo il carisma dei figli di san Giuseppe Calasanzio esercitò l'apostolato nelle Scuole Pie in diverse Regioni d'Italia.
La sua attività educativa verso il popolo dava fastidio, perciò venne calunniato ed espulso dal Regno di Napoli.
Ritornò comunque in città, dove era amatissimo soprattutto dai bisognosi.
Instancabile predicatore e uomo di carità, nutriva una fervente devozione mariana. Morì nel 1766 ed è Santo dal 1934. (Avvenire)
Etimologia: Pompilio (come Pompeo e Pomponio) = (forse) quinto figlio, dal latino antico.
Martirologio Romano: A Campi Salentina in Puglia, San Pompilio Maria Pirrotti, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, insigne per austerità di vita.
Uno dei più grandi figli di San Giuseppe Calasanzio (1558-1648), fondatore dei padri Scolopi nel 1617, che sono i membri della Congregazione della Madre di Dio delle Scuole Pie, da cui prendono il nome, dediti all’educazione dei fanciulli poveri.
Domenico Pirrotti, questo il suo nome di battesimo, nacque a Montecalvo Irpino (AV) il 29 settembre 1710, sesto degli undici figli di Girolamo Pirrotti e di donna Orsola Bozzuti; il padre era dottore in legge e la condizione della famiglia era di ceto nobile; ancora oggi sul portone d’ingresso dell’antico palazzo nobiliare, accanto allo scudo di famiglia, si legge: “Virtus et honor in domo Pirrotti semper”.
Giunto ai 16 anni Domenico, vincendo le resistenze dei genitori, che cullavano per lui sogni di carriera sociale, e dopo tante lacrime e preghiere rivolte al Signore, per essere illuminato nella sua scelta e dopo essersi consigliato con il suo confessore, fuggì dalla casa paterna e andò a Benevento, dal superiore del Collegio degli Scolopi di quella città, per essere ammesso in prova per divenire loro religioso.
Al padre scrisse poi una commovente lettera per spiegargli la sua risoluzione, attuata solo per adempiere alla chiamata di Dio, che sentiva in sé e quindi gli chiedeva di perdonarlo e impartirgli la sua benedizione.
Il 2 febbraio 1727 vestì l’abito religioso degli Scolopi, nel Noviziato di S. Maria di Caravaggio in Napoli e alla fine del primo anno di noviziato, ottenuta la dispensa del secondo anno di prova, il 25 marzo 1728 fece la professione solenne con i voti di povertà, castità, obbedienza e quello di istruire la gioventù secondo la Regola dell’Ordine, nel contempo cambiò il nome in Pompilio Maria.
Da Napoli fu poi inviato a Chieti per continuare gli studi di filosofia, ma ammalatosi e nella speranza che il cambio di clima avesse potuto giovargli, fu trasferito a Melfi (Potenza) dove proseguì con successo gli studi sacri e profani, nel 1733 con la fama di teologo e non ancora sacerdote, andò a Turi (Bari), dando inizio all’insegnamento delle lettere e a quello di educatore della gioventù.
Da lì l’anno successivo sempre come insegnante di lettere, lo troviamo a Francavilla Fontana (Lecce); il 20 marzo 1734 venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Brindisi, Andrea Maddalena, dopo di ciò avvertì il bisogno di allargare il proprio cuore e il campo del suo apostolato e con l’esplicito permesso dei Superiori prese a predicare e confessare in molte regioni d’Italia.
Dal 1736 e per tre anni fu a Brindisi, da lì nel 1739 passò ad Ortona a Mare e nel 1742 a Lanciano in Abruzzo, tutte zone che furono campo particolare e fecondo del suo lavoro che vide unire l’attività scolastica a quella dell’apostolato, catechizzando le popolazioni dei dintorni, a predicare Quaresime ed esercizi spirituali a studenti e religiosi, fu tale ed abbondante il suo lavoro da meritarsi il titolo di ‘Apostolo degli Abruzzi’.
Per ottenere la conversione dei peccatori e grazie da Dio, si rivolgeva con fervide preghiere alla Madonna, il cui nome di Maria o di “Mamma bella” era la giaculatoria che amava di più, la ripeteva spesso esortando anche gli altri a farlo.
