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Santi del 10 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Sant’Alderico di Sens - Vescovo (10 Ottobre)

VIII-IX sec.
Alderico è un vescovo santo di Sens, vissuto tra la fine dell’VIII secolo e la prima metà del IX.
Nell’elenco dei vescovi della diocesi figura, al quarantaduesimo posto, dopo Geremia e prima di Guenilone.
Sant’Alderico nacque in una nobile famiglia del Gâtinais (o Gâtine), intorno all’anno 790.
Slderico entrò giovane nel monastero di San Pietro e Paolo nell’abbazia di Ferreières-en-Gâtinais. Stimato dal vescovo Geremia e da tutta la popolazione di Sens, fu chiamato alla corte di Ludovico il Pio per essere prima, maestro di palazzo e poi, cancelliere di Pipino I di Aquitania.
Nell’anno 821, alla morte di Adalberto, Alderico fu nominato a succedergli come abate del monastero di Ferreières-en-Gâtinais ruolo che, mantenne per otto anni fino a quando il giorno 6 giugno 829 fu ordinato vescovo di Sens.
Alderico durante il suo governo pastorale della diocesi si dedicò alla disciplina religiosa e alla riforma del clero.
Nell’anno 829, quale vescovo partecipò al concilio di Parigi e nell’anno 835 a quello di Thionville.
Morì nell'840 o 841 e il suo corpo, secondo il suo desiderio, fu sepolto nell’abbazia di Ferreières-en- Gâtinais.  
Solo più tardi i suoi resti sono stati depositati in un magnifico santuario, che gli iconoclasti ugonotti dispersero nel 1569, con l'eccezione di alcune ossa.
Il culto per Sant’Alderico ha origini antiche ed oltre che ad essere stato indicato quale protettore di Sens, viene invocato per ottenere la guarigione dalle congestioni cerebrali.
La sua festa è stata fissata nel giorno 10 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant’Alderico di Sens, pregate per noi.

*Beata Angela Maria (Sofia Camilla) Truszkowska (10 Ottobre)  

Kalisz, Polonia, 16 maggio 1825 - 10 ottobre 1899
Nata a Kalisz in Polonia, fondò la Congregazione delle Suore di San Felice da Cantalice.
Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, Beata Angela Maria (Sofia Camilla) Truszkowska, vergine, che fondò la Congregazione delle Francescane sotto il titolo di San Felice da Cantalíce in aiuto dei ragazzi abbandonati, dei poveri e degli emarginati.
Sofia Camilla Truszkowska nacque il 16 maggio 1825 in una famiglia benestante di Kalisz (Polonia), il padre era un uomo di legge. Venne al mondo prematuramente e fu battezzata solo il 1° gennaio 1826.
Ricevette in casa una prima istruzione da una dama dotata di eccellenti qualità, sia intellettuali che morali. La bimba si dimostrò subito vivace e buona di cuore, fin da piccola ebbe un occhio particolare per i poveri. La madre, attenta e premurosa, dedicava a lei, che era la primogenita, ed ai fratelli tutte le sue giornate. Trasferitasi con la famiglia a Varsavia si iscrisse alla prestigiosa Accademia di Madame Guerin, suo maestro fu il poeta Jachowicz che contribuì ad infonderle nell'animo sentimenti buoni e altruisti.
Fu costretta ad interrompere gli studi quando, all’età di sedici anni, contrasse la tubercolosi. Per curarsi soggiornò un anno in Svizzera. Durante questo periodo Sofia maturò l’inclinazione alla solitudine e, contemplando il maestoso scenario delle Alpi, sentì la volontà di consacrarsi al Signore. Affermerà in futuro che lì imparò a pregare.
Tornata a Varsavia cominciò il suo impegno caritatevole verso i poveri e gli emarginati della società. Mentre arricchiva la sua cultura grazie alla vasta biblioteca paterna, costante e sentita era la frequenza dei Sacramenti. Pensò di entrare nel monastero delle Visitandine, ma, seguendo il suggerimento del confessore, si dedicò alle cure del padre infermo. Durante una permanenza a Colonia, di ritorno col padre dalle terme di Salzbrunn, tra le volte silenziose del Duomo, comprese che il Signore la voleva sua Sposa, anche se ancora non comprendeva in quale modo.
Nel 1854 fondò un asilo per prestare assistenza ad alcuni bambini orfani. Si iscrisse al Terz’Ordine Francescano prendendo il nome di Angela. Suo padre spirituale divenne il cappuccino P. Onorato Kozminski (1829 – 1916), anch’egli poi dichiarato beato. Resterà suo confessore fino alla morte. Dopo qualche tempo, con la cugina Clotilde, trasferì la propria residenza nell’asilo così da essere presente alle necessità dei piccoli ospiti giorno e notte. Il 21 novembre 1855, con la cugina, si consacrò al Signore, con lo scopo di servire i poveri. Nasceva in quel momento la futura Congregazione delle Suore di S. Felice da Cantalice. Angela portava spesso gli orfani alla chiesa dei
Cappuccini di Cracovia. Qui pregava sovente davanti al quadro che raffigura proprio S. Felice che abbraccia Gesù Bambino. Nel Divin Redentore fattosi uomo meditava l'amore misericordioso di Dio che chiama a sé l'umanità. Come il santo cappuccino voleva anche lei abbracciare e aiutare, in nome del Signore, tutti coloro che avrebbe incontrato sulla sua strada.
Il numero degli orfani accolti divenne consistente in poco tempo e il Beato Onorato fu nominato Direttore dell’Istituto. Il 10 aprile 1857, con nove compagne, vestì l’abito religioso divenendo Suor Maria Angela. La Comunità si aggregò al Terz’Ordine Francescano.
Per la Polonia erano gli anni difficili dell’occupazione russa. L’Istituto fu riconosciuto solo come opera di carità, le congregazioni religiose infatti erano vietate. Lo sviluppo fu comunque imponente, in soli sette anni vennero aperte trentaquattro case. Nacque inoltre il ramo contemplativo per far confluire tutte coloro che aspiravano alla clausura: oggi il loro nome è Suore Cappuccine di S. Chiara. La Madre, come veniva ormai chiamata Suor Angela, pur mantenendo il governo di entrambi gli istituti, si ritirò in quello contemplativo. Fu eletta Superiora nel 1860 e poi confermata nel 1864.
Nel 1863 il popolo polacco insorse contro gli invasori, le Suore Feliciane trasformarono le loro case in ospedali per curare i feriti, polacchi e russi indifferentemente. Il 16 dicembre 1864 invece i russi, sospettando dell'appoggio delle suore agli insorti, soppressero l’istituto. La Beata, col ramo claustrale, si ritirò presso le Suore Bernardine, le altre tornarono alle loro case. Dopo un anno l’Imperatore Francesco Giuseppe acconsentì alla ricostituzione della Congregazione ma Madre Angela, a causa di una malattia, poté raggiungere le sue suore a Cracovia solo il 17 maggio 1866. Due anni dopo fu eletta Superiora Generale, professando pubblicamente i voti perpetui. L’anno successivo però rinunciò all’incarico a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute, compresa una grave sordità. Visse i restanti trent’anni della vita (dal 1869 al 1899) in assoluto ritiro, dando un grande esempio di virtù alle consorelle. In questi anni fu intensa l’attività epistolare. Trascorreva le giornate pregando, spesso col S. Rosario, preoccupandosi del decoro della chiesa. Coltivava, a tale scopo, personalmente i fiori e cuciva gli abiti sacerdotali.
Nel 1872 fu colpita da un cancro allo stomaco, le sofferenze furono per anni tali che si pensò, ad un certo punto, che avesse perso anche le facoltà mentali. Lei, nel silenzio, offriva le sue pene al Signore per il bene dell’Opera.
Nel 1874 l’Istituto ottenne da Pio IX il “decretum laudis”. Nello stesso anno partirono le prime missionarie per le Americhe, la Beata le benedisse personalmente. Nel luglio del 1899, tre mesi prima della sua morte, furono approvate definitivamente le Costituzioni.
Il cancro ormai aveva devastato il suo fisico, colpendo anche la colonna vertebrale. Al capezzale erano presenti molte suore, alle quali impose la mano benedicente. Madre Angela Truszkowska si spense il 10 ottobre 1899. Le sue spoglie sono oggi venerate nella chiesa della Casa Madre di Cracovia. Giovanni Paolo II l’ha elevata agli onori degli altari il 18 aprile 1993.

(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Angela Maria Truszkowska, pregate per noi.

