Santi del 1 gennaio
*Almachio *Andrea Gomez Saez *Balduino *Caterina Solaguti *Chiaro *Davide III il Restauratore *Enrico de Marcy *Eugendo *Frodoberto *Fulgenzio di Ruspe *Giovanni e Renato Lego *Giovanni da Montecorvino *Giuseppe Maria Tomasi *Giuseppe Moscati *Giustino di Chieti *Guglielmo di Volpianoo *Luigi Grozde *Mariano Kanopinski *Odilone di Cluny *Oyend *Severino Gallo *Sigismondo Gorazdowski *Ugolino da Gualdo Cattaneo *Valentino Pasquay *Vincenzo M.Strambi *Zdislava
*Sant'Almachio - Martire (1 gennaio)
Etimologia: Almachio = nativo di Chio (Egeo)
Martirologio Romano: A Roma, Sant’Almachio, che, opponendosi agli spettacoli gladiatori, per ordine del prefetto di Roma Alipio fu ucciso dai gladiatori stessi e così ascritto tra i martiri vittoriosi.
Narra Teodoreto (Storia Eccl., V, 26) che un certo monaco Telemaco sarebbe venuto dall'Oriente a Roma per far cessare la crudeltà dei combattimenti dei gladiatori. Un giorno durante uno spettacolo scese in mezzo all'arena fra i combattenti, cercando di far cessare la strage, ma gli spettatori indignati lo lapidarono.
L'imperatore Onorio, informato di ciò, annoverò Telemaco nel numero dei gloriosi martiri, e vietò quegli spettacoli.
In alcuni codici del Martirologio Geronimiano è ricordato al 1° gennaio un martire Almachio, il quale, avendo detto: «Oggi è l'ottava del Signore: cessate dalle superstizioni degli idoli e dai sacrifici immondi», fu fatto uccidere dai gladiatori per ordine di Alipio, prefetto della città. Nonostante le diversità del nome e di alcune particolarità, tuttavia facilmente superabili, non c'è dubbio che si tratti dello stesso personaggio, la cui storia sarebbe così riferita da due fonti indipendenti.
Teodoreto riporta forse la tradizione popolare orientale, mentre il Geronimiano ha usato una passio oggi perduta.
Dall'accenno al prefetto Alipio, contenuto in questa, sembrerebbe che il martirio di Almachio sia avvenuto nel 391: ma ciò non concorda con la notizia di Teodoreto che parla dell'imperatore Onorio.
Qualcuno perciò ha pensato di spiegare il contrasto supponendo che Alipio fosse stato una seconda volta prefetto sotto Onorio o che l'imperatore, ricordando il sacrificio di Almachio, si fosse deciso a sopprimere i giochi dei gladiatori.
Questi, infatti, erano ancora in uso nel 403, poiché Prudenzio supplicava l'imperatore di sopprimerli (Contra Symmachum, II, 1414-1429), e soltanto dopo il 410 i giochi cessarono del tutto.
Anche la diversità del nome nelle due fonti ha fatto dubitare dell'esistenza storica del martire, ma le obiezioni addotte non sembrano perentorie; non mancano buone ragioni per ritenere con il Martirologio Geronimiano che il vero nome del Santo fosse Almachio.
(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Almachio, pregate per noi.
*Beato Andrea Gomez Saez - Sacerdote Salesiano, Martire (1 gennaio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene: (Beati Martiri Spagnoli Salesiani di Madrid e Siviglia)
Bicorp, Spagna, 7 maggio 1894 - Madrid, Spagna, 1 gennaio 1937
Andrés Gómez Sáez nacque a Bicorp in provincia di Valenza il 7 maggio 1894 e fu battezzato il giorno dopo.
Emise i voti religiosi a Carabanchel Alto (Madrid) il 28 luglio 1914 e ricevette l'ordinazione sacerdotale a Orense il 9 settembre 1925.
Esercitò il sacro ministero a Baracaldo, La Coruña e Santander, dove lo sorprese la rivoluzione del 1936.
Si nascose per non venire incarcerato, ma il 1° gennaio del 1937 fu denunciato come sacerdote ai miliziani, che lo arrestarono e lo fucilarono.
Beatificato il 28 ottobre 2007.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea Gomez Saez, pregate per noi.
*San Balduino “Baldovino” - "Vescovo e Abate" (1 gennaio)
24 luglio - m. 1140
Etimologia: Baldovino = compagno ardito, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Rieti, San Baldovino, abate, che fu discepolo di San Bernardo nel monastero di Chiaravalle e fu da lui mandato in questa città per per fondarvi e reggervi il cenobio di San Matteo di Montecchio.
Figlio di Berardo X, conte dei Marsi, e fratello di Rainaldo, abate di Montecassino, eletto cardinale da Innocenzo II nel 1138, Baldovino si fece monaco a Clairvaux sotto la guida e il magistero di San Bernardo.
Questi nel 1130 lo inviò a presiedere l'antico monastero di S. Matteo, situato presso il lago di Montecchio, ad un'ora di distanza da Rieti. Qui Baldovino incontrò molte difficoltà che, peraltro, maturarono i suoi meriti.
San Bernardo lo consolò e incoraggiò con l'Ep. CCI, scritta forse l'anno successivo.
Morì nel 1140 e venne seppellito nella cattedrale di Rieti, forse dal suo confratello Dodone, che era vescovo della città.
La venerazione di cui fu circondata la sua memoria e il culto resogli fin da principio testimoniano la sua santa vita e la ricchezza delle grazie e dei miracoli, attraverso i quali Dio l'aveva glorificato.
Le sue reliquie sono conservate sotto la mensa dell'altare marmoreo della cappella detta "delle Grazie".
Ma il capo si conserva in un busto argenteo raffigurante il Beato e nelle grandi solennità viene esposto sull'altare maggiore della cattedrale, insieme ad altri reliquiari.
Nel 1701 la S. Congregazione dei Riti approvò l'Ufficio del beato con lezioni storiche, colletta propria e Messa de communi Abbatum.
A Rieti e nella diocesi la sua festa viene celebrata il 21 agosto; lo stesso giorno lo ricordano i Bollandisti.
I Cistercensi ne celebrano l'Ufficio il 24 luglio, e il Menologium Cisterciense lo commemora il 15 dello stesso mese; altri assegnano il suo dies natalis al 2, al 10 o all'11 agosto.
Baldovino è comunemente detto abate di Santo Pastore, poiché l'abbazia di San Matteo, troppo esposta alle pestilenze provocate dal ristagno delle acque del Velino nella piana reatina, venne trasferita presso la chiesa di Santo Pastore, situata nelle vicinanze di Contigliano, nel territorio di Greccio.
La fama della nuova abbazia di Santo Pastore, inaugurata ufficialmente nel 1255, oscurò quella dell'antica intitolata a San Matteo, di cui era la succedanea.
Del complesso abbaziale di Santo Pastore ora rimangono solo imponenti rovine della chiesa e di gran parte del monastero.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Balduino, pregate per noi.
*Beata Caterina Solaguti – Vergine, Mercedaria (1 gennaio)
Mercedaria nel Monastero di Gesù e Maria in Orozco (Spagna)
La Beata Caterina Solaguti fu la prima Santa monaca di questo monastero, e famosa per la vita che condusse piena di virtù, morì santamente nel bacio del Signore.
L’Ordine la festeggia il 1° gennaio.
(Fonte:Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina Solaguti, pregate per noi.
*San Chiaro - Abate di San Marcello di Vienne (1 gennaio)
m. 660
Martirologio Romano: A Vienne in Burgundia, nell’odierna Francia, san Chiaro, abate del monastero di San Marcello, che lasciò ai suoi monaci un esempio di perfetta vita religiosa.
Nato nell'odierno villaggio di Saint-Clair-du-Rhône, Chiaro fu abate del monastero di San Marcello di Vienne e morì verso il 660.
Il suo culto è rimasto vivissimo nell'antica provincia di Vienne, specialmente nei paesi del Delfinato, dove dieci parrocchie sono messe sotto il suo patronato, e tre comuni e numerosi casali portano il suo nome.
Le sue reliquie sono venerate nella chiesa di Aixles-Bains, già collegiata; la festa si celebra il 2 gennaio nelle diocesi di Annecy, Chambéry, Grenoble e Lione, mentre a Viviers si fa solo memoria di lui.
Il culto di Chiaro, che risale almeno al sec. VIII a Saint-Clair-du-Rhône (già Saint-Genés), è stato confermato da Pio X nel 1903.
(Autore: Louis Gaillard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Chiaro, pregate per noi.
*San Davide III il Restauratore - Re di Georgia (1 gennaio)
+ 24 gennaio 1130
Figlio dell’imperatore Giorgio, non aveva neanche dieci anni quando, nel 1089, il padre gli impose la corona imperiale.
Regnò dal 1089 al 1130.
Viene chiamato il Restauratore perché profittando della sua vasta intelligenza e della sua grande laboriosità, riportò il regno all’antica gloria e il popolo alle migliori condizioni di vita.
Fu anche il “restauratore” della Chiesa georgiana.
Mentre scacciava i nemici della patria, riedificò le chiese e i monasteri demoliti, patrocinò l’opera delle istituzioni culturali, convocò, d’accordo con l’autorità ecclesiastica, sinodi per ristabilire la disciplina fra il clero e il popolo cristiano.
Morì il 24 gennaio 1130.
Le sue reliquie si trovano nel monastero di Guelati. Nella Chiesa georgiana esiste l’Ufficio proprio in suo onore.
La sua festa si celebra il 1° gennaio e il 28 e 29 marzo.
(Autore: Antonio Koren - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Davide III il Restauratore, pregate per noi.
*Beato Enrico de Marcy "Abate" (1 gennaio)
[+1189]
Seguendo l'esempio del suo maestro spirituale Bernardo di Chiaravalle, dimostrò la massima energia nella lotta contro le eresie. Nel 1178 partecipò, con il legato pontificio Pietro di Pavia, con Giovanni Bellemani e con altri vescovi a una spedizione armata contro Roger II Trencavel, visconte di Béziers e conte di Carcassonne, che si era legato al conte Raimondo V di Tolosa e ad Alfonso II d'Aragona, appoggiando le mire espansionistiche del re aragonese nelle terre di Francia e dando e ricevendo a sua volta la solidarietà del movimento cataro.
Divenuto cardinale di Albano, fu una figura preminente nel III Concilio lateranense del 1179; l'anno successivo fece recitare a Valdo di Lione la Professione di fede, che intendeva legare i valdesi alla Chiesa di Roma. Nel 1181 spiegò ancora una notevole forza militare contro i càtari, ponendo l'assedio a Lavaur, fino alla cattura del visconte di Béziers.
Nel conclave del 1185, convocato il 25 novembre 1185 a seguito del decesso di papa Lucio III, venne eletto papa al primo scrutinio, ma rifiutò la nomina, lasciando così posto al cardinale Uberto Crivelli di Milano che prese il nome di Urbano III.
Nel 1187 predicò la Terza crociata e non si mostrò interessato alla successione al papato che portò all'elezione di Gregorio VIII nel mese di settembre del 1187.
Alla sua morte il suo corpo venne inumato provvisoriamente ad Arras per poi essere trasferito all'Abbazia di Clairvaux.
Il suo nome è scritto come beato nel Martirologio gallicano ed è celebrato dai cistercensi il 14 luglio. Abate prima a Altacomba e poi a Clairvaux, suo monastero di origine. Nominato Cardinale si mise al servizio della Chiesa predicando la crociata.
Il suo corpo venne seppellito a Clairvaux.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico de Marcy, pregate per noi.
*Sant'Eugendo - Abate di Condat (1 gennaio)
450 - 510
Martirologio Romano: In un villaggio della Gallia lugdunense, presso il massiccio del Giura, in Francia, commemorazione di Sant’Eugendo, abate di Condat: vissuto in monastero fin dalla fanciullezza, si dedicò con grande impegno alla promozione della vita monastica.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eugendo, pregate per noi.
*San Frodoberto - Abate di Moutier-La Celle (1 gennaio)
m. 667 ca.
Martirologio Romano: A Troyes nel territorio della Neustria, nell’odierna Francia, San Frodoberto, fondatore e primo Abate del monastero di Moutier-la-Celle.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Frodoberto, pregate per noi.
*San Fulgenzio di Ruspe "Vescovo" (1 gennaio)
Theleste (attuale Tunisia), ca. 462 - Ruspe (attuale Tunisia), forse 1 gennaio 527
Etimologia: Fulgenzio = splendente, luccicante, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Ruspe, nel territorio bizaceno, nell’odierna Tunisia, San Fulgenzio, vescovo, che, dopo essere stato procuratore di quel territorio, si fece monaco; nominato poi vescovo, patì molto sotto la persecuzione dei Vandali ad opera degli ariani e per due volte fu relegato in Sardegna dal re Trasamondo; restituito finalmente al suo popolo, lo nutrì fedelmente per i restanti anni della sua vita con la parola di verità e di grazia.
