Personalità legate a Pompei
*La devozione di un Beato - Don Orione
Don Orione – Il Fondatore degli Orionini
Il 24 agosto 1937, di ritorno dal viaggio missionario in Sud America, don Orione venne al Santuario di Pompei per ringraziare la Madonna del Rosario, la Madonna delle Vittorie.
Nel Periodico n. 4-1990 il P. Antonio Simioni, attuale superiore degli 8 padri Orionini impegnati nel sacramento della riconciliazione presso il Santuario di Pompei, ha scritto della profonda devozione mariana del nostro Padre Fondatore, in occasione della celebrazione per il 50° anniversario della sua santa morte, avvenuta il 12 marzo 1940.
Ora vorremmo continuare il discorso per mettere in evidenza la sua speciale devozione al santo Rosario e a Pompei.
Una fotografia ed una cartolina
Abbiamo al riguardo due interessanti documenti: uno storico gruppo fotografico davanti alla basilica e una cartolina scritta da Pompei lo stesso giorno, 24 agosto 1937. Qualche parola di spiegazione per inquadrarli meglio nella vita di don Orione. Negli anni 1934-37 il Beato andò missionario, per la seconda volta, in Sud America per sviluppare le sue tende di Fede e Carità, specialmente in Argentina, Cile, Uruguay e Brasile. In quel triennio lavorò moltissimo soprattutto per erigere in Buenos Aires quel faro di Carità che è il "Piccolo Cottolengo". Si logorò la salute e tornò in Italia solo dietro le vivissime insistenze del Visitatore apostolico, abate Emanuele Caronti, del suo vicario e poi successore, il venerabile don Carlo Sterpi. Il sacerdote e scrittore orionino don Andrea Gemma, nel bel volume "Don Orione, un cuore senza confine", (Ed. Barbati-Orione), così racconta il suo arrivo a Napoli: "Il 24 agosto 1937 ci fu lo sbarco a Napoli. Ad attenderlo un grappolo di figli e di estimatori, autorità e benefattori. Il primo pensiero del Fondatore: ringraziare la Madonna. Si fa condurre al vicino santuario di Pompei, dove celebra la S. Messa con straordinario fervore (chissà se, in quel momento don Orione, tanto confidente di Maria, non abbia previsto che tanti anni dopo i suoi figli sarebbero stati chiamati al santuario di Pompei per esercitarvi il sacro ministero delle confessioni…" (p. 165).
A questo punto sarà bene soffermarci un poco a parlare dell’amicizia tra don Orione e don Terenzi. Questi all’inizio degli anni trenta fu mandato a interessarsi di quel santuarietto quasi sperduto nella campagna romana, ma si trovò di fronte a difficoltà enormi. Scoraggiato voleva ritornare a Roma, alla sua parrocchia di S. Euserbio a piazza Vittorio. Don Orione seppe sostenerlo e più volte andò al "Divino Amore" per dare all’amico consigli pratici per le costruzioni, per le Suore e per il Seminario.
Don Terenzi si affezionò tanto a don Orione che, appena seppe della sua salute in declino, subito lo raggiunse a Sanremo. Così ebbe la singolare grazia di passare con don Orione l’ultimo giorno della sua vita terrena.
Quel 12 marzo 1940 don Orione lo passò pregando, recitando il breviario, celebrando la S. Messa e poi servendo "in ginocchio" la messa di don Terenzi. Tra le altre cose mandò un telegramma affettuosissimo a Pio XII per il 1° anniversario del suo pontificato. Alla sera volle far spostare l’ora della cena per recitare prima il santo Rosario.
A don Terenzi che gli chiedeva un ricordo, scrisse su una cartolina "Ave Maria e avanti" (tre volte). Poi aggiunge ancora "Crescete nell’amore alla madonna e spargetelo dappertutto.
L’altro prezioso documento è la cartolina scritta da Pompei al superiore delle sue Opere in Sud America. L’autografo dice: Anime! Anime! Dal Santuario di Pompei 24 agosto 1937. Deo gratias! Giunto felicemente. Pregate sempre per me e per tutti qui. Vi ho ricordati tutti alla santa Madonna, Dio vi benedica. Don Orione".
