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Santi del 1 Agosto

Il mio Santo > I Santi di Agosto

*Beato Alessio Sobaszek - Sacerdote e Martire (1 Agosto)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Przygodzice Wielkie, Polonia, 17 luglio 1895 – Dachau, Germania, 1° agosto 1942
Sacerdote diocesano.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Etimologia: Alessio = protettore, difensore, dal greco
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beato Alessio Sobaszek, sacerdote e martire, che, polacco di nascita, in tempo di guerra disumanamente deportato dagli invasori, morì per Cristo sotto tortura difendendo la propria fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alessio Sobaszek, pregate per noi.

*Sant'Alfonso Maria de' Liguori - Vescovo e Dottore della Chiesa (1 Agosto)
Napoli, 1696 - Nocera de' Pagani, Salerno, 1 agosto 1787
Nasce a Napoli il 27 settembre 1696 da genitori appartenenti alla nobiltà cittadina. Studia filosofia e diritto. Dopo alcuni anni di avvocatura, decide di dedicarsi interamente al Signore.
Ordinato prete nel 1726, Alfonso Maria dedica quasi tutto il suo tempo e e il suo ministero agli abitanti dei quartieri più poveri della Napoli settecentesca.
Mentre si prepara per un futuro impegno missionario in Oriente, prosegue l'attività di predicatore e confessore e, due o tre volte all'anno, prende parte alle missioni nei paesi all'interno del regno.

Nel maggio del 1730, in un momento di forzato riposo, incontra i pastori delle montagne di Amalfi e, constatando il loro profondo abbandono umano e religioso, sente la necessità di rimediare ad una situazione che lo scandalizza sia come pastore che come uomo colto del secolo dei lumi.
Lascia Napoli e con alcuni compagni, sotto la guida del vescovo di Castellammare di Stabia, fonda la Congregazione del SS. Salvatore. Intorno al 1760 viene nominato vescovo di Sant'Agata, e governa la sua diocesi con dedizione, fino alla morte, avvenuta il 1 agosto del 1787. (Avvenire)

Patronato: Napoli, Teologi, Moralisti, Confessori
Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Memoria di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa, che rifulse per la sua premura per le anime, i suoi scritti, la sua parola e il suo esempio.
Al fine di promuovere la vita cristiana nel popolo, si impegnò nella predicazione e scrisse libri, specialmente di morale, disciplina in cui è ritenuto un maestro, e, sia pure tra molti ostacoli, istituì la Congregazione del Santissimo Redentore per l’evangelizzazione dei semplici.
Eletto vescovo di Sant’Agata dei Goti, si impegnò oltremodo in questo ministero, che dovette lasciare quindici anni più tardi per il sopraggiungere di gravi malattie.
Passò, quindi, il resto della sua vita a Nocera dei Pagani in Campania, tra grandi sacrifici e difficoltà.
Alfonso Maria de Liguori - missionario, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore (C. Ss. R.), vescovo, dottore della Chiesa, patrono del confessori e dei moralisti - nacque a Marianella, presso Napoli, il 27 settembre 1696, e morì a Pagani (Salerno) il 1° agosto 1787.
Compiuti in casa, come tutti i ragazzi di nobili famiglie, gli studi letterari e scientifici, nei quali ebbero la loro parte rilevante anche la pittura e la musica (è sua la canzoncina natalizia "Tu scendi dalle stelle" ), nel 1708 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza all'università di Napoli, dove si laureò col massimo dei voti in diritto civile ed ecclesiastico appena sedicenne, con quattro anni di anticipo sull'età richiesta dalle leggi del tempo.
Dopo dieci anni di memorabili successi come avvocato nel foro napoletano, a causa di una violenta delusione morale dovuta a interferenze politiche in una causa dai grandi risvolti sociali, decise di farsi prete.
Ricevuta l'ordinazione sacerdotale il 21 dicembre 1726, cominciò immediatamente a svolgere il suo ministero in mezzo al popolo più abbandonato e più bisognoso di aiuti spirituali.
Osservando la miseria di tante anime, non riusciva a darsi pace né si concedeva riposo.
Si portava dovunque: nei paesi intorno al Vesuvio, lungo la costa amalfitana, nelle sparute e dimenticate contrade di campagna lungo gli Appennini della Puglia e della Calabria, dove il clero locale, pur numeroso, rifiutava di andare.
La salvezza di quelle anime era la sua idea dominante, l'elemento catalizzatore di tutte le sue energie e delle straordinarie doti intellettuali. E per rendere la sua opera più profonda e duratura, e per giungere con la sua azione di salvezza anche dove non poteva arrivare con la voce, e per andare oltre il tempo della sua esistenza terrena ed oltre gli spazi - troppo ristretti per il suo zelo evangelico - del Regno di Napoli, fondò un istituto essenzialmente missionario e si diede, con altrettanto entusiasmo, all'apostolato della penna.
Come scrittore, Sant'Alfonso è popolarissimo.
Pubblicò centoundici opere tra grandi e piccole. Alcune di esse hanno raggiunto centinaia di edizioni in gran parte delle lingue del mondo.
Quelle di ascetica e di spiritualità si ristampano continuamente ancora oggi: Uniformità alla volontà di Dio; Modo di conversare continuamente e alla familiare con Dio; Pratica di amare Gesù Cristo; Visite al Ss. Sacramento e a Maria santissima; Meditazioni sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo; Glorie di Maria; Massime eterne; Necessità della preghiera.
Nel 1748 stampava la sua THEOLOGIA MORALIS, l'opera per la quale il Papa Leone XIII lo definì "il più insigne e il più mite dei moralisti".

Come fondatore Alfonso de Liguori sta continuando ancora oggi la sua missione di annunciatore della salvezza attraverso gli oltre 5.600 discepoli (i missionari redentoristi) in oltre 60 paesi dei cinque continenti.
La Congregazione del Ss. Redentore, da lui fondata a Scala (Salerno) il 9 novembre 1732, ha lo scopo di"continuare l'esempio del nostro Salvatore Gesù Cristo in predicare alle anime più abbandonate, specialmente ai poveri, la divina parola".
E si impegna a raggiungere questa finalità prima di tutto con le missioni popolari e con la predicazione degli esercizi spirituali.
All'occorrenza i congregati accettano la predicazione in terre straniere, particolarmente in quelle del terzo mondo (i Redentoristi italiani hanno aperto, già da alcuni decenni, una missione in Paraguay e una in Madagascar).
Anche se raramente essi si fanno carico dell'insegnamento nelle scuole e della cura di parrocchie.
Nel 1762 Alfonso fu eletto vescovo di Sant'Agata dei Goti (Benevento). Ma dopo 13 anni dovette rinunciarvi a causa dell'artrite deformante. Canonizzato nel 1839, fu dichiarato dottore della Chiesa nel 1871, patrono dei confessori e dei moralisti nel 1950.

(Autore: Padre Ezio Marcelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Alfonso Maria de' Liguori, pregate per noi.

*Santa Almeda - Vergine e Martire (1 Agosto)

VI sec.

Santa Almeda è una vergine e martire vissuta nel VI secolo.
Figlia di un nobile inglese di nome Brachanus, si tramanda che ebbe molte sorelle che sono venerate come sante, nei vari paesi del Galles.
Si racconta che Almeda non volle sposare un piccolo re della regione. Non sappiamo se le motivazioni di quel rifiuto fossero per mantenere integra la sua verginità o se perché quel sovrano fosse a pagano.
Almeda fu uccisa proprio perché si rifiutò di sposarsi.
A Santa Almeda è stata dedicata un’antica chiesa che sorge su un colle della cittadina Aberhodni. In questa chiesa la santa è festeggiata nel giorno 1 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Almeda, pregate per noi.

*Sant'Arcadio di Bourges - Vescovo (1 Agosto)

VI sec.

Santa Almeda è una vergine e martire vissuta nel VI secolo.
Figlia di un nobile inglese di nome Brachanus, si tramanda che ebbe molte sorelle che sono venerate come sante, nei vari paesi del Galles.
Si racconta che Almeda non volle sposare un piccolo re della regione. Non sappiamo se le motivazioni di quel rifiuto fossero per mantenere integra la sua verginità o se perché quel sovrano fosse a pagano.
Almeda fu uccisa proprio perché si rifiutò di sposarsi.
A Santa Almeda è stata dedicata un’antica chiesa che sorge su un colle della cittadina Aberhodni. In questa chiesa la santa è festeggiata nel giorno 1 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fopnte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Arcadio, pregate per noi.

*Beato Benvenuto Maria da Dos Hermanas (Giuseppe de Miguel Arahal) - Sacerdote e Martire (1 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Terziari Cappuccini dell'Addolorata”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, Beato Benvenuto (Giuseppe) de Miguel Arahal, sacerdote del Terz’Ordine di San Francesco degli Incappucciati della Beata Vergine Addolorata e martire, che durante la persecuzione contro la fede versò il sangue per Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Benvenuto Maria da Dos Hermanas, pregate per noi.

*San Buono - Martire (1 Agosto)

m. 259
Patronato:
San Buono (CH)
Emblema: Palma
Il Martirologio Romano riporta il martirio di San Buono al primo di Agosto: in questa data si celebra la festa popolare del Santo Martire.
Sembra che l'epoca del martirio sia il 259 sotto il pontificato di Papa Stefano.
Il sacro deposito proviene dal cimitero di Priscilla.
Il Santo Martire ha dato il nome al comune della provincia di Chieti, di cui è anche patrono.

(Autore: Don Marco Grenci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Buono, pregate per noi.

*Beata Chiara, Venerata ad Orleans - Monaca Cistercense  (1 Agosto)
† Orléans (Francia), sec. XII
Fra le dodici Sante o Beate, riportate nell’autorevole “Bibliotheca Sanctorum” con il nome di Chiara e tutte esistite in tempi lontani da noi, l’unica di nazionalità francese citata è la Beata Chiara venerata ad Orléans; ma forse originaria della Normandia.
Essa è ricordata dall’agiografo Castellano nelle sue “Additiones” (Aggiunta o Appendice) al ‘Martirologio Romano’ come vergine dell’Ordine Cistercense, sviluppatesi soprattutto nel 1112 con San Bernardo di Chiaravalle.
Pur non essendo ricordata dal Calendario di Digione, né dal Menologio di Henriquez, è riconosciuta con il titolo di Beata.
Ma prima dell’agiografo Castellano, aveva scritto di Chiara lo studioso Calemoto, che ricordava la festa della Beata Chiara, vergine reclusa, celebrata il 1° agosto in un convento di monache cistercensi della diocesi di Orléans, in località "Nostra Signora".
Le ossa della monaca penitente erano state trasferite nel convento, dalla vicina foresta e qui rimasero custodite per lungo tempo; in seguito durante una delle ricorrenti guerre locali, le reliquie furono distrutte dalle fiamme, ma il ricordo rimase vivo fra i numerosi pellegrini dell’epoca.
Di lei non si sa altro, al punto da dubitare addirittura della sua esistenza.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Chiara, pregate per noi.

*Santi Domenico Nguyễn Văn Hạnh (Dieu) e Bernardo Vũ Văn Duệ - Martiri, Domenicani  (1 Agosto)
Sacerdoti domenicani decapitati durante la persecuzione in Vietnam.
Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, Santi Domenico Nguyễn Văn Hạnh (Diêu), dell’Ordine dei Predicatori, e Bernardo Vũ Văn Duệ, sacerdoti e martiri, decapitati per Cristo sotto l’imperatore Minh Mạng.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Domenico Nguyễn Văn Hạnh e Bernardo Vũ Văn Duệ, pregate per noi.

*Sant'Eleazar - Scriba e Martire (1 Agosto)

+ Antiochia, Siria, II secolo a.C.
Con i sette Santi fratelli Maccabei è festeggiato oggi anche Sant’Eleazar, scriba anziano e
rispettato, che rifiutò di mangiare carne sacrilega per amore della vita, preferendo una morte gloriosa ad una vita spregevole.
Si recò dunque di buon grado al supplizio, offrendo un’insigne testimonianza di virtù.
Ciò avvenne presso Antiochia, in Siria, verso il II secolo avanti Cristo.