Il territorio tra Hammamet e il golfo di Gabes (Tunisia) forma nel V secolo la provincia romana Bizacena, ricca di cereali.
Qui Fulgenzio, nato da una casata illustre (il nonno era senatore), da giovane se la cava bene come amministratore di beni familiari e poi pubblici. Sua madre è cristiana, ma di lui non si sa: forse cristiano, forse pagano.
Nemmeno è del tutto chiarito il suo mutamento radicale: a un tratto lo troviamo monaco. E di quelli buoni, per dottrina e impegno. Tutto è cominciato, dicono i biografi, con la lettura di commenti biblici scritti da un altro cristiano d’Africa: Agostino di Ippona, morto nel 430.
Al tempo di Fulgenzio tutta l’Africa romana è regno dei Vandali, con capitale Cartagine. Ariani i dominatori, cattolici i sudditi: la convivenza è difficile; sotto il regno di Trasamundo (496-523) non manca la persecuzione.
Fulgenzio raggiunge via mare Siracusa, per proseguire verso l’Egitto. Vuole farsi eremita lì, come tanti. Ma le notizie di conflitti nella Chiesa egiziana gli fanno cambiare idea. E nell’anno 500 lo troviamo a Roma.
Una città suddita, ma che vuole mostrarsi splendida al suo nuovo padrone, Teodorico il Goto.
Fulgenzio è sbalordito da quello che vede: dovunque restauri e abbellimenti, costruzioni vere e finte, feste e appalti; un’appetitosa “Roma 500”, per usare il linguaggio del XX secolo.
Tornato in Africa, viene consacrato sacerdote. Re Trasamundo, che vuole l’estinzione morbida della Chiesa, proibisce di dare successori ai vescovi morti.
Ma i cristiani eleggono in segreto i vescovi, e uno di essi è Fulgenzio, fatto capo della Chiesa di Ruspe (sempre in Tunisia).
Trasamundo manda tutti gli eletti a soggiorno obbligato in Sardegna, che fa parte dei suoi domini. E qui, almeno, i cattolici sono lasciati in pace. Così, in un monastero di Cagliari, Fulgenzio diventa maestro di vescovi, di preti, di monaci, e consigliere e pacificatore tra i cittadini.
Diventa, nella sua umiltà, un capo, una figura che nemmeno re Trasamundo può ignorare. Difatti lo richiama a Cartagine, lascia che predichi, e anzi gli chiede pareri, lo interpella su questioni di fede.
Insomma, lo stima molto.
Anche se, per placare i suoi ariani duri e puri, deve rimandarlo a Cagliari. Solo alla morte del re sarà possibile a Fulgenzio tornare in patria, per fare sempre lo stesso lavoro: formare vescovi, preti e fedeli, con una sua pedagogia efficacissima che parte dall’esempio.
Preghiera, lettura e scrittura riempiono le sue giornate.
Nelle sue opere espone con nitida precisione la dottrina trinitaria e cristologica, tratta i problemi della grazia e della predestinazione, polemizza con gli ariani.
Muore a Ruspe, ma insegnerà anche da morto.
Il Concilio Vaticano II (nel decreto sull’attività missionaria della Chiesa) farà riferimento anche al pensiero di Fulgenzio, espresso in una lettera al re Trasamundo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fulgenzio di Ruspe, pregate per noi.
*Beati Giovanni Battista e Renato Lego - Martiri (1 gennaio)
Scheda del Gruppo a cui appartengono (B.Martiri di Angers Martiri della Rivoluzione Francese)
+ Angers, Francia, 1 gennaio 1794
I fratelli Sacerdoti Jean-Baptiste e René Lego, nati a La Flèche rispettivamente il 13 maggio 1766 ed il 5 ottobre 1764, subirono il martirio durante la Rivoluzione Francese e vennero beatificati il 19 febbraio 1984 da Papa Giovanni Paolo II insieme con altri martiri della diocesi di Angers.
Martirologio Romano: Ad Avrillé presso Angers in Francia, Beati fratelli Giovanni e Renato Lego, sacerdoti e martiri, che, durante la rivoluzione francese, essendosi rifiutati di prestare l’empio giuramento imposto al clero, furono ghigliottinati.
Sono molteplici le coppie di fratelli venerati come Santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, gli evangelizzatori dei popoli slavi Cirillo e Metodio, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà.
A questa folta schiera bisogna aggiungere altre due coppie di fratelli, vittime della Rivoluzione Francese: i Beati Charles-Louis e Louis-Benjamin Hurtrel di Parigi ed i Beati Jean-Baptiste e René Lego di Angers, questi ultimi oggetto della presente scheda agiografica.
Il 1794 nella storia di Francia fu quasi certamente l’anno più sanguinoso, in particolare per i cattolici che si trovarono a dover testimoniare la loro fede sino all’effusione del sangue, e proprio tale anno si aprì il con il sacrificio della vita dei due fratelli sacerdoti Jean-Baptiste e René Lego.
Nati a La Flèche, nel dipartimento francese di Sarthe, rispettivamente il 13 maggio 1766 ed il 5 ottobre 1764.
Ordinati presbiteri della diocesi di Angers (dipartimento di Maine-et-Loire), ben presto si ritrovarono nella bufera della rivoluzione, costretti dunque a scegliere tra il giuramento alla nuova Costituzione Civile del Clero o la fedeltà al Romano Pontefice. I due fratelli optarono, a costo della vita, per questa seconda opzione e, dopo un processo nei loro confronti, il 1° gennaio 1794 nei pressi di Angers vennero ghigliottinati.
In tutta la Francia un incalcolabile numero di cattolici, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, subì la medesima sorte e per limitarsi ora alla diocesi di Angers si conoscono almeno duemila nomi.
Insieme ad alcuni di essi, il 19 febbraio 1984 Papa Giovanni Paolo II ha beatificato i fratelli Jean-Baptiste e René Lego, ponendoli così a modello per i sacerdoti di oggi, talvolta più fedeli alle mode secolari che a Cristo ed al suo Vicario in terra.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Giovanni Battista e Renato Lego, pregate per noi.
*Beato Giovanni da Montecorvino - Primo Apostolo della Cina (1 gennaio)
Montecorvino Rovella, Salerno, 1247 - 1328
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Nacque nel 1247 a Montecorvino Rovella nel Salernitano, secondo alcuni, Montecorvino di Puglia, nella Daunia, vicíno Lucera, secondo altri. In favore di questi ultimi viene addotta la testimonianza di un coevo e confratello del grande missionario, fra Elemosina, che nel suo Chronicon lo dice: "Frater Ioannes de Montecorvino Apuliae".
Trascorse la sua giovinezza nel secolo e, come scrive un altro suo coevo e confratello, fra Giovanni Marignolli, anch'egli illustre missionario, fu soldato, giudice e dottore.
Secondo lo stesso Marignolli avrebbe esercitato questi uílici per l'imperatore Federico, entrando poi a settantadue anni di età nell'Ordine. Minoritico; ma questi dati che, probabilmente, vanno attribuiti ai copisti piú che al coevo Marignolli, non sono esatti.
Da una lettera dello stesso corvi nese, infatti, sappiamo che nel gennaio del 1305 aveva cinquantotto anni ed era religioso e missionario da oltre vent'anni.
In religione, come ricorda il citato fra Elemosina, fu un devoto imitatore di S. Francesco, rigido e severo nell'osservanza della Regola, fervido nell'insegnamento e nella predicazione della parola di Dio. E il Marignolli aggiunge: doctissimus et scientissimus.
Verso il 1279 fu inviato con altri minoriti in Armenia, in Persia e altre regioni del Medio Oriente. Vi colse non pochi frutti per la fede e la civiltà cristiane, e dieci anni dopo, nel 1289, tornò in Italia, per riferire al pontefice Niccolò IV e averne ordini e istruzioni. Presso il papa fu anche ambasciatore del re di Armenia, Haiton II, e del re di Persia, Argun, in pericolo per gli attacchi e le richieste tributarie dei Tartari e dei Saraceni.
Ripartí nello stesso anno per le missioni d'Oriente, legato del papa presso i suddetti re e altri principi orientali, e particolarmeme presso il Gran Khan della Cina, Kubilai, ai quali tutti, come ai patriarchi di Antiochia e di Georgia, recava lettere pontificie.
Lascio Rieti, dove era la curia papale, il 15 luglio 1289, e munito delle piú ampie facoltà per la diffusione del Vangelo fra i popoli dell'Asia, da Venezia o Ancona raggiunse dapprima Antiochia e la Georgia e passò poi a Sis, la capitale dell'Armenia, e a Tabriz sede del re di Persia. Qui svolse per breve tempo il suo apostolato, ospite gradito nei conventi dei Minoriti e dei Domenicani.
Nel 1291, con due soli compagni, Nicolò da Pistoia e Pietro Lucalongo, ricco e pio mercante italiano, riprese il suo cammino apostolico e scese in India dove, in tredici mesi di attività missionaria, convertí un buon numero di indiani e costruí per loro una ckiesa presso S. Tomé, Maliapur, nel territorio di Madras. Perduto qui il suo compagno domenicano che seppellí nella nuova chiesa, continuò il suo viaggio verso la Cina, con il Lucalongo, via mare, come sembra; fu dunque uno dei primi che usarono la via d'acqua tra l'India e la Cina (Almagià).
Da un porto, non identificato, della costa cinese, nel 1294 ripartí per Khambalik, Pekino, sede del Gran Khan di Cina, dove fu accolto con grandi onori quale legato di Roma, da Timur, succeduto a Kubilai (m. 18 febbraio 1294), che gli offrí anche ospitalità alla corte imperiale.
Iniziò subito il suo apostolato missionario, invitando lo stesso Gran Khan ad abbracciare la fede cristiana, ma lo trovò tenacemente legato all'idolatria, sebbene benevolo verso i cristiani. Felice esito ebbe invece la sua predicazione con il re di Tenduc, Giorgio, nestoriano, che non solo abbracciò la fede cattolica, ma volle ricevere anche gli Ordini minori, attraendo poi verso la sua nuova tede non pochi sudditi, e costruendo per essi una chiesa dedicata alla S.ma Trinità e detta "Chiesa romana" in onore del Papa é del suo legato.
Per questo fu accusato di apostasia dai nestoriani che nello stesso tempo accusavano il corvinese di essere un impostore, mago e falso legato papale. Tutto ciò creò grandi difficoltà per l'apostolato di Giovanni che, peraltro, riconosciuto innocente dinanzi al Gran Khan, poté riprendere con successo la sua opera. Nei trentacinque anni in cui rimase a Khambalik, suo centro di irradiazione cristiana, vi costruí tre chiese e conventi e vi eresse due istituti, che si direbbero seminari, dove quaranta fanciulli dai sette agli undici anni venivano istruiti nel latino, nella liturgia e nel canto. Per essi, che ricorda salmodianti nelle chiese della città, scrisse trenta Salteri e Innari e due Breviari, ed essi stessi preparò a divenire trascrittori di testi liturgici. Apprese poi tam perfecte, come scrive il suo compagno di missione Arnoldo Alemanno, la lingua del paese, tradusse in mongolo il Nuovo Testamento e il Salterio, pensando anche alla traduzione di tutto il Breviario, perché insieme alla predicazione, alle immagini fatte dipingere in chiesa, al canto e al suono, divenissero strumenti piú efficaci di evangelizzazione.
Altre chiese e conventi costruí a Yangtchon nel Kiang-su, a Zayton nel Fukien e nel Tchekiang, nel Tenduc e ad Armalek (Kulgia), e migliaia furono i Mongoli convertiti alla fede cristiana.
Molti di questi dati sono esposti in due lettere inviate da Giovanni in Europa l'8 gennaio 1305 e il 13 febbraio 1306; altri sono tolti da lettere e relazioni di coevi, confratelli e missionari, quali Arnoldo Alemanno, Andrea da Perugia, Pellegrino da Città di Castello, Giovanni da Core.
Nelle lettere del corvinese v'è anche un pressante appello all'invio di nuovi missionari, che non gli mancarono per interessamento del pontefice Clemente V e del ministro generale Gonzalvo di Spagna. Sette di essi, tutti Minoriti, furono eletti vescovi (23 luglio 1307) e rimandati in Cina, perché a loro volta consacrassero Giovanni in pari data, arcivescovo di Khambalik e patriarca di tutto l'Oriente "in toto dominio Tartarorum". Tre di quei vescovi (Nicolò da Banzia, Ulrico da Seyfridsdorf e Andreuccio da Assisi) non giunsero a destinazione, essendo morti nel viaggio attraverso l'India; uno ritardò la sua partenza (Guglielmo da Villanova); ma vi giunsero con molti missionari gli altri tre (Andrea da Perugia, Gerardo Albuini e Pellegrino da Città di Castello), tra il 1309-1310. Fu allora che, con la consacrazione di Giovanni e con i tre suffraganei superstiti, ai quali si aggiunsero poi il ritardatario Guglielmo e, nel 1311, altri tre vescovi (Pietro da Firenze, fra Tommaso e Girolamo di Catalogna), venne anche organizzata la prima gerarchia di Cina con le sedi di Khambalik, Zayton e Caffa.