Il Signore gli diede doni straordinari, che avvalorarono la sua opera sacerdotale, nel 1746 quando si trovava a Lanciano, fece suonare a distesa le campane alle due di notte e alla gente accorsa allarmata, disse di mettersi a pregare con fervore la Madonna, per aver salva la vita da un terremoto imminente, infatti Lanciano fu risparmiata dal sisma, mentre altre località abruzzesi, subirono ingenti danni.
Anche nella terribile carestia del 1765, il suo intervento fu determinante per la cittadina di Campi Salentina, dove risiedeva, che riuscì a superarla senza danni, ancora oggi in questa città, ogni anno nel giorno della sua festa, vengono distribuiti cesti di pane benedetto, in ricordo della sua protezione.
I tempi in cui visse ed operò padre Pompilio Maria Pirrotti, erano duri per la vita e la pietà cristiana; filosofie e politiche, favorivano l’affermarsi di un regalismo esoso e anticlericale, mentre le fredde idee giansenistiche allontanavano i fedeli dai sacramenti, in particolare dall’Eucaristia, ironizzando sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù e della Madonna; che invece per padre Pompilio costituivano fin dalla fanciullezza, il fulcro della sua vita e ora della sua infiammata predicazione e della sua saggia direzione spirituale.
Da ciò scaturirono, denunce ed accuse e il suo brusco allontanamento da Lanciano nel 1747, iniziando così quel lungo periodo di sofferenze morali, che durò fino alla sua morte.
Trascorse così undici anni e mezzo a Napoli nella Casa di S. Maria di Caravaggio, dedicandosi nell’attigua ed omonima chiesa, nella centrale Piazza Dante, al culto divino, alle confessioni, alla predicazione, all’assistenza degli ammalati e bisognosi nel popoloso rione allora denominato di fuori Porta Reale.
Fondò e diresse spiritualmente una Compagnia chiamata della “Carità di Dio” che aveva come fine, la pratica assidua dei Sacramenti, delle virtù cristiane e nel suffragare le anime dei defunti.
Sostenne e difese la pratica della Comunione frequente e quotidiana, che allora era privilegio di pochi e molto regolamentata. L’altra sua grande devozione, fu quella al Sacro Cuore di Gesù, che pur essendo antichissima nella Chiesa, solo nel XVIII secolo, ebbe un forte impulso e fra i promotori vi fu maggiormente attivo padre Pompilio, autore fra l’altro della celebre “Novena al S. Cuore di Gesù”, che scrisse nel 1765 e che fu diffusa rapidamente in tutto il Regno di Napoli.
Ma questa grande spiritualità, la stima dei Superiori, la venerazione del popolo, che lo considerava un Santo, non gli risparmiarono l’accusa da parte di un’associazione di preti, detta dei “Cappelloni” a causa del caratteristico copricapo dalla falde all’insù, di essere troppo indulgente nell’assolvere i penitenti ed eccessivamente mite nell’imporre la penitenza; inoltre di essere un uomo turbolento, inquieto, caparbio.
Queste accuse provocarono la sospensione del confessare e predicare, da parte dell’arcivescovo di Napoli, il card. Sersale, il quale prestò fede alle accuse, senza rifletterci tanto.
Anche il re Carlo III, attraverso i suoi tribunali, ne decretò l’espulsione dal Regno di Napoli. Per sei anni il padre scolopio emigrò da una casa all’altra dell’Ordine, da Chieti ad Ancona (tre volte), a Lugo di Romagna, Manfredonia, prima di rimettere piede nel Regno, ma posto come a domicilio coatto e controllato con verbali periodici sulla sua condotta.
Il comportamento di padre Pompilio, in questo susseguirsi convulso di vicende è quello di un santo, non una parola di lamento o di recriminazione, contro i provocatori di tanto sconquasso nella sua fervorosa vita; non esce dalla sua bocca o dalla sua penna, che la dichiarazione di fare la volontà di Dio e di ottenere la grazia di soffrire con gioia; a ciò si aggiungono atroci sofferenze fisiche per malattie sorte da tempo e che avanzano inesorabili..
Si giunge al colmo della sofferenza, quando viene nuovamente denunciato al S. Uffizio e di nuovo sospeso dalle sue funzioni sacerdotali.
Nella sua Montecalvo Irpino, fondò in questo peregrinare, una Congregazione di pie persone detta del “Sacro Cuore”.