Martirologio Romano: Commemorazione della passione dei Santi sette fratelli martiri, che ad Antiochia in Siria, sotto il regno di Antioco Epifane, per aver osservato con invitta fede la legge del Signore furono messi crudelmente a morte insieme alla loro madre, la quale patì per ognuno dei suoi figli, ma, come si racconta nel secondo Libro dei Maccabei, in tutti conseguì la vittoria della vita eterna.
Insieme si celebra la memoria di Sant’Eleázaro, uno degli scribi più stimati, uomo già di età avanzata, che nella stessa persecuzione si rifiutò di cibarsi, per sopravvivere, di carne proibita, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, e precedette per questo di buon grado gli altri al supplizio, lasciando un mirabile esempio di virtù.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eleazar pregate per noi.

*Beato Emerico di Quart - Vescovo di Aosta (1 Agosto)

m. 1 settembre 1313
Martirologio Romano:
Ad Aosta, Beato Emerico di Quart, vescovo, mirabile per l’austerità di vita e la dedizione alla salvezza delle anime.
Altra fulgida figura di santità dell’antica diocesi di Aosta, che annovera fra i suoi figli Sant’ Anselmo, Sant’Orso, San Giocondo, San Grato.
Il Beato Emerico nacque nel castello di Quart verso la metà del XIII secolo, figlio del nobile Giacomo II; da giovane, desideroso di studiare teologia, fu inviato all’università, forse di Torino, dove conseguì il grado di dottore.
Al termine degli studi, ritornò nel castello di Quart; non sentendosi adatto alle vanità di questo mondo, si ritirò in un luogo, oggi chiamato Valsainte, ad un’ora dal castello, per condurre vita solitaria, dedito alla contemplazione e alla preghiera; in questo luogo poi è sorto un oratorio che ricorda le penitenze di Emerico ed è meta di pellegrinaggi.
Non è chiaro se dopo il periodo eremitico, entrasse fra i Canonici di S. Orso, oppure come suddiacono nel Capitolo della Cattedrale, ad ogni modo egli si dedicò totalmente alla salvezza
delle anime, suscitando un’ammirazione generale, al punto che alla morte del vescovo Nicola I Bersatori (1301) i due Capitoli scelsero lui come successore.
Fu consacrato vescovo verso la fine del 1301, a Biella, dal vescovo di Vercelli Aimone di Challant; la sua opera fu molto vasta, nominò buoni maestri di scuola, ammise al sacerdozio solo chierici degni e provati, applicò la legge della residenza, diede i suoi introiti in elemosine, trattenendo per sé lo stretto necessario per vivere, aiutando comunque le chiese della diocesi.
Emerico dimostrò una saggia fermezza per la difesa dei diritti e doveri temporali, che la sua carica imponeva; aveva uno spirito forte e brillante, di carattere docile, trattabile ma inflessibile al male, i modi così garbati ed amabili che incantavano tutti.
In campo spirituale, visitò la diocesi, convocò il Sinodo diocesano del 1307, fece rivitalizzare la religione, costruì numerose chiese, istituì nel 1311 il “festum conceptionis Virginis Mariæ”; scrisse il prezioso ‘Liber censuum’ nel 1305, una descrizione fedele e sorprendente dei costumi feudali in Valle d’Aosta, utilissimo per gli storici del Medioevo.
Il suo episcopato durò dal 1302 al 1313; Emerico morì il 1° settembre del 1313 e sepolto nella cattedrale.
Vari miracoli avvenuti per sua intercessione lungo i secoli, fecero sì che venisse considerato Beato dai fedeli e dal clero:
Nel 1551 le reliquie furono esumate e poste in un reliquiario; i vescovi di Aosta approvarono sempre il culto del Beato Emerico, ma solo il 14 luglio 1881 con decreto di Papa Leone XIII, dopo un regolare processo canonico, il culto e il titolo di Beato furono confermati ufficialmente.
Da tempo immemorabile gli ammalati, specie se fanciulli, venivano portati alla sua tomba per ricevere la benedizione; era particolarmente invocato nei parti difficili; è venerato soprattutto nella sua parrocchia d’origine di Quart; la sua festa è fissata al 1° settembre.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Emerico di Quart pregate per noi.

*Sant'Essuperio di Bayeux - Vescovo (1 Agosto)
sec. IV

La tradizione ci dice che è nato a Roma, da una famiglia benestante e nobile e che è stato inviato in Gallia da Papa Clemente I di Roma. Secondo la leggenda gli viene attribuito il miracolo di aver sconfitto sette demoni del male attraverso la preghiera. Inoltre è stato il protagonista di molte conversioni al cristianesimo, tra cui quella di Ragnobert, che diventerà il secondo vescovo di Bayeux.
Martirologio Romano: A Bayeux nella Gallia lugdunense, ora in Francia, Sant’Esuperio, venerato come primo vescovo di questa città.
Sant’Essuperio è considerato il primo vescovo di Bayeux.
Secondo Duchesne, la sua designazione quale protovesco di Bayeux risale al IX secolo.
Poco si conosce della sua vita. Di sicuro sappiamo che visse nel IV secolo, e alcuni storici lo collocano intorno al 340.
La tradizione ci dice che è nato a Roma, da una famiglia benestante e nobile e che è stato inviato in Gallia da Papa Clemente I di Roma.
Sembra abbia combattuto gli "idolatri" che avevano il loro culto nelle foreste del monte Phaunus ad ovest di Bayeux.
Secondo la leggenda gli viene attribuito il miracolo di aver sconfitto sette demoni del male attraverso la preghiera. Inoltre è stato il protagonista di molte conversioni al cristianesimo, tra cui quella di Ragnobert, che diventerà il secondo vescovo di Bayeux.
Egli godette di una notevole reputazione quale santo per aver guarito miracolosamente molti ammalati nel Bessin.
Le sue reliquie, trafugate al tempo delle invasioni normanne, furono portate, prima nel castello di Palleau e poi un’antica collegiata eretta in suo onore, divenuta successivamente la cattedrale di Santo Spirito a Corbeil.
In quella sede nel mese di maggio tradizionalmente si faceva un pellegrinaggio in onore del santo.
I resti del santo sono stati salvati miracolosamente dalle distruzioni della Rivoluzione francese.
Esiste una chiesa a lui dedicata a Bayeux e una a Bessin.
Sant’Essuperio viene onorato anche in Gran Bretagna a Dinéault e in Bretagna a Saint-Thois.
Il 1 agosto viene celebrata la sua festa a Bayeux, a Coutances, a Sées e a Versailles.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Essuperio di Bayeux, pregate per noi.

*Sant'Ethelwold (Etelvoldo) - Vescovo (1 Agosto)

Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, deposizione di Sant’Etelvoldo, vescovo, che tradusse la celebre «Concordia dei monaci» per il rinnovamento della disciplina monastica, che aveva appreso da san Dunstano.
Nato a Winchester ed ordinato sacerdote, nel 944 prese l'abito monastico a Glastonbury e dieci anni dopo fu nominato abate di Abingdon, che riformò con l'aiuto dei monaci condotti seco da Glastonbury.

Fece poi venire da Corbie un insegnante di canto gregoriano ed inviò a Fleury il monaco Osgar per apprenderne quella osservanza benedettina.
Nel 963 fu consacrato vescovo di Winchester da San Dunstano, col quale, insieme a Oswald di York si consacrò alla rinascita della vita monastica in Inghilterra dopo le devastazioni dei Danesi.
Sostituì con monaci i canonici secolari, generalmente sposati, della cattedrale di Winchester.
Nessun tentativo, tuttavia, venne compiuto da questi riformatori per far osservare il celibato tra il clero secolare.
Ethelwold restaurò l'abbazia di Ghertsey ed il monastero femminile di Nostra Signora in Winchester, acquistò l'abbazia di Thorney in rovina ed il monastero femminile di S. Etheldreda ad Ely e popolò ambedue di monaci.
Aiutò inoltre Aldulf, cancelliere del re Edgar, ad acquistare le rovine dell'abbazia di Peterborough, a ricostruirla ed a dotarla riccamente.
Lo stesso Aldulf vi vestì l'abito monastico e ne divenne il primo abate. Il maggiore contributo di Ethelwold tuttavia a questa rinascita monastica è rappresentato dalle regole che compose per la disciplina di quelle case religiose: la Regularis Concordia.
Morì il 1° agosto 984 e fu sepolto sotto l'altare dal suo successore Sant’ Elfego, futuro arcivescovo di Canterbury.
La sua festa è celebrata il 1° agosto.

(Autore: Edward J. Walkin – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ethelwold, pregate per noi.

*San Felice di Gerona - Martire (1 Agosto)
IV sec.

Martirologio Romano: A Gerona nella Spagna settentrionale, San Felice, martire nella persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
A volte si fa diventare fratello di San Cucufate, il popolare santo della Catalogna, altre volte viene erroneamente identificato con un altro Felice, diacono di San Narciso, vescovo di Gerona, ecc.
In fondo è questione di accertare l’autenticità degli Atti del santo, che sono la base per conoscere la sua vita e il suo martirio. Secondo il Fàbrega, sembra che alla fine del secolo VI o all’inizio del VII, esistesse un testo liturgico generale, che si leggeva come passio de communi, non molto dissimile dagli Atti di San Leocadia, nelle feste di alcuni santi mancanti di passiones proprie.
In questa passio si afferma che Felice soffrì il martirio a Gerona ai tempi di Diocleziano, essendo Daziano preside della città.
Per questo autore, quindi, la passio di Felice appartiene alla prima metà del secolo VII e in essa si troverebbero i dati più sicuri sulla vita del santo.
Da parte sua il De Gaiffier avanza alcune osservazioni a tali conclusioni del Fàbrega. Partendo dall’idea che l’agiografia spagnola ha fatto sempre nascere questo santo a Scilli, la celebre città dell’Africa, troverebbe in questa passio una reminiscenza di quella di Felice di Tubzak (Thibiuca); sarebbe quindi opportuno collazionare le passiones africane con quelle spagnole, poiché spesso si trovano casi di affinità.
Gli Atti di San Cucufate sono pure a suo parere posteriori a quelli di Felice. L’agiografia ha voluto unirli, facendoli nascere tutti e due a Scilli e venire poi in Spagna, l’uno a Gerona e l’altro a Barcellona. Tutti e due avrebbero sofferto il martirio, essendo prefetto Ruffino, mentre Daziano, governatore generale della Spagna, avrebbe avuto a Saragozza il suo quartiere generale.
Non è strano che questi Atti siano stati rimaneggiati con un po’ di leggenda e che da essa abbiano preso gli autori posteriori come il Tamayo, il Baronio e gli stessi Bollandisti. Negli Acta Sanctorum viene citata una lettera di Berengario a Valserio dove si afferma: «Munificum munus dirigimus, videlicet ex ossibus et carne et cruore terra mixtis ac vestimentis santissimi doctoris nostri Felicis martyris Christi: scilicet illius quem ut apostolum et prophetam habemus: non illius qui beatissimi Narcisi episcopi diaconus est dictus».
Felice nasce dunque a Scilli nella seconda metà secolo III da nobile famiglia e si dedica interamente allo studio delle lettere a Cesarea di Mauritania. Sentendo parlare della persecuzione di Diocleziano e Massimiano e dei suoi martiri, decide di lasciare patria e famiglia per soffrire insieme con gli altri cristiani e manifestare con essi pubblicamente la fede di Cristo.
Con questo desiderio s’imbarca ed arriva a Barcellona dove in quegli anni è più crudele la persecuzione di Daziano, governatore della Spagna.
Non soltanto a Barcellona, ma lungo tutto il litorale catalano fino ad Ampurias diffonde la sua parola e la sua azione di carità, ascoltando, aiutando e consolando tutti. Nei suoi viaggi arriva a Gerona, dove si dà con più ardore all'attività apostolica fino al punto che i Gerundensi l'accettano e lo venerano come il loro dottore, apostolo e profeta. Aduna i cristiani in assemblea, per esortarli, incoraggiarli e distribuire fra di loro le sue cure e le sue elemosine. Tutto questo viene presto a conoscenza di Ruffino, uno degli ufficiali di Daziano, che chiama Felice al suo tribunale, cominciando così una serie di interrogatori, sui quali si soffermano lungamente gli Atti.
In principio il prefetto vuole tentare Felice mettendo a sua disposizione ricchezze e onori, coraggiosamente respinti dal santo che rinfaccia al prefetto la sua crudeltà e tirannia. Ruffino lo
manda quindi in carcere, e poiché Felice continua a parlare e predicare, ordina che venga flagellato, poi trascinato, appeso alla coda di un cavallo, attraverso le piazze, strade e letamai della città. Di nuovo in carcere, il martire viene consolato da una serie di visioni celesti; si susseguono poi nuovi tormenti e anche nuove consolazioni. Alla fine Ruffino ordina, come dicono gli Atti, «ut eum usque ad ossa exungularent et longinqui itineris labore consumarent».
Questa frase ha dato spunto a qualche polemica. Come morì quindi il martire? Morì a Gerona o piuttosto lontano dalla città? Negli Atti si parla di slogamento delle ossa e di un duro viaggio in cui probabilmente morì.
La tradizione aggiunge poi altri dettagli; partendo forse dall’idea del lungo viaggio afferma che il santo sarebbe stato portato prima vicino al mare, a circa trenta chilometri da Gerona, dove oggi sorge la città di San Feliù de Guixols; qui sarebbe stato gettato in acqua e, miracolosamente illeso, portato poi, per una difficile strada di ritorno, verso Gerona; durante il tragitto sarebbe morto. La presenza del mare non è menzionata dagli Atti, per cui alcuni autori misero in dubbio l’autenticità della notizia.
Dagli Atti però sappiamo che non morì a Gerona, ma durante un doloroso viaggio, e che, inoltre, le sacre spoglie furono riportate in città dopo che il martirio era stato consumato: «revocatur corpus beatissimi martyris Gerundam».
La tradizione ha invece indicato sempre la località di mare, San Feliù de Guixols, dove Felice fu gettato in acqua; e così anche il paese di Penades o Panedas, vicino a Gerona, dove sarebbe morto, in carcere, oppure con un nuovo martirio. Un inno del Breviario mozarabico, attribuito a sant'Isidoro, dice semplicemente: «Omnia tormenta forti praecucurrit pectore, postque poenas et catenas, ungulas et verbera, carnea claustra relinquens, migrat ad coelestia».
Anche nella Messa mozarabica, nella preghiera Post Sanctus si legge: «Insaniens itaque victa crudelitas Sanctum interfeci jubet carcere trusum».
Morto per strada oppure in carcere, il corpo fu poi raccolto e portato a Gerona. Si sono avanzate diverse ipotesi anche sul luogo in cui più tardi se ne conservarono le reliquie e sulla data precisa del martirio. Si dà come più probabile l’anno 304, e dagli antichi martirologi a cominciare dal Geronimiano viene commemorato il 1° agosto come data del martirio.
Nel secolo IV i santi martiri Cucufate e Felice a Gerona avevano il proprio sepolcro e forse delle confessiones secondo i versi di Prudenzio:

«Hi, sequestrato tumulis honore,
Proprias aedes adeunt tuendas:
Barcinone hic celebratur aula,
Ille Gerunda».
Il culto di Felice era molto diffuso in Spagna e nella Francia meridionale come ne fanno fede la raccolta di orazioni di Tarragona, il Sacramentario di Toledo, il Martirologio di Lione e i libri liturgici mozarabici. Oltre alla basilica costruita sul sepolcro, san Gregorio di Tours ne conosceva un’altra edificata in suo onore a Narbonne nel 455 dal vescovo Rustico; in questa chiesa, in cui si conservavano anche delle reliquie di Felice, avvenivano dei miracoli e il re Alarico II (484-507) l’aveva fatta alquanto abbassare perché gl’impediva la vista del panorama sulla pianura sottostante il suo palazzo.
Anche in Spagna gli si attribuiscono dei miracoli nell’epoca visigotica, uno dei quali diede occasione al re Recaredo di donare al sepolcro del santo la sua corona d’oro.
Sembra che, dopo i primi tempi, la memoria del sepolcro si andò perdendo, forse perché le reliquie dovettero essere nascoste in cripte più profonde per preservarle dalla profanazione degli Arabi. Nel secolo X furono ritrovate insieme con quelle di altri martiri dal vescovo Mirone, conte di Besalù, dopo ferventi preghiere e alla presenza di molti vescovi, abati e illustri signori.
Le reliquie così ritrovate furono poi messe in un prezioso scrigno nel secolo XIII, collocato sull’altare della cappella maggiore; trasferite, quindi, al principio del secolo XVIII, furono poste sotto l’ambone dell’epistola, dove rimasero più o meno dimenticate. Nonostante questa incuria, la memoria del Santo è stata sempre venerata e ancora oggi a Gerona si celebra con grande solennità la sua festa.

(Autore: Francisco Martin Hernandez – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Felice di Gerona, pregate per noi.

*Santi Friardo e Secondello di Vinduneta - Eremiti (1 Agosto)
† 570 circa

Martirologio Romano: Nell’isola di Besné presso Nantes in Francia, Santi Friardo e Secondello diacono, eremiti.
«C’era nell’isola di Vinduneta, presso la città di Nantes, un uomo di una santità straordinaria, chiamato Friardo, recluso».
Così comincia l’ingenuo racconto di Gregorio di Tours, che si interessava molto più dei miracoli e delle cose meravigliose che delle precisazioni storiche sulle vite dei santi. Nato nel territorio di Nantes da famiglia contadina, Friardo si distingueva già nella sua giovinezza dai compagni di lavoro per la pietà e il raccoglimento, al punto da eccitare i loro scherni e brutti tiri.
Un giorno, durante la mietitura, essendo stati punti da uno sciame di vespe, furono però contenti di essere ricorsi a Friardo perché costui si mise in ginocchio, fece un segno di croce, e le vespe si nascosero nel loro buco.
In seguito, per trovare maggiore raccoglimento e applicarsi alla penitenza, si ritirò in un’isola della Loira, Vinduneta, concordemente identificata con Besné, oggi divisa dal fiume dalle paludi della Grande Brière.
Quivi visse col diacono Secondello, avendo ciascuno la sua celletta. Un abate, Sabaudus, nel passato servitore del re Clotario, si unì a loro, ma ritornò poi al suo monastero.
La vita di Friardo e di Secondello, rimasti soli, si svolse come quella dei padri del deserto, seminata di fatti meravigliosi e di interventi diabolici. Secondello uscì una volta dall’isola per andare a predicare e a guarire dei malati. Al suo ritorno, era tutto felice per quanto aveva fatto: Friardo vide in tutto questo una trappola del demonio che lo voleva riempire di vanagloria, così, allorché il tentatore apparve a Secondello nuovamente, sotto l’aspetto di Cristo, questi si accontentò di cacciarlo con un segno di croce.
Secondello morì per primo, ma dei discepoli vennero a sostituirlo, attirati dalla santità di Friardo. Quando giunse anche per costui l’ora di morire, il vescovo di Nantes, San Felice, che lo aveva in grande stima, lo andò ad assistere negli ultimi momenti e a seppellirlo. Sentendosi molto malato,
Friardo aveva fatto pregare il vescovo di andare a visitarlo.
San Felice, troppo occupato, fece dire al sant’uomo di attendere, e Friardo, obbedendo, attese Barrivo del vescovo prima di morire. Si era verso il 570.
La sua pietà era semplice come la sua vita. Gregorio di Tours cita la preghiera che gli veniva senza posa alle labbra: «Adiutorium nostrum in nomine Domini» e menziona anche i segni di croce che si faceva sulle orecchie e sugli occhi, di cui si facevano beffe i suoi compatrioti.
Le tombe di san Friardo e di san Secondello, in pietra calcarea, con disegni raffiguranti piante di felce, sono tuttora conservate nella cripta della chiesa di Besné, dove si venerano anche le loro reliquie.
Il vescovo di Nantes, nel 1642, eresse in loro onore una confraternita, dotata di indulgenze dal Papa Urbano VIII, che si disciolse durante la Rivoluzione francese, ma fu ristabilita nel 1846 con nuove indulgenze accordate da Pio IX.
La diocesi di Nantes festeggia Friardo il 10 agosto e Secondello il 29 aprile. La chiesa e la parrocchia di san Besné sono sotto il patronato di San Friardo e Secondello ha la sua cappella circondata da un boschetto di lauri, a una certa distanza, presso una fontana, là dove i due Santi venivano ogni giorno ad incontrarsi.
Il Martyrologium Romanum pone la data del culto al 1° agosto.

(Autore: Jean Evenou – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Friardo e Secondello, pregate per noi.

*Beato Gerhard Hirschfelder - Sacerdote e Martire (1 Agosto)

17 febbraio 1907 - 1 agosto 1942
Il sacerdote Gerhard Hirschfelder, appartenente al primo gruppo di sacerdoti del Movimento di Schönstatt, martirizzato durante il nazismo nel campo di concentramento di Dachau, è stato beatificato questa domenica nella Cattedrale di Münster (Germania).
L'Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Joaquim Meisner, ha rappresentato il Papa alla cerimonia e ha definito il sacerdote – morto nel lager a 35 anni – un modello per i giovani, come ha reso noto la “Radio Vaticana”.
Pellegrini provenienti da tutta la Germania, dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, dove il ricordo del sacerdote è molto vivo, si sono recati nella città tedesca per assistere alla beatificazione.
Padre Gerhard Hirschfelder è stato proclamato Beato come “martire e testimone della fede”.
Il Cardinale Meisner ha sottolineato che il sacerdote ha respinto la disumana logica nazista e ha ricordato il suo impegno speciale nella pastorale giovanile.
L'evento di questa domenica è stato preceduto da un'Eucaristia nella chiesa di Überwasser sabato pomeriggio, seguita da una processione con candele fino alla Cattedrale e da un'ora di preghiera silenziosa.
Per i giovani
Il nuovo beato nacque il 17 febbraio 1907 nella contea di Glatz, in Slesia. Fu ordinato sacerdote nel 1932, e da allora fino al 1939 fu cappellano a Grenzeck (Tscherbeney). Dal 1939 al 1941 fu cappellano maggiore a Habelschwerdt e responsabile della pastorale giovanile della Diocesi.
Constatando la natura e gli effetti della propaganda nazista, cercò di mantenerne lontani i suoi giovani, attraverso la sua vicinanza e la direzione spirituale.
Nelle sue omelie, denunciò con coraggio gli eccessi e la violenza di quel periodo. La Gestapo
reagì a tutto questo, arrestandolo nel 1941 durante una riunione con i giovani.
Per gli oltre 4 mesi in cui rimase in prigione a Glatz scrisse un'impressionante Via Crucis e alcune riflessioni sul sacerdozio, il matrimonio e la famiglia.
Venne trasferito al campo di concentramento di Dachau il 15 dicembre 1941 e morì di fame e per una grave forma di polmonite il 1° agosto 1942.
I suoi resti sono sepolti nella città polacca di Czermna (Tscherbeney), dove aveva lavorato come cappellano.
Costruttore di ponti
Padre Hirschfelder apparteneva al primo gruppo di sacerdoti di Schönstatt nel campo di Dachau, insieme al Beato Carlos Leisner, al sacerdote pallottino Richard Henkes e al parroco tedesco Alois Andritzki. Degli ultimi due è in corso il processo di beatificazione.
La promulgazione del decreto sul martirio del sacedote è stata autorizzata il 27 marzo scorso da Papa Benedetto XVI.
La sua causa di beatificazione si è aperta nel 1998. Nell'aprile 2002 è stata consegnata la Positio terminata.
Oltre a tutta la documentazione, sono state raccolte – in Germania, in Polonia e nella Repubblica Ceca – più di 10.000 firme di persone che chiedevano la sua beatificazione.
Di fronte a questo numero straordinario, il presule decano di Glatz, monsignor Franz Jung, ha detto che il beato può essere “un costruttore di pace per un'Europa unita”.
Martiri durante il nazismo
Alla beatificazione di Gerhard Hirschfelder seguiranno il prossimo anno cerimonie analoghe per altre figure significative di sacerdoti martiri durante il regime nazista: Georg Häfner a Würzburg, e Johannes Prassek, Hermann Lange e Eduard Müller a Lubecca.
Con i sacerdoti di Lubecca, si presterà omaggio anche al pastore evangelico Karl Friedrich Stellbrink, come ha spiegato il Papa nel discorso che ha rivolto al nuovo ambasciatore tedesco il 13 settembre a Castel Gandolfo.
Benedetto XVI si è riferito a queste testimonianze come a “luminose indicazioni” per il cammino ecumenico.
“Sono uomini che insegnano a dare la propria vita per la fede, per il diritto ad esercitare liberamente il proprio credo e per la libertà di parola, per la pace e la dignità umana”, ha dichiarato.
“L’attestata amicizia dei quattro ecclesiastici è una testimonianza impressionante dell’ecumenismo della preghiera e della sofferenza, fiorito in vari luoghi durante l’oscuro periodo del terrore nazista”.