Il corvinese ne fu l'anima fino al 1328, quando, ricco di meriti e di virtú, morí nella sua sede arcivescovile e primaziale. Ebbe solennissime esequie, come narra Giovanni da Core, presente una gran folla di fedeli e di pagani, e il suo sepolcro fu in grande venerazione.
Fra Elemosina lo disse "B. Francisci devotus imitator"; Arnoldo Alemanno ne rilevò la "semplicem puritatem vitae et sanctam laudabilemque conversationem"; il Marignolli, che fu a Khambalik nel 1342, poteva ricordarlo con le significative parole: "quem sanctum venerantur Tartari et Alani". Come beato entrò nel Martirologio Francescano che lo commemora il 1° gennaio chiamandolo "primo apostolo della Cina". La sua causa viene trattata presso la S. Congregazione dei Riti, e non constando della continuità del culto del nostro beato, anche per la distruzione cui andò soggetta l'opera sua nei secc. XIV e XV, è stato presentato un supplice libello per ottenere una beatificazione equivalente per viam exceptionis. Simile richiesta, fatta anche al pontefice Pio XI dal primo concilio plenario cinese, riunito a Shanghai il 12 giugno 1924, non ha avuto ancora una risposta diretta.
(Autore: Giovanni Odoardi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni da Montecorvino, pregate per noi.
*San Giuseppe Maria Tomasi - Cardinale, teatino (1 gennaio)
Licata (Agrigento), 12 settembre 1649 – Roma, 1° gennaio 1713
Apparteneva alla celebre famiglia nobile siciliana di Lampedusa. Fu religioso teatino e grande studioso di liturgia. E' stato canonizzato nel 1986.
Martirologio Romano: A Roma, San Giuseppe Maria Tomasi, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari, detti Teatini, e cardinale: nell’ardente desiderio di rinnovare il culto divino, passò quasi tutta la sua vita a ricercare e pubblicare antichi testi e documenti della sacra Liturgia e si adoperò nel catechizzare i fanciulli.
Discendente della nobiltà siciliana del Seicento, Giuseppe Tomasi, figlio primogenito di don Giulio, duca di Palma e principe di Lampedusa e di donna Rosa Traina, nacque a Licata (Agrigento) il 12 settembre 1649.
Ebbe una educazione cristiana ed umanistica, fu istruito anche nelle lingue moderne, soprattutto quella spagnola, essendo destinato dalla famiglia, come paggio alla corte del re di Spagna.
Ma in lui ben presto fiorì la vocazione allo stato sacerdotale e nel 1664 ottenne il consenso dei genitori ad entrare fra i padri Teatini, vestendone l’abito in S. Giuseppe a Palermo; il 25 marzo 1666 rinunciò ai suoi diritti patrimoniali e feudali a favore del fratello don Ferdinando.
Si approfondì negli studi sacri e quelli in lingue orientali, sotto la direzione di padre Francesco Maria Maggio, che citò il suo allievo per la pietà e l’erudizione che dimostrava, in una sua opera di liturgia sacra. Studiò a Messina, Ferrara, Modena e Roma, nelle varie case dei ‘Chierici Regolari’ detti Teatini, fondati nel 1524 da s. Gaetano da Thiene; nel 1671 era diacono.
L’anno successivo nel 1672 tornò nel feudo di Palma di Montechiaro per la morte del fratello, completò gli studi teologici a Palermo e nel 1673 venne ordinato sacerdote nella Casa Generalizia dell’Ordine a S. Silvestro di Monte Cavallo a Roma; qui dimorò per molti anni in una semplice stanzetta, poi tramutata in cappella e oggi scomparsa.
Rifiutò le cariche nell’Ordine e sempre si dedicò alle opere di pietà, agli studi liturgici e testi sacri, apprese la lingua ebraica dal dotto rabbino Mosè da Cave, il quale per suo merito, si convertì al cattolicesimo, venendo battezzato con il nome di Giuseppe.
Fu ammesso al circolo degli eruditi ed alla biblioteca della regina Cristina Alessandra di Svezia, di cui si avvalse dei codici contenuti, provenienti dalla Biblioteca Floriacense, nel comporre la sua opera fondamentale “Codices Sacramentorum nongentis annis vetustiores…” , pubblicata a Roma nel 1680 e dedicata alla stessa regina Cristina.
La sua fu una vita di dotto studioso, senza trascurare i doveri di sacerdote e di religioso e la sua intima vita spirituale; prese a pubblicare numerose opere di liturgia e di scienza sacra e per sottrarsi all’attenzione e lodi provenienti dai dotti dell’epoca, prese a sottoscriverle con il cognome dell’ava paterna: Giuseppe Caro.
Sempre alla ricerca di antichi documenti liturgici, pubblicò una raccolta di ‘Antifonari e Responsoriali’ tratti dal Monastero di San Gallo e dall’Archivio della Basilica Vaticana; con la protezione del cardinale Barberini, arciprete di S. Pietro, curò l’edizione critica della Bibbia in due volumi nel 1688.
Redasse nel 1690 le ‘Costituzioni’ delle monache benedettine del Monastero della Vergine Maria del Rosario di Palma, nella diocesi di Girgenti (Agrigento), per la fondazione voluta nel 1659 dalla sua stessa famiglia e in cui tra le prime dieci monache, professarono tre sue sorelle e come badessa la zia materna donna Antonia Traina; in seguito vi entrò anche la madre.
Si occupò anche dell’istruzione pubblica in Palma, promuovendo la venuta dei padri Scolopi, si rallegrò con il nipote Ferdinando perché frequentava il collegio a Palermo, convinto che si impara meglio nella scuola pubblica che a casa con il proprio maestro, che non è temuto proprio perché frequenta la casa. Continuarono le pubblicazioni di carattere liturgico e biblico e il 18 maggio 1712, fu creato cardinale da papa Clemente XI.
Purtroppo dopo nemmeno un anno, si ammalò e morì a Roma il 1° gennaio 1713, fu sepolto nella chiesa di San Martino ai Monti del suo titolo cardinalizio; la ricca urna che ne contiene il corpo, fu fatta costruire nel 1903 dal cardinale Vaszary, primate d’Ungheria. Precursore della Riforma liturgica, per lo spirito delle sue opere di restaurazione degli antichi riti della Chiesa; fu venerato dai pontefici del tempo, che l’avevano conosciuto personalmente; Papa Benedetto XIV, in deroga ai decreti di Urbano VIII, diede inizio prima dei prescritti 50 anni dalla morte, ai processi per la sua beatificazione.
Fu beatificato il 29 settembre 1803 da Papa Pio VII e canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 12 ottobre 1986.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Maria Tomasi, pregate per noi.
*San Giuseppe Moscati (1880 - 1927) - Medico Laico (1 gennaio)
Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto. Fu battezzato il 31 luglio 1880.
Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferì ad Ancona e poi a Napoli, ove Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell'Immacolata del 1888.
Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali al " Vittorio Emanuele", conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all'età di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell'Ateneo partenopeo.
É possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata in parte influenzata dal fatto che negli anni dell'adolescenza Giuseppe si era confrontato, in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza umana.
Nel 1893, infatti, suo fratello Alberto, tenente di artiglieria, fu portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito ad una caduta da cavallo.
Per anni Giuseppe prodigò le sue cure premurose al fratello tanto amato, e allora dovette sperimentare la relativa impotenza dei rimedi umani e l'efficacia dei conforti religiosi, che soli possono darci la vera pace e serenità.
È comunque un fatto che, fin dalla più giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra fino agli ultimi recessi del cuore umano. Vuole guarire o lenire le piaghe del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo sono tutt'uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli sofferenti all'opera salvifica del Medico Divino.Il 4 agosto 1903, Giuseppe Moscati conseguì la laurea in medicina con pieni voti e diritto alla stampa, coronando così in modo degno il " curriculum " dei suoi studi universitari.
A distanza di cinque mGiuseppe Moscati (1880-1927)esi dalla laurea, il dottor Moscati prende parte al concorso pubblico indetto per l'ufficio di assistente ordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli; quasi contemporaneamente sostiene un altro concorso per coadiutore straordinario negli stessi ospedali, a base di prove e titoli.
Nel primo dei concorsi, su ventun classificati, riesce secondo; nell'altro riesce primo assoluto, e ciò in modo così trionfale che - come si legge in un giudizio qualificato - "fece sbalordire esaminatori e compagni".
Dal 1904 il Moscati presta servizio di coadiutore all'ospedale degl'Incurabili, a Napoli, e fra l'altro organizza l'ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell'ospedale di Torre del Greco, durante l'eruzione del Vesuvio nel 1906.
Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l'idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l'ospedale di malattie infettive "Domenico Cotugno".
Nel 1911 prende parte al concorso pubblico per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di sala, cioè a primario.
Durante la prima guerra mondiale è direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti.
A questo "curriculum" ospedaliero si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario nell'Istituto di Chimica fisiologica. Consegue per concorso un posto di studio nella stazione zoologica. In seguito a concorso viene nominato preparatore volontario della III Clinica Medica, e preposto al reparto chimico fino al 1911. Contemporaneamente, percorre i diversi gradi dell'insegnamento.
Nel 1911 ottiene, per titoli, la Libera Docenza in Chimica fisiologica; ha l'incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell'Istituto di Chimica biologica.
Dal 1911 insegna, senza interruzioni," Indagini di laboratorio applicate alla clinica" e "Chimica applicata alla medicina", con esercitazioni e dimostrazioni pratiche. A titolo privato, durante alcuni anni scolastici, insegna a numerosi laureati e studenti semeiologia e casuistica ospedaliera, clinica e anatomo-patologica.
Per vari anni accademici espleta la supplenza nei corsi ufficiali di Chimica fisiologica e Fisiologia.
Nel 1922, consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della commissione.
Celebre e ricercatissimo nell'ambiente partenopeo quando è ancora giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere. Queste ricerche di pioniere, che si concentrano specialmente sul glicogeno ed argomenti collegati, assicurano al Moscati un posto d'onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo.
Non sono tuttavia unicamente e neppure principalmente le doti geniali ed i successi clamorosi del Moscati - la sua sicura metodologia innovatrice nel campo della ricerca scientifica, il suo colpo d'occhio diagnostico fuori del comune - che suscitano la meraviglia di chi lo avvicina.
Più di ogni altra cosa è la sua stessa personalità che lascia un' impressione profonda in coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini.
Il Moscati è uno scienziato di prim'ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è mai in contraddizione con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. L'accettazione della Parola di Dio non è, d'altronde, per il Moscati un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l'accettazione incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei nostri rapporti con lui.
Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi.
È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni.
E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore. Così il Moscati diventa l'apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divino Pastore e conduce a lui gli uomini oppressi e assetati di verità e di bontà. Mentre gli anni progrediscono, il fuoco dell'amore sembra divorare Giuseppe Moscati.
L'attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù sacramentato.
Quando, il 12 aprile 1927, il Moscati muore improvvisamente, stroncato in piena attività, a soli 46 anni, la notizia del suo decesso viene annunciata e propagata di bocca in bocca con le parole: "È morto il medico santo".
Queste parole, che riassumono tutta la vita del Moscati, ricevono oggi il suggello ufficiale della Chiesa.
Il Prof. Giuseppe Moscati è stato beatificato da S. S. Paolo VI nel corso dell'Anno Santo, il 16 novembre 1975.
Chi è San Giuseppe Moscati? Un medico santo nostro contemporaneo
S. Giuseppe Moscati è un nostro contemporaneo. Di lui possediamo scritti autografi, foto e testimonianze di persone che hanno lavorato con lui o ne hanno sperimentato gli interventi. Lo si sente uno di noi, ma subito si avverte il fascino della sua personalità. È dotto, saggio, sensibile, umano
Le doti naturali sono modellate dalla santità e sono messe a disposizione di tutti, particolarmente dei più bisognosi. La sua vita è ricca di episodi di carità cristiana.
Tutti lo hanno amato da vivo, ma dopo la morte questo affetto è cresciuto a dismisura.
Si ricorre a lui come ad una persona carissima, ed egli risponde, spesso si manifesta e innumerevoli sono gli interventi di grazia.
Dio si serve di lui per dare serenità a moltissime persone.
La famiglia Moscati proviene da S. Lucia di Serino, piccolo paese in provincia di Avellino, distante pochi chilometri dal capoluogo. In S. Lucia di Serino, nel 1836, nacque Francesco, il padre del futuro Santo, che si laureò in giurisprudenza e percorse brillantemente la carriera della magistratura.
Fu giudice al Tribunale di Cassino, Presidente del Tribunale di Benevento, Consigliere di Corte d'Appello, prima ad Ancona e poi a Napoli, dove morì il 21 dicembre 1897.