Nel 1765 il 15 aprile inizia il lungo viaggio che da Ancona lo porterà all’estremità della Penisola italiana, a Campi Salentina (Lecce) dove giungerà il 12 luglio, dopo aver attraversato tanti paesi che lo avevano visto apostolo infaticabile ed esule innocente, passa anche a salutare i fedeli di Montecalvo a cui lascia un “Addio in Paradiso!”.
Nell’anno che passò a Campi Salentina, dove nel 1631 San Giuseppe Calasanzio il fondatore, aveva aperta una scuola per i fanciulli poveri, rinnovò le strutture del Collegio, rianimò la Comunità scossa da alcuni disordini, riorganizzò le scuole vigilando sul loro migliore funzionamento, operò prodigi nella carestia prima citata, intensificò la vita religiosa degli abitanti, che riconobbero nella sua opera, lo stesso spirito che oltre un secolo prima aveva fatto richiedere nel loro paese, la presenza dei Padri Scolopi.
Non è inutile ricordare che l’istruzione era riservata ai ‘giovani signori’, e che nella loro aristocratica famiglia esisteva un ‘precettore’ per tale scopo; mentre ai figli del popolo, pensavano solo i Santi o perlomeno i religiosi degli Ordini sorti per questo scopo.
Dopo aver celebrato la Messa della domenica 13 luglio 1766, si mise nel confessionale come al solito e qui accusò un malessere, per cui fu trasportato nella sua cameretta, morì il 15 luglio a 56 anni, mentre si annunciavano i primi Vespri della Madonna del Carmine, adagiato poveramente su una cassa.
Nel 1835 si aprì a Lecce il processo ordinario sulle virtù di padre Pompilio Maria Pirrotti; fu beatificato da papa Leone XIII il 26 gennaio 1890, mentre venne proclamato Santo da Papa Pio XI il 19 marzo 1934, insieme a San Giuseppe Benedetto Cottolengo.
La sua salma è custodita e venerata da tanti fedeli nella chiesa santuario dei Padri Scolopi in Campi Salentina; la sua festa liturgica è al 15 luglio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pompilio Maria Pirrotti, pregate per noi.
*San Terenzio - Vescovo e Martire (15 Luglio)
sec. VIII
Svariate leggende fanno del vescovo Terenzio un presule scozzese, trucidato dai predoni presso Avenza, da cui il suo corpo miracolosamente sarebbe arrivato nella chiesa che prende il suo nome presso San Terenzo al Bardine, edificata dal vir devotus Trasuald, longobardo, tra il 728 e il 729.
In realtà questa leggenda confonde tra loro la vera vicenda del vescovo San Ceccardo, ucciso dai Vichinghi di Hastein un secolo dopo, e quella del vescovo Terenzio che venne martirizzato probabilmente per aver cercato di convertire i numerosi longobardi ariani stanziati tra i monti della Lunigiana, dove in effetti il suo culto comparve tra la fine del VII secolo e l'inizio di quello successivo, manifestandosi con il proliferare di chiese e pievi a lui dedicate, che da questa zona raggiungevano la Garfagnana.
Secondo la Diocesi del luogo, pertanto, Terenzio sarebbe stato "originario del territorio, perché i Terenzi sono famiglia romana di Luni.
Il suo nome si trova citato in un’epistola di Papa Pelagio I indirizzata ai Vescovi della Tuscia annonaria". Probabilmente il suo corpo venne trasportato intorno al IX secolo da qualche chiesa presso Avenza, dove si trovava in origine, nella già citata chiesa di San Terenzo a Bardine, per preservarla dalle scorrerie e profanazioni dei pirati musulmani; per lo stesso motivo verranno poi spostate a Reggio Emilia dopo essere state ritrovate nel 1673, durante la ricostruzione della chiesa, gravemente danneggiata da un terremoto.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Terenzio, pregate per noi.
*Sant'Uriel Arcangelo - Chiese Orientali (15 Luglio)
In alcuni testi apocrifi della Bibbia compare il suo nome dopo quello dei tre arcangeli maggiori.
Il suo culto è presente nella Chiesa Copta che lo celebra al 15 luglio.
Una chiesa dedicata ai Sette Angeli “che stanno davanti al trono di Dio”, tra cui Uriel, esisteva a Palermo e vi si celebrava la festa al 20 aprile.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Uriel Arcangelo, pregate per noi.
*Santa Valentina - Venerata a Nevers (15 Luglio)
Il suo culto si basa solamente sul fatto che sono stati ritrovati i suoi resti nelle catacombe.