(Fonte: Zenit)
Giaculatoria - Beato Gerhard Hirschfelder, pregate per noi.

*San Gionato - Abate (1 Agosto)

Martirologio Romano: A Marchiennes nella Gallia belgica, in Francia, San Giónato, abate, discepolo di Sant’Amando.
Gionato (Giona) fu nominato abate di Marchiennes, presso Douai, da Sant'Amando e sotto il suo abbaiato il monastero divenne doppio.
Egli diresse l'abbazia di concerto con San Rictrude. Morì a Marchiennes verso il 690 ed ivi fu sotterrato.
A torto, sembra, è stato identificato con Giona di Bobbio.
La festa era celebrata il primo agosto come si può vedere dal sermone liturgico che si leggeva quel giorno, che fu verosimilmente composto da Ucbaldo di Sant'Amando all'inizio del secolo X.
Nella diocesi di Cambrai è festeggiato il 9 e il 4 agosto.

(Autore: Daniel Misonne - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gionato, pregate per noi.

*Beato Giovanni Bufalari da Rieti (1 Agosto)

Castel Poschiano, Amelia, 1318 - Rieti, 1336
Nacque verso il 1318 a Castel Poschiano, presso Amelia, in Umbria. Entrò molto giovane nell’Ordine agostiniano, distinguendosi per semplicità e innocenza di vita e per amore e servizio verso i fratelli. Trasferito a Rieti, vi dimorò fino alla morte, avvenuta forse nel 1336. Il suo corpo riposa nella Chiesa di S. Agostino di Rieti.
Martirologio Romano: A Rieti, Beato Giovanni Bufalari, religioso dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, giovane umile e gioioso, sempre pronto ad aiutare il prossimo.
Nacque verso il 1318 a Castel Poschiano, presso Amelia, in Umbria.
Entrato molto giovane nell’Ordine agostiniano, fu trasferito a Rieti, dove visse fino alla morte. Di lui così scrive Giovanni di Sassonia (+1380): "Viveva a Rieti un giovane religioso di nome Giovanni, semplice, umile, sempre allegro, uguale agli altri nel mangiare, nel bere e in tutte le altre cose che riguardavano la vita comune dei frati; irreprensibile nei rapporti umani, era veramente singolare nel suo intimo.
Amava molto i suoi fratelli e li trattava con tale carità che non gli uscì mai una parola, né fece mai un gesto che fosse in contrasto con la legge dell'amore fraterno. Trattava tutti con amabilità, specialmente gli ammalati e gli ospiti; ad essi lavava i piedi e puliva le vesti, mettendo anche le sue a loro disposizione; li ricolmava di ogni gentilezza e tutto faceva sempre con la più
grande gioia. A tutti i sacerdoti indistintamente e spontaneamente, ogni volta che poteva, serviva la Messa con grande pietà.
Era solito recarsi da solo nell'orto del convento, e spesso, quando ne usciva, si notava che aveva molto pianto. A chi gli domandò, una volta, perché avesse pianto, rispose: “Perché vedo che l'erba, gli alberi, gli uccelli e la terra con i suoi frutti obbediscono a Dio, mentre gli uomini, ai quali è stata promessa la vita eterna in premio della loro obbedienza, trasgrediscono la legge del loro Creatore. Per questo gemo e piango”.
Accadde per diversi giorni, prima della sua morte, che un usignolo venisse a cantare dolcemente davanti alla finestra di questo religioso. Il fatto suscitò la meraviglia dei frati che gli domandarono spiegazione della cosa; egli, sorridendo e con fare scherzoso, rispose che si trattava della sua sposa che veniva ad invitarlo in paradiso.
Un giorno, mentre stava servendo la Messa, vide una luce celestiale sull'altare e subito cadde malato e poi con grande pietà rese l’anima a Dio.
Immediatamente si verificarono prodigi per l’intercessione di questo santo religioso, tanto che nel primo anno se ne contarono quasi 150".
Dopo la morte, avvenuta forse nel 1336 il suo corpo fu sepolto nella chiesa di Sant'Agostino di Rieti. Gregorio XVI ne confermò il culto nel 1832. La sua memoria liturgica ricorre il 2 agosto.

(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Bufalari da Rieti, pregate per noi.

*San Leo (Leone) di Montefeltro - Vescovo (1 Agosto)

Nel 257 due cristiani di nome Leone e Marino, provenienti dall’isola di Arbe in Dalmazia, giungono a Rimini attratti dall’opportunità di lavorare come scalpellini.
Accanto al lavoro mettono da subito l’attività di evangelizzazione della popolazione riminese. Per sfuggire alla persecuzione dell’Imperatore Diocleziano, si rifugiano in cima al Monte Titano.
Dopo tre anni Leo (Leone), con un piccolo gruppo di compagni, si reca presso la rupe del Monte Feliciano dove costruisce una piccola cella e una cappella dove, nel segreto, raduna i Cristiani.
La sua opera missionaria lo portò a diventare pastore della futura diocesi di Montefeltro, della quale, per tradizione, è considerato il primo vescovo, anche se l’istituzione ufficiale della diocesi è avvenuta alcuni secoli dopo.
Dopo la morte di Leone, il suo corpo viene deposto in un sarcofago di pietra di cui si conserva tutt’oggi il coperchio. (Avvenire)

Patronato: Diocesi e Repubblica San Marino
Etimologia: Leo (accorc. di Leonardo) = forte come leone, dal latino e dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Correva l’anno 257 d.C. e due cristiani di nome Leone e Marino, provenienti dall’isola di Arbe in Dalmazia, giunsero a Rimini attratti dall’opportunità di lavorare come scalpellini.
San Leone e San Marino, giunti nella zona del Monte Titano in cerca di pietre da lavorare, restarono affascinati dal maestoso Monte e vi si recavano spesso, Oltre a quel lavoro, essi svolgevano la missione di convertire la popolazione riminese al cristianesimo.
Per sfuggire alla persecuzione dell’Imperatore Diocleziano, si rifugiarono in cima al Monte Titano.
Passati tre anni, San Leo, con un piccolo gruppo di compagno, si diresse verso la rupe del Monte Feliciano che nella lingua del posto è chiamato Feretrio.
Qui giunto costruì una piccola cella e a Dio dedicò una piccola cappella e in tutta segretezza, cominciò a radunare i Cristiani e a predicare il Vangelo.
La sua missione diede subito frutti copiosi ed il Cristianesimo si propagò rapidamente in tutta la regione circostante, fino alla creazione della Diocesi di Montefeltro con a capo Leone nel frattempo ordinato vescovo.
Leone è considerato, per tradizione, i primo vescovo del Montefeltro, anche se l’istituzione ufficiale della Diocesi è avvenuta
alcuni secoli dopo.
Dopo la morte di Leone, il suo corpo venne deposto in un sarcofago di pietra di cui, nel Duomo, si conserva il coperchio.
(Autore: Carlo Ennio Morri – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leo di Montefeltro, pregate per noi.

*Santi Maccabei, Sette fratelli - Martiri (1 Agosto)

m. 168 a.C. (?)
Martirologio Romano:
Commemorazione della passione dei Santi sette fratelli martiri, che ad Antiochia in Siria, sotto il regno di Antioco Epifane, per aver osservato con invitta fede la legge del Signore furono messi crudelmente a morte insieme alla loro madre, la quale patì per ognuno dei suoi figli, ma, come si racconta nel secondo Libro dei Maccabei, in tutti conseguì la vittoria della vita eterna.
Insieme si celebra la memoria di Sant’Eleázaro, uno degli scribi più stimati, uomo già di età avanzata, che nella stessa persecuzione si rifiutò di cibarsi, per sopravvivere, di carne proibita, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, e precedette per questo di buon grado gli altri al supplizio, lasciando un mirabile esempio di virtù.
Al 1° agosto il martirologio romano riferisce: "Ad Antiochia, la Passione dei Sette ss. fratelli Maccabei, martiri, che soffrirono con la loro madre, sotto il re Antioco Epifane.
Le loro reliquie, portate a Roma, furono deposte nella Basilica di San Pietro in Vincoli".
La loro storia è narrata nel II Mach. 7; ai sette fratelli è dato il nome di Maccabei, soltanto dal libro che ne parla.
Il II Mach. è un riassunto della storia, redatta in greco da Giasone, un giudeo di Cirene che scriveva poco dopo il 160 a. C., in cui si narra la persecuzione subita dai Giudei fedeli, ad opera di Antioco IV Epifane; in particolare, il martirio di Eleazaro (cap. 6) e quello dei nostri martiri (cap. 7).
La narrazione del cap. 7 è ripresa e assai ampliata nell'apocrifo IV Mach.
Ecco i punti salienti di II Mach. 7: "Sette fratelli, arrestati insieme con la madre si volevano costringere a prendere le carni proibite di porco.
Uno di essi, fattosi portavoce di tutti, disse: "Che cosa vorresti domandare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi paterne".
Il re, fatti arroventare i padelloni e le caldaie, comandò di tagliare la lingua, scorticare il capo e mutilare le estremità a quello che si era fatto loro portavoce, mentre gli altri fratelli e la madre stavano là a guardare.
Quando quello fu così completamente mutilato, dette ordine di gettarlo sul fuoco, mentre ancora respirava. Condussero quindi il secondo al ludibrio; anch'egli subì a sua volta il supplizio come il primo.
Giunto però all'ultimo respiro disse: "Tu, genio furioso, ci strappi dalla nostra presente vita: ma il Re del mondo farà risorgere all'eterna risurrezione di vita noi che siamo morti per le sue leggi".
Alla loro richiesta, il terzo mise fuori subito la lingua e stese avanti le mani coraggiosamente, dicendo con fierezza: "Queste membra le ho ricevute dal cielo e per le sue leggi non ne faccio conto alcuno, ma spero di riaverle nuovamente da lui".
Morto anche questo, martoriarono il quarto con le stesse torture. Sul punto di morire, disse: "É preferibile morire per mano degli uomini e avere da Dio la speranza di essere un giorno da lui; risuscitati. Per te certamente non ci sarà risurrezione alla vita".
Il quinto condotto alla tortura, fissando il re, disse: "Tu hai un'autorità tra gli uomini e, pur essendo mortale, fai quello che vuoi; ma non credere che la nostra razza sia stata abbandonata da Dio. Quanto a te, abbi pazienza e vedrai come la sua grandiosa potenza tormenterà te e i tuoi discendenti". Similmente per il sesto... Rimanendo il più giovane. il re Antioco non solo lo scongiurava con le parole, ma lo assicurava anche con giuramenti di farlo insieme ricco e invidiabile, di averlo come amico e di affidargli uffici governativi, qualora avesse abbandonato le patrie leggi.
Siccome il giovane non gli prestava minimamente attenzione, il re chiamò la madre, esortandola a farsi consigliera di salvezza per il giovanetto.
Dopo tanti ammonimenti, ella accettò di persuadere suo figlio. Chinatasi su di lui, per scherno del crudele tiranno, così disse nella lingua paterna: "Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno... che ti ho educato... Ti prego, o figlio, di osservare il cielo e la terra e di mirare tutte le cose in essi contenute e di dedurne che Dio non le ha fatte da cose preesistenti, e che il genere umano ha la stessa origine. Non temere questo carnefice, ma accetta la morte, mostrandoti degno dei fratelli, affinché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli al momento della misericordia".
Stava ella ancora parlando, che il giovane disse: "Che aspettate? Non obbedisco all'ordine del re, ma obbedisco al precetto della legge data ai nostri padri per mezzo di Mosè. Tu, però, che ti sei fatto
inventore d'ogni male contro gli Ebrei, non sfuggirai certamente alle mani di Dio.
Noi infatti soffriamo a causa dei nostri peccati. Se per nostro castigo e correzione il nostro Dio vivente si è adirato per breve tempo, di nuovo egli si riconcilierà con i suoi servi. Tu, invece, o empio, non ti esaltare invano - perché non sei ancora sfuggito al giudizio di Dio che tutto può ed osserva.
Or dunque, dopo aver sopportato un breve tormento, i nostri fratelli sono giunti alla divina alleanza della vita eterna; tu invece riporterai dal giudizio di Dio le giuste pene della tua superbia.
Quanto a me, dò anch'io, come i miei fratelli, corpo e anima per le leggi avite, e prego Iddio che si mostri presto misericordioso verso il suo popolo, che tu finisca col confessare, tra prove e flagelli, che solo lui è Dio; e che l'ira dell'Onnipotente, abbattutasi giustamente su tutta la nostra stirpe si arresti su di me e i miei fratelli". Allora il re, furioso, usò con lui un trattamento più feroce che con gli altri, non potendo sopportare lo scherno. Così anch'egli passò da questa vita senza affatto macchiarsi, pieno di fiducia nel Signore. Ultima, dopo i figli, morì la madre".
La Bibbia non ci dà i loro nomi, né indica dove si svolse il martirio, fatto loro subire dal re Antioco IV Epifane; né precisa la data (forse 168; a Gerusalemme?).
Generalmente si ammette che essi furono martirizzati ad Antiochia, tale è, comunque, la tradizione comune delle Chiese d'Oriente e d'Occidente.
I primi cristiani ammirarono questi valorosi martiri del giudaismo, precursori dei martiri del Cristo. Il loro culto si diffuse rapidamente e la loro festa sembra sia stata universale nella Chiesa verso il sec. V. La storia del culto dei santi martiri è così riassunta dalle Vies des Saints (citt. in bibl. ). Già appaiono nel Martirologio Siriaco (412), nei Calendari di Polemius Silvius (448) e di Cartagine (secc. V-VI), e nell'insieme dei mss. del Martirologio Geronimiano. Su questi martiri possediamo testi di San Gregorio Nazianzeno (PG, XXXV), San Giovanni Crisostomo, Sant' Agostino , Sant' Ambrogio, San Gaudenzio di Brescia, pseudo Leone.
Secondo San Girolamo (m. 420), le reliquie dei sette fratelli erano a Modin ed egli si meravigliava che fossero venerate ad Antiochia. L'Itinerarium detto di Antonino (ca. 570) nomina Antiochia in cui riposano con altri Santi e s. Giustina "i fratelli Maccabei, in tutto nove tombe, sormontate ciascuna dagli strumenti del loro supplizio".
Il Martirologio Siriaco nomina i Maccabei "figli di Samunas" ad Antiochia, nel quartiere giudaico, al 1° agosto.
I sinassari bizantini offrono sette nomi e la madre è Solomonis. Le liste siriache e armena sono differenti. Il Calendario marmoreo napoletano (sec. IX) congiunge i Maccabei a una santa EELI.
Con ogni probabilità il martirio avvenne ad Antiochia dove le tombe furono venerate fino al sec. VI. Dopo il 551 le reliquie furono portate a Costantinopoli e da 11, almeno in parte, a Roma, sotto Pelagio I (556-561).
É possibile però si tratti di Pelagio II (579-590) e che le reliquie siano venute direttamente da Antiochia. Esse comunque si venerano a Roma, in S. Pietro in Vincoli, chiesa la cui festa titolare cade in questo stesso giorno, 1° agosto.
Nel 1876 fu ivi trovato un sarcofago a sette compartimenti, contenenti ossa e ceneri con due togli di piombo recanti iscrizioni relative ai sette fratelli, del IX sec. (o sec. XV?). La festa dei sette fratelli Maccabei non è menzionata nei libri liturgici, sia gallicani, sia romani, eccettuato il Sacramentario gelasiano; il loro culto sarà stato forse eclissato dalla festa di San Pietro in vinculis.