Uomo di preghiera
Come l’ultimo giorno, così tutta la vita di don Orione è stata un felice connubio di attività e di preghiera. Quando stava in casa pregava con la Comunità in cappella, preferibilmente in ginocchio. Passava spesso ore ed ore in chiesa in profondo colloquio con Gesù, amato profondamente e servito nei poveri, negli orfani e negli abbandonati. Mons. Gianfranco Nolli, dei Musei Vaticani, che trattò il suo Corpo per una migliore conservazione, nell’osservare sulle sue ginocchia la pelle indurita come cuoio, ripeteva ammirato: "Quest’uomo ha passato gran parte della sua vita in ginocchio a pregare e a recitare rosari…". Questo profondo amore alla Madonna e al rosario don Orione l’aveva appreso dalla sua buona (e santa) mamma Carolina e si sviluppò poi grandemente alla scuola di don Bosco a Torino, nel triennio trascorso a Valdocco, 1885-1888. Egli poté affermare con verità: "Riguardo all’amore a Gesù, a Maria, al Papa e alle Anime, nessuno mi può insegnare qualcosa di più di quanto ho appreso da Don Bosco".
Il santo Rosario lo recitava sempre, da solo o con altri, anche nei frequenti viaggi in treno o in macchina per visitare le sue Opere di carità.
Del rosario parlava spesso e a tutti, e ci sono rimasti vari scritti. In uno dice: "Ah, tutto è bello, tutto è istruttivo, tutto è commuovente in questa amabile catena di mistiche rose che lega l’anima a Maria!".
Commentando poi l’espressione della Supplica del Beato Bartolo Longo "catena dolce che ci rannoda a Dio" dice: "Leghiamo, dunque, con la corona del santo rosario il nostro cuore con quello di Maria, sì che il nostro cuore e il suo siano un solo cuore!... Anche a un nostro caro defunto la pietà del buon popolo cristiano lega le mani con la corona del rosario e gli mette in mano il Crocifisso. Quanto dice questo gesto della fede dei cristiani! In cielo, in paradiso ci si va per i meriti di Gesù, morto in croce per noi e per i nostri peccati, ci si va anche per le preghiere e le intercessioni della Madonna santissima…".
Mi piace raccontare un episodio incancellabile della mia fanciullezza.
Nell’ottobre del 1937 una dozzina di nuovi aspiranti alla congregazione orionina ci ritrovammo a Roma in una casa di don Orione, in via delle Sette Sale, presso S. Pietro in Vincoli, nello stesso luogo in cui lo scrittore don Giuseppe de Luca incontrò più volte don Orione "i cui occhi facevano luce e le parole medicavano". Una volta uscendo da quei colloqui gli parve persino di vedere il sole più luminoso e gli sembrò di trovarsi a camminare per le vie del paradiso…
Dunque in una sala di quell’Istituto i nuovi aspiranti, impacciati e timorosi come uccellini sul punto di lasciare il nido e spiccare il primo volo, erano in attesa. All’improvviso si apre una porta ed ecco apparire don Orione con un largo sorriso luminoso sul volto. Ci saluta uno per uno, ci chiede il paese di provenienza e ci sembra subito di trovarci come in famiglia. Ricordo bene che a uno di noi, di Valmontone, disse che era stato lì da un amico a mangiare la polenta, squisita, speciale, fatta alla ciociara… oi guardandoci negli occhi e scandendo le parole disse: "Sapete perché vi ho fatto entrare oggi, 7 ottobre?". Mi pare che nessuno seppe rispondere.
Allora proseguì come declamando: "Oggi è la festa della Madonna del Rosario, la Madonna delle Vittorie ed io vi affido a Lei perché possiate diventare, col suo materno aiuto, sacerdoti santi".
La sua speranza non andò delusa perché ben cinque di quel gruppetto di ragazzi, perseverarono nella santa vocazione e divennero sacerdoti orionini, tra cui, grazie a Dio e a Maria, anche il sottoscritto.
Come Bartolo Longo, anche don Orione tutte le sue iniziative le metteva sotto protezione della Mamma celeste, che considerava la vera fondatrice e ispiratrice della sua Opera.
Tante volte l’abbiamo sentito ripetere, simili espressioni: "Leggete sulla mia fronte, leggete sulle mie labbra, leggete nella mia mente e nel mio cuore, leggete nella mia vita: sempre vi troverete scritto: Grazie di Maria".