*Santi Cassio e Fiorenzo - Martiri (10 Ottobre)  

m. Bonn (Germania), inizio IV secolo
I santi Cassio e Fiorenzo ed i loro compagni sono ritenuti dei soldati della Legione Tebea scampati all’eccidio di Agauno (odierna Saint-Maurice in Svizzera), ma non come tali sono ricordati dal nuovo Martyrologium Romanum.
Raggiunsero la città tedesca di Bonn, ove si dedicarono all’evangelizzazione delle popolazioni locali. Furono quindi anch’essi decapitati in odio alla fede cristiana.

Patronato: Bonn (Germania)
Emblema: Palma, Spada, Stendardo, Croce Maurizian
Martirologio Romano: A Bonn ancora in Germania, Santi Cassio e Fiorenzo, martiri.
La città di Bonn festeggia in data odierna un misterioso gruppo di martiri citati dal nuovo Martyrologium Romanum, approvato all’alba del terzo millennio da Giovanni Paolo II: “A Bonn in Germania, ricordo dei Santi Cassio e Fiorenzo, martiri”. Per meglio comprendere l’origine del culto di questi intrepidi testimoni della fede cristiana, occorre però ripercorrere brevemente la vicenda della celebre Legione Tebea, alla quale la pietà popolare ha sempre riservato una particolare devozione ed ha leggendariamente arruolato i santi oggi in questione.
Sempre il nuovo Martyrologium Romanum riporta al 22 settembre: “A Saint-Maurice-en-Valais in Svizzera, ricordo dei Santi martiri Maurizio, Essuperio, Candido, soldati, che, come narra Sant’Eucherio di Lione, con i loro compagni della Legione Tebana e il veterano Vittore, nobilitarono la storia della Chiesa con la loro gloriosa passione, venendo uccisi per Cristo sotto l’imperatore Massimiano”. Seppur sinteticamente sono così ben riassunte le poche certezze che danno un fondamento storico al vasto culto che l’”Angelica Legio” ha avuto in Europa in particolare sui molteplici versanti alpini.
Secondo successive cronache solo due furono i soldati ufficialmente scampati a tale sanguinoso eccidio, cioè i santi oggi venerati, ma un po’ ovunque iniziarono a fiorire leggende su altri soldati che
trovarono rifugio in svariate località, ove intrapresero una capillare opera di evangelizzazione per poi subire anch’essi il martirio.
Nel Vecchio Continente se ne contano all’incirca 400, così suddivisi geograficamente: 58 in Piemonte, 15 in Lombardia, 2 in Emilia, 10 in Francia, 325 in Germania, 5 in Svizzera e 2 in Spagna. E questo non è purtroppo che un incompleto e sommario elenco.
Uno di questi casi è costituito appunto dai santi Cassio e Fiorenzo, che impregnarono con il loro sangue la terra tedesca e più precisamente la città di Bonn. Come in tutti i casi simili è assai arduo distinguere tra realtà e fantasia le numerose leggende sorte sul loro conto.
Quando nella città tedesca si rinvennero dei resti umani, si suppose ingenuamente che essi potessero appartenere ai suddetti martiri. Andando alla ricerca di un qualche fondamento storico ci si può imbattere in talune prove archeologiche che non possono far altro che attestare l’antichità del culto dei martiri, ma non possono purtroppo fornirci una visione dettagliata della loro vita terrena. Alcune tardive quanto improbabili leggende, come avvenuto per il vicino San Gereone, sostengono il ritrovamento delle reliquie dei santi addirittura da parte dell’imperatrice Santa Elena, che fece edificare anche una primitiva chiesa in loro onore.
In sostanza le uniche cose certe paiono essere quei pochi dettagli riportati dal nuovo martirologio, cioè il ricordo dei Santi Cassio e Fiorenzo al 10 ottobre presso Bonn, vissuti in epoca imprecisata.
Il presupposto che i due martiri ed un numero imprecisato di loro leggendari compagni abbiano militato nella Legione Tebea ha automaticamente conferito loro la presunta nazionalità egiziana e ciò ha contribuito alla diffusione del culto anche presso la Chiesa Copta, che venera dunque specificatamente non solo San Maurizio ma anche tutti quei suoi leggendari compagni il cui ricordo si è diffuso in un qualche piccolo santuario d’Europa.
Nel 1991, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario del martirio di questi santi, il Patriarca di Alessandria e di Tutta l’Africa Papa Shenoud tramite un suo delegato ricevette in dono alcune reliquie di Maurizio, Cassio e Fiorenzo.
L’iconografia relativa a questi Santi martiri è solita presentarlo con tutti gli attributi tipici dei soldati tebei: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Cerbonio (Cerbone) di Populonia - Vescovo (10 Ottobre)  

Sec. VI
"Chi non beve a san Cerbone è un ladro o un birbone". La saggezza popolare ha immortalato così la "fonte di san Cerbone", in Maremma, che sgorga presso una cappella romanica, dove furono miracolosamente traslate le spoglie del Santo.
Sulla collina sovrastante sorgeva l'etrusca Populonia, di cui Cerbone (o Cerbonio) fu vescovo nel VI secolo. La difese dapprima dalle incursioni dei Goti. Il re Totila lo mise a morte, ma l'orso che lo doveva sbranare si ammansì ai suoi piedi. Vennero poi i Longobardi. E Cerbone riparò all'Isola d'Elba, dove morì. Una tempesta si placò per consentire il ritorno del corpo sulla costa. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Populonia in Toscana, San Cerbonio, vescovo, che, come riferisce il Papa San Gregorio Magno, durante l’invasione longobarda della regione, si ritirò sull’isola d’Elba, offrendo numerosi esempi della sua virtù.
Nel piccolo golfo di Baratti, in Maremma, dominato dalla collina sulla quale molti secoli or sono sorse l'etrusca Populonia, a fiore del livello marino e in mezzo alle antiche tombe che ogni tanto riemergono dagli scavi, sgorga una fonte, sulla quale è costruita una piccola cappella di stile romanico.
É la fonte di San Cerbone, e un proverbio del luogo dice: " Chi non beve a San Cerbone - è un ladro o un birbone ".
Tra le città dell'antica Dodecàpoli etrusca, quella di Populonia aveva il primato della metallurgia. Dalla vicina isola d'Elba venivano trasportati, nel piccolo golfo ben protetto, i minerali di ferro e di rame, che a Populonia erano " abbrustoliti " nei forni a basso fuoco, Per tutto il periodo etrusco e romano, i " bassi fuochi " di Populonia fumarono, e migliaia di schiavi sudarono attorno alla fusione dei metalli.
Tutta la vallata, tra le colline e il mare, si riempì così di scorie provenienti dai rifiuti dei forni. Scorie ancora ricche di ferro e di rame, e che oggi possono essere nuovamente sfruttate. Proprio scavando tra queste scorie si sono trovate, e si seguitano a trovare, le belle tombe etrusche.
Durante le incursioni dei barbari, l'industria mineraria di Populonia decadde, il porto s'insabbiò, il golfo si ridusse di superficie, e la malaria portò la desolazione dove un tempo era stata la vita della città metallurgica. San Cerbone fu Vescovo di Populonia proprio nel tempo delle invasioni barbariche. Di lui parla San Gregorio Magno, nei suoi Dialoghi, definendolo " uomo di vita venerabile, che dette grandi prove di santità ".
La più celebre di queste prove la dette quando Totila ricercava alcuni militi romani e cristiani. Il Vescovo di Populonia li nascose, e per questo incorse nell'ira del Re barbaro, che decretò la sua morte per mezzo delle fiere. Mandò il Vescovo nel cosiddetto Campo del Merlo, dove un ferocissimo orso avrebbe dovuto sbranarlo, alla presenza dello stesso Re.
Lo spettacolo sembrava promettere grandi emozioni, ma Totila non aveva previsto un fatto che lo sbalordì. Quando l'orso giunse dinanzi al Vescovo Cerbone, rimase per un istante quasi pietrificato
nell'atto dell'aggressione, con le zampe anteriori alzate e le fauci spalancate. Poi, lentamente, ricadde sugli artigli, chiuse la bocca, e prese a leccare con inaspettata mansuetudine i piedi del Vescovo Santo.
Totila rilasciò San Cerbone, ma dopo i Goti di Totila giunsero i Longobardi, a scacciare il Vescovo di Populonia, che riparò nell'isola di Elba.
Ormai vecchio e cadente, sentendo vicina la morte, pregò i suoi fedeli di seppellirlo sulla riva del mare, sotto Populonia. Dei Longobardi, che occupavano la costa, non avessero paura. Infatti, quando la nave si staccò dall'Elba, sullo stretto si scatenò una delle consuete tempeste, che tenne lontani i Longobardi, ma rispettò la nave dove si trovava la salma del Santo.
In fretta la sbarcarono; in fretta la seppellirono, dove poi sorse la cappella; in fretta ripartirono.
I Longobardi, cessata la tempesta, non videro che la fonte a fior del livello marino; la fonte di San Cerbone, che restò caratteristica di quel luogo, e dette poi origine al proverbio, ancora ripetuto in Maremma: " Chi non beve a San Cerbone, è un ladro o un birbone ".