(Autore: Francesco Spadafora – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Maccabei, Sette fratelli, pregate per noi.  

*Beata Maria Stella del SS. Sacramento (Adelaide) Mardosewicz e 10 Compagne - Martiri (1 Agosto)
Martirologio Romano: Nella foresta presso la città di Nowogródek in Polonia, Beate Maria Stella del Santissimo Sacramento (Adelaide) Mardosewicz e dieci compagne della Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia di Nazareth, vergini e martiri, che, nei funesti tempi di guerra, raggiunsero la gloria celeste fucilate dai nemici della religione.
Pur non essendoci nella politica nazista una persecuzione diretta contro la Chiesa Cattolica e le altre Confessioni cristiane, ciò non evitò l’uccisione di parecchi componenti del clero e dei religiosi, sia negli Stati occupati, sia nei campi di concentramento.
In Polonia in particolare, il clero rientrò nel programma di annientamento e sottomissione del popolo polacco da parte del Terzo Reich, soprattutto perché era considerato particolarmente pericoloso, in quanto costituiva la classe dirigente della Nazione ed aveva grande carisma sul popolo.
Stessa considerazione era per quello della Bielorussia, infatti nella “classe dirigente” da eliminare, erano compresi i sacerdoti e le suore. Dopo aver messo in atto tutte le restrizioni economiche, di culto, di ogni attività pastorale e spirituale, si passò all’eliminazione fisica degli stessi, la scusa o l’occasione veniva data il più delle volte perché avevano avuto contatti con familiari di persone arrestate o fucilate o di aver aiutato prigionieri russi, ebrei o partigiani.
Nella sola regione di Nowògròdek, oggetto di queste considerazioni, vi furono nel 1942 e 1943 ben sessanta sacerdoti e suore uccisi, nessuno fu portato in campo di concentramento, si preferiva fucilare sul luogo o soffocare con il gas, in alcuni casi le vittime furono bruciate vive.
Le undici suore martiri della Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia di Nazareth, facevano parte della Casa di Nowògròdek, e quando la Gestapo verso la metà di luglio del 1943, arrestò circa
120 abitanti della zona, esse si dichiararono pronte a dare la loro vita in cambio di quanti avevano famiglia, così il 31 luglio di sera, furono convocate al commissariato.
Vi si recarono da sole, fiduciose del fatto che non avendo fatto male alcuno, al massimo potevano essere deportate in Germania ai lavori forzati, ma furono subito disilluse, perché la Gestapo assumendo un atteggiamento aggressivo nei loro confronti, le fece salire su un camion e trasportate a 3 km di distanza per fucilarle; ma la presenza di contadini che si ritiravano dai campi, rese la cosa in condizioni sfavorevoli, pertanto furono riportate al commissariato e rinchiuse in cantina (non in prigione, forse per tenere nascosto l’atto criminoso).
Le undici suore trascorsero la notte in preghiera e la mattina dopo, 1° agosto 1943, gli aguzzini venuti di nuovo a prelevarle, le trovarono immerse in una pace profonda.
Giunte più lontano, a 5 km da Nowògròdek, esse con addosso la loro tonaca furono fucilate e con loro un giovane bielorusso testimone per caso dell’eccidio.
La popolazione locale tributò alle suore martiri una venerazione immediata, che non è mai venuta meno e varie grazie si sono ottenute per la loro intercessione.
Suor Maria Stella del SS. Sacramento (Adelaide Mardosewiz) era la superiora della Casa ed aveva 55 anni e aveva dovuto guidare le suore già durante l’occupazione sovietica (1939-41), con la loro spoliazione dell’abito e lo scioglimento della Casa, poi con l’occupazione tedesca il loro riunirsi; donna di alta fede seppe infondere nelle suore quello spirito di sacrificio che le portò al martirio.

Le altre suore sono:
Maria Imelda di Gesù dell’Ostia (Jadwiga Karolina Zak) di 51 anni
Maria Rajmunda di Gesù e Maria (Anna Kukolowicz) di 51 anni
Maria Daniela di Gesù e Maria (Eleonora Aniela Jòzwik) di 48 anni
Maria Kanuta di Gesù nel Giardino dei Getsemani (Jozeka Chrobot) di 47 anni
Maria Sergia della Madonna Addolorata (Julia Rapici) di 43 anni
Maria Gwidona della Misericordia Divina (Helena Cierpka) di 43 anni
Maria Felicyta (Paulina Borowik) di 38 anni
Maria Heliodora (Leokadia Matuszewska) di 37 anni
Maria Kanizja (Eugenia Mackiewicz) di 39 anni
Maria Borromea (Weronika Narmontowiz) che con i suoi 27 anni era la più giovane.
Il Papa Giovanni Paolo II le ha beatificate il 5 marzo 2000, fissando la ricorrenza liturgica al 4 settembre.
Il Martyrologium Romanum le ricorda il primo agosto.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Stella del SS. Sacramento Mardosewicz e 10 Compagne, pregate per noi.

*Beato Nicola de la Torre Merino - Coadiutore Salesiano, Martire (1 Agosto)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Madrid e Siviglia”
“Beati 498 Martiri Spagnoli” -  Beatificati nel 2007
“Martiri della Guerra di Spagna”

Béjar, Spagna, 4 marzo 1892 - Madrid, Spagna, primi di agosto del 1936
Nacque a Béjar in provincia di Salamanca il 4 marzo 1892.
Fece il Noviziato a Sarrià (Barcellona) ed emise i voti il 18 marzo 1910.
Svolse le sue attività a Barcellona, Valenza, La Coruña, Vigo e Madrid, dove lo sorprese la rivoluzione.
Vestito com’era in borghese, poté continuare i suoi lavori anche durante la rivoluzione; ma riconosciuto come religioso, forse dietro denunzia, e incarcerato, venne fucilato ai primi di agosto del 1936.
Beatificato il 28 ottobre 2007.

(Fonte: www.sdb.org)
Giaculatoria - Beato Nicola de la Torre Merino, pregate per noi.

*Beato Orlando - Eremita (1 Agosto)

Esisto due sue raffigurazioni: nell'affresco del chiostro di San Pancrazio a Firenze e in una sua immagine nella sacrestia della badia di Ripoli.
Egli era un converso vallombrosano vissuto a Vallombrosa al tempo dell’abate Benigno (m. 1236) e condusse vita edificante ligia alla regola monastica.
Morì in data imprecisata e Dio ne comprovò la santità liberando degli ossessi durante il suo funerale.
Nel maggio 1600 fu ritrovato un sepolcreto presso il campanile di Vallombrosa con le ossa di 10 Beati dell’Ordine, tra cui Orlando.
Furono esposte al culto il 21 agosto 1600 dal vescovo Alessandro de’ Medici.
Nel 1604 fu costruita una cappella, ampliata nel 1757, dove tutt’oggi sono venerati i Beati.
La memoria liturgica collettiva è il 1 agosto, anche se i martirologi benedettini commemorano il Beato Orlando il 20 maggio.

(Autore: Don Marco Grenci – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Orlando, pregate per noi.

*Santi Pellegrino e Bianco - Pellegrini (1 Agosto)
VII secolo

Patronato: San Pellegrino in Alpe (LU, MO)
San Pellegrino non era un Santo italiano. La leggenda narra che fosse il figlio di Romano, re di Scozia, e che, dopo avere rinunciato alla corona, se ne andasse pellegrino per l'Europa e poi per le lontane contrade d'Oriente; e poi lo ritroviamo ancora in Italia, a visitare i santuari del nostro paese, fino a quando il suo viaggio si arresta nel paese alpino che oggi porta il suo nome e dove morirà nel 643 d.C..
Sempre la leggenda vuole che San Pellegrino assumesse come sua dimora il tronco cavo di un faggio e da quel luogo romito incominciasse una incessante lotta contro il Maligno e le sue tentazioni.
Amico degli animali, Pellegrino svolse una attività di aiuto per gli altri romei solitari che transitavano per quell'impervio territorio anticipando, in tal modo, l'hospitale che verrà costruito nel Medioevo proprio come stazione di aiuto e cura dei pellegrini.
Alla morte di San Pellegrino la sua opera fu continuata dal suo discepolo, San Bianco, e ora quelli che si ritengono i loro resti riposano all'interno della stessa teca all'interno del santuario.

Curiosità dei pellegrini
I pellegrino portavano una pietra per penitenza.
Nei tempi andati, chi veniva a San Pellegrino ad omaggiare la tomba dei santi portava con sé, in segno penitenziale, una grossa pietra tanto che, nel corso dei secoli, venne a crearsi un grandissimo cumulo di sassi.