Francesco Moscati, padre del SantoA Cassino Francesco Moscati conobbe e sposò Rosa de Luca, dei marchesi di Roseto.
Dal matrimonio nacquero nove figli: Giuseppe fu il settimo.
Finché visse, il padre del Santo ogni anno conduceva la moglie e i figli al paese natale, per un periodo di riposo e per stare a contatto con la natura.
Si recavano insieme nella chiesa delle Clarisse, per partecipare alla Messa, che spesso Francesco stesso serviva.
In due lettere S. Giuseppe Moscati fa cenno al paese natale. La prima è del 20 luglio 1923, scritta durante il suo viaggio in Francia e Inghilterra:
"Alle ore 14.20 partenza per Modane, per la Francia.
Attraversiamo delle valli chiuse da monti ricoperti di castagni (Borgone). Qua e là il nastro argenteo dei fiumi: come è simile questo paesaggio a quello indimenticabile di Serino, l'unico posto al mondo, l'Irpinia, ove volentieri trascorrerei i miei giorni, perché rinserra le più care, le più dolci memorie di mia infanzia, e le ossa dei mie cari!"
La seconda lettera fu scritta il 19 gennaio 1924, dopo aver appreso la morte di un suo zio:
"La fine di zio Carmelo è il crollo di tanti ricordi cari legati alla sua persona.
Oh, le dolci memorie della infanzia, dei monti di Serino!
Cose e persone del paese di mio padre mi sono fitte nel cuore indelebili; e la dipartita d’ ogni testimone della mia passata spensieratezza è una disillusione di più: precipita la parte romantica della mia personalità.
E più mi sento solo, solo e vicino a Dio!"
A S. Lucia di Serino Moscati dedicò anche una breve poesia, che conferma la sua particolare sensibilità.
La scrisse il 10 aprile 1900, quando aveva venti anni ed era studente di medicina.
Rosa De Luca, madre del santo (Sospiro!…
Sospiro, o diletto / paese natio!… / Sospiro al ricordo / del verde pendio… / Ti vedo da lungi, / ma triste un addio, / migrando lontano / per sempre ti do, / Crudele destino!… / La pace soave / degli anni miei teneri, / vissuti felici)
Paolo VI, il Papa che lo ha beatificato
"Chi è colui che viene proposto oggi all'imitazione e alla venerazione di tutti?
É un laico, che ha fatto della sua vita una missione percorsa con autenticità evangelica...
É un Medico, che ha fatto della professione una palestra di apostolato, una missione di carità...
É un Professore d'università, che ha lasciato tra i suoi alunni una scia di profonda ammirazione...
É uno Scienziato d'alta scuola, noto per i suoi contributi scientifici di livello internazionale...
La sua esistenza è tutta qui..."
Beatificazione (Paolo VI)
La stima e la venerazione che avevano circondato il Prof. Moscati durante la vita, esplosero dopo la sua morte, e presto il dolore e il pianto di coloro che lo avevano conosciuto si tramutò in commozione, entusiasmo, preghiera.
Si ricorreva a lui in ogni circostanza, e molti affermavano di ricevere grazie fisiche e spirituali per sua intercessione.
Beatificazione di S.Giuseppe Moscati. Paolo VI con i gesuiti Molinari, Marranzini e Tripodoro
Il 16 luglio 1931 iniziarono i Processi informativi presso la Curia di Napoli, primo atto ufficiale nel cammino verso la canonizzazione.
Il 10 maggio 1973 la Congregazione per le Cause dei Santi, a Roma, emanò il Decreto sulle virtù eroiche, per cui Giuseppe Moscati viene dichiarato Venerabile.
Nel frattempo venivano istruiti i processi per l'esame di due miracoli: due guarigioni improvvise attribuite a Moscati.
Un maresciallo degli agenti di custodia, Costantino Nazzaro, nato ad Avellino il 22/05/1902 e vissuto in perfetta salute fino al 1933, quando cominciò ad avvertire i primi sintomi di una malattia che avrebbe potuto stroncargli la vita.
Era affetto dal morbo di Addisone aveva avuto prognosi sicura di morte, poichè non si conoscevano casi di guarigione e le terapie servivano solo a prolungare la resistenza del malato. Infatti, nonostante le cure, il Nazzaro non migliorava ed i medici non gli davano alcuna speranza. Conosciuto nella chiesa del Gesù Nuovo il Servo di Dio Giuseppe Moscati, lo pregò insieme alla sua famiglia e vi ritornò ogni quindici giorni.
Una notte vide in sogno che Moscati lo operava, e svegliatosi si trovò perfettamente guarito.
Il secondo miracolo approvato dalla Congregazione per le Cause dei Santi è quello di Raffaele Perrotta, di Calvi Risorta (CE), guarito da meningite cerebrospinale meningococcica.
Quando già i familiari avevano preparato per lui l'abito per la sepoltura, ecco che tra il 7 e l'8 febbraio 1941 si ebbe una instantanea e definitiva guarigione.
Il 16 novembre 1975, il Papa Paolo VI dichiarò Beato Giuseppe Moscati, durante una solenne celebrazione in Piazza San Pietro.
Quel giorno la pioggia si presentò varie volte durante la funzione, ma la folla che gremiva la piazza seguì con commozione il sacro rito fino alla conclusione, riparandosi sotto gli ombrelli.
Benevento, città natale del Santo
Giuseppe Moscati nacque a Benevento il 25 luglio 1880, festa liturgica di S. Giacomo MLettera inviata dal Prof. Moscati alla Sig.ra Carmela Ricci D'Annaaggiore Apostolo.
La famiglia vi si era trasferita da Cassino nel 1877, quando Francesco Moscati fu promosso Presidente di Tribunale, prendendo alloggio in Via S. Diodato, nei pressi dell'ospedale dei Fatebenefratelli.
Dopo pochi mesi andò ad abitare in un appartamento di Via Porta Aurea, vicino all'Arco di Traiano, costruito in onore dell'imperatore nel 114 d.C.
Nel palazzo Andreotti, acquistato poi dalla famiglia Leo, nacque Giuseppe, nell'ultima stanza a sinistra.
Si accede all'appartamento attraverso un ampio portale che immette in un cortile da cui parte uno scalone di pietra.
Una lapide accanto al portone d'ingresso ricorda l'avvenimento.
Nella Cattedrale di Benevento, nella cappella del SS. Sacramento, si può ammirare la statua marmorea di S. Giuseppe Moscati, opera di P. Mazzei di Pietrasanta.
"Perseverate con Dio nel cuore... / con amore e pietà per i derelitti, / con fede e con entusiasmo... disposto solo al bene".
Il 3 settembre del 1860, dopo circa otto secoli di governo pontificio, Benevento veniva annessa al Regno d'Italia.
L'ultimo Delegato Apostolico, Mons. Eduardo Agnelli, nel lasciare la città aveva ricevuto l'onore delle armi dai soldati del nuovo regime. La città mutava vita ed entrava nell'ordine territoriale della nazione italiana.
"Secondo lo schema politico piemontese furono espropriati i conventi, cacciati i religiosi, manomessi gli archivi, deturpate o distrutte linee architettoniche di antichi edifici. Alcuni si aspettavano cose nuove e travolgenti, altri le temevano... Il clan massonico, importato da zone limitrofe, ebbe anch'esso il suo tempo favorevole.
Alla venuta della famiglia Moscati, in Benevento i bollori erano in buona parte sopiti".
"L'uomo che da oggi invocheremo come Santo della Chiesa universale, si presenta a noi come un'attuazione concreta dell'ideale del cristiano laico.
Giuseppe Moscati, medico Primario ospedaliero, insigne ricercatore, docente universitario di fisiologia umana e di chimica fisiologica, visse i suoi molteplici compiti con tutto l'impegno e la serietà che l'esercizio di queste delicate professioni laicali richiede.
Da questo punto di vista il Moscati costituisce un esempio non soltanto da ammirare, ma da imitare soprattutto da parte degli operatori sanitari...
Egli si pone come esempio anche per chi non condivide la sua fede".
I fratelli del Santo
Francesco Moscati e Rosa De Luca, i genitori del Santo, ebbero cinque figli nel soggiorno a Cassino: Gennaro, Alberto, le gemelle Maria e Anna (morte in tenera età nel 1875) e un'altra Maria.
A Benevento nel 1878 nacque la seconda Anna, familiarmente chiamata Nina, che sarà sempre vicina al Santo e lo aiuterà nelle opere di bene.All'età di quattro anni morì, poi, Maria, alla quale tutta la famiglia era molto legata.
Il 25 luglio 1880, festa dell'apostolo Giacomo il Maggiore, venne alla luce Giuseppe, il futuro Santo.
Ad Ancona nacque Eugenio e a Napoli (1884) Domenico, che poi sarà sindaco della città.
Giuseppe Moscati fu battezzato in casa sei giorni dopo la nascita, il 31 luglio 1880, festa di S. Ignazio di Loyola, da Don Innocenzo Maio, che morì novantenne, dieci anni dopo il Santo.
L'8 dicembre 1888, solennità dell'Immacolata, ricevette la Prima Comunione da Mons. Enrico Marano, nella chiesa delle Ancelle del Sacro Cuore di Napoli.Non ci restano altre notizie dell'avvenimento, ma in quel giorno si posero nel suo animo le fondamenta della vita eucaristica che sarà uno dei segreti della sua santità.
La Cresima gli fu amministrata da Mons. Pasquale De Siena il 3 marzo 1890, e Padrino fu Francesco Cosenza.
Gennaro e Nina Moscati
Tra i componenti della famiglia Moscati meritano un particolare ricordo Gennaro e Nina.
Gennaro è il primogenito.
Scrive di lui il Santo: "Gennarino è colui che ha fatto le veci di nostro padre, che ci ha portato sù; è colui al quale è doveroso il rispetto e l'ossequio di tutti".
Nina è l'unica donna sopravvissuta della famiglia Moscati.
Il fratello Eugenio parlando della carità del Santo dice: "Per complice nel fare il bene al prossimo aveva nostra sorella Nina".
Nina seguì Giuseppe per tutta la vita e lo aiutava nelle opere di bene e di apostolato.
Tra loro c'era una straordinaria affinità spirituale.
Morì quattro anni dopo il Santo, il 24 settembre 1931.
Nella casa a fianco della chiesa delle Ancelle del Sacro Cuore, dove il piccolo Giuseppe Moscati, all'età di otto anni, ricevette la Prima Comunione, abitava la Ven. Caterina Volpicelli, alla quale i genitori del Santo erano particolarmente legati per affinità di sentimenti spirituali.
Qui incontravano anche il futuro Beato Bartolo Longo, il fondatore del Santuario della Madonna di Pompei, che fino al 1872 aveva abitato presso la chiesa delle Ancelle del Sacro Cuore, frequentandola ogni giorno anche per la recita del Santo Rosario.
In seguito, quando Bartolo Longo abiterà a Pompei, il Prof. Moscati sarà il suo medico curante.
La morte improvvisa
"Ti spiace accompagnarmi?" Sentì chiedersi lo studente dal giovane Primario a cui riconosceva tutta Napoli un prestigio già fuor dall'ordinario per aver legato saldamente alla Scienza la Fede più fervente.San Giuseppe Moscati in una foto del 1923
"Non è per esercizio di diagnostica che desidero averti insieme a me.
Le discussioni sopra i casi clinici le sai fare benissimo da te. Vorrei che da cristiano già temprato tu vedessi l'autentico "malato".
Si avviarono in un dedalo di vicoli stretti e fangosi, non senza disagio.
Poi, dentro il corridoio di un tugurio, (il Prof. Moscati più a suo agio per la pratica certo dell'ambiente; un poco più a tentoni lo studente), si spinsero all'estremo pianerottolo contemplando uno squallido spettacolo: un uomo dall'aspetto cadaverico sopra una branda retta per miracolo fissò lo sguardo sopra il professore, quasi in attesa del suo salvatore. Il quale, prontamente inginocchiatosi presso il giaciglio come a un rituale, conchiuse un minuzioso esame clinico con la puntura di un medicinale, furtivamente alla famiglia ansiosa, lasciando anche un'offerta generosa.
Poche parole al bravo allievo espressero il senso di quel gesto (abituale al Maestro) e so quanto ne orientarono l'esimia attività professionale: "Ricordalo: tu hai visto nettamente l'immagine del Cristo Sofferente!"
Il 12 aprile 1927, martedì santo, il prof. Moscati, dopo aver partecipato, come ogni giorno, alla Messa e aver ricevuto la Comunione, trascorse la mattinata in Ospedale per poi tornare a casa.
Consumò, come sempre, un frugale pasto e poi si dedicò alle consuete visite ai pazienti che andavano da lui.
Ma verso le ore 15 si sentì male, si adagiò sulla poltrona, e poco dopo incrociò le braccia sul petto e spirò serenamente.
Aveva 46 anni e 8 mesi.
La notizia della sua morte si diffuse immediatamente, e il dolore di tutti fu unanime.
Soprattutto i poveri lo piansero sinceramente, perché avevano perduto il loro benefattore.