(Fonte: Archivio Parrocchia)
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*San Chiaro di Nantes - Vescovo (10 Ottobre)  

Martirologio Romano:
A Nantes nella Gallia lugdunense, ora in Francia, San Chiaro, venerato come primo vescovo di questa città.
Nulla di preciso si conosce su Chiaro che fu vescovo di Nantes quasi certamente nel sec. IV.
Tradizioni tardive ne hanno fatto un discepolo di San Lino Papa e dello stesso san Pietro.

Nell'878, durante le invasioni normanne, i suoi resti furono trasferiti a Sant'Albino di Angers:
questa traslazione è commemorata il 25 ottobre, mentre la festa di Chiaro viene celebrata al 10 ottobre nei Propri di Nantes, Vannes e St-Brieuc.

(Autore: Pierre Villette – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Daniele Comboni - Vescovo (10 Ottobre)

Limone del Garda (Brescia), 15 marzo 1831 - Khartum (Sudan), 10 ottobre 1881
Dopo anni di oblio, nel 1800 le terre africane sono percorse da esploratori, mercanti e agenti commerciali delle potenze europee. Accanto a questi operatori vi erano spesso esploratori dello spirito, missionari che volevano portare l'annuncio di Cristo alle popolazioni indigene.
Tra costoro occupa un posto di rilievo San Daniele Comboni (1831-1881), che fin da giovane scelse di diventare missionario in Africa. Ordinato sacerdote nel 1854, tre anni dopo sbarca in Africa.
Il primo viaggio missionario finisce presto con un fallimento: l'inesperienza, il clima avverso, l'ostilità dei mercanti di schiavi costringono Daniele a tornare a Roma.
Alcuni suoi compagni si lasciano vincere dallo scoramento, egli progetta un piano globale di evangelizzazione dell'Africa.
Mette poi in atto una incisiva opera di sensibilizzazione a Roma e in Europa e fonda diversi istituti maschili e femminili, oggi chiamati comboniani.
Di nuovo in Africa nel 1868, Daniele può finalmente dare avvio al suo piano. Con i sacerdoti e le suore che l'hanno seguito, si dedica all'educazione della gente di colore e lotta instancabilmente contro la tratta degli schiavi.
Le comunità da lui fondate seguono il modello delle riduzioni dei Gesuiti in America Latina. Spirito aperto e intraprendente, Comboni comprende presto l'importanza della stampa. Scrive numerose opere di animazione missionaria e fonda la rivista Nigrizia che è attiva ancora oggi.
Negli anni 1877-78 vive insieme con i suoi missionari e missionarie la tragedia di una siccità e carestia senza precedenti. Era l'anticipazione della morte sopraggiunta nel 1881. Nel 2003, nel
giorno della canonizzazione, Giovanni Paolo II lo definì un «insigne evangelizzatore e protettore del Continente Nero». Principalmente alla sua opera si deve se il cristianesimo in Africa ha oggi un futuro di speranza.
Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nella città di Khartum in Sudan, san Daniele Comboni, vescovo, che fondò l’Istituto per le Missioni Africane e, nominato vescovo in Africa, si prodigò senza mai lesinare energie nel predicare il Vangelo in quelle regioni e nel prendersi in tutti i modi cura della dignità degli esseri umani.
Autunno 1857: partono per il Sudan cinque missionari mandati da don Nicola Mazza di Verona, educatore ed evangelizzatore. Fine 1859: tre di essi sono già morti, due rifugiati al Cairo, e a Verona torna sfinito il quinto. È Daniele Comboni, unico superstite degli otto figli dei giardinieri Luigi e Domenica, sacerdote dal 1854. Riflette a lungo su quel disastro e su tanti altri, giungendo a conclusioni che saranno poi la base di un “Piano”, redatto nel 1864 a Roma.
In esso Comboni chiede che tutta la Chiesa si impegni per la formazione religiosa e la promozione umana di tutta l’Africa. Il “Piano”, con le sue audaci innovazioni, è lodatissimo, ma non decolla. Poi, per avversioni varie e per la morte di don Mazza (1865), Comboni si ritrova solo, impotente.
Ma non cambia. Votato alla “Nigrizia”, ne diventa la voce che denuncia all’Europa le sue piaghe, a
partire dallo schiavismo, proibito ufficialmente, ma in pratica trionfante.
Quest’uomo che sarà poi vescovo e vicario apostolico dell’Africa centrale, vive un duro abbandono, finché il sostegno del suo vescovo, Luigi di Canossa, gli consente di tornare in Africa nel 1867, con una trentina di persone, fra cui tre padri Camilliani e tre suore francesi, aiuti preziosi per i malati.
Nasce al Cairo il campo-base per il balzo verso Sud. Nascono le scuole. E proprio lì, nel 1869, molti personaggi venuti all’inaugurazione del Canale di Suez scoprono la prima novità di Comboni: non solo ragazzi neri che studiano, ma maestre nere che insegnano. Inaudito. Ma lui l’aveva detto: "L’Africa si deve salvare con l’Africa".
Poi si va a Sud: Khartum, El-Obeid, Santa Croce... Lui si divide tra Africa ed Europa, ha problemi interni duri. Ma "nulla si fa senza la croce", ripete.
Una croce per tutte: il suo confessore lo calunnia, e Comboni continua a fare la sua confessione a lui. Un leone che sa essere dolce. Uno che
per gli africani è già Santo, che strapazza i pascià, combatte gli schiavisti e serve i mendicanti.
Da lui l’africano impara a tener alta la testa. Nell’autunno 1881 riprendono le epidemie: vaiolo, tifo fulminante, con strage di preti e suore in Khartum desolata.
Comboni assiste i morenti, celebra i funerali, e infine muore nella casa circondata da una folla piangente. Ha 50 anni.
Poco dopo scoppia la rivolta anti-egiziana del Mahdi, che spazza via le missioni e distrugge la tomba di Comboni (solo alcuni resti verranno in seguito portati a Verona).
Dall’Italia, dopo la sua morte, si chiede ai suoi di venir via, di cedere la missione. Risposta dall’Africa: "Siamo comboniani". E non abbandonano l’Africa. Ci sono anche ai giorni nostri, in Africa e altrove.
Ne muoiono ancora oggi. Intanto il Sudan ha la sua Chiesa, i suoi vescovi. E ora il suo patrono: Giovanni Paolo II ha proclamato Beato Daniele Comboni nel 1996. E' stato canonizzato a Roma da Giovanni Paolo II il 5 ottobre 2003.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*San Daniele e Compagni - Martiri a Ceuta (10 Ottobre)  

Nel 1227, sette Frati Minori (Daniele di Calabria, Angelo, Samuele, Donnolo, Leone, Nicola, Ugolino) partirono come missionari del Vangelo tra i maomettani. Giunti nel Marocco, cominciarono subito a predicare il nome di Cristo.
Incarcerati e spinti con lusinghe e minacce ad abiurare la fede cristiana, resistettero da forti; furono perciò condannati alla decapitazione. I loro corpi pietosamente raccolti dai cristiani, furono sepolti a Ceuta. Leone X li annoverò tra i santi martiri.

Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Ceuta nel territorio dell’odierno Marocco, passione di sette Santi martiri dell’Ordine dei Minori, Daniele, Samuele, Angelo, Leone, Nicola e Ugolino, sacerdoti, e Domno, che, mandati da frate Elia a predicare il Vangelo di Cristo ai Mori e patiti insulti, carcere e torture, conseguirono, infine, con la decapitazione la palma del martirio.
Sulle ultime vicende di questi missionari francescani, si possiedono due relazioni che dall'esame del testo sembrano contemporanee agli avvenimenti. Molti critici, però, non ritengono coeva la lettera di
un certo Mariano da Genova che avrebbe scritto a frate Elia per informarlo sulla sorte gloriosa dei missionari. Questo documento non sarebbe stato composto pochi giorni dopo il martirio, come afferma il compilatore. bensi nel sec. XVI-XVII.
Sette francescani al principio del 1227 (dirigeva allora l'Ordine frate Elia) fecero vela dalla Toscana per la Spagna con l'intenzione di recarsi successivamente nel Marocco per convertire gli infedeli; erano gli anni dei grandi entusiasmi missionari del giovane Ordine Francescano.
A capo del gruppo era Daniele, originario di Belvedere in Calabria e già provinciale della medesima regione, mentre gli altri si chiamavano Samuele, Angelo, Domno (o Donulo) di Montalcino, Leone, Niccolò di Sassoferrato e Ugolino.
Dopo una breve permanenza in terra di Spagna, in due scaglioni a breve distanza l'uno dall'altro, si trasferirono a Ceuta nel Marocco.
Era un atto veramente coraggioso, perché le autorità locali avevano proibito nella zona ogni forma di propaganda cristiana.
Svolsero per qualche tempo un'attività presso i numerosi mercanti di Pisa, Genova e Marsiglia che
risiedevano nella città, poi, ai primi dell'ottobre 1227, decisero di iniziare la predicazione in mezzo ai musulmani.
Nelle strade di Ceuta, parlando in latino e in italiano (non conoscendo la lingua locale), annunziarono Cristo, bollando con roventi parole la religione di Maometto.
Le autorità ordinarono la loro cattura: i missionari, dopo essere stati sottoposti a vari interrogatori, furono inviati ad abbracciare l'Islam e poi, di fronte alla loro mirabile costanza, vennero decapitati.
I loro corpi furono straziati; tuttavia, i mercanti cristiani occidentali recuperarono i miseri resti e li seppellirono nei sobborghi di Ceuta.
In seguito, le ossa furono trasferite in Spagna, ma Oggi non si sa con precisione ove siano venerate, quantunque città della Spagna, del Portogallo e dell'Italia vantino il possesso di qualche reliquia. Leone X, con decreto del 22 gennaio 1516, ne permise il culto per il 13 ottobre.

(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Daniele e Compagni, pregate per noi.

*Beato Demetrio d'Albania - Terziario Francescano (10 Ottobre)

† 10 ottobre 1491
Dall'Albania, dove era nato, giunse in Italia nel 1441 fermandosi a Spoleto. Qui vestì l'abito del Terz'Ordine, rimanendo sotto l'obbedienza del Beato Gregorio di Spoleto, anch'egli terziario francescano ed eremita, in uno dei dodici romitaggi di Monte Luco, per cinquant'anni, dedicandosi alle penitenze e all'orazione.
Morì il 10 ottobre 1491.
Il suo corpo fu sepolto nella chiesa del convento di San Paolo dei Frati Minori Osservanti, fuori di Spoleto, non lungi da Monte Luco. La sua memoria viene fatta il 10 ottobre.

(Autore: Antonio Blasucci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beato Edoardo Detkens - Sacerdote e Martire (10 Ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”

Mokotów, Polonia, 14 ottobre 1885 – Linz, Austria, 10 ottobre 1942
Sacerdote diocesano.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: Presso Linz in Austria, Beato Edoardo Detkens, martire, che, di origine polacca, morì nella medesima persecuzione in una camera a gas.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santi Eulampio ed Eulampia - Martiri (10 Ottobre)

Sant’Eulampio ed Eulampia, sua sorella, subirono il martirio cristiano presso Nicomedia in Bitinia durante la persecuzione promossa dall’imperatore Diocleziano.
Martirologio Romano:
A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, Santi Eulampio e sua sorella Eulampia, martiri durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
Secondo gli Acta leggendari, per aver beffato le misure anticristiane dell'imperatore Massimiano e rifiutato di sacrificare agli idoli, Eulampio fu sottoposto alle torture.

A un certo momento, egli espresse il desiderio di andare al tempio, dove rovesciò e ridusse in pezzi uno degli idoli principali.
Ricondotto al luogo delle torture, fu raggiunto da sua sorella, Eulampia, impaziente di offrire la sua vita a Cristo.
Gettati tutti e due nell'olio bollente, ma rimasti illesi, ebbero la testa tagliata.
La loro sorte fu divisa da cento altre persone che si erano convertite alla vista del miracolo.
Sia nei sinassari bizantini che nel Martirologio Romano la memoria dei due martiri è ricordata il 10 ottobre; il loro culto veniva specialmente celebrato nella chiesa a Costantinopoli.

(Autore: Hyacinthe Celinski - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi Eulampio ed Eulampia, pregate per noi.

*San Folco - Abate di Fontenelle (10 Ottobre)

IX sec.
San Folco (Foulques) è un abate della celebre abbazia di Fontenelle presso il villaggio di Saint-Wendrille-Ra çon in Normandia, fondata da San Vendregisilo intorno agli anni 648, adottando la regola di Colombano di Bobbio.
San Folco è inserito al ventunesimo posto nell’elenco degli abati, dopo Giuseppe I. Egli resse le sorti del monastero, negli anni tra l’834 e il 841.
Di lui non sappiamo nulla.
Si ricorda solo che nell’anno 836 Ludovico il Pio, lo inviò presso il suo figlio Lotario perché lo istruisse sui suoi doveri verso la Chiesa.
Una missione questa che risultò fallimentare.
Alcuni ipotizzano che sia morto intorno agli anni 845 - 846.
La sua festa nel martirologio dell’abbazia era fissata alla data del 10 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Folco, pregate per noi.

*Beato Galeotto Roberto Malatesta - Confessore (10 Ottobre)

Beato Galeotto Roberto MalatestaSec XV
Al nome dei Malatesta, il pensiero corre subito alla Romagna e a Rimini, la città che dal XII secolo fu la signoria di questa celebre e potente famiglia, insieme con gran parte della Marca d'Ancona.
Ma il nome dei Malatesta, Signori di Rimini, non evoca di solito ricordi di santità o di perfezione spirituale. Evoca piuttosto echi di successi guerreschi e mondani, spesso privi di scrupoli, conditi di superbia e di crudeltà, di ambizione e di sopraffazione.
Anche il più celebre membro della famiglia, Sigismondo Pandolfo, uno dei più valenti condottieri del '400, ebbe una vita estremamente turbinosa e non certo esemplare dal punto di vista morale e spirituale.
Se ne riscattò soltanto in parte con il suo tenace amore per Isotta degli Atti e per il suo mecenatismo verso uomini d'afte e di cultura, di cui è testimonianza, a Rimini, lo splendido Tempio Malatestiano, costruito da Leon Battista Alberti architetto, e decorato da Agostino di Duccio scultore e da Piero della Francesca pittore.
Può sorprendere, dunque, trovare il cognome dei Malatesta portato da un Santo, o meglio da un Beato, il Beato Roberto. Non si tratta di un caso di omonimia, ma proprio del figlio del Signore di Rimini, nato a Brescia nel 1411 e vissuto - brevissimamente - nella città adriatica che avrebbe visto poco dopo i fasti e i nefasti di Sigismondo Pandolfo.
Nella storia politica della famiglia Malatesta, la vita di Roberto trascorse quasi senza peso. Era un giovane delicato, di salute e di anima, al quale, sedicenne, venne data in sposa, contro la sua volontà, ma per precisi criteri dinastici, la giovane Margherita d'Este, nata nella famiglia dei Signori di Ferrara.
I due giovanissimi sposi vissero insieme castamente e santamente, quasi isolati, nella corazza della
loro virtù, da quello che era, di regola, l'ambiente frivolo e superbo delle grandi famiglie signorili dei tempo.
Roberto era terziario francescano, e del Terzo Ordine osservò la Regola con una fedeltà e una costanza degna di un vero asceta.
Si fece ammirare e amare per pietà e carità, soprattutto nei confronti degli infermi, e addirittura dei lebbrosi.
Morì, forse di contagio, quando aveva soltanto ventitré anni. A Rimini lasciò commosso rimpianto, ma sembrò che il ricordo di quel giovane fragile e schivo dovesse presto scomparire, nell'ombra gettata da altri personaggi ben più imponenti e di imprese ben più clamorose.
Così invece non fu, se la memoria di Roberto Malatesta, venerato come Beato, è sopravvissuta tenace fino ai nostri giorni, proprio grazie ai delicati meriti del giovane signore di Rimini, il quale aggiunse al nome ammirato e temuto dei Malatesta il profumo della difficile santità.