L'empireo delle leggende
La vita del santo, o quella che si immagina essere stata la vita di San Pellegrino , ha dato origine alla creazione di altre leggende in cui sono confluite credenze pagane e cristiane.
Lo sfondo di tali leggende rimane sempre la "selva tenebrosa", quel crinale appenninico che era sempre stato considerato un territorio selvaggio ed inospitale e attraverso il quale i viandanti transitavano mal volentieri.
Come ogni terra poco conosciuta la si immaginava piena di fiere, se non anche di animali mitologici governati dalle forze del male, ed un santo come San Pellegrino non poteva che trovare, in essa, abbondante materiale con cui confrontarsi per progredire nel cammino della santità, a maggior gloria di Dio.

L'antico Santuario
Le spoglie mortali di San Pellegrino e San Bianco, oggi custodite all’interno del Santuario, hanno vegliato ,per secoli, sulle sorti di questo avamposto che fu, nel Medioevo, frequentato "Hospitale" per i pellegrini in transito e poi sede di transito per i commerci tra la Toscana e l’Emilia.
Luogo di confine e luogo conteso per il suo prestigio.
La storia di San Pellegrino in Alpe continua, ancora oggi, immutata, con i suoi inverni spazzati da gelide nevi e le sue estati tranquille tra le verdi frescure del crinale Appenninico.
Il più antico documento storico che attesta la presenza di una chiesa-ospizio a San Pellegrino in Alpe risale al 1110 ed è conservata all'Archivio Vescovile di Lucca.
Tuttavia, si è generalmente concordi nel ritenere che un ospizio fosse presente ben prima di tale
data. San Pellegrino modurante il dominio longobardo nel VII secolo e chi ne continuò l'opera, forse proprio San Bianco per primo, concentrò i propri sforzi nella cura ed accoglienza dei romiti che attraversavano l'Alpe.
Nel volgere di non molto tempo il santuario-ospizio di San Pellegrino in Alpe si trovò ad essere uno dei più riforniti di beni materiali a causa di donazioni varie.
Persino papi ed imperatori non mancarono di conceder privilegi e benefizi: Enrico Vi nel 1187, Federico II nel 1239, il Papa Alessandro VI nel 1255. In ogni caso, pare che l'antico Hospitale raggiungesse tra il XI e il XIV secolo momenti di autentico splendore, anche economico.
Un posto d'onore nell'amministrazione di San Pellegrino spetta a Lionello de' Nobili il quale, con un intensa attività di riordinamento dei beni in uso al santuario (beni spesse volte lontani e poco redditizi), riuscì a ricostruire, a partire dal 1461, la chiesa e l'ospizio di San Pellegrino .
Fu compito del nipote di Lionello (che morì nel 1473) commissionare allo scultore Matteo Civitali, l'artistico tempietto marmoreo che ora accoglie degnamente le spoglie dei santi Pellegrino e Bianco.

Un Santo conteso
La leggenda vuole che sin dalla morte di san Pellegrino iniziassero le contese su quale territorio dovesse sorgere il santuario a lui dedicato, se nella provincia di Modena o in quella di Lucca.
Sempre la leggenda afferma che la sorte fosse lasciata al "destino"; le spoglie del santo furono caricate su un carro che era trainato da due indomiti torelli e dove essi si fossero fermati là sarebbe anche sorto il santuario.
Le bestie si fermarono esattamente sul confine e così, da sempre, il santuario è virtualmente tagliato in due longitudinalmente e un lato è situato nel comune di Frassinoro ,in provincia di Modena, e l'altro nel comune di Castiglione Garfagnana, in provincia di Lucca.
Persino la teca contenente i resti dei due Santi sarebbe in tal modo una proprietà condivisa e i Santi si troverebbero con la testa in Emilia e i piedi in Toscana!

Il tempietto dei Santi
Il tempietto marmoreo che custodisce quelli che si ritengono i resti di S. Pellegrino e S. Bianco fu opera di un importante scultore del Quattrocento, Matteo Civitali (1436-1502).
Matteo Civitali non fu soltanto un importante scultore ma un artista completo che si occupava anche di pittura, ingegneria, intaglio del legno.
Il tempietto che oggi si può ammirare all'interno del santuario fu iniziato nel 1475 e portato a termine dopo il 1484.
Nel 2004, il museo nazionale di Villa Guinigi a Lucca dedicò la mostra "Matteo Civitali e il suo tempo, pittori scultori e orafi di Lucca nel tardo Quattrocento" a questo importante artista.

(Fonte: www.sanpellegrinoinalpe.it)
Giaculatoria - Santi Pellegrini e Bianco, pregate per noi.

*Beato Pierre-Lucien Claverie - Vescovo Domenicano, Martire (1 Agosto)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Servi di Dio Martiri in Algeria"

Algeri, Algeria, 8 maggio 1938 – Orano, Algeria, 1° agosto 1996

Pierre Claverie, algerino di famiglia francese, in gioventù avvertì il contrasto tra la mentalità colonialista in cui era stato cresciuto e la necessità di guardare anche i musulmani come fratelli. Entrato nell’Ordine domenicano, venne ordinato sacerdote nel 1965.
Tornato in Algeria dopo la guerra d’indipendenza, curò una serie d’iniziative per approfondire la cultura araba, disponendosi all’ascolto verso tutti. Nel 1981 fu ordinato vescovo di Orano, dove proseguì la sua opera di dialogo e d’incontro, mentre in Algeria cominciavano a essere uccisi uomini e donne, cattolici e non.
Il 1° agosto 1996, mentre era di ritorno da una celebrazione in suffragio dei sette monaci di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, morì a causa di una bomba collocata nel cortile del vescovado di Orano. Con lui morì Mohammed, il suo autista, musulmano. Il 28 gennaio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto in cui monsignor Claverie, i sette monaci di Tibhirine e altri dieci religiosi uccisi tra il 1994 e il 1996 sono stati dichiarati ufficialmente martiri.
Lo fanno saltare in aria, piazzando un ordigno nel cortile del vescovado; naturalmente azionato a distanza, da vigliacchi qual sono, per evitare ogni rischio.
L’esplosione dilania anche un giovane di fede musulmana, che ciò malgrado è molto amico del vescovo cattolico e gli fa da autista: ancora una volta, dunque, sangue musulmano si mescola a sangue cattolico, sempre che davanti al buon Dio abbia ancora senso una tal distinzione, visto che sempre di sangue umano si tratta.
Siamo in Algeria, nel 1996 e, prima di questo musulmano, altri 150 mila suoi fratelli di fede han perso la vita con morte violenta, mentre la serie dei 19 martiri della Chiesa d’Algeria nel periodo 1994/1996 (religiose, religiosi, preti e fratelli, missionari, monaci), si chiude con lui, il vescovo Pierre Claverie.
Di famiglia francese, trapiantata su suolo algerino da alcune generazioni, cioè un "pied noir", come sono chiamati i francesi d’Algeria, nasce nel quartiere popolare di Bab el-Oued, ad Algeri, l’8 maggio 1938; respirando l’amore intenso, affettuoso, ricco di delicate sfumature dei suoi genitori, diventa un giovane e un uomo gioioso, generoso e straordinariamente predisposto per le relazioni umane, fino a diventare "martire delle relazioni con l’Islam".
Dato che, però, è ormai assodato che santi non si nasce, ma lo si diventa, bisogna riconoscere che neanche Pierre fa eccezione. «Non eravamo razzisti, soltanto indifferenti, ignoravamo la maggioranza degli abitanti di questo paese…
Ho potuto vivere ventotto anni in quella che io adesso chiamo una "bolla coloniale", senza neanche vedere gli altri», scrive da uomo maturo, riconoscendo lo sforzo che ha dovuto fare per convertire la mentalità colonialista in cui vive la sua giovinezza, a contatto per forza di cose con i musulmani che gli vivono accanto, ma con la superiorità che gli deriva dalle sue origini francesi.
«Mi sono chiesto perché, durante tutta la mia infanzia, essendo cristiano - non più di certi altri -, frequentando le chiese - come certi altri -, ascoltando dei discorsi sull’amore del prossimo, mai ho sentito dire che l’Arabo fosse il mio prossimo», si lamenta quando ormai ha saputo fare «il grande passo verso l’altro».
Nel 1956 va a studiare matematica, fisica e chimica a Grenoble e questo non aiuta, anzi caso mai accentua la sua estraneità al mondo musulmano, anche perché la Francia non è per niente pronta ad
accettare l’indipendenza che la "battaglia d’Algeri" sta cercando di ottenere. Eppure, proprio qui, «l’emergenza dell’altro, il riconoscimento dell’altro, l’aggiustamento all’altro diventano, per me, ossessioni» e comincia a nascere la sua vocazione religiosa, in risposta all’esigenza di «darsi fino in fondo».
Entra dai Domenicani e nel 1965 è ordinato prete, ma la sua "conversione" può dirsi completata solo due anni dopo, quando chiede e ottiene di tornare in Algeria, che ormai ha conquistato l’indipendenza, «per scoprire il mondo nel quale ero nato, ma che avevo ignorato. Ed è qui che è iniziata la mia vera avventura personale, una rinascita».
Il primo passo da fare per entrare in questo mondo ancora per lui "nuovo" è possedere gli strumenti adeguati: Pierre si getta subito nello studio della lingua araba, impara l’islamologia e la cultura araba. La Chiesa algerina sta lavorando molto in quel periodo per aiutare il Paese a vivere nella nuova dimensione dell’indipendenza e Pierre è su questo fronte uno dei più attivi.
Nominato direttore del centro diocesano delle Glycines, in Algeri nel 1972, è l’animatore e il coordinatore di una serie di iniziative, dalla scuola linguistica per l’arabo dialettale e l’arabo classico, alla biblioteca ben fornita sul Maghreb e il mondo arabo, dalle sessioni d’islamologia alle rassegne stampa mensili.
Così, accanto ai preti e alle religiose, che si vogliono addentrare nel mondo algerino, studiano anche gli algerini che vogliono perfezionarsi in lingua araba: un ambiente in cui Pierre si trova pienamente a suo agio, aiutando due mondi a capirsi, ad apprezzarsi, a rispettarsi. «Scoprire l’altro, vivere insieme con l’altro, ascoltare l’altro, lasciarsi anche modellare dall’altro, non significa perdere la propria identità, rifiutare i propri valori; significa concepire un’umanità plurale, non esclusiva».
In questa Algeria «che era il mio paese, ma dove avevo vissuto da straniero tutta la mia gioventù», Pierre, oltre all’arabo, «impara soprattutto a parlare e comprendere il linguaggio del cuore, quello dell’amicizia fraterna attraverso cui comunicano religioni e razze».
Immediati i progressi che si notano in lui: la sua cordialità si fa più squisita e aumenta la sua disponibilità all’ascolto, come dimostra la porta del suo ufficio sempre aperta, e la possibilità di incontrarlo senza appuntamento e senza fare anticamera. Diventa, poco a poco, un ponte tra due religioni e due culture, un interlocutore prezioso e un tessitore di amicizie solide e durature con il mondo musulmano.
È forse anche per questo che nel 1981 viene nominato vescovo di Orano e l’ovazione degli amici musulmani nella cattedrale di Algeri, subito dopo la sua ordinazione episcopale, risuona ancora nelle orecchie e nel cuore di chi è presente quel giorno. La diocesi che gli è affidata è molto piccola: appena 1.500 cattolici su oltre 5 milioni di abitanti, con 10 parrocchie, 9 sacerdoti diocesani, 13 sacerdoti religiosi e 45 suore.
In continuo movimento da una zona all’altra, esercita un ministero di consolazione e di comunione, confortando, incoraggiando, visitando le comunità più isolate, mettendo in contatto i cristiani e la società algerina, perché, dice, «il dialogo è la sola possibilità di disarmare il fanatismo, in noi e nell’altro… perché è attraverso il dialogo che siamo chiamati a esprimere la nostra fede nell’amore di Dio, che avrà l’ultima parola su tutte le potenze di divisione e di morte».
Qualcosa in Algeria infatti sta mutando, con ondate di fanatismo e di intolleranza sempre più preoccupanti, che tuttavia non fanno mutare la strategia pastorale di Pierre Claverie, che continua a ripetere che  «la parola d’ordine della mia fede è il dialogo; non per una tattica opportunista, ma perché è costitutivo della relazione di Dio con gli uomini e degli uomini tra di loro»; e anche se, come scrive, «non abbiamo ancora le parole per il dialogo, bisogna cominciare col vivere insieme, creare luoghi umani dove si mettano in comune le rispettive eredità culturali che fanno la grandezza di ognuno».
Il fanatismo fa i suoi primi martiri, uccidendo preti e religiose, spesso anziani, sempre inermi, tutti con alle spalle una vita di servizio disinteressato per l’Algeria. La reazione di Pierre è durissima, quasi
rabbiosa: «Che prendano me come bersaglio, questo lo capirei... essendo vescovo, forse rappresento agli occhi di certe persone un’istituzione aborrita o pericolosa... ma attaccare questi anziani missionari, io non capisco».
Poi nel mirino finiscono gli algerini stessi, quelli che si battono per un’Algeria aperta e plurale; a cadere sono soprattutto scrittori, artisti, intellettuali, donne, poliziotti, tante persone umili che hanno rifiutato di piegarsi agli ordini dei gruppi armati, oltre a 99 imam che si sono rifiutati di giustificare la violenza.
La voce del vescovo Pierre tuona ancora, con lo stesso coraggio e la stessa veemenza: per esprimere loro solidarietà, ma soprattutto per denunciare la vigliaccheria degli assassini, il cinismo dei leaders islamici che li guidano o li comandano dai loro esili dorati di Londra, Bonn o Washington.
È pienamente cosciente del rischio che corre e a chi gli chiede perché resti ancora in Algeria ricorda che «La Chiesa adempie alla sua vocazione e alla sua missione quando è presente nelle divisioni che crocifiggono l’umanità nella sua carne e nella sua unità».
A chi, anche tra i confratelli, ha più di un dubbio che serva a qualcosa mettere a repentaglio la propria vita, ripete che «siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte», mentre spiega a chiare lettere che egli resta in Algeria «a causa di Gesù, perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia d’innocenti», dal momento che «la parabola del chicco di grano che muore è l’asse centrale di tutta la mia vita cristiana».
Spiace dirlo, ma un uomo così bisogna a tutti i costi farlo esplodere, altrimenti davvero può insegnare agli uomini a dialogare tra loro. E ciò accade nella tarda serata del 1° agosto 1996, al ritorno da una celebrazione per i sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine, in cui il vescovo, come al solito, ha tuonato contro i loro barbari uccisori.
Poche settimane prima aveva anche avuto il tempo di lasciare un messaggio al vecchio continente: «L’Europa cambierà volto: dovremo dunque vivere insieme e se possibile mantenere uno spazio che non sia monopolizzato da una religione, da una cultura, da un tipo di ideologia». Profetico, non vi sembra?