Tra le prime testimonianze dopo la sua morte, significativa è quella del cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi.
Dopo pregato dinanzi al corpo di Moscati, rivolto ai familiari disse: "Il Professore non apparteneva a voi, ma allaPannello sinistro dell'urna bronzea di S.Giuseppe Moscati, rappresentante la sua attività di docente Chiesa. Non quelli di cui ha sanato i corpi, ma quelli che ha salvato nell'anima gli sono andati incontro quando è salito lassù".
Nel registro delle firme, posto nell'ingresso della casa, tra le altre fu trovata questa frase: "Non hai voluto fiori e nemmeno lacrime: ma noi piangiamo, perché il mondo ha perduto un santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto!"
Il corpo fu sepolto nel Cimitero di Poggioreale, e precisamente nella Cappella cimiteriale dell'Arciconfraternita della SS.Trinità dei Pellegrini. Ma tre anni più tardi, il 16 novembre 1930, in seguito all’ istanza di varie personalità del clero e del laicato, l’Arcivescovo di Napoli concesse il trasferimento del corpo dal Cimitero alla Chiesa del Gesù Nuovo, tra due ali imponenti di folla.
Particolarmente felice di questo fu Nina Moscati, sorella del Professore, che dopo essergli stata sempre vicina in vita, aiutandolo nell’ esercizio della sua carità, dopo la morte aveva donato alla chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili del fratello.
Nel 1977, due anni dopo la Beatificazione, ci fu la ricognizione canonica del corpo: le ossa furono ricomposte, e il corpo di Moscati fu collocato nell'urna di bronzo, opera del Prof. Amedeo Garufi. Statua bronzea si S. Giuseppe Moscati, opera di Pierluigi Sopelsa, nella chiesa del Gesù Nuovo
Al Gesù Nuovo il corpo fu tumulato in una sala dietro l’ altare di S. Francesco Saverio, e la lapide a destra sotto l'altare della Visitazione lo ricorda ancora.
NOTA: Il 10 febbraio 2001, vigilia della IX Giornata Mondiale del Malato e della festa della Madonna di Lourdes, per iniziativa del Primicerio dell'Arciconfraternita della SS.Trinità dei Pellegrini, Avv. Giuseppe Di Rienzo, una lapide commemorativa indica nel cimitero di Poggioreale la tomba nella quale, per circa tre anni dopo la morte, riposarono i resti mortali di S. Giuseppe Moscati, nella cappella cimiteriale dell'Arciconfraternita.
Dopo la traslazione al Gesù Nuovo, il 16 novembre 1930, questa sepoltura era rimasta anonima e non era stata più utilizzata.
Era nota solo a un piccolo gruppo di Dirigenti dell'Arciconfraternita.
La lapide commemorativa è stata benedetta dal Vescovo Ausiliare di Napoli, Mons. Vincenzo Pelvi, dopo una liturgia eucaristica da lui presieduta. Erano presenti - insieme con alcuni Medici e un gruppo di membri dell'Arciconfraternita dei Pellegrini - il Parroco della chiesa del Gesù Nuovo, P. Pasquale Puca s.j., il Primicerio Avv. Giuseppe Di Rienzo e Mons. Enrico Cirilli, Assistente spirituale dell'Arciconfraternita.
Era presente anche il Cappellano dell'Ospedale dei Pellegrini, P. Vincenzo Esposito OFM Cap.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuseppe Moscati, pregate per noi.
*San Giustino di Chieti – Vescovo (1 gennaio)
m. 540
Patronato: Diocesi Chieti-Vasto
Martirologio Romano: In Campania e in Abruzzo, commemorazione di San Giustino, celebrato come vescovo, insigne per zelo e per la difesa dei cristiani.
San Giustino è considerato da un’antica tradizione l’evangelizzatore della città di Chieti, nonchè il suo primo vescovo, nonostante molte incertezze circa il periodo in cui sarebbe vissuto.
Non esiste infatti una documentazione storica dalla quale trarre notizie particolareggiate circa la sua vita: solo nel XV secolo comparirono alcune sue “passio”, in gran parte ricalcate a modello di quelle dei santi omonimi, che finiscono per confonderlo con un santo di Siponto che avrebbe subito il martirio in Abruzzo nel III secolo insieme ai fratelli, Fiorenzo e Felice, ed alla nipote, Giusta.
È cosa comunque certa che la cattedrale di Chieti venne invece intitolata al santo vescovo Giustino almeno sin dal IX secolo.
Proprio a tale epoca risalgono, infatti, i primi documenti sulla chiesa a noi pervenuti. Assai probabilmente questo misterioso personaggio resse la diocesi di Chieti durante il travagliato periodo delle invasioni barbariche e della diffusione dell’eresia ariana, cioè intorno alla fine del IV secolo.
In tale frangente storico, dinnanzi al dissolversi delle istituzioni statali dell’Italia del tempo, il popolo iniziò a stringersi attorno ai pastori, scelti tra le figure più carismatiche del mondo cristiano. Non sono poche, infatti, le città italiane a venerare quali santi i loro vescovi di quel periodo.
Gran parte delle reliquie del santo sono ancor oggi venerate in un’urna, posta nella cripta della cattedrale teatina.
Oggetto di una particolare ed antica venerazione è il Santo Braccio, al quale la devozione popolare attribuì numerosi miracoli, tra i quali quello del 593 in cui il Santo Braccio, portato in processione dai teatini, respinse un’invasione di cavallette che minacciavano i raccolti nei dintorni della città. San Giustino era un tempo festeggiato al 1° gennaio, poi nel 1616 la sua festa fu spostata al 14 gennaio ed infine trasferita all’11 maggio. Il Martyrologium Romanum lo commemora comunque ancora nella data originaria
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giustino di Chieti, pregate per noi.
*San Guglielmo di Volpiano - "Abate di S. Benigno di Digione" (1 gennaio)
962-1031
Etimologia: Guglielmo = la volontà lo protegge, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Nel monastero di Fécamp in Normandia, transito di San Guglielmo, abate di San Benigno di Digione, che negli ultimi anni della sua vita governò con fermezza e prudenza i suoi moltissimi monaci distribuiti in quaranta monasteri.
Figlio di Roberto, nobile italiano, e di Perinza, nobile di ascendenza lombarda, Guglielmo nacque nel 962 nel castello dell'isola San Giulio sul lago d'Orta; ebbe per madrina l'imperatrice Adelaide, sposa di Ottone I. Il motivo del nome da Volpiano è nella residenza della sua famiglia in quel borgo del canavese dove già intorno all'anno 1000 sorgeva un importante castello (rimasto in piedi fino al 1555 quando fu distrutto ad opera dei francesi).
Oblato nel 969 nel monastero benedettino di S. Michele di Locedio, frequentò successivamente le scuole di Vercelli e di Pavia. Di ritorno al suo monastero, vi fece la professione e ricevette la direzione del coro e della scuola monastica, divenendone ben presto il secretarius.
Dopo un breve ritiro sul monte Pircheriano, conobbe Maiolo, abate di Cluny, quando questi, nel 985, riformò l'abbazia di Locedio, e lo seguí a Cluny, dove risiedette dal 985 al 989.
Priore di St-Saturnin-sur-Rhone per qualche mese, fu incaricato della restaurazione materiale e spirituale dell'antica abbazia di S. Benigno a Digione, secolarizzata da ca. cento anni, che il vescovo di Langres, Bruno di Roucy, aveva affidato a Cluny.
Guglielmo ricevette la benedizione abbaziale il 7 giugno 990. A Digione, egli stabili l'osservanza cluniacense, pur conservando alla sua abbazia una completa indipendenza nei confronti di Cluny.
Si allontanò infatti dallo spirito cluniacense soltanto per una eccessiva severità, che gli valse il soprannome di supra regulam.
Ricostruí la chiesa di S. Benigno dopo aver creduto di ritrovare il corpo dello pseudo martire che vi era venerato, e vi stabilì una scuola che ebbe un rapido fiorire.
Il vescovo di Langres gli affidò poi la riforma dei monasteri di Bèze, Tonnerre, Molesme e Moutier-Saint-Jean; infine fondò sulle proprietà paterne (1001-1003) l'abbazia di S. Benigno di Fruttuaria (dioc. d'Ivrea).
Il suo biografo, che fu monaco nell'abbazia di Digione, Rodolfo Glabro, ricorda che Guglielmo riformò una quarantina di abbazie: si tratta, oltre a quelle citate nella diocesi di Langres, di St-Vivant di Vergy (Autun), S. Apro di Toul, St-Arnoul di Metz, la Trinité di Fécamp, Jumièges, St-Ouen di Rouen, il Mont-Saint-Michel in Normandia, St-Faron di Meaux, Gorze, Saint-Germain-des-Prés (Parigi), S. Apollinare di Ravenna, S. Ambrogio di Milano, Moyenmoutier e St-Mansuy di Toul; a Guglielmo si deve anche la fondazione di Bernay.
Ampliò, inoltre, l'influenza della sua abbazia di Digione con la fondazione di priorati nelle diocesi di Langres, Autun, Chalon-sur-Saone, Troyes, Toul, e di quella di Fruttuaria con la creazione dei priorati di Quaranta, Paderno, Cavalliaca, Navigena e S. Perpetua di Asti.
Attraverso la Normandia la sua influenza si estese in Inghilterra.
Della sua opera letteraria ci rimangono una dozzina di lettere e un trattato De vero bono et contemplatione divina. Pare siano andate perdute altre opere: il Liber de reformatione et correctione cantus, il Psalterium pro idiotis, Sermones plares, De eleemosinis decimalibus et quadragesimalibus.
Oltre ad una riforma dello statuto dei conversi in virtú della quale questi divengono dei familiari bisogna ricordare, nell'opera di Guglielmo, soprattutto una osservanza piú rigorosa nella preghiera, nel cibo e nelle vesti, la sua cura nella fondazione, soprattutto in Normandia, di scuole popolari, che permettevano ai fedeli di imparare a leggere e cantare i salmi, e il suo zelo nella costruzione di chiese; si deve a lui, infatti, l'introduzione per primo in Borgogna dei maestri comaschi dell'Italia settentrionale.
Quando morí a Fécamp, il 1° gennaio 1031, Guglielmo aveva sotto la sua direzione mille e duecento monaci disseminati nelle diverse abbazie e priorati.
Fu sepolto in quella città, davanti all'altare di S. Taurino nel monastero della Trinità. Il suo culto è stato approvato nel 1808 per la diocesi di Ivrea. Festa al 1° gennaio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guglielmo di Volpiano, pregate per noi.
*Beato Luigi (Lojze) Grozde - Martire (1 gennaio)
Gorenje Vodale, Slovenia, 27 maggio 1923 - Mirna, Slovenia, 1 gennaio 1943
Porta su di sé, come marchio indelebile, la vergogna di essere figlio illegittimo. Vergogna che soprattutto è di sua madre, che si rifiuta anche di allevarlo, per non aver sempre davanti agli occhi il ricordo della sua colpa. Se il padre naturale si rifiuta di riconoscerlo come figlio, l’uomo che quattro anni dopo sposa sua madre si rifiuta di accettarlo in casa.
Così sono i nonni e una zia a prendersi cura di lui e forse è un bene, perché lo educano alla fede e all’amor di patria, anche se a lui mancherà sempre l’affetto di mamma. Venuto alla luce nel maggio 1923, in Slovenia, cresce in aperta campagna, nel tipico ambiente contadino del tempo, contraddistinto da lavoro duro e tanta povertà.
Il bambino, però, eccelle negli studi e sembra quasi che trovi nei suoi successi scolastici la compensazione alla carenza di affetto materno che lo ha fatto sentire sempre inferiore ai suoi compagni. Fatto sta che gli fanno proseguire gli studi nella capitale, a Lubiana, frequenta il liceo e si diploma a pieni voti, grazie anche ad una benefattrice che gli paga gli studi e la permanenza al convitto.
A 13 anni entra a far parte della Congregazione Mariana, di cui per un periodo sarà pure il presidente, ma per quanto forte non è questa l’esperienza decisiva per far maturare la sua fede. Due anni dopo alcuni compagni di liceo gli fanno conoscere l’Azione Cattolica ed è subito amore a prima vista. È convinto che sia stata proprio la Madonna a fargli la grazia di entrare a far parte di questa associazione: preghiera, incontri formativi, letture, apostolato attivo lo portano in poco tempo a consolidare la sua fede.
Diventa il ragazzo della comunione quotidiana, della testimonianza forte, del sorriso limpido; lo studio diventa il suo mezzo per fare apostolato, per avvicinare i compagni, per annunciare la sua fede. “Non voglio essere un uomo mediocre. Un compito tanto bello e così sublime come quello proposto dall’Azione Cattolica vale la pena che sia vissuto a qualsiasi costo”, scrive. E che non siano semplicemente buoni propositi lo dimostreranno i fatti. In quegli anni pensa anche al sacerdozio, ma gli sembra di poter fare di più e meglio come laico impegnato e coerente. “Il giovane di Azione Cattolica deve essere sempre disposto ai sacrifici, perfino al martirio e alla morte”: parole dal sapore profetico, annotate sul suo diario in tempi non sospetti, quando ancora nulla sembra far prevedere il peggio.