(Fonte: Archivio Parrocchia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Gereone e Compagni - Martiri (10 Ottobre)

m. Colonia (Germania), inizio IV secolo
Si tratta di uno dei santi da sempre indicati come «padri» nella fede per la città renana di Colonia. Il Martirologio romano lo riporta come martire assieme a un numero imprecisato di compagni «che con sincera pietà offrirono coraggiosamente il collo alla spada». Queste poche parole riflettono i frammenti di storia che riguardano questo santo e che la Chiesa riconosce come credibili. Il resto rimane purtroppo in una fitta nebbia aggravata dalla lontananza nel tempo. Il dato centrale, quindi, sarebbe quello del martirio per decapitazione, presso la celebre città tedesca, di un gruppo di cristiani capeggiati da un tale Gereone. Gli agiografi, però, si sono sbizzarriti nell'individuare il numero di questi martiri, che, nella versione più accreditata sarebbero stati 319, tutti arruolati nella leggendaria «Legione Tebea». L'iconografia relativa ai Santi Gereone e compagni è solita presentarlo con tutti gli attributi tipici dei soldati tebei: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto. (Avvenire)
Patronato: Colonia (Germania)
Emblema: Palma, Spada, Stendardo, Croce Mauriziana
Martirologio Romano: A Colonia in Germania, santi Gereone e compagni, martiri, che per la vera fede porsero coraggiosamente il collo alla spada.
La città di Colonia, “teatro” della prima Giornata Mondiale della Gioventù del pontificato di Benedetto XVI, festeggia in data odierna un misterioso gruppo di martiri, primi in tale centro abitato, citati dal nuovo Martyrologium Romanum, approvato all’alba del terzo millennio da Giovanni
Paolo II: “A Colonia in Germania, ricordo dei Santi Gereone e compagni, martiri, che con sincera pietà offrirono coraggiosamente il collo alla spada”.
Queste sintetiche parole delineano dunque la versione ufficiale della Chiesa, cioè il martirio per decapitazione, presso la celebre città tedesca, di un gruppo di cristiani capeggiati da un tale Gereone. Nulla di più infatti è possibile dire sul loro conto con certezza storica.
Fantasiosi agiografi non hanno però esitato a sbizzarrirsi nell’azzardare il numero di questi martiri, definito quale 319, ed arruolarli nella leggendaria Legione Tebea, come d’altronde centinaia di altri antichi martiri tedeschi e decine di martiri nel resto dell’Europa occidentale, concentrati prevalentemente tra la pianura padana e la Svizzera. Quest’ultima vide verso la fine del II secolo dell’era cristiana lo spargimento di sangue della cosiddetta “Angelica Legio”, un’esercito di origini egiziane che rifiutò l’ordine imperiale di adorare divinità pagane o, secondo un’altra versione, di uccidere i cristiani indigeni ove erano di servizio. Il martirologio riporta tale commemorazione al 22 settembre, presso Saint-Maurice nel cantone svizzero del Vallese, segnalando i nomi di Maurizio, Essuperio, Candido e del veterano Vittore. Secondo successive cronache solo due furono i soldati ufficialmente scampati a tale sanguinoso eccidio, i santi Urso e Vittore venerati al 30 settembre, ma un po’ ovunque iniziarono a fiorire leggende del tutto infondate storicamente, circa la possibilità che altri soldati avessero trovato rifugio in svariate località, intraprendendovi una capillare opera di evangelizzazione per poi subire anch’essi il martirio.
Ecco uno di questi casi essere appunto costituito San Gereone ed i suoi compagni, che impregnarono con il loro sangue la terra tedesca e più precisamente la città di Colonia. Prova lampante dell’avventatezza dell’arruolamento di questi santi nella legione sta proprio nella nascita quasi casuale del loro culto, originato dal rinvenimento di resti umani presso la città tedesca nel 1121 e dall’ingenua supposizione che si trattasse di reliquie di martiri cristiani. Andando alla ricerca di un fondamento storico ci si imbatte in una prova archeologica consistente in un’iscrizione secondo la quale prima del V secolo qualcuno fu seppellito a Colonia “in compagnia dei martiri”. San Gregorio di Tours, che visse nel VI secolo, ricorda che in città “esisteva una basilica costruita sul luogo in cui cinquanta martiri della Legione Tebea erano stati messi a morte per Cristo”. Sempre Gregorio soggiunse che i preziosi mosaici, che adornavano la chiesa ad essi dedicata, fecero si che i martiri vennero soprannominati “sancti aurei” e forse proprio ciò fece supporre la loro provenienza africana (“Mauri”). E’ curioso che Gregorio non abbia comunque citato il nome di Gereone.
Nel XIII secolo un monaco cistercense si cimentò poi nell’elaborazione di una dettagliata “passio” in cui sostenette il ritrovamento delle reliquie dei santi addirittura da parte dell’imperatrice Santa Elena, che edificò anche la primitiva chiesa in loro onore a Colonia.
In sostanza le uniche cose certe paiono essere quei pochi dettagli riportati dal nuovo martirologio, cioè la decapitazione a Colonia di San Gereone e di alcuni suoi compagni in epoca imprecisata.
Il presupposto che San Gereone e 318 suoi leggendari compagni abbiano militato nella Legione Tebea di origini egiziane, ha contribuito alla diffusione del loro culto anche presso la Chiesa Copta, che venera dunque specificatamente non solo San Maurizio ma anche tutti quei suoi leggendari compagni il cui ricordo si è diffuso in un qualche piccolo santuario d’Europa.
L’iconografia relativa ai Santi Gereone e compagni è solita presentarlo con tutti gli attributi tipici dei soldati tebei: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gereone e Compagni, pregate per noi.

*San Germano di Verona - Vescovo (10 Ottobre)

† 475 circa
San Germano è il diciannovesimo vescovo di Verona. Nella cronotassi ufficiale della diocesi scaligera figura dopo San Valenzio e prima di San Felice.
Di questo vescovo non si può garantire la cronotassi esatta, infatti, nell’elenco dei vescovi fino al XI secolo la questione resta ancora aperta.
Si presume sia morto intorno all’anno 475, e il suo corpo sepolto in San Procolo. I suoi resti sono stati traslati una prima volta, nel 1806 nella basilica di San Zeno maggiore e nel 1988 nel luogo originario. Nel “Catalogus Sanctorum Ecclesiae Veronensis”, Mons. Franco Segala ne trascrive l’elogium dal Martirologio della chiesa veronese: “Veronae sancti Germani eiusdem civitatis episcopi (qui Evangelicae disciplinae propagandae incredibili studio inflammatus, magnam apud populum verobebsem pridentiae et sanctitatis faman suo tempore est consecutus)
Si presume che la chiesa veronese venerò San Germano sotto il nome di Cerbonio, il quale risultava vescovo di Populoni-Massa Marittima e non di Verona. IL suo nome compare nei documenti liturgici dal 1792 al 1836.
Nel martirologio diocesano, era ricordato nel giorno della sua festa il giorno 10 ottobre, fino alla riforma del Proprio veronese, del 1961, voluta dal vescovo Carraro, quando venne annoverato nella festa comune di tutti i vescovi veronesi, e la sua festa venne a cessare.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Giovanni di Bridligton - Sacerdote (10 Ottobre)