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Pierre-Lucien Claverie, pregate per noi.

*Beato Pietro Favre - Gesuita (1 Agosto)

Villaret, Savoia, 13 aprile 1506 - Roma, 1 agosto 1547
Il 22 luglio 1534 Pietro celebra la prima Messa, e il 15 agosto successivo è ancora lui a salire l’altare, nella chiesa di Santa Maria a Montmartre, quando sette giovani con alla testa Ignazio pronunciano i voti di povertà, castità e obbedienza, finalizzati al totale impegno missionario.
Nasce in quel momento la Compagnia di Gesù, con cinque spagnoli (Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Giovanni Laínez, Alfonso Salmerón e Nicola Bobadilla), più il portoghese Simon Rodriguez de Azevedo, e Pietro Favre della Savoia.
Non essendo possibile l’andata in Terrasanta, i sette vanno a mettersi a disposizione del Papa Paolo III Farnese in Roma: pronti per ogni servizio alla Chiesa, a qualsiasi livello. Il Pontefice
manda Pietro Favre a insegnare teologia all’Università della Sapienza; qualche anno dopo, con la stessa obbedienza, lo troviamo a “fare catechismo” nelle campagne parmensi.
Paolo III poi lo richiama, inviandolo in terra tedesca ai “colloqui di religione” tra cattolici e protestanti.
La sua opera è così apprezzata che nel 1542 lo chiameranno un’altra volta in Germania.
Sempre al servizio del Pontefice egli compie poi missioni in Portogallo e in Spagna (introducendo qui stabilmente la Compagnia di Gesù). Poi riceve l’ordine di tornare a Roma.
La sua è una vita faticosissima: Pietro Favre non si fa sconti nelle fatiche, nelle penitenze, nella povertà autentica. Paolo III lo chiama per inviarlo al Concilio di Trento che è incominciato nel 1545. Lui parte immediatamente, ma il suo organismo non regge più, sebbene abbia solo quarant’anni. Giunto nell’Urbe a metà luglio del 1546, due settimane dopo è già morto.

Martirologio Romano: A Roma, Beato Pietro Favre, sacerdote, che, primo dei membri della Compagnia di Gesù, affrontò onerosi compiti in diverse parti d’Europa e morì a Roma mentre partiva per il Concilio di Trento.
Contemporaneo di Sant’ Ignazio di Loyola, fu il primo sacerdote della nascente Compagnia di Gesù; nacque a Villaret, villaggio sulle pendici del Grand Bounard nella Savoia, il 13 aprile 1506; già all’età di dodici anni con il fervore dell’adolescenza, fece voto di castità.
Nel 1525 a 19 anni, si trasferì a Parigi per avviarsi allo studio della filosofia nel collegio di S. Barnaba, qui ebbe come compagno di stanza e di studio San Francesco Xavier (Saverio) e dal 1529 anche Sant’ Ignazio di Loyola, il quale gli fu di conforto nelle crisi spirituali che l’angustiavano.
Ottenuto il grado di baccelliere (laurea in legge) nel 1530, ritornò in patria, ma nel 1534 fece un mese di esercizi spirituali sotto la direzione di sant’ Ignazio e dopo la pia pratica si decise a seguirlo.
Fu consacrato sacerdote nel maggio 1534 e il 15 agosto seguente, insieme a Sant’ Ignazio e altri cinque compagni, fece il celebre voto di Montmartre, cioè di vivere in povertà e di andare a Gerusalemme, promettendo di mettersi a disposizione del Papa.
Nel 1536 si presentarono, con l’aggiunta di altri tre confratelli al papa Paolo III, rimandando il viaggio in Terra Santa causa la guerra fra Venezia ed i Turchi, ricevendo vari incarichi.
Pietro Favre insegnò teologia alla ‘Sapienza’ di Roma (1537-1539), poi si trasferì a Parma dove stette un anno prima di iniziare il suo apostolato itinerante come gesuita, in tutta Europa specialmente in Germania e la Penisola Iberica, dappertutto propagò la Compagnia di Gesù, predicò, diede gli esercizi, visitò monasteri, conquistò Pietro Canisio al nuovo Ordine.
Fu chiamato a partecipare al Concilio di Trento e intraprese il viaggio nonostante le cattive condizioni di salute, raggiunse Roma il 17 luglio 1546, ammalatosi morì in questa città il 1° agosto 1547.
Scrisse in lingua spagnola e latina il suo “Memoriale”, una specie di diario spirituale, questo documento stampato in varie edizioni e le sue lettere, sono la fonte per conoscere il suo carattere mite, la sensibilità, gli angelici costumi; amato e venerato da quanti lo frequentarono, uomo di preghiera secondo l’insegnamento di Sant’Ignazio. Il culto di Beato fu confermato da Pio IX il 5 settembre 1872.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro Favre, pregate per noi.

*San Pietro in Vincoli (1 Agosto)