(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei – Anno 107 - Gennaio – Febbraio 1991)
*Francesco Andrea Frühwirth
Padre Francesco Andrea Frühwirth nacque a S. Anna nella Stiria, stato federato dell’Austria, il 21 agosto 1845 e morì a Roma il 9 febbraio 1933.
Fece la vestizione nel 1863 a Graz dove studiò, continuò gli studi al Collegio S. Tommaso a Roma, conseguendo il lettorato in Teologia.
Fu ordinato sacerdote nel 1868 e insegnò Teologia sia a Graz che a Vienna dove si distinse anche come Priore e Provinciale.
Il 19 settembre del 1891 fu eletto Maestro Generale dell’Ordine Domenicano a Lione e venne a Roma nello stesso anno. Fu Nunzio Apostolico in Baviera.
Fu creato Cardinale nel 1915.
Al ritorno da Monaco, nel 1916, ebbe il titolo dei SS. Cosma e Damiano a Roma.
Fu Legato Papale alla consacrazione del Duomo di Lanz nel 1924 e, l’anno successivo, Penitenziere Maggiore.
Nell’anno 1927 Cancelliere di S.R.C.
Fu un attento osservatore delle opere di Bartolo Longo, venne a Pompei a novembre del 1891, due mesi dopo l’elezione a Maestro Generale.
Vi ritornò il 19 marzo del 1904.
*Francesco Maria Greco - Sacerdote di Acri
*La Vergine è l’unica mia consigliera
Lo scrisse, da giovane, Francesco Maria Greco, sacerdote di Acri, nella provincia di Cosenza e fondatore delle Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori. Alla Madonna di Pompei, di cui era innamorato, affidò la vita e la propria esperienza pastorale. Sarà beatificato il 21 maggio.
L’arcidiocesi di Cosenza- Bisignano, insieme alle Suore Piccole Operaie dei Sacri Cuori, esulta per la beatificazione di don Francesco Maria Greco, parroco e fondatore delle suddette suore, proclamato Santo il 21 maggio 2016 nello stadio San Vito-Marulla a Cosenza. La vocazione è un dono e un mistero che, nella filiale devozione alla Madonna, si traduce in manifestazione di gioia e impegno nel servire
l’Amore con amore. A Pompei, con la folla dei pellegrini e devoti della Regina del Santo Rosario il 29 ottobre 1876, durante la festa per il ringraziamento del completamento delle fondamenta del Santuario, vi era un giovane di 19 anni, originario di Acri, in provincia di Cosenza. Francesco Maria era studente liceale a Napoli, figlio del farmacista Raffaele, che vedeva nel suo primogenito il continuatore dell’esercizio di famiglia.
Nel clima di preghiera egli si sentì attratto dalla Madre di Dio in maniera così forte che il pensiero di farsi sacerdote, che covava da molto tempo come fuoco sotto la cenere, venne fuori. Alla mamma, Concetta Pancaro, dopo qualche giorno descrisse nei dettagli la festa vissuta a Pompei con una lettera: «Si costruì un altare all’aperto e, davanti al quadro della Madonna, si recitò il Rosario intero; indi predicò il Vescovo, ed in ultimo si celebrò la Messa. Mi sono raccomandato a questa miracolosa
Vergine sotto il titolo del Rosario, e le ho chiesto la grazia di darmi il mezzo di divenire un Prete istruito, per bene adempiere il mio ministero. Quindi, se il mezzo è la licenza (liceale), siate sicura che io non lascerò il corso intrapreso; ma se la licenza è inutile, la Vergine mi aprirà altre vie». L’aveva scritto poco prima: «La Vergine è l’unica mia consigliera, l’unica mia speranza, l’unico mio conforto». Queste parole sulle labbra d’un giovane studente di provincia, in una Napoli dove molti altri giovani potevano pensarla assai diversamente, impressionano.
Francesco Maria doveva sentire da tempo il lavorio che la Grazia operava nel suo cuore. Nella Valle di Pompei, l’incontro così intenso con la Madonna fece germogliare il fiore della sua vocazione.