† Bridlington, Inghilterra, 10 ottobre 1379
Giovanni era originario di Thwinng, nei pressi di Bridlington in Inghilterra. Appena ventenne, entrò nel priorato di Santa Maria dei Canonici Regolari di Sant'Agostino a Bridlington, sito nella zona orientale della contea di York. Qui divenne sacerdote e fu maestro dei novizi, predicatore, elemosiniere e sottopriore.
Nel 1361 divenne priore, distinguendosi sempre per la pietà, l'austerità, la mansuetudine e l'abilità amministrativa, grazie alla quale il monastero divenne assai fiorente. Giovanni morì il 10 ottobre 1379. Nel 1386 fu compiuto un esame dei miracoli attribuiti alla sua intercessione e nel 1400 il canonico Giovanni Gisburn si recò a Roma per promuoverne la sua canonizzazione. Il 24 settembre 1401 papa Bonifacio IX iscrisse Giovanni di Bridlington nell'albo dei santi. Tre anni dopo il corpo del santo venne traslato in un imponente sepolcro, che divenne meta di pellegrinaggi. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Bridlington in Inghilterra, san Giovanni, sacerdote, che, priore del monastero dei Canonici regolari di Sant’Agostino, rifulse per la preghiera, l’austerità e la mansuetudine.
Secondo il bollandista Paolo Grosjean, autore di un importante studio su questo santo, pubblicando alcuni documenti inediti, Giovanni era originario di Thwinng, nei pressi di Bridlington in Inghilterra.
Entrò appena ventenne nel priorato di Santa Maria dei Canonici Regolari di Sant’Agostino a Bridlington, sito nella zona orientale della contea di York. Qui divenne sacerdote e fu maestro dei novizi, predicatore, elemosiniere e sottopriore. Nel 1361 divenne infine priore, distinguendosi sempre per la pietà, l’austerità, la mansuetudine e l’abilità amministrativa, grazie alla quale il monastero divenne assai fiorente. Giovanni morì il 10 ottobre 1379.
Nel 1386 fu compiuto un esame dei miracoli attribuiti alla sua intercessione, nel 1400 il canonico Giovanni Gisburn si recò a Roma per promuoverne la sua canonizzazione ed infine il 24 settembre 1401 Papa Bonifacio IX iscrisse Giovanni di Bridligton nell’albo dei Santi.
Tre anni dopo il corpo del santo venne traslato in uno splendido sepolcro, che divenne meta di pellegrinaggi. Il sovrano inglese Enrico V, in ringraziamento della vittoria riportata ad Azincourt nel 1415, attribuita all’aiuto del Santo oltre che all’omonimo di Beverley, si recò anch’egli a rendergli omaggio. A San Giovanni di Bridligton vengono talvolta erroneamente attribuite alcune profezie sulla storia inglese, diverse omelie ed un commento dei Salmi.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Leone  Wetmanski - Vescovo e Martire (10 Ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

“Beati 108 Martiri Polacchi”
Zuromin, Polonia, 10 aprile 1886 – Dzialdowo, Polonia, 10 ottobre 1941
Leon Wetmanski, vescovo ausiliare di Plock, cadde vittima dei nazisti in odio alla sua fede cristiana.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Dzialdowo sempre in Polonia, Beato Leone Wetmanski, vescovo ausiliare di Plock, che, durante l’empia persecuzione perpetrata in Polonia contro gli uomini e contro Dio, compì il suo martirio in un campo di prigionia con una impavida morte.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beata Maria dello Sposalizio (Maria Caterina Irigoyen Echegaray) - Vergine (10 Ottobre)

Pamplona, Spagna, 25 novembre 1848 - Madrid, Spagna, 10 ottobre 1918
Suora professa della Congregazione delle Serve di Maria Ministre degli Infermi.
Suor María Catalina Irigoyen Echegaray nasce in pieno secolo XIX, a Pamplona in Spagna, nel cuore della Navarra, l'ultima di otto fratelli e gemella del settimo. Trascorre la sua infanzia e gioventù in un ambiente familiare molto pio e qui matura la sua vocazione religiosa.
Il 31 dicembre 1881, a 33 anni, entra a Pamplona nella Congregazione delle Serve di Maria, fondata da Sr. Maria Soledad Torres Acosta, canonizzata nel 1970 da Paolo VI. Emette a Madrid la sua professione Temporanea il 14 di Maggio di 1883 e la Professione Perpetua il 15 Luglio di 1889.
Madrid è lo scenario della sua vita fino alla morte. Cristo è il centro del suo essere, desidera avere i suoi stessi sentimenti, operare secondo il volere di Dio.
Come pianta trasformata in fiore, sparge il profumo delle buone opere, prodigandosi nel servizio ai malati a domicilio, con carità, pazienza, abnegazione. E’ sufficiente questa testimonianza nel processo di beatificazione: "Con tanta sollecitudine e gentilezza accorreva alle richieste e necessità dei malati che molti di essi la consideravano come madre amorosa e molte famiglie la reclamavano come infermiera ideale".
Dopo 23 anni di servizio ai malati, passa ad occuparsi della raccolta delle donazioni per il
sostentamento dell'Opera per sette anni.
Alla fine della sua vita si vede ridotta alla più assoluta incapacità; accetta la volontà del Padre che la soggetta alla croce della malattia per paragonarla a suo Figlio Crocifisso. Muore il 10 ottobre 1918 lasciando oltre a sé grande fama di santità.
Suor Maria Catalina nasce in pieno secolo XIX, il 25 novembre 1848, a Pamplona, nel cuore della Navarra; è l’ultima di otto fratelli e gemella del settimo. La sua famiglia, imparentata con quella di san Francesco Saverio, è credente e osservante, e contribuisce in maniera decisiva alla maturazione della sua fede.
Maria Catalina viene educata nell’Istituto delle Madri Domenicane, distinguendosi per la sua particolare devozione filiale alla Madonna.
Eletta presidente della Congregazione delle Figlie di Maria, nei momenti liberi visita l’ospedale cittadino per assistere le persone anziane e abbandonate, mentre in casa allestisce con alcune compagne un laboratorio per la confezione di abiti da destinare ai bisognosi. All’età di 30 anni inizia a collaborare con le religiose Serve di Maria, che stanno aprendo una casa a Pamplona; la loro principale opera apostolica è la cura gratuita dei malati, un servizio diurno e notturno reso a domicilio, in cliniche, ospedali, dispensari e ambulatori (l’Istituto conta oggi 1.600 religiose distribuite in 115 comunità, ed è presente in 22 Paesi di Europa, America, Africa e Asia).
Con il passare del tempo il rapporto tra Maria Catalina e la Congregazione si intensifica e si consolida, mentre in lei si delineano i contorni della chiamata alla vita religiosa in quell’Istituto. Domanda così alla fondatrice, santa Maria Soledad Torres Acosta, di esservi ammessa.
E così avviene. Entrata come postulante a Pamplona nel 1881, si trasferisce successivamente a Madrid per il noviziato ed emette i voti temporanei nel maggio 1883.
La capitale sarà lo scenario della sua vita fino all’ultimo giorno. Si prodiga fin da subito nel servizio domiciliare ai malati,
operando sempre con carità, pazienza, determinazione. In quel periodo il colera, la pandemia influenzale e il vaiolo mietono vittime nelle case, provocando l’abbandono dei malati da parte dei familiari per la paura del contagio.
Incurante del pericolo, la religiosa li assiste instancabilmente. E la fama delle sue straordinarie capacità, alimentate dall’inesauribile spirito di carità, si diffonde rapidamente in tutta Madrid, al punto che in alcune stanze vengono appesi cartelli con la scritta: «Se mi ammalo, a curarmi sia suor Maria Catalina».
Dopo 23 anni di servizio agli infermi, a causa di una grave forma di sordità deve rinunciare alla sua amata attività; assume allora il compito di raccogliere le offerte che i benefattori destinano al sostegno delle comunità della Congregazione.
Le sventure però non sono finite. Nel 1913 le viene diagnosticata una tubercolosi ossea, che le causa tremendi dolori. La malattia le blocca il fisico, ma non il cuore e lo spirito: la sua vita diventa una continua preghiera per tutte le intenzioni che le vengono affidate dai tanti che la considerano «fonte di forza e porta per arrivare a Dio».
Suor Maria Catalina si spegne il 10 ottobre 1910 nella casa madre della Congregazione, nel quartiere madrileno di Chamberí, dove oggi riposano le sue spoglie mortali.
Il miracolo si avvera a La Paz, in Bolivia: grazie alla sua intercessione un chirurgo affetto da igroma cerebrale è in grado di riprendersi e tornare al lavoro.
«Con tanta sollecitudine e gentilezza», si legge tra le testimonianze del processo di glorificazione, «accorreva alle richieste e necessità dei malati che molti di essi la consideravano come madre amorosa e molte famiglie la reclamavano come infermiera ideale». Da domani, il nome di questa «madre amorosa» e «infermiera ideale» si troverà scritto nell’elenco dei Beati.

