La Scuola di Bartolo Longo
*Bartolo Longo ispiratore di una scuola “a misura d’uomo” (1)
(La cultura del tempo: l’orientamento positivista e gli esordi dell’antropologia criminale)
Il discorso che cercheremo di affrontare riguarda il ruolo svolto dal Beato Bartolo Longo come educatore, nella sua funzione anticipatrice di una scuola, che oggi potremmo definire “a misura d’uomo”.
Quando si parla di Bartolo Longo, sarà bene premettere, si pensa, ipso facto, alle opere da lui promosse, inquadrate sotto il profilo caritativo; ma non si riflette abbastanza sulla peculiarità delle motivazioni pedagogiche, educative e sociali che esse sottintendono e che meglio contribuiscono a definire la personalità del loro realizzatore, , in rapporto al tempo in cui vennero programmate e messe in atto.
Per rendersi conto di questo aspetto sarà necessario considerare, sia pure a grandi linee, il clima culturale, le correnti sociologiche e psico-pedagogiche presenti fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900; altrimenti non sarà possibile penetrare nello spirito di questo grande educatore che, rivolgendo le sue attenzioni ai fanciulli diseredati, in particolare, avvicinandosi alla gente allora incolta della Valle di Pompei, vive il suo apostolato di educatore, ancor prima che di uomo di fede.
Bartolo Longo trascorre gli anni degli studi e della giovinezza mentre si viene affermando il movimento positivista, che pervaderà la cultura europea per tutta la seconda metà dell’ottocento: siamo di fronte ad una corrente di pensiero che intende applicare i principi ed i metodi delle scienze a tutte le sfere della vita spirituale.
La tendenza: quella di una interpretazione dell’universo su basi scientifiche e di una radicata riforma dell’organizzazione sociale.
Si parte dalla grande legge della conservazione dell’energia, si prosegue con la teoria dell’evoluzione di Carlo Darwin e si giunge alle ripercussioni che tali teorie avrebbero avuto sul problema dell’origine della natura spirituale dell’uomo, del suo linguaggio, della moralità, della religione, dell’esistenza in genere.
Si parla, così, di fatti sottoposti all’osservazione e di relazioni costanti tra i fatti, secondo le leggi della natura; per cui anche la società umana è parte della società naturale e obbedisce alle leggi universali dominanti in quest’ultima.
Coitroviamo di fronte all’umanitarismo e al sociologismo di Augusto Comte in Francia, con la sua “legge dei tre stati” dell’umanità, con la sua concezione di fisica sociale, statica e dinamica; ci imbattiamo nell’utilitarismo di Bentham in Inghilterra, con una morale intesa come “regolarizzazione dell’egoismo” dove i fatti o si accettano oppure vedono l’uomo soccombere.
In campo biologico, la teoria evoluzionistica dello Spencer, condurrà alle sostanziali conferme sperimentali darwiniane, nelle quali emergono l’adattamento all’ambiente e la selezione naturale: la natura opera un processo di scelta fra gli individui impegnati nella lotta per la vita e l’ereditarietà è alla base delle trasmissioni favorevoli e sfavorevoli, sia a livello fisico che di coscienza rappresentativa e morale.
Lo studio così particolareggiato dell’uomo apre la via ad una nuova scienza, l’antropologia, sostenuta dal progresso degli studi anatomici.
In Italia cesare Lombroso rivolge le sue attenzioni allo studio delle anomalie fisiche, anatomiche, funzionali, gettando, nel campo del diritto penale, le basi della scienza criminale. Questo fermento, questa tendenza naturalistica, scientifica, sperimentale si ripercuote, ovviamente, anche nel campo della pedagogia.
Nella prospettiva positivista, così l’educazione, sia essa meccanico sviluppo di virtualità genotipiche dell’uomo, sia essa intervento esterno della società per imporre e quasi incidere sull’individuo le proprie vedute, nell’uno come nell’altro caso svanisce nel determinatismo, si risolve in un processo di adattamento e nell’acquisizione di abitudini.
Se, infatti, l’orientamento “naturale”, che pure è innegabile, diventa unico punto di partenza e di riferimento per l’educazione, il destino dell’uomo appare fatalmente segnato da leggi più o meno autoritarie ed ineludibili, con la conseguenza di un’accettazione passiva, di una specie di acquiescenza, che no lascia alcuno spiraglio alla reazione e alla partecipazione.
Bartolo Longo, abbiamo detto, compie i suoi studi in questo clima culturale, ne è temporaneamente coinvolto; poi, muove al contrattacco, esprime egli stesso, anche se non figura fra i pedagogisti ufficiali, il significato di quel movimento spiritualista, che si preannuncia e si confermerà in Italia e in Europa fino ai nostri giorni.
La partecipazione di Bartolo Longo, anzi, la reazione è immediata (parte dalla esigenza di comprendere per credere e non viceversa).
Si tratta di educare muovendosi sulla scia di Sant’Agostino e di San Tommaso; di seguire San Francesco, di credere, come Bartolo Longo fa, nel metodo preventivo di Don Bosco e di proporre agli studenti il metodo di San Giovanni Battista de La Salle.
Bartolo Longo prende la strada dei filosofi e dei pedagogisti del nostro Risorgimento, affronta, persino, argomenti di diritto penale, contribuendo con un suo scritto, “La riforma morale dei Carcerati”, ai lavori del Congresso Penitenziario Internazionale di Parigi.