Eppure quel ragazzo “come tanti” comincia a diventare “speciale”, allenandosi al sacrificio, prendendosi cura come non mai della sua vita spirituale, votandosi interamente al Regno di Dio: non sa di prepararsi in questo modo a scelte ben più impegnative. Perché in Iugoslavia i tempi si fanno difficili e con il comunismo promosso da Tito si scatena anche una feroce persecuzione contro i cattolici.
Per le feste natalizie del 1942 sente forte il desiderio di tornare in famiglia per far visita ai suoi. Durante il viaggio, il 1° gennaio 1943 si ferma al monastero cistercense di Stična per accostarsi alla comunione, che sarà l’ultima della sua vita, perché in quello stesso giorno viene intercettato dai partigiani di Tito e fatto prigioniero con il pesante sospetto di essere il corriere dei militanti anticomunisti.
Dalla persecuzione cui è sottoposto, però, saltano fuori soltanto un messalino, un libretto religioso e alcune immaginette. Crudelmente torturato per tutta la notte nel tentativo di fargli rivelare inesistenti complotti e una sua fantomatica attività di spia, viene alla fine ucciso come pericoloso cattolico. Il suo corpo orribilmente seviziato viene ritrovato il 23 febbraio, per caso, da alcuni ragazzini.
Dal piccolo cimitero in cui viene sepolto, il ventenne cattolico dal coraggio indomito e dalla fede limpida continua però ad attrarre con la fama popolare del suo martirio, riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nello scorso mese di marzo.
E domenica scorsa, nella città slovena di Celje, nel contesto del Congresso Eucaristico sloveno, è stato solennemente beatificato Alpjzij (Luigi) Grozde, il ragazzo entusiasta della sua fede e innamorato dell’Eucaristia.
(Autore: Gianpiero Pettiti - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Lojze Grozde nacque il 27 maggio1923 a Gorenje Vodale, e fu battezzato il 27 maggio, nella chiesa parrocchiale di Trzisce na Dolenjskem, diocesi di Novo mesto (Slovenia). Era figlio illegittimo, il padre naturale non lo volle mai riconoscere come proprio figlio. Per questo motivo figlio e madre furono trascurati dai molti parenti. Quando Lojze aveva quattro anni la madre si sposò con un certo Kovac. La madre dovette lavorare molto presso vari padroni per mantenere se stessa e il figlio e cosi Lojze fu allevato presso i nonni materni e la zia.
L’ambiente in cui nacque e visse la sua infanzia il Beato, era quello tipico di contadini poveri, dediti al duro lavoro della campagna, ebbe un influsso sul suo temperamento e sul suo carattere personale, molto riservato e timido.
L’ assenza di mamma, sempre molto impegnata con il lavoro, causò a Lojze molta sofferenza. All’età di sei anni cominciò a frequentare la scuola elementare. Malgrado tutte queste difficoltà il Beato fu educato fin da bambino nella fede cattolica e nell’amore verso Dio e verso la patria. La sua profonda vita interiore traspariva già nelle sue composizioni scolastiche, in cui egli superava in tutto i compagni per il suo maggiore sviluppo spirituale.
Terminata con successo la scuola elementare, cominciò a frequentare il ginnasio-liceo nella capitale della Slovenia, a Ljubljana: Dopo otto anni di studio conseguì la maturità classica. Durante lo studio, con l’aiuto di benefattori, potè ottenere un posto nel convitto vescovile a Marijanisce (Marianum). Molto generoso nell'aiutare i compagni di scuola e di convitto, riuscì a conquistare la simpatia di tutti. In quell tempo cominciò anche a comporre poesie. L'8 dicembre 1936 Lojze diventò membro della Congregazione Mariana e si consacrò all'Immacolata. Alcuni anni dopo, diventò pure il presidente della Congregazione Mariana.
Mentre frequentava il liceo, alcuni membri dell'Azione Cattolica, lo invitarono a partecipare alle loro riunioni. I loro ideali lo stimolavano ad affrontare nuovi impegni apostolici: voleva fare tutto per il regno di Dio, condurre gli altri giovani a Cristo, sacrificarsi per la salvezza dell anime. Era convinto, che proprio la Vergine Santissima, di cui era molto devoto, l'aveva guidato verso l'Azione Cattolica per allargare l'orizzonte della sua vita spirituale e il suo campo d'azione. Coltivò in sè una fede sicura e ferma e lo spirito di sacrificio. La sua fede incrollabile lo rendeva ottimista. Nel suo diario aveva scritto: il giovane di Azione Cattolica deve essere sempre disposto ai sacrifici, perfino al martirio e alla morte. Attinse la forza per il suo apostolato laico dall' Eucaristia, alla quale partecipava quasi ogni giorno e dalla Comunione quotidiana.
Già durante gli studi al liceo aveva pensato spesso di farsi prete. Dopo la preghiera e una lunga riflessione decise che come laico dell'Azione Cattolica, avrebbe potuto fare di più per il Regno di Dio e per salvare le anime.
Col crescere dell'età continuava a migliorare se stesso. Lojze aveva sempre avuto un forte senso di appartenenza alla nazionalità slovena, ma nello stesso tempo intuiva il pericolo che veniva per il popolo dalla rivoluzione comunista. Durante la seconda guerra mondiale la Slovenia fu occupata dagli Italiani e dai Tedeschi, con la la guerra civile.
Alla fine dell'anno 1942 Lojze desiderava ardentemente di recarsi a casa sua per Natale, ancge se era pericoloso recarsi nella sua terra natale, dove in quel tempo c'erano tanti partigani armati. Ma in Lojze ardeva forte il desiderio a visitare la madre: era tempo di Natale e con la sua visita avrebbe potuto condividere con lei la gioia della festa.
Da Ljubljana a Trebnje viaggiò con il treno. Malgrado i pericoli, il 1 gennaio 1943, giunse a Stična, dove presso il monastero dei Cistercensi, si accostò alla comunione, per l’ ultima volta nella sua vita. Poi proseguì il viaggio verso Mirna, dove partigiani l’afferrarono e lo sottoposero al primo interrogatorio, pensando che fosse stato il corriere. Di sera lo trascinarono nella trattoria di Vidmar e da quel momento iniziarono a torturarlo. Due partigiani insolenti l’accusarono d’essere una spia segreta dei militanti anticomunisti e gli intimarono di confessare i suoi intrighi ostili al popolo. Lojze, non avendo niente da confessare, si rifiutò di dire bugie: addosso non gli hanno trovato niente altro che il piccolo messale romano, il libro “Sequela di Cristo” e alcune imaginette della Madonna di Fatima.
Il SdD fu sottoposto a tormenti e a torture disumane che egli sopportò con grande forza spirituale, abbandonandosi alla volontà di Dio. Dopo una lunga tortura lo uccisero. Come martire cristiano finì la sua vita esemplare all’eta di solo vent’anni.
Il ritrovamento del corpo martoriato avvenne il 23 febbraio 1943. Il corpo insepolto è stato riscoperto da alcuni bambini nel bosco nei pressi di Mirna, vicino al ruscello di Vejersca. I resti mortali di Lojze Grozde furono sepolti nel cimitero vicino al luogo dove era nato, a Šentrupert na Dolenjskem.
Fin dai primi momenti quando si seppe della sua morte, fu ritenuto dai fedeli un martire cristiano. La sua tomba al cimitero di Sentrupert è diventata meta di pellegrinaggi sia di fedeli singoli, sia di gruppi dei fedeli. Nei decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale, a causa del regime comunista che era al potere in Slovenia, in pubblico era proibito parlare a voce alta della morte di Lojze Grozde. Nonostante ciò, i fedeli di nascosto visitavano la tomba e il luogo del martirio portando candele e mazzi dei fiori, chiedendo la sua intercessione nelle loro preghiere.
La morte del Beato Lojze Grozde è da ritenersi un martirio nel senso formale, perché da una parte i persecutori si sono lasciati guidare dall’odio verso la fede, e dall’altra parte il Beato ha sacrificato la sua vita per amore della fede e della Chiesa cattolica.
La fama del martirio di Lojze Grozde presente tra i fedeli da subito, è presente tuttora con la convinzione che si sia trattato di un martirio a causa della fede. La fama del martirio di Lojze Grozde venne messa in risalto anche dal Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita pastorale in Slovenia dal 17 al 19 maggio del 1996.
Dallo stesso Papa il Beato venne definito “il discepolo di Cristo” e fu annoverato tra “gli eroici testimoni della Fede”. I fedeli hanno testimoniato la sua fama di santità e di martire cristiano dalla morte di Grozde fino ad oggi.
Grozde è il simbolo di tutti gli Sloveni cattolici sottoposti al martirio durante e dopo la guerra a causa della loro fedeltà alla fede. Egli è uno dei più grandi giovani Sloveni che risplende anche oggi come esempio per i giovani del nostro paese.
(Autore: Igor Luzar, postulatore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Luigi Grozde, pregate per noi.
*Beato Mariano (Marian) Konopinski - Sacerdote e Martire (1 gennaio)
Scheda del gruppo a cui appartiene il Beato Mariano Konopinsk: Beati 108 Martiri Polacchi - Senza data (Celebrazioni singole) + 1939 – 1945
Kluczewo, Polonia, 10 settembre 1907 - Dachau, Germania, 31 dicembre 1942
Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, Beato Mariano Konopiński, Sacerdote e Martire: polacco di nascita, offrì la sua vita per Cristo Signore patendo dai medici crudeli atrocità.
Marian Konopinski nacque nella città polacca di Kluczewo, nei pressi di Wielkopolskie, il 10 settembre 1907.
Divenne sacerdote dell’arcidiocesi di Poznan, di cui fu poi anche vicario.
Io odio alla sua fede venne arrestato dal regime nazista nel settembre 1939 e deportato nel campo di concentramento di Dachau, vicino a Monaco di Baviera in Germania.
Crudelmente sottoposto da medici aguzzini ad esperimenti sul suo corpo, morì infine straziato il 1° gennaio 1942.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 elevò agli onori degli altari ben 108 vittime della medesima persecuzione nazista, tra le quali il Beato Marian Konopinski, che viene dunque ora commemorato dal Martyrologium Romanum in data 1 gennaio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Mariano Konopinski, pregate per noi.
*Sant'Odilone di Cluny - Abate (1 gennaio) 961/2 - 1 gennaio 1049
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Presso Sauvigny in Burgundia, nell’odierna Francia, transito di Sant’Odilone, abate di Cluny, che, severo con se stesso, ma mite e misericordioso con gli altri, pacificò in nome di Dio popoli belligeranti, in tempo di fame sostenne con ogni mezzo gli afflitti e per primo istituì nei suoi monasteri la commemorazione di tutti i fedeli defunti il giorno dopo la festa di Tutti i Santi.
Uno degli ultimi figli di una famiglia numerosa dell’Alvernia, Odilone di Mercoeur nacque nel 961 o 962. La devozione, unitamente alle relazioni della famiglia, decisero i suoi genitori a consacrarlo al servizio del Signore nella collegiata di St-Julien di Brioude, di cui in seguito sarebbe divenuto canonico. San Maiolo, peraltro, lo attirò nel monastero di Cluny verso il 990 e poi, dal maggio 993, lo scelse come abate-coadiutore, dopo avergli fatto conferire gli Ordini, scelta che nel gennaio 994 fu confermata da un’elezione canonica. Odilone divenne unico abate di Cluny l’11 maggio, alla morte di Maiolo, e avrebbe occupato questa carica fino alla propria morte, avvenuta a Souvigny nella notte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio 1049.
Soltanto gli avvenimenti esterni permettono di determinare le varie tappe nella continuità di questo lungo abbaiato.
Odilone dovette, prima di tutto, far fronte alle difficoltà derivanti dai religiosi di certi monasteri dipendenti da Cluny, e dai signori che volevano spogliare l’abbazia dei suoi beni. Nel dic. 997 egli intraprese il primo dei suoi così frequenti viaggi verso Pavia e Roma, che gli procurarono l’occasione di intervenire a favore di diversi chiostri della penisola.
I suoi incontri con i Papi e gli imperatori sono soltanto un particolare delle sue molteplici relazioni, che spiegano l’origine delle donazioni di monasteri a lui fatte.
Dopo il primo periodo di pesante attività, Odilone conobbe, tra il 1005 e il 1013, anni più calmi, che lo condussero all’apogeo della sua grandezza.