I sec.
La festa di San Pietro in vincoli è la festa della liberazione di San Pietro da parte di un Angelo al momento della sua prima prigionia, ordinata da Erode poco dopo il martirio dell’Apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, i figli di Zebedeo. Il tiranno aveva constatato il piacere provato dagli Ebrei davanti all’omicidio di Giacomo. Egli non temeva di farsi una popolarità con dei metodi di questo genere. Alle genti senza coscienza, i mezzi d’azione importano poco. Il fine giustifica i mezzi, come dirà poi Machiavelli.
Il racconto della liberazione dal carcere di san Pietro è narrato in Atti 12,1-19. Il re Erode Agrippa , dopo aver fatto uccidere l’apostolo Giacomo, vedendo che ciò era gradito ai giudei fece arrestare Pietro.
Gettatolo in una prigione sotterranea, mise quattro picchetti di soldati a fargli da guardia, con il proposito di togliergli la vita dopo la festa di Pasqua.
Nel frattempo i fedeli elevavano al Signore incessanti preghiere per la sua liberazione. Queste preghiere furono ascoltate. Una notte la prigione dove si trovava l’apostolo si illuminò improvvisamente e un angelo apparve a Pietro. Questi, incatenato, stava dormendo fra i soldati.
L’angelo toccando il suo fianco lo destò e lo fece alzare in piedi. Le catene caddero dalle sue mani: “Mettiti la cintura e legati i sandali” disse l’angelo al capo degli apostoli, “Avvolgiti il mantello seguimi”. Pietro lo seguì e uscì dalla prigione, pensando in un primo momento che si trattasse di un sogno.
Dopo aver oltrepassato la prima e la seconda guardia, arrivarono alla porta di ferro che conduceva in città. La porta si aprì ed essi uscirono. L’angelo scomparve non appena furono arrivati in fondo alla strada. Pietro rientrato in se, esclamò: “Ora sono veramente certo che il Signore mi ha inviato il suo Angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei giudei”. E si recò immediatamente nella casa in cui si trovavano molte persone riunite in preghiera per la sua liberazione.
Il soggetto della nostra meditazione è la frase detta da San Pietro dopo la sua liberazione miracolosa dalla sua prigione di Gerusalemme da parte dell’Angelo del Signore. L’inviato celeste di Dio aveva svegliato il Capo della Chiesa addormentato tra due guardiani. Le sue catene erano cadute dalle sue mani. Su ordine dell’Angelo, egli aveva preso il suo vestito, calzato i suoi piedi, cinto le reni. Senza ostacoli, attraversarono i posti di guardia, passarono per la porta di ferro che si aprì davanti ad essi e guadagnarono un villaggio vicino alla città.
L’angelo disparve e San Pietro si rese conto che Dio aveva esaudito la preghiera incessante del popolo cristiano e che aveva inviato un Angelo dal cielo per strapparlo alla prigione ed alla manifestazione progettata da Erode di cui doveva essere la vittima.
“Ora sono veramente certo che il Signore mi ha inviato il suo Angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei giudei”.
Felice e bella festa questa del 1 agosto ! Vi sono stati tanti prigionieri cristiani nel corso di venti secoli ! Dapprima durante i primi tre secoli delle persecuzioni ! Poi un poco dappertutto nel corso degli anni... Oggi ve ne sono più che mai. Il XX secolo appena concluso è stato marchiato dalle stimmate vergognose di terribili persecuzioni e di guerre pubbliche o subdole contro la Chiesa. Non è meno vero che anche oggi nel ventunesimo secolo, l’azione della Provvidenza divina sui prigionieri incarcerati per la loro fede in Cristo si dimostri meno vigilante e paterna che ai tempi di Pietro. Quale speranza e quale conforto per essi !.
Signore, dai la forza, la pazienza e la speranza ai prigionieri che a causa della loro fede cristiana sono vittime dell’ingiustizia e della cattiveria degli uomini.
Libera i tuoi prigionieri ed invia i tuoi santi angeli, Signore, a quelli che soffrono per te e che con San Paolo rivendicano questo bel titolo di sofferenza e di gloria “d’incatenati per Cristo”.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Per noi cattolici il Papa è segno di unità delle varie Chiese particolari (le diocesi) ed è il Vicario di Cristo in terra e per questo gode di una particolare protezione delle Gerarchie angeliche verso le quali mostra un profonda amore.
A questo riguarda la vicenda del primo Papa della storia, San Pietro, è assai significativa; infatti l'Angelo del Signore liberò il Capo degli Apostoli dal carcere, ben due volte. La prima liberazione è descritta; in poche parole, nel capitolo V degli Atti, dove è scritto che la setta dei Sadducei fece gettare gli apostoli nella pubblica prigione: "Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione e li condusse fuori" (At. 5, 19).
La narrazione della seconda liberazione angelica è molto più ampia e la trascriviamo integralmente dalla Bibbia: "Verso quel tempo il re Erode prese a maltrattare alcuni membri della Chiesa. Fece morire di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, mandò ad arrestare anche Pietro. Si era nei giorni degli azzimi. Catturato, lo pose in carcere, dandolo a sorvegliare a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, con l'intenzione di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Mentre Pietro era tenuto prigioniero, la chiesa rivolgeva senza sosta preghiere a Dio per lui. La notte precedente il giorno fissato da Erode per farlo comparire davanti al popolo, Pietro dormiva in mezzo a due soldati legati con due catene, mentre le sentinelle davanti alla porta facevano la guardia alla prigione. Ed ecco che un Angelo del Signore gli fa vicino, e una luce risplendette sulla cella.
L'Angelo scosse Pietro ad un fianco e lo svegliò dicendogli: "Alzati, presto!", Le catene gli caddero dalle mani; e l'Angelo gli disse: "Mettiti la cintura e legati i sandali". E così fece. Poi gli disse: "Buttati addosso il mantello e seguimi". E uscito lo seguiva, e non si rendeva canto che era vero ciò che gli stava accadendo per mezzo dell'Angelo, e gli sembrava piuttosto di vedere una visione.
Oltrepassato il primo posto di guardia e il secondo, vennero alla porta di ferro che immetteva nella città. Essa si aprì da sola davanti a loro. Uscirono e si avviarono per una strada, e improvvisamente l'Angelo si dileguò da lui. Allora Pietro ritornato in sé disse: "Ora capisco davvero che il Signore ha mandato il mio Angelo e mi ha liberato dalla mano di Erode e ha reso vana l'attesa del popolo dei Giudei" (At. 12, 1-11).
L’ intervento dell’angelo è veramente straordinario. Non possiamo dimenticare che secondo il
racconto del libro degli Atti, c’era stato un grande afflusso di preghiere per ottenere il soccorso divino: dalla Chiesa saliva incessantemente una supplica per Pietro. Con questa prigione e con il giudizio che era in preparazione, la prima comunità cristiana era nel serio pericolo di essere privata del suo capo.
Erode, gettando Pietro in prigione, aveva preso ogni precauzione per impedire ogni tentativo di fuga: l’aveva fatto consegnare a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno.
Ma davanti a Dio, questa guardia armata era inefficace contro la potenza della preghiera della comunità cristiana e doveva crollare per l’intervento angelico imprevisto. L’angelo realizza la sua missione nel modo più opportuno.
Toccando Pietro, lo desta, ma solo nella misura necessaria per permettere al primo papa di fare tutti i gesti che dovevano portarlo alla liberazione; Pietro faceva questi gesti come in una visione, seguendo le istruzioni che gli erano date.
L’angelo non l’aveva completamente risvegliato, per evitargli ogni reazione che avrebbe potuto creargli un disturbo emotivo, l’angelo infatti conosceva bene il temperamento spontaneo e vigoroso del capo degli apostoli. Pietro ha ripreso perfettamente coscienza di se stesso quando è uscito dalla prigione ed allora si è reso conto di essere stato veramente liberato e si è messo a riflettere su ciò che doveva fare. Pietro allora si recò alla casa della madre di Marco, dove si trovava un gruppo di cristiani che pregavano per lui.
Possiamo constatare che recandosi in questa abitazione Pietro ha portato alla comunità radunata il risultato vivente delle sue preghiere. Ma in questa casa si è prodotto un singolare episodio che di nuovo riporta la nostra attenzione sul legame fra Pietro e gli angeli. Il libro degli Atti degli apostoli riporta che appena Pietro ebbe bussato alla porta esterna, una serva di nome Rodesi avvicinò per sentire chi era. Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunciare che fuori c’era Pietro, “ Tu vaneggi!”, le dissero. Ma ella insisteva che era proprio così. E quelli invece dicevano: “ E’ l’angelo di Pietro”.
Questi intanto continuava a bussare e quando finalmente aprirono e lo videro, rimasero tutti stupefatti. E’ interessante sottolineare che quelli che dicevano che si trattava dell’angelo di Pietro erano convinti che la protezione di un angelo viene data ad ogni uomo. Non solo questa protezione è concessa ad ognuno, ma l’episodio della liberazione di Pietro tende a dimostrare che un aiuto particolare degli angeli è destinato a coloro che, come i papi, nella chiesa esercitano l’autorità.
É certo che in favore di quelli che assumono la responsabilità di guidare il cammino della comunità cristiana, c’è una mobilitazione degli angeli, soprattutto quando si scatenano le minacce della persecuzione. Alle forze ostili si oppone la forza superiore delle potenze angeliche. Il soccorso angelico procurato a Pietro era inatteso; testimonia che gli spiriti celesti possono intervenire in tutti i particolari della vita e supplire a tutte le incapacità umane. Possiamo affermare che Pietro, grazie alla sua miracolosa liberazione dal carcere, ha scoperto le qualità dell’angelo che lo liberava. L’apostolo non aveva probabilmente avuto prima la possibilità di conoscerlo e non poteva immaginare la profonda simpatia che legava l’angelo al suo destino.
Al momento della sua liberazione, egli ha capito meglio l’importanza di questa presenza messa a sua disposizione. Scoprendo questa presenza piena di premura per lui, Pietro ha riconosciuto più vivamente il dono celeste che gli era stato fatto con questo angelo. Era un angelo che faceva parte della sua esistenza. Dopo aver riportato il meraviglioso intervento per liberare Pietro dalla morte sicura, Luca, sempre negli Atti degli Apostoli, riferisce la reazione di Erode alla scomparsa dell’apostolo.
Fu una reazione di rabbia impotente: cercando Pietro e non trovandolo più, fece processare le sentinelle e ordinò che fossero messe a morte. Poco dopo, Erode fece un discorso pieno di arroganza e di superbia agli abitanti di Tiro e di Sidone. Lo folla radunata lo esaltava gridando: “ Voce di un dio e non di un uomo!”.
Luca aggiunge: “Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; ed egli divorato dai vermi, spirò” (At 12,33). Il contrasto fra il destino di Pietro e quello di Erode conferma la missione degli angeli al servizio di Dio e della sua Chiesa. Colui che pretendeva essere un dio e non un uomo ha ricevuto il castigo per la sua inaudita pretesa, mentre Pietro ha ottenuto la libertà di compiere la sua missione di evangelizzatore.

(Autore: Don Marcello Stanzione – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro in Vincoli, pregate per noi.

*Beato Rodolfo - Monaco Vallombrosano (1 Agosto)

m. 2 nov 1076
Etimologia:
Rodolfo = lupo glorioso, dall'antico tedesco
Rodolfo, per la sua posizione preminente in alcuni avvenimenti importanti all´interno della nuova congregazione, è ricordato nella Vita Anonima di San Giovanni Gualberto (995-1073).
A lui, giunto tra i primi alla sequela dell´asceta nell´eremo di Vallombrosa, venne affidata la cura degli ospiti e per l´esattezza con la quale assolveva la delicata mansione, oltre alla predilezione che per lui nutriva San Guivanni, fu inviato abate al monastero di San Pietro di Moscheta.
Per le sue qualità e per la sua presenza negli avvenimenti che hanno caratterizzato lo stabilirsi della congregazione, il fondatore lo prescelse quale succesore; cosí è detto nella lettera scritta sul punto di morire da Giovanni a tutti y monaci. La scelta del suo “Rodingo”, cosí lo chiamava, significava continuità.
Si adormentò nel Signore il 2 novembre 1076 a Vallombrosa.
Il suo nome figura in un catalogo dei Beati di Vallombrosa e gli Acta SS. Li ricordano, unitamente ad altri otto loro confratelli, al 1º agosto.
La ricognizione dei loro corpi avvenne l´11 agosto 1600, essendo vescovo di Fiesole, Alessandro de´Medici.

(Autore: Fr. Rodolfo Bianciotti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Rodolfo, pregate per noi.

*San Rubil (Ruben) - Monaco (1 Agosto)

Sotto il nome di Rubil (már Rùbíl) questo santo è commemorato al 1° agosto (ab) in due soli calendari siriaci pubblicati da F. Nau: i calendari VI-A e X.
Lo studioso di cose siriache citava a suo proposito una Vita ancora manoscritta custodita in un cod. della BiblIoteca Bodleiana di Oxford (Marsball 13).
Secondo questo ms. (stando al compendio datone da F. Nau) R., originario della città di ZàbIná del paese dei Traci, era superiore di un monastero di trentacinque monaci: al tempo dell'imperatore Traiano e del suo generale Daqliyúniuris (?), nipote dell'imperatore. Rubil non beveva affatto in tempo di digiuno; visse sessantacinque anni di vita monastica e morí un 1° agosto nel monastero chiamato Dayrayè eúmrIn.
Si rimane perplessi di fronte a una tale storia e alla cronologia da essa proposta.
Una pista di interessanti ricerche si è aperta quando si è notato, come ha fatto E.A.W. Budge, che Rúbil potrebbe essere considerato come l'equivalente di Rúben.
Ora, precisamente il Martirologio di RabbAn Slibá commemora, nel giorno dei calendari citati, il 1° agosto már RúbIl che P. Peeters ha ben tradotto con Ruben e identificato con lo stílita di Qartamin nella Túr-'Abdin, di cui si parla nella storia del famoso monastero di quella città e che vi è noto sotto il nome di Dayrà d',Dmrá, fondato al più tardi nella seconda metà del sec. V.
Si riconosce peraltro questo nome nella forma corrotta Dayrayé eúmrIn, trasmessa da ms. oxfordiano.
Si tratta quindi del medesimo personaggio che è nominato in tutti i documenti considerati. Non si può dire ancora, allo stato attuale delle ricerche, l'epoca esatta in cui Rubil è vissuto, ma il suo culto, attestato dai soli documenti giacobiti, farebbe pensare che sia vissuto dopo il tempo del concilio di Calcedonia.
Per il momento non se ne può dire di più.

(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Rubil, pregate per noi.

*San Secondino (1 Agosto)
Sulla Via Prenestina, al tredicesimo miglio da Roma, ricordo di San Secondino, martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Secondino, pregate per noi.

*San Severo - Venerato presso Auch (1 Agosto)

Martirologio Romano: Nella regione dell’Aquitania in Francia, San Severo, sacerdote, che donò i suoi beni per la costruzione di chiese e per il servizio ai poveri.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Severo, pregate per noi.

*Beato Tommaso Welbourne - Martire (1 Agosto)

Martirologio Romano: A York in Inghilterra, Beato martire Tommaso Welbourne, che, maestro di scuola, condannato a morte sotto il re Giacomo I per aver svolto attività di incitamento a seguire il Romano Pontefice, fu impiccato, conformandosi nella morte a Cristo sommo Maestro.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Tommaso Welbourne, pregate per noi.

*San Vero I di Vienne - Vescovo (1 Agosto)
IV sec.

San Vero I o Verus è il quarto vescovo di Vienne, vissuto intorno al secolo IV.
Nella cronotassi ufficiale della diocesi, figura dopo San Martino e prima di San Giusto
Il nome del vescovo Vienne I si trova nella cronotassi della città redatto dal Vescovo Adone nella seconda metà del IX secolo e fa parte di quella lista tutti i primi quaranta vescovi di Vienne vengono menzionati santi.
Il suo nome è stato riportato anche nelle due serie episcopali esistenti al tempo del vescovo Léger, autore di un "Liber episcopalis Viennensis ecclesiae".
Di San Vero I non sappiamo nulla.
Il suo nome figura negli atti del concilio di Arles del 314. Con questa attestazione viene smentita l’ipotesi che lo facevano discepolo degli apostoli e contemporaneo di Traiano e Nerva.
Non abbiamo alcuna traccia antica del suo culto.
La sua festa è stata fissata nel giorno 1 agosto.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vero I di Vienne, pregate per noi.

*Beato Vicente Montserrat Millàn - Sacerdote e Martire (1 Agosto)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri Spagnoli di Almería" - Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Lorca, Spagna, 6 gennaio 1904 – La Almolda, Spagna, 1° agosto 1936

Vicente Montserrat Millán nacque a Lorca, in provincia di Murcia e diocesi di Cartagena, il 6 gennaio 1904. Il 2 giugno 1928 fu ordinato sacerdote.
Era assegnato alla parrocchia di Villanueva de Sigena (Lérida) quando morì in odio alla fede cattolica il 1° agosto 1936, a La Almolda, in provincia di Saragozza.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Vicente Montserrat Millàn, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (1 Agosto)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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