(Autore: Domenico Agasso Jr. - Fonte: www.vaticaninsider.it)
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*San Paolino di York (10 Ottobre)

Roma (?) - Rochester (Inghilterra), 644
Martirologio Romano: A Rochester in Inghilterra, transito di San Paolino, vescovo di York, che, monaco e discepolo del Papa San Gregorio Magno, fu da lui mandato insieme ad altri a predicare il Vangelo agli Angli, dopo aver convertito alla fede di Cristo Eduino re di Northumbria, lavò nel fiume il suo popolo con il lavacro della rigenerazione.
Uscito dal monastero, entra nella storia. Così si può dire di Paolino, nato da famiglia romana e poi accolto in un’illustre comunità monastica dell’Urbe: Sant’Andrea al Celio, che è luogo di preghiera e anche rampa di lancio.
Da qui, infatti, come da altri monasteri, partono nei primi secoli cristiani gli evangelizzatori dell’Europa. Nel 596, il pontefice Gregorio Magno ha preso di qui il priore Agostino e un gruppo di monaci per mandarli nelle Isole britanniche. Cinque anni dopo, fa partire di qui un rinforzo di altri monaci, tra i quali Paolino.
In Britannia non c’è propriamente da introdurre il cristianesimo, ma da salvarlo. Vi è infatti arrivato alcuni secoli prima, al tempo del dominio romano, dandosi via via una gerarchia propria, una
struttura. (Già nel 314, ad esempio, tre vescovi britannici avevano partecipato al concilio di Arles, in Francia).
Ma nel V secolo, finito il dominio romano, è sorto quello degli Angli e dei Sassoni, conquistatori e immigrati al tempo stesso. Giunti via via dall’Europa occidentale, hanno occupato una vasta parte dell’isola creandovi sette regni: Northumbria, East Anglia, Mercia, Essex, Sussex, Wessex e Kent.
La Britannia è diventata “Anglia”, terra degli Angli. Tutti pagani, dai re ai sudditi, sicché la cristianità dell’isola può essere salvata preservando la fede nei territori rimasti britannici, ma soprattutto cristianizzando Angli e Sassoni nei loro territori. Il gruppo di Paolino raggiunge Agostino, che sta rimettendo in piedi una struttura cristiana,intorno alla sede vescovile di Canterbury nel Kent.
Il 21 luglio del 625 Paolino viene consacrato vescovo, e in qualità di consigliere spirituale deve poi accompagnare la giovane Etelberga, figlia del sovrano del Kent, a York, dove sposerà il re di Northumbria, Edvino. York diventa la base operativa dalla quale Paolino intraprende le sue campagne di predicazione rivolta agli Anglosassoni pagani; e fa coraggio ai nuclei di cristiani sparsi nei territori. Egli sa usare efficacemente il metodo indicato da Gregorio Magno col nome di “discrezione”: non distruggere i templi pagani, non accanirsi contro certe usanze e feste, ma
cristianizzare con gradualità edifici e usanze.
Dopo il matrimonio di Etelberga, Paolino rimane al suo fianco, per convertire alla fede cristiana anche il re Edvino. L’impresa è difficile e lunga: infine, dopo due anni di colloqui e di esortazioni, nel 627 il sovrano riceve il battesimo.
E con lui si fanno cristiani personaggi di corte e sudditi: un’ondata opportunistica di cristiani improvvisati e provvisori; altra gente da quella che Paolino istruisce pazientemente per gradi, nel lungo esercizio della “discrezione”.
Nominato vescovo di York (con Canterbury, una delle due più importanti sedi vescovili d’Inghilterra), incomincia a costruirne la cattedrale in pietra. Ma non la vedrà finita. Il 12 ottobre 633 il re Edvino e suo figlio Osfrido sono uccisi in battaglia presso Doncaster, dal pagano Penda, re della Mercia, e dal suo alleato cristiano, il re gallese Cadwallon. Paolino riesce a condurre in salvo la regina Etelberga e i personaggi della corte, mentre il crollo del regno coinvolge anche le strutture ecclesiali da poco realizzate.
Nominato poi vescovo di Rochester, Paolino vi muore nel 644. Alla sua fama di santità contribuirà molto la Storia ecclesiastica di Beda il Venerabile, dottore della Chiesa, nato in Northumbria 28 anni dopo la sua morte.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Paolino di York, pregate per noi.

*San Pinito di Cnosso - Vescovo (10 Ottobre)

† 180 circa
Martirologio Romano: Commemorazione di san Pinìto, vescovo di Cnosso nell’isola di Creta, che fiorì sotto gli imperatori Marco Antonino Vero e Lucio Aurelio Commodo e con i suoi scritti provvide sommamente alla fede e alla crescita spirituale del gregge a lui affidato.
Eusebio di Cesarea nella sua Historia Ecclesiastica, enumerando gli scrittori ecclesiastici fioriti sotto il regno di Marco Aurelio (161-180), cita Pinito vescovo dei fedeli di Creta. Un po’ più oltre lo stesso autore, occupato a descrivere l’attività epistolare del vescovo Dionigi di Corinto, segnala tra i suoi corrispondenti, Pinito, facendone un breve elogio:
«A queste si trova unita un’altra lettera, diretta agli abitanti di Cnosso, dove raccomanda al loro vescovo Pinito di non voler imporre ai fratelli, come necessario, il grave peso della continenza carnale, e di prendere in considerazione la debolezza dei più.
«Pinito nella lettera di risposta, dapprima esprime ammirazione e lode a Dionisio, e poi lo eccita a continuare, sì, a nutrire il suo popolo, ma vorrebbe che gli desse un cibo più solido, scritti di più perfetta dottrina, temendo che alla fine, con la continuata alimentazione a base di latte, abbiano insensibilmente a invecchiare in un tenore di vita infantile.
«Questa lettera è veramente come un quadro perfetto, dal quale risultano l’ortodossia della fede di Pinito, la sollecitudine per il profitto del gregge affidatogli, la sua eloquenza e la sua perspicacia nelle cose divine». Questo breve ritratto di Pinito tracciato dalla penna entusiasta di Eusebio, fornisce le uniche informazioni che ci siano pervenute su questo personaggio. E se San Girolamo gli dedica un capitolo del suo De viris illustribus è soltanto a causa della testimonianza di Eusebio, da cui in realtà dipende.
Adone, per primo, introdusse Pinito nel suo Martirologio alla data arbitraria del 10 ottobre e l’elogio a lui dedicato proviene da Eusebio. Usuardo lo riprodusse tale e quale, ma C. Baronio nel Martirologio Romano aggiunse una precisazione d'ordine cronologico indicando che Pinito visse sotto gli imperatori Marco Aurelio (161-180) e Commodo (180-92), precisazione attinta da San Girolamo.

(Autore: Joseph-Marie Sauget - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beato Ponzio de Barellis - Mercedario (10 Ottobre)

Sapientissimo maestro in Sacra Teologia, il Beato Ponzio de Barellis, era originario di Lione (Francia) e brillò nell'Ordine Mercedario sotto il generalato di San Pietro de AmenFamoso per la dottrina e santità, pieno di virtù e meriti morì nel bacio del Signore.
L'Ordine lo festeggia il 10 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Ponzio de Barellis, pregate per noi.

*Santa Tanca - Martire (10 Ottobre)

Martirologio Romano: Vicino a Rameru nel territorio di Troyes in Francia, Santa Tanca, vergine e martire, che, come si tramanda, affrontò una morte gloriosa per difendere la sua verginità.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Santa Teodechilde (Telchilde) - Badessa (10 Ottobre)