Gli anni tra il 1014 e il 1030 dimostrarono a quale potenza fosse pervenuta Cluny. La benevolenza degli imperatori, soprattutto di Enrico II, e dal re di Francia, Roberto, nonché quella dei papi, come Benedetto VIII e Giovanni XIX, dimostrano l’ascendente di Odilone e come ciò fu favorevole alle cause da lui difese, senza peraltro allontanare le difficoltà nate dalla condotta di alcuni vescovi e di alti personaggi. Ben presto, tuttavia, le prove andarono moltiplicandosi, fino a ca. il 1040, data in cui l’abate riuscì a dominare progressivamente la situazione. La sua malattia, durante un ultimo viaggio a Roma (inizi del 1047) annunciava già la fine che sopravvenne durante un’ultima visita ai suoi monasteri.
I primi a beneficiare dello zelo di Odilone furono i monaci di Cluny, per i quali egli ricostruì il complesso degli edifici monastici, ad eccezione della chiesa, che era stata ultimata dal suo predecessore; ma la stesa attività di costruttore fu da lui esercitata anche in altre case da lui dipendenti. Per i suoi monaci egli pronunciò anche dei sermoni, di cui alcuni ci sono pervenuti, compose gli Inni dell’Ufficio di s. Maiolo, redasse una Vita di quest’ultimo e quella dell’imperatrice Adelaide; a capo dei monaci egli presiedette a quell’esistenza claustrale in cui la liturgia occupa un posto così preminente e di cui fece descrivere i particolari in un Ordo celebre, ricopiato a Farfa (Consuetudines ferfensis); arricchì la biblioteca, promosse lavori artistici nel laboratorio degli orafi, coltivò il talento letterario dei suoi religiosi.
Sotto il suo governo, il patrimonio di Cluny aumentò considerevolmente, insieme al numero dei monasteri ad essa soggetti. Per quanto sia difficile precisare un elenco di questi ultimi, fra grandi e piccoli, essi superavano i settanta, di cui più di venticinque debbono attribuirsi al suo governo. Rafforzò inoltre i vincoli che li legavano a Cluny, ne assicurò la direzione con priori formati alla sua scuola, a tutti procurò il vantaggio dell’esenzione che, con Bolle successive, ottenne sempre più completa. L’unità dell’osservanza e dello statuto canonico, congiunta all’unità del governo, raggruppavano tutte le case cluniacensi in un vero Ordine: è proprio in questa occasione che la parola ordo assunse la sua nuova accezione. Oltre che sull’Ordine, Odilone esercitò, all’occasione, la sua azione anche su altri monasteri, di cui si trovava a difendere gli interessi.
L’estensione dell’Ordine di Cluny, il suo irradiamento, e in particolare il ruolo delle sue consuetudini, moltiplicavano i centri di fervore religioso e di preghiera, per il maggior bene della Chiesa; ad essi si aggiungeva la costruzione di nuovi luoghi di culto nelle campagne. Il compito assunto da Odilone nella Chiesa si trova così determinato e Benedetto VIII lo riconosce in una Bolla (1° sett. 1016): “Servire Iddio, permettere di aderire a Dio, pregare, celebrare la Messa per i vivi e defunti, prender cura degli ospiti e dei poveri, fare l’elemosina”; tutto ciò significò, di per sé e per il ruolo sociale dei chiostri, contribuire potentemente al progress spirituale del popolo cristiano, e preparare biondi il terreno per lo sforzo futuro della riforma gregoriana.
Nello stesso tempo, i legami dei monasteri cluniacensi con Roma istituivano una rete di forze e di tappe prestabilite; nello stesso senso operavano le relazioni cordiali intrattenute da Odilone con numerosi vescovi.
I suoi obiettivi, peraltro, non corrispondono esattamente a quelli dei gregoriani; egli volle semplicemente far amare il Cristo Gesù, preparare le anime alla vita del cielo e per questo offrire agli uomini l’ordine e la pace. Tutti debbono contribuir a realizzare questo bene, tanto più urgente in quanto troppo spesso regnano ancora il disordine e le guerre; al di sopra dei conti e dei re, l’imperatore gli sembra il miglior garante del suo ideale: al bisogno, egli interverrà presso di lui per sollecitare un perdono o una protezione, riconoscendogli per contro le qualità per scegliere un buon papa, così come spetta al re di nominare un buon vescovo.
Allo stesso ideale si collega il ruolo che si accorda a Odilone nella conclusione dei patti di pace e nella istituzione della “tregua di Dio”, o, ancora, il ruolo di giudice nei possedimenti di Cluny, di arbitro che presiede ai regolamenti dei conflitti fra terzi, di conciliatore che ricerca degli accomodamenti con i suoi avversari. La sua instancabile generosità sovviene a tutte le miserie: in quei tempi di frequenti e spesso spaventevoli carestie, egli procura i viveri agli indigenti senza lesinare, non esitando a vendere il tesoro della sacrestia o a elemosinare preso i ricchi. Non gli basta di soccorrere i corpi, vuole liberare le anime dei defunti: no contento dei suffragi, già frequenti a Cluny per le anime del Purgatorio, egli istituisce, all’indomani di Ognissanti, la nuova, solenne commemorazione dei trapassati.
Questa immensa pietà è senza dubbio il tratto dominante del suo carattere. Egli medita troppo profondamente l’esempio del Signore Gesù per non essere fondamentalmente misericordioso e pietoso. La sua bontà, tuttavia, non è vana tenerezza, perché, al contrario, egli si dimostra uomo deciso e forte, perfino tenace, e pratico; manifesta infatti il suo senso pratico pur nel suo governo di anime e nella sua devozione al Verbo incarnato o a Maria, Signora, Stella del mare. Amico purissimo, nutre una particolare devozione all’Eucaristia; uomo di fede profonda e attiva, è un contemplativo, teso verso la visione del Signore.
Culto
Il posto che Odilone ha tenuto ai suoi tempi, le sue relazioni e l’irradiamento delle sue opere, più ancora che la sua reputazione di taumaturgo, avrebbero richiesto l’iscrizione nel calendario di numerose chiese, come era accaduto per il suo predecessore, San Maiolo. In realtà il culto si limita ai monasteri cluniacensi e ad alcuni altri soltanto, o a diocesi con le quali Odilone si trovò in rapporti particolarmente stretti, come Chartres e Le Puy.
La data della sua morte, nell’ottava della Natività, portava, evidentemente a causa della coincidenza, un certo imbarazzo; la successiva storia monastica dei secc. XI e XII doveva affievolire il suo ricordo, in modo che il culto ha preso un carattere locale assai evidente a Cluny e soprattutto a Souvigny, dove, nel 1063 il legato, San Pier Damiani, consacrava una nuova chiesa, elevava le reliquie, redigeva una nuova Vita del santo per abbreviare quella del monaco Jotsaldo; nel 1345 l’arcivescovo di Bourges procedeva a una traslazione, cosa che certamente diede occasione alla dispersione di alcune ossa in altre chiese, ma l’insieme del corpo rimase a Souvigny, dove nel 1793, sarebbe stato quasi del tutto distrutto.
Odilone è iscritto nel Martirologio Romano al 1° gennaio (Comm. Martyr. Rom., p.2, n.12). Sebbene non abbia un grande posto nell’iconografia, questa gli attribuisce alcune caratteristiche: la mitra che, ai suoi piedi, ricorda il rifiuto all’arcivescovato di Lione, oppure piccoli corpi tra le fiamme, che ricordano l’istituzione della commemorazione del 2 novembre.
(Autore: Jacques Hourlier - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - Sant' Odilone di Cluny, pregate per noi.
*San Oyend - Abate (1 gennaio)
[+510 presso Ginevra]
Abate di Condat.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Oyend, pregate per noi.
*San Severino Gallo – Martire, Mercedario (1 gennaio)
+ 1419
Originario di Francia, San Severino Gallo era famosissimo Dottore dell’Università di Parigi e molto rinomato nell’Ordine Mercedario.
Trovandosi ad Algeri, in Africa per redenzione, fu catturato da un principe mussulmano, il quale vedendolo fedelissimo a Cristo lo fece condannare a morte.
Lacerato con raffinatissime torture venne poi inchiodato ad un palo e raggiunse così il coro dei martiri nell’anno 1419.
L’Ordine lo festeggia l’1 gennaio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Severino Gallo, pregate per noi.
*San Sigismondo (Zygmunt) Gorazdowski – Sacerdote (1 gennaio)
1845 - 1 gennaio 1920
Nato il 1° novembre 1845 a Sanok (Polonia), svolse il suo ministero in varie parrocchie e promosse numerose opere per sacerdoti, giovani, malati e poveri.
Fu autore di un celebre catechismo per il popolo, fondò un nuovo quotidiano, varie istituzioni di beneficenza e la Congregazione delle Religiose di San Giuseppe per i poveri e i malati.
Morì il 1° gennaio 1920 a Leopoli (Ucraina).
Martirologio Romano: A Leopoli in Ucraína, San Sigismondo Gorazdowski, sacerdote: di origine polacca, fu insigne per pietà verso il prossimo e pioniere di attività per la difesa della vita; fondò la Congregazione delle Suore di San Giuseppe, adoperandosi con ogni mezzo per il bene dei poveri e dei bisognosi. Secondo di sette figli, il Beato Zygmunt nacque il 1° novembre a Sanok nella parte orientale della Polonia. Dopo iniziali studi per avvocato, entrò nel seminario superiore di Leopoli, pur essendo malato fin dall’infanzia di tubercolosi, allora incurabile.
La malattia si aggravò al punto che dopo gli studi di teologia, dovette fermarsi per due anni per intraprendere un’energica cura, con la rassegnata fiducia in Dio.
Inaspettatamente egli migliorò, tanto quanto bastò affinché potesse ricevere l’ordinazione sacerdotale il 25 luglio 1871.
Per sei anni lavorò come vicario parrocchiale e amministratore nella zona dell’allora Galizia. Profuse a piene mani tutte le sue energie nell’opera di apostolato fra la povera gente della zona, basti ricordare che una parrocchia dell’epoca aveva nel suo raggio ben 6-7 Comuni distanti fra loro.
Accorse in aiuto degli ammalati di colera a Wojnilow, incurante del contagio deponeva i cadaveri nelle bare suscitando l’ammirazione di tutti, ebrei compresi. Dal 1877 lavorò per circa 40 anni, presso la parrocchia di s. Nicola a Leopoli, in questo periodo, la sua carità dilagò in tutti i sensi; si impegnò come editore e redattore alla stampa di giornali, articoli pedagogici e sociali, del testo del catechismo, riviste di formazione.
Fondò la "Casa del lavoro volontario" per i mendicanti, la "Cucina popolare", la "Casa di cura per malati incurabili e convalescenti di lunga degenza", il Collegio di San Josafat per studenti poveri, la "Casa del Bambin Gesù" per ragazze madri e neonati abbandonati, inoltre fondò la Congregazione delle Suore della Misericordia di San Giuseppe.
Grande era la sua devozione a s. Giuseppe al cui nome intestò la maggior parte delle sue opere; già in vita era chiamato il “Prete dei mendicanti”, il “Padre dei poveri”, ”l’Apostolo della Misericordia divina di Leopoli”.
Morì il 1° gennaio 1920, lasciando la Congregazione che si è diffusa in 62 case in vari Stati. Beatificato da papa Giovanni Paolo II il 26 giugno 2001 a Lviv (Leopoli) in Ucraina.
Papa Benedetto XVI, nella sua prima cerimonia di canonizzazione, lo ha proclamato Santo il 23 ottobre 2005 in piazza San Pietro.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Sigismondo Gorazdowski, pregate per noi.
*Beato Ugolino da Gualdo Cattaneo – Eremita (1 gennaio)
Martirologio Romano: A Gualdo Cattaneo in Umbria, Beato Ugolino, che condusse vita eremitica.
Tra le valli Umbra e Tiberina, tra Foligno e Spoleto, dove amene colline conservano mirabilmente artistiche testimonianze del passato, sorge il borgo di Gualdo Cattaneo, arroccato e munito di una possente cerchia di mura. Fondato nel 975 dal Conte da cui prese il secondo nome, ebbe sempre un ruolo geografico strategico.
Il suo nome è legato ad un beato, venerato come patrono, il cui corpo è custodito nella cripta della chiesa dei Ss. Antonio e Antonino.
Ugolino era un eremita dalla profonda e rigorosa vita spirituale, che divideva la giornata tra preghiera, silenzio e lavoro manuale.
Sulla sua vita non possediamo molte notizie, ma sufficienti a delinearne la santità. In un documento del 1348 il Vescovo di Spoleto, Bartolus, scriveva al nostro beato, priore e fondatore laico dell’eremo di S. Giovanni nella selva di Onterio (nei pressi di Gualdo) in risposta ad una sua lettera. Ugolino era quindi la guida spirituale di un gruppo di eremiti ed aveva scritto per chiedere che l’eremo rientrasse nella giurisdizione dell’abbazia benedettina di Subiaco. Si firmava Ugolino Michele “de Mevania” (Bevagna).
L’autorizzazione fu confermata da Papa Gregorio XI nel 1374, quando Ugolino aveva già raggiunto la patria celeste.