Il 18 settembre 1884, concluso a Napoli il dottorato in Sacra Teologia "egregiamente, con lode", come indica al termine il prezioso documento, si reca ancora a Pompei, da quella cara Mamma presso la quale era fiorita la sua vocazione. Nel riprendere il ministero affidatogli ad Acri, stende in poche ma eloquenti righe il suo programma: «Viva Gesù - Viva Maria. 20 settembre 1889, ore 12. Incomincio ora, 20 settembre, sotto lo stemma scelto. Il mio asilo dovrà essere fra le spine che circondano il Sacro Cuore, o mio amabilissimo Gesù.
Mi abbandono in tutto e da per tutto alla divina provvidenza per aver la forza e gli aiuti necessari per accrescere la fede, la speranza, la carità, ardentemente nel mio cuore, e per farmi tutto a tutti, a fin di lucrare le anime al mio Gesù.
In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum! F. M. Greco, Arciprete». Quell’incontro con la Madonna di Pompei ha dato alla Chiesa un sacerdote che si è speso per l’evangelizzazione e la carità nei confronti dei più poveri. Don Greco venne affiancato nell’attività parrocchiale da un gruppo di giovinette e da Raffaella De Vincenti, futura suor Maria Teresa dei Sacri Cuori e cofondatrice delle Piccole Operaie dei Sacri Cuori, in cui trovò una preziosa collaboratrice.
Evangelizzazione e carità, vissute in una intensa vita spirituale, costituiscono i pilastri che egli affidò al nascente istituto, aperto non solo al servizio nella Chiesa Latina, ma anche di quella Orientale. Numerosi furono gli incarichi affidatigli dai vescovi, in tutti si distinse per umiltà, mansuetudine, dedizione e obbedienza. Servì fino all’eroismo, tutto offerto per la gloria dei Sacri Cuori. Amava dire: «Non si lasci da me la corona del Rosario».
Il Beato Bartolo Longo, il 16 dicembre del 1920, in una missiva al futuro Beato così si esprimeva:
«Rev.mo Signor Arciprete, vi invio i miei ossequi più affettuosi. In riscontro alla sua ultima lettera, la ringrazio del vaglio e del contributo che lei gentilmente dà alla nostra opera del Santo Rosario.
È giunta fin qui la fama della santità della sua vita, del suo zelo nei riguardi del prossimo e del suo fervido amore nei riguardi del Sacro Cuore di Gesù e di quello della sua dolcissima madre Maria. So l’amore che egli ha per il Santo Rosario, e come egli lo inculchi nel cuore dei suoi fedeli specie in quello dei giovani. Le invio il periodico "Il Rosario e la Nuova Pompei", che credo gradirà con mille auguri di celesti benedizioni dal Santo Bambino e dalla Vergine Santa di Pompei. aff.mo
Comm. Avv. Bartolo Longo».
Risulta facile scorgere negli scritti del Greco la componente vocazionale mariana. Bartolo Longo riconoscerà la santità di questo zelante parroco e fondatore. La Madonna già nelle nozze di Cana svolge il suo ruolo materno nei confronti dei discepoli del Figlio, aprendo loro gli occhi e il cuore alla sequela di Gesù.
Longo e Greco danno all’unica Madre due risposte impegnative, una tipicamente laicale, l’altra di pastore santo e santificatore. Entrambi, Bartolo e Francesco Maria, sono partiti accogliendo l’invito con l’indicazione precisamente vocazionale data ai servi: «Fate quello che vi dirà». Le vittorie di Maria sono invisibili ma reali.
(Don Mario Corraro - Rettore del Seminario Teologico Cosentino "Redemptoris Custos")
*Tommaso Saccheri
(Nato a Carpasio il 20/11/1874, deceduto a Savona il 14/05/1938).
La devozione alla vergine di Pompei, una vera e propria palestra per il cammino spirituale e di testimonianza per Tommaso Saccheri. Il vescovo, Monsignor Dante Lafranconi, lo definisce "un cristiano dalla quotidiana coerenza di fede"
"Un medico che amò la Madonna" è il sottotitolo che il Canonico G. Farris ha dato alla biografia del Dr. Tommaso Saccheri. Ma è anche la definizione più sintetica e, crediamo, la più gradita a chi "quella vita" ha vissuto.