É noto con quanta facilità, nonostante gli avvertimenti degli archeologi, siano stati insigniti del titolo di santità e proposti al culto i corpi prelevati dalle Catacombe romane nella prima metà del sec. XIX.
A questi appartengono le reliquie di Santa Valentina, custodite dalle religiose della Carità e dell'Istruzione cristiana di Nevers.
Mons. di Coissigny, vicario generale di Nevers, le ottenne dal Patrizi, cardinale vicario di Gregorio XVI.
Mons. Dufetre, vescovo di Nevers, con decreto del 28 maggio 1852, ha fissato la festa di Valentina al 15 luglio.
(Autore: Jean Marilier – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Valentina, pregate per noi.
*San Vladimiro di Kiev - Principe (15 Luglio)
Kiev (Ucraina) ca. 956 - 15 luglio 1015
Etimologia: Vladimiro = colui che possiede o domina la pace.
Martirologio Romano: A Kiev nell’odierna Ucraina, San Vladimiro principe, che ricevette al battesimo il nome di Basilio e spese le sue forze a diffondere tra i popoli a lui soggetti la retta fede.
Nel X secolo il principato russo di Kiev è pagano, tranne alcuni gruppi cristiani di Variaghi, di origine scandinava. Era cristiana Olga, moglie del Gran principe Igor I; ma lui è rimasto pagano, come il figlio Svjatoslav e i figli di questi.
Vladimiro, escluso dalla successione perché figlio illegittimo di Svjatoslav, nel 980 toglie il regno e la vita al fratellastro Jaropolk, il quale aveva fatto lo stesso col fratello Oleg.
Sono i metodi del tempo.
Così sale al trono chi sarà chiamato “il Santo” dalla voce popolare.
Dapprima Vladimiro appoggia i culti pagani.
Ma poi cristianizzerà lo Stato, attraversando vicende che sono narrate vivacemente da un documento attribuito al monaco Nestore di Kiev: la Cronaca degli avvenimenti passati.
Qui troviamo un Vladimiro dapprima violento e sensuale, e poi diverso, nuovo, che si interessa di ebraismo, islam e cristianesimo.
La politica lo spinge poi ad allearsi con l’Impero cristiano di Costantinopoli, e ad aiutarlo coi suoi soldati a domare una rivolta.
Vladimiro salva l’Impero, e vuole in cambio come moglie la principessa Anna, sorella degli imperatori Basilio II e Costantino VIII.
Pare che le nozze si celebrino già durante il conflitto, ma poi Basilio II rifiuta di lasciar partire Anna.
Allora Vladimiro occupa finalmente la città imperiale di Cherson, in Crimea (luglio 989), e si porta a casa Anna: Basilio ha ceduto.
Eccolo a Kiev come principe cristiano, avendo ricevuto il battesimo a Cherson. All’epoca le due Chiese di Roma e di Costantinopoli sono unite, sebbene in continuo dissenso.
Il Papa Giovanni XV manda ambasciate a Vladimiro, e così Roma è “presente” alla nascita del nuovo regno cristiano (e infatti il culto per Vladimiro sarà poi riconosciuto da entrambe le Chiese).
Ma a Kiev prevale l’influenza religiosa bizantina; sicché, con lo scisma d’Oriente avvenuto nel 1054, la Chiesa di Kiev seguirà Costantinopoli.
Resta da vedere come Vladimiro si guadagni il titolo di santo. Ha sì battezzato il suo popolo: ma come sbrigativo sovrano che comanda, non come apostolo che persuade (dopo di lui ci saranno infatti moti anticristiani).
La buona fama si forma più tardi, grazie al mutamento della sua vita, che deve impressionare chi l’ha conosciuto prima.
La sua generosità, dice un cronista, "riscatta i dissoluti costumi di un tempo".
Egli mitiga poi in senso cristiano le leggi e pone i problemi dell’educazione e dell’aiuto ai poveri tra i doveri dei regnanti.
Nel 1011, essendo morta Anna, Vladimiro sposa una nipote dell’imperatore Ottone I, collegandosi anche con l’Impero di nazione germanica.
La sua vita austera negli ultimi anni – sempre facendo i confronti – e la sua mitezza lo rendono ancora più popolare, motivando l’appellativo di “Santo” dopo la morte.
E il suo nome verrà tramandato nel tempo da un vasto fiorire di leggende e ballate popolari.
(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vladimiro di Kiev, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (15 Luglio)