Alla morte fu sepolto con il dovuto riguardo e la sua tomba divenne meta di pellegrinaggi e fonte di grazie. Il trasferimento delle reliquie nella chiesa dei Ss. Antonio e Antonino fu eseguito successivamente, di certo prima della fine del secolo XV. In quegli anni era attiva una confraternita dedicata alla Vergine e ad Ugolino, venerato santo a voce di popolo.
I confratelli, nel loro stendardo, recavano una sua immagine, la sua più antica raffigurazione insieme a quella dipinta nella chiesa di Sant'Agostino nel 1482 da un allievo dell’Alunno.
È conservata un’antica lapide, copia di una precedente, che in passato dette animo a confusioni e discussioni anche accese, sui tempi e sul luogo in cui nacque Ugolino, Bevagna o Gualdo.
I due paesi sono comunque assai vicini e una tesi è quella che i natali furono a Gualdo, da genitori di Bevagna. Il culto è da sempre sentito e già nel 1483 gli statuti comunali decretavano l’offerta “della cera” per la festa fissata al 1° gennaio (data della morte).
I festeggiamenti si svolgono oggi anche a inizio settembre. Il suo biografo principale è uno studioso del XVII secolo, Ludovico Iacobilli. Nel 1919 ne fu confermato il culto “ab immemorabili”.
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ugolino da Gualdo Cattaneo, pregate per noi.
*Beato Valentino Paquay (1 gennaio)
Tongres, Belgio, 17 novembre 1828 - Hasselt, 1 gennaio 1905
Nato a Tongres (Belgio) nel 1828, Luigi Paquay entrò tra i Frati minori come Valentino. Visse sempre a Hasselt, dove fu molto stimato. La sua assiduità al confessionale lo ha fatto spesso paragonare al Curato d’Ars. Fu devotissimo dell’Eucaristia, promuovendo al comunione frequente, e del Sacro Cuore.
Ne diffuse il culto tra le consorelle della fraternità dell’Ordine secolare francescano, di cui fu direttore spirituale per 26 anni. Morì 77enne nel 1905.
Martirologio Romano: Ad Hasselt vicino a Tongeren in Belgio, beato Valentino Paquay, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che nella preghiera, nel ministero della riconciliazione e nella devozione del Rosario offrì un mirabile esempio di carità cristiana, raggiungendo, in spirito di umiltà, dalle minime cose altezze sublimi.
Il Venerabile Servo di Dio Valentino Paquay, nacque a Tongres nel Belgio il 17 novembre 1828 da Enrico e da Anna Neven, di specchiata onestà e profondamente religiosi, quinto di undici figli e ricevette al Battesimo il nome di Luigi.
Compiute le classi elementari, entrò nel collegio di Tongres dei Canonici Regolari di Sant'Agostino per proseguire gli studi letterari; nel 1845 fu ammesso al piccolo seminario di St-Trond per i corsi di retorica e di filosofia.
Dopo la precoce morte del padre, avvenuta nel 1847, ottenuto il consenso materno, entrò nell'Ordine dei Frati Minori della provincia belga, e il 3 ottobre 1849 iniziò il noviziato nel convento di Thielt.
Il 4 ottobre dell'anno successivo emise la professione religiosa nelle mani di Padre Ugolino Demont, guardiano del convento e, subito dopo, andò a Beckheim per frequentare il corso teologico che terminò nel convento di St-Trond. Ordinato sacerdote a Liegi il 10 giugno 1854, fu dai superiori destinato a Hasselt, dove rimase per tutta la vita, ricoprendo anche gli uffici di vicario e di guardiano.
Nel 1890 e nel 1899 fu eletto definitore provinciale. “Attraverso la guida di San Giovanni Berchmans, il maestro prediletto, Padre Valentino — scrive Agostino Gemelli — si innesta nella spiritualità francescana insegnandoci la virtù di tutti i momenti, la valorizzazione delle minime cose, sotto l'aspetto della più franca ed immediata umiltà” (cf. I. Beaufays, P. Valentino Paquay, il “Padre Santo” di Hasselt , Milano, Ed. Vita e Pensiero, 1947, Presentazione).
Instancabile fu l'opera del Padre nel campo dell'apostolato. Predicò quasi continuamente e, per la sua parola semplice e persuasiva, fu molto stimato specie negli ambienti popolari e presso gli istituti religiosi. Fu soprattutto assiduo al confessionale, emulando il santo Curato d'Ars, al quale talvolta fu paragonato. Spesse volte dette prova del dono di penetrare in modo straordinario nelle coscienze dei penitenti, che venivano da lui anche da lontano.
Ebbe una singolare devozione alla Santissima Eucaristia e, col suo apostolato di mezzo secolo in favore della Comunione frequente, fu precursore attivo del famoso decreto del papa San Pio X.
Devoto del Sacro Cuore di Gesù, di cui non cessava di meditare e magnificare le eccelse perfezioni, ne diffuse il culto, specie tra le consorelle della Fraternità dell'Ordine Francescano Secolare di Hasselt, che diresse per ventisei anni. Tenne sempre vivo il ricordo della Passione di Gesù, col praticare quotidianamente il pio esercizio della Via Crucis.
Devotissimo della Vergine, la venerò, giovanetto, nella chiesa parrocchiale di Tongres sotto il titolo di Causa nostræ lætitiæ, e con quello di Virga Jesse nel santuario di Hasselt, ma, come francescano, preferiva a tutti i titoli di Maria quello dell'Immacolata Concezione e volle celebrare, nonostante la sua infermità, con grande esultanza il cinquantenario della proclamazione del dogma, che coincideva col suo giubileo di sacerdozio.
Morì ad Hasselt il 1 gennaio 1905 all'età di settantasette anni. L'eroicità delle sue virtù fu riconosciuta da Papa Paolo VI con Decreto del 4 maggio 1970.
É stato Beatificato da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Valentino Paquay, pregate per noi.
*San Vincenzo Maria Strambi - Religioso - Passionista (1 gennaio)
Nato a Civitavecchia (Roma) il 1 gennaio 1745, figlio di un farmacista. Il 4 novembre 1762 entrò nel seminario di Montefiascone ricevendo la tonsura e gli Ordini minori. Frequentò il Collegio Nuovo di Roma e fu uditore dei domenicani a Viterbo.
Il 14 marzo 1767 a Bagnoregio divenne diacono, nel mese di novembre sempre a Bagnoregio entrò come Rettore del Seminario e il 19 dicembre 1767 divenne sacerdote. Entrò nella Congregazione dei Passionisti di San Paolo della Croce nel 1769 ove il 24 settembre dello stesso anno fece la sua professione.
Iniziò la sua missione di predicatore, da solo o in gruppo, fra la gente dell’Italia Centrale ed esercitò varie volte l’apostolato insieme a san Gaspare del Bufalo. A Roma predicò più volte anche davanti al Collegio Cardinalizio.
Grande direttore spirituale, eccellente missionario ed eccezionale catechista, predicava con fervore e competenza Gesù Cristo, evidenziando la Sua Passione.
Proprio sulla Passione scrisse anche un'opera teologica. Formatore dei giovani passionisti e superiore provinciale, fu postulatore della causa di canonizzazione del Fondatore, di cui pubblicò una biografia (1786), opera fondamentale per la conosenza di san Paolo della Croce. Fu direttore spirituale di tante anime elette come la ven.
Luisa Maurizi e la Beata Anna Maria Taigi. Il 5 luglio 1801 venne nominato vescovo di Macerata e Tolentino, dove promosse con zelo apostolico la riforma del clero e del popolo, dedicandosi inoltre alle opere di carità verso i poveri.
Costruì un nuovo seminario in cui profuse ogni attenzione, come la scelta dei professori, l’accoglienza personale di ogni singolo seminarista, teneva personalmente lezioni ogni settimana favorì le lezioni di canto gregoriano.
Ampliò l’orfanotrofio dei Padri Somaschi, e il Conservatorio di Tolentino, eresse un ricovero per i vecchi. Con la filatura della canapa creò un giro economico per aiutare i poveri e rpestò particolare attenzione all’organizzazione del catechismo per i giovani e per gli adulti.
Durante i movimenti rivoluzionari del suo tempo, fu intrepido difensore della libertà della Chiesa, preferendo l'esilio a Novara al giuramento di fedeltà a Napoleone.
Nell’ottobre 1809 si trasferì a Milano ospite dei Barnabiti e poi di varie persone dell’alta borghesia e nobiltà.
Dopo la rinuncia alla sede episcopale nel 1823, fu chiamato da Leone XII come consigliere a vivere nel palazzo papale del Quirinale, dove morì, colpito da apoplessia, il 1 gennaio 1824, offrendo a Dio la sua vita in sostituzione di quella del Papa gravemente ammalato.
Fu sepolto nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, ma il 12 novembre 1957 il suo corpo venne traslato nella chiesa di San Filippo in Macerata. Beatificato il 26 aprile 1925 da Pio XI, canonizzato da Pio XII l’11 giugno 1950.
Dalle lettere di direzione spirituale di San Vincenzo Maria Strambi
- Umiltà, umiltà, umiltà. Oh preziosa virtù, quanti tesori ci porti e ci conservi! Quanti nuovi stimoli Dio mette al cuore, perché l’amiamo senza alcuna riserva.
- Oh quanto piace a Dio che abbiamo un concetto altissimo della sua bontà e che camminiamo in vera semplicità di cuore. Camminiamo in una umiltà generosa; prendiamo nuove forze dalla speranza, che ottiene quanto spera. Il Santo amore sia l’anima di tutta la vita interiore. Oh amore, oh amore, tu formi il paradiso in terra!
- I nostri cari amici ci precedono e se ne vanno al cielo; e noi che facciamo in questo esilio? L’unica consolazione nel restare in questa terra è fare la santissima volontà di Dio.
Con umiltà pacifica e generosa cerchiamo di unirci sempre più strettamente a Dio e incominciare così la vita beata del cielo.
- Conservi il suo cuore in gran pace. Proceda con Dio alla buona: non esamini troppo se stessa.
Il nostro Dio è buono, è buono e non bada a certe minuzie, di cui alcune anime fanno troppo caso.
- Vorrei che il suo esercizio più frequente fosse l’amore di Dio: la scuola per accendersi di questo amore è il Monte Calvario, santificato dalla grande effusione del preziosissimo Sangue di Gesù.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Vincenzo Maria Strambi, pregate per noi.
*Santa Zdislava - Madre di famiglia - (1 gennaio)
Krizanov, Moravia, 1220 - Gabel 1252
Nata a Krizanov in Moravia, fu sposa di un principe della famiglia Lemberk, da cui ebbe quattro figli che educò religiosamente. Indossato l'abito del Terz'Ordine, curò la diffusione dell'Ordine dei Frati Predicatori in Boemia e per essi fece costruire dal marito due conventi. La sua vita fu ricca di carità verso i poveri.
Morì a Jablonnè nel 1252.
Martirologio Romano: A Jablonné in Boemia, Santa Zdisláva, madre di famiglia, che fu di grande conforto agli afflitti.
Siamo nel Medioevo in Cecoslovacchia, Zdislava nacque nella regione Moravia tra il 1215 e 1220, figlia di Pribyslav e Sibilla castellani di Krizanov, luogo della sua nascita.
I suoi genitori erano molto pii, in particolare il padre, essi fondarono il monastero cistercense di Zd’ar, aiutarono anche altri Ordini religiosi e istituzioni caritatevoli con offerte e lasciti.
Ebbero cinque figli di cui Zdislava era la primogenita, essa si sposò con Gallo di Lemberk potente e rispettato signore della Boemia settentrionale.
Dalla loro unione nacquero quattro figli di cui soltanto di due si conosce il nome Margherita e Gallo che morì giovane.
Pur essendo una persona addentro a tutti i problemi politici del suo Paese, Gallo di Lemberk nutriva in cuor suo uno spirito eletto cristiano; della sua devota moglie Zdislava si sa che visse una vita tutta dedita nel soccorrere i poveri e altamente religiosa, si associò all’opera dei PP. Domenicani e che per farli restare stabilmente, fondò insieme al marito, due conventi nelle terre del suo dominio: Jablonné e Turnov, intorno al 1250.
Morì nel 1252 e fu sepolta nella chiesa domenicana di San Lorenzo a Jablonné, vicino al suo castello di Lemberk, dove ancora oggi è il suo corpo.
Il suo culto molto fiorente nei secoli XIII e XIV, ebbe un alleggerimento dovuto alle guerre ussite, che durò un paio di secoli, ma nel XVI si risvegliò in modo tale che suscitò un grande interesse per la sua canonizzazione.
Nell’iconografia Zdislava figura quasi sempre in abito domenicano con in mano il modello della chiesa di Jablonné e mentre distribuisce il pane ai poveri.
Il suo culto fu approvato nel 1908 da Papa Pio X, la sua festa liturgica è al 4 gennaio, mentre in Boemia e Moravia è al 30 maggio. Il Papa Giovanni Paolo II l’ha canonizzata il 21 maggio 1995 a Olomouc in Slovacchia.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Zdislava, pregate per noi.