Il vescovo Dante Lafranconi, nella presentazione del volume, così ne parla: "L’impressione che ne ho riportato è quella di un cristiano che vive la sua professione medica e la sua vocazione familiare con quotidiana coerenza di fede. Non ci sono avvenimenti straordinari che diano un colore grandioso alla sua esistenza: ma c’è il normale scorrere di gioie e dolori, di problemi e di lavoro, di malattia e di salute, di pratica religiosa e impegno sociale come succede nella vita di ogni uomo.
Però alcune dimensioni della vita del dottor Saccheri, che si ritrovano costantemente nelle tappe del suo diario, rivelano la levatura della sua fede cristiana e la grandezza della sua stesura morale.
Ne ricordo soprattutto tre.
1 – Il senso vivo della provvidenza in ogni circostanza della vita (…).
2 – L’esperienza della povertà, vissuta di continuo sulla povertà evangelica. Esperienza che gli ha permesso di capire bene i poveri, di aiutarli senza che si sentissero umiliati (…).
3 – La pratica religiosa come espressione di una fede che investiva tutta la vita. La partecipazione ai sacramenti, l’educazione ai figli (…) con un affetto tutto particolare a Maria, a cui dedicava l’inizio di ogni anno e a cui si affidava con tranquilla serenità nei momenti più difficili della vita.
Del resto non era proprio stata lei, la Madonna, che a Pompei gli aveva fatto risuonare nel cuore la consolante promessa: "La mia protezione non ti mancherà mai"? (pp. 7-8).
Il paese e la famiglia
Il dottor Saccheri nasce a "Carpasio", un piccolo Comune in Provincia di Imperia e in Diocesi di Ventimiglia-Sanremo, è situato a 710 metri sul livello del mare: è ricco di boschi, con ampie distese di castagni e coltivazioni di ulivi.
Una delle più facoltose famiglie di Carpasio era quella dei Saccheri, proprietaria di una importante azienda agricola.
Giobattista (nato nel 1829 e morto nel 1896) sposò Mariangela Borelli, e in tal modo unì le due famiglie più facoltose della zona.
Dal matrimonio ebbe tre figlie: Antonietta, Anna Maria e Giuseppina, e due figli: Pietro e Tommaso, nato il 20 novembre 1874 che si sposò con Maria Anna lavagna il 4 gennaio 1899 da cui ebbe otto figli.
Il pellegrinaggio a Pompei
Il 1908 è l’anno in cui compì il primo pellegrinaggio a Pompei con la moglie e, da allora, questa devozione mariana pompeiana si sviluppò sempre di più fino alla fine della vita nel 1938.
Nelle sue memorie autobiografiche il dottore scrive:" Nel cominciare queste note del mio viaggio a Valle di Pompei sento, innanzitutto, il bisogno di porgere alla Vergine Santissima i miei più sentiti ringraziamenti per quella specialissima ed evidentissima protezione, che volle concedere a me ed alla mia consorte, per tutta la durata del lungo cammino, sino a condurci sani e salvi a casa dove pure ottimamente conservati trovammo i nostri quattro bambini".
Da molto tempo era devotissimo della SS. Vergine del Rosario di Pompei e aveva già acquistato un’immagine della Madonna (pp. 41-43).
Il 1° aprile il quadro della vergine era stato collocato come lui stesso scrive "alla testata del nostro letto e la sera venne il Rev.do Prevosto di Molini a benedirlo.
È tanto bella quella Madonna, è tanto attraente che l’esprimerlo è impossibile! (…), desideravo in cuor mio di andarla a visitare nel luogo di sua elezione, onde poterle a tu per tu esporre le mie necessità, le mie sofferenze, le mie croci, per averne in contraccambio non solo il conforto, ma altresì una formale promessa del suo valido aiuto… la madonna voleva ad ogni costo una nostra visita e perciò volle appianarci piano piano ogni difficoltà" (p.45).
Una lettera al Beato Bartolo Longo
Del pellegrinaggio a Pompei ne faceva memoria in una lettera all’Avv. Bartolo Longo del 1918: "Alla data odierna, dieci anni or sono, avevo la gran ventura di far la conoscenza personale della S.V. ill.ma. Con effusione di amore più che paterno mi rivolgeva il testuale seguente augurio "Tutte le preghiere che in questo giorno saranno fatte nel mondo per me vadano tutte per lei".