Martirologio Romano: Nel monastero di Jouarre nel territorio di Meaux in Francia, Santa Telchilde, badessa, che, di nobile origine, fulgida di meriti e salda nei costumi, insegnò alle vergini consacrate ad uscire incontro a Cristo con le lampade accese.
Santa Teodechilde (Telchilde) è la prima badessa del monastero femminile di Jouerre. Anche se non conosciamo la data della sua nascita, sappiamo solo che era di nobile famiglia, sorella di Agilberto, vescovo di Parigi, e cugina di Audoeno, vescovo di Rouen, e di suo fratello Adone, che fondò nel 635 un monastero posto sotto la regola di San Colombano a Jouarre.
Accanto a questo monastero, il giovane Adone aveva costruito alcuni stabili e una chiesa, dove la popolazione si recava ad ascoltare la celebrazione eucaristica. Ben presto un gruppo di vergini venne a stabilirsi nei fabbricati adiacenti alla chiesa, e seguendo la tradizione gallese voluta da San Colombano, sorse una comunità femminile gemella, per così dire, a quella guidata da Adone.
Alla guida di questa comunità di vergini c’era la nobile Teodechilde.
Non sappiamo quale fu la sua formazione religiosa, anche se riteniamo che avesse condotto una vita religiosa alla stregua di sua zia Balda che viveva in famiglia da “reclusa”.
La comunità religiosa di Jouerre ebbe uno sviluppo molto maggiore rispetto a quella maschile di Adone, visto che, la potente famiglia di Teodechilde né favorì lo sviluppo.
Sotto la guida di Teodechilde, che resse le sorti della comunità dal 620 al 667, il ramo femminile del monastero si sviluppò rapidamente, tanto che da quella comunità di Jouarre tra gli anni 657 e 664, un gruppo di monache, sotto la guida di Santa Bertilla fu mandato nell'abbazia fondata dalla regina Batilde a Chelles vicino a Parigi e un altro gruppo fu inviato nel monastero di Notre Dame fondato da Ebronio a Soissoins.
La tradizione ha tramandato che Santa Teodechilde sia morta un 10 ottobre, probabilmente nell'anno 667, e fu sepolta in un semplice sarcofago nella cripta della chiesa abbaziale di Jouarre.
Nel 680, suo fratello Agilberto, vescovo di Parigi, decise di dedicare la cripta della chiesa abbaziale di Jouarre a San Paolo, primo eremita, e di farne una sorta di mausoleo per la sua famiglia.
E in quell’occasione fece erigere sul sepolcro di sua sorella Teodechilde un cenotafio con un'iscrizione celebrativa, ornato da conchiglie intervallate da colonnine, conservatosi fino ai nostri giorni. Nel sarcofago fu scritta un’iscrizione latina che si conserva, riportata da Philippe Rouillard in Bss, che dice: “Questo sepolcro protegge gli ultimi resti della beata Teodechilde.
Vergine senza macchia, di nobile origine, luminosa di meriti, esemplare nei suoi costumi, essa ardeva per la verità che vivifica. Madre di questo monastero, insegnò alle sue figlie consacrate al Signore a correre verso Cristo, loro Sposo, come le vergini sagge con  le loro lampade fornite di olio. Morta finalmente esulta nel trionfo del Paradiso”.
Nel 1627, i suoi resti furono esumati e uniti a quelli di Santa Agilberta, e successivamente, traslati nella chiesa parrocchiale di Jouarre. Esiste una tradizione che fa onorare le reliquie di queste due badesse, sante e vergini, il martedì dopo la Pentecoste, insieme ad altri Santi i cui resti si trovano nella parrocchiale, tra cui il vescovo Potenziano e la martire Giulia.
Il culto della fondatrice fu sempre vivo tra le monache di Jouarre, che ne celebravano la festa nell'anniversario della morte.
La ricorrenza di Santa Teodichilde è stata inserita nel Martirologio romano nel giorno 10 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beato Ugo di Macon - Vescovo (10 Ottobre)
Etimologia: Ugo = spirito perspicace, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
San Bernardo coinvolse con sé in quella che chiamò “conversione” nel 1113 ben trenta compagni, che fece entrare a Citeaux, casa principale dell’Ordine Cistercense, fra loro anche il conte Ugo di Macon, appartenente all’alta nobiltà.

L’anno successivo fu fondata l’abbazia di Pontigny e Ugo ne divenne subito il primo abate. Guidò la Comunità per 22 anni e in quel periodo, seguendo la grande fioritura di vocazioni che interessò tutto il nuovo ordine cistercense, fondò ben 11 monasteri.
Nell’agosto del 1136 succedette come vescovo di Auxerre al defunto Ugo di Montaigu, dovette lottare con il potere laico che aveva usurpato diritti e beni della Chiesa approfittando della debolezza del precedente vescovo, partecipò a importanti affari civili e religiosi spesso unito con San Bernardo, protesse e riformò vari monasteri della sua diocesi.
Partecipò ai concili di Sens e di Reims indetti per la condanna di idee eretiche dell’epoca, riappacificò il conte di Blois-Champagne con il re Luigi VII.
Ricevette varie volte ad Auxerre il papa Eugenio III cistercense e lo stesso San Bernardo.
Morì a Pontigny il 12 ottobre 1151 e lì sepolto. Considerato da tutti e dallo stesso San Bernardo come un santo; la sua celebrazione liturgica cade il 10 ottobre.
Il nome deriva dall’antico tedesco Hug e significa “spirito perspicace”, “ingegno”.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ugo di Macon, pregate per noi.

*Santi Vittore e Malloso - Martiri (10 Ottobre)

m. Bertun (Germania), inizio IV secolo
I Santi Vittore e Malloso ed i loro 330 leggendari compagni furono ritenuti dei soldati della Legione Tebea scampati all’eccidio di Agauno (odierna Saint-Maurice in Svizzera), ma il nuovo Martyrologium Romanum li commemora semplicemente come martiri. Raggiunsero la città tedesca di Bertun, nei pressi di Colonia, ove si dedicarono all’evangelizzazione delle popolazioni locali. Furono quindi anch’essi decapitati in odio alla fede cristiana.
Patronato: Bertun (Germania)
Emblema: Palma, Spada, Stendardo, Croce Maurizian
Martirologio Romano: Nel villaggio di Birten sempre nel territorio di Colonia, Santi Vittore e Malloso, martiri.
“A Bertun nei pressi di Colonia, in Germania, ricordo dei Santi Vittore e Malloso, martiri”: così semplicemente il nuovo Martyrologium Romanum, approvato all’alba del terzo millennio da Giovanni Paolo II, cita in data odierna questi due intrepidi testimoni della fede cristiana vissuti tra il III ed il IV secolo, che la pietà popolare ha voluto arbitrariamente arruolare con altri 330 leggendari alla celebre Legione Tebea.
Per meglio comprendere l’origine del loro culto, occorre però ripercorrere brevemente la vicenda del gruppo che il martirologio ufficiale della Chiesa Cattolica commemora al 22 settembre e designa quali veri facenti parte dell’“Angelica Legio”.
Si tratta dei Santi soldati Maurizio, Essuperio, Candido, Vittore e dei loro numerosi compagni, vennero uccisi presso l’odierna Saint-Maurice-en-Valais in Svizzera sotto l’imperatore Massimiano per aver testimoniato la loro fede in Cristo. Seppur sinteticamente sono così ben riassunte le poche certezze che danno un fondamento storico al vasto culto che i soldati tebei ebbero in Europa, in particolare sui molteplici versanti alpini.
Secondo successive cronache solo due furono i soldati ufficialmente scampati a tale sanguinoso eccidio, cioè Urso e Vittore (30 settembre), come attesta anche il martirologio, ma un po’ ovunque iniziarono a fiorire leggende su altri soldati che avrebbero trovato rifugio in svariate località, ove
intrapresero una capillare opera di evangelizzazione per poi subire anch’essi il martirio. Nel Vecchio Continente se ne contano centinaia, distribuiti geograficamente fra Italia, Francia, Svizzera, Spagna e soprattutto Germania.
Uno di questi casi è costituito appunto dai santi Vittore e Malloso, che impregnarono con il loro sangue la terra tedesca e più precisamente la città di Bertun. Come in tutti i casi simili è assai arduo distinguere realtà e fantasia nelle numerose leggende sorte sul loro conto.
Quando nella città tedesca si rinvennero dei resti umani, si suppose ingenuamente che essi potessero appartenere ai suddetti martiri e gli agiografi del tempo non conoscendo nulla della loro vita trovarono assai comodo riallacciarli senza alcun fondamento storico alla mitica Legione. Andando alla ricerca di un qualche fondamento storico ci si può imbattere in talune prove archeologiche che non possono far altro che attestare l’antichità del culto dei martiri, ma non possono purtroppo fornirci una visione dettagliata della loro vita terrena.
Alcune tardive quanto improbabili leggende, come avvenuto per il vicino San Gereone, sostengono il ritrovamento delle reliquie dei santi addirittura da parte dell’imperatrice Santa Elena, che fece edificare anche una primitiva chiesa in loro onore.
In sostanza le uniche cose certe paiono essere quei pochi dettagli riportati dal nuovo martirologio, cioè il ricordo dei Santi Vittore e Malloso al 10 ottobre presso Bertun, vissuti in epoca imprecisata.
Il presupposto che i due martiri ed i loro 330 leggendari compagni abbiano militato nella Legione Tebea ha automaticamente conferito loro la presunta nazionalità egiziana e ciò ha contribuito alla diffusione del culto anche presso la Chiesa Copta, che venera dunque specificatamente non solo San Maurizio ma anche tutti quei suoi leggendari compagni il cui ricordo si è diffuso in un qualche piccolo santuario d’Europa.
L’iconografia relativa ai Santi Vittore e Malloro e compagni è solita presentarlo con tutti gli attributi tipici dei soldati tebei: la palma del martirio, la spada, lo stendardo con croce rossa in campo bianco e la Croce Mauriziana, cioè trilobata, sul petto.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi Vittore e Malloso, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (10 Ottobre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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