E fu quella una ben appropriata carità! Il giorno 8 poi alle ore 11 mentre mi trovavo all’Altare Maggiore ad assistere alla S. messa, e stavo recitando il 4° Mistero Glorioso del Rosario, sentii chiarissima una voce che mi ripeté: "La mia protezione non ti mancherà mai".
Io che non sapevo come Maria SS. sarebbe venuta in soccorso alle mie ferventi preghiere, che da anni le rivolgevo per essere consolato e guarito, rimasi a tale soluzione come esterrefatto (…). Continuai a pregare e la guarigione venne non solo, ma quel che è più, la parola della Madonna fu nei miei riguardi parola di "Virgo Fidelis", perché da allora, realmente, quasi ad ogni passo, ad ogni istante, posso e devo alzare gli occhi al Cielo e dire: "Effettivamente la Protezione di aria SS. Non mi manca mai". Ella quindi ha voluto darmi più di quanto non Le avessi chiesto od osato chiedere e giornalmente la ringrazio per il bene passato e la prego perché mi aiuti nell’avvenire" (pp. 134-135).
Novena, Supplica e Rosario
La seconda manifestazione della sua devozione alla nostra Madonna è data dall’assidua e devota recita della Novena d’Impetrazione.
"Faccio pure la Novena alla madonna di Pompei, con la maggiore devozione che mi è possibile e mi accosto quotidianamente al Santo Sacramento dell’Eucaristia".
Il 23 giugno termina la Novena alla Madonna di Pompei e constatato un miglioramento in Mirianin (moglie) (pagina 121). Per il figlio in guerra, nel 1918, pregò utilizzando la novena. Nel 1934, ammalato, si rivolgeva alla madonna ancora con la stessa preghiera ed infine, nel 1938, al momento della morte disse: " E a chi mai ho io da ricorrere se non a Te, che sei il Sollievo dei miserabili, il Conforto degli abbandonati, la Consolazione degli afflitti?... (È la quarta parte della Novena) (PP. 167-188).
Non poteva sfuggire ad un così grande devoto della Madonna la "Supplica". Richiamato <sotto le armi> il 3 maggio 1916, si presenta per la festa dell’8 maggio in chiesa per la Comunione esclamando: "La festa della Madonna di Pompei è la mia festa".
Tutta la famiglia reciterà la Supplica a mezzogiorno (p.171). Così fu anche l’anno seguente. Ogni anno, a partire dal 1908, l’8 maggio era giorno di festa in casa Saccheri (p. 125).
Nella biografia del Farris si parla spesso anche dei "Quindici Sabati" fortemente voluti da Bartolo Longo come devozione caratteristica di Pompei. Ovviamente è la recita del Rosario che si accompagna e si approfondisce in questa devozione. Ed il Dr. Saccheri era fedele alla sua recita: "stamane sono andato a Messa dai Gesuiti e mi sono detto tutto il Rosario. Resta così detto al mattino, una primizia offerta a Maria SS. ma e quindi più accetta che recitato alla sera quando si è stanchi ed esauriti" (p. 108).
Il 20 gennaio 1912 annota nel suo diario: "Stamani nella Chiesa dei Gesuiti ho fatto la S. Comunione per il primo dei quindici sabati… Oggi la Madonna, sempre tanto buona con me, ha voluto darmi prova palpabile della sua continua Protezione; Grazie Maria" (pp.72-73).
Così ancora nel 1913 (p. 92), nel 1915 (p. 109) e nel 1916 (p. 117).
Infine va ricordata la sua generosità, anche se aveva problemi economici, verso le opere sociali annesse al Santuario ed i poveri ammalati che spesso visitava gratuitamente.
Egli, povero, aveva imparato a rispettare ed aiutare concretamente i fratelli e sorelle nell’indigenza e povertà. Realizzava così la prospettiva evangelica data alla sua vita, imparata, come era successo al Beato Bartolo Longo, alla scuola di Maria.
Si realizzava così, in questo medico santo, il modello ispiratore di Pompei di fondere armonicamente le esigenze della Fede e della Carità. Ci sembra opportuno ricordare che la storia del Santuario annovera un bel gruppo di Santi, poco importa se ancora non canonizzati, che sono stati, come diceva il Fondatore, i suoi Angeli Custodi.
(Autore: Pietro Caggiano)