I primi tempi: evidente la volontà di educare le persone alla vita, oltre che alla fede
Bartolo Longo giunse nella Valle di Pompei nell’autunno del 1872, ufficialmente per amministrare gli interessi della Contessa De Fusco: "A Valle di Pompei mi recavo senza alcun disegno di apostolato, venivo qui per rinnovare dei fitti, ecco tutto. Credevo di venire a fare l’avvocato e venivo, invece, per disegno di Dio, a fare il missionario. Ero un cieco fanciullo e la Provvidenza mi guidava per mano, come si fa per i ciechi e per i fanciulli".
È quanto egli stesso dirà ripensando a quel primo impatto con una realtà che lui stesso non conosceva, né poteva immaginare. La protezione di due uomini del posto armati di fucile – avvertiti dalla stessa Contessa – che gli parlano di briganti e di malandrini, che gli dicono dell’assenza dei carabinieri, che lo avvertono del pericolo, il soggiorno nel "Casino" della Contessa, la visita alla piccola e cadente chiesa parrocchiale, l’incontro con la gente e le sue superstizioni costituiscono apparentemente gli elementi delle prime pagine del suo diario; ma, a ben vederci, sono e diventano, inconsapevolmente, nell’animo di questo fortuito visitatore motivi per la determinazione del suo futuro.
Da Napoli, infatti, egli si allontanerà volutamente, come se la città fosse troppo vasta per lui e non potesse metterlo nella condizione migliore per esprimere tutto se stesso: il bisogno di un terreno, per così dire, brullo da un punto da vista spirituale, in cui farsi le ossa; l’esigenza di una cerchia più immediata e più ristretta, anche se già evidentemente più impervia, prevalgono su ogni altra considerazione. Così Bartolo Longo viene attratto da una gente che forse, non era neppure ai primi passi del vivere sociale, da prendere per mano, da guidare; così come la Provvidenza guidava i suoi passi ugualmente ancora incerti, come si guidano "i ciechi e i fanciulli". Una specie di catena: B. Longo prenderà per mano e a sua volta si lascerà condurre sulla strada della carità e della fede.
La scelta della <valle di Pompei, come sua residenza, che diverrà la sua definitiva terra di missione, si può dire che coincida con la naturale tendenza di Bartolo Longo ad educare: non un educare da maestro che trasmette, ma da uomo che, alla pari, cerca di entrare nei ruoli, di interpretare i comportamenti, di farsi esempio egli stesso di adattare il metodo alla situazione, mentre è la medesima realtà a suscitare nella sua mente i propositi e a fargli realizzare le imprese.
I fatti, i primi della sua permanenza nella Valle, che cercheremo brevemente di cogliere, serviranno proprio a dimostrare come per divenire apostolo di fede e di carità Bartolo Longo abbia percorso il cammino proprio dell’educatore.
Venuto, dicevamo, per amministrare i beni, per riscuotere i canoni non pagati – impresa certo non facile se si considera la miseria dei contadini interessati – Bartolo Longo entra nelle case, parla con questa gente, si accorge che, a parte la grande ignoranza in materia di fede, è gente che sente vivo rispetto per i propri morti. Di qui nasce l’idea di creare la Confraternita del Rosario, al fine di assistere agli infermi, di accompagnare i morti; e, al sacerdote Don Gennaro Federico, che gli prospetta la difficoltà di aprire un discorso del genere con le persone del luogo, più pronte ad un’arriffa, Bartolo Longo risponde che comincerà proprio dalle "arriffe", dalle lotterie, dalle luminarie. È chiaro in questo suo adattamento la pasta del maestro, che non pretende di imporsi, ma pretende di capire e di farsi capire.
Nasce così la prima festa del Rosario nell’anno 1873, con corone, medaglie, spilli come premi delle lotterie: una pioggia torrenziale turberà questo primo incontro popolare, ma Don Bartolo persevera, continua ad uscire per i casolari, incontra uomini e donne, vecchi e bambini, giovani che aspirano al matrimonio, ammalati che cercano conforto. Bartolo Longo li consiglia, li aiuta a corrispondere con parenti lontani, li inizia alla recita del Rosario, fa comprendere come riunirsi a sera in famiglia per pregare, vuol dire anche ascoltarsi reciprocamente nell’Intimo.
Questo cammino lo condurrà alla costruzione della Basilica, delle Scuole, delle Opere; tutto del futuro di Pompei passa attraverso le esperienze dei primi anni della sua permanenza. Si rende conto che i ragazzi non possono andare a scuola e li avvia al catechismo; immediatamente, per non vederli allontanare Bartolo Longo insegna loro a leggere e a scrivere e si fa aiutare in questo primo esempio di scuola serale.
Quando giunge l’8 maggio del 1876, giorno della posa della prima pietra dell’attuale santuario, si esprimerà così: "Sul suolo di fresco comprato, coperto di erbe e smosso da solchi, piantammo una tenda; e sotto di essa, sopra due botti distesa un’assita coverta di drappi e di pannilini, formammo una mensa di altare. Un crocifisso e sei candelieri, ecco di superbo apparato che doveva servire di primordio alla fondazione del tempio di Pompei… In fondo alla tenda, sulla parte alta dell’altare, in campo dorato, era sospesa la vecchia immagine del Rosario, aggiustata alla meglio dal primo pittore che fu il signor Galella… Spettatori di sì grande finzione non erano altri che poveri contadini di questa contrada e un drappello di circa trecento dame e generosi signori napoletani…".
La domenica dopo il popolo portò le prime pietre e ne raccolse un bel mucchio: la prima parte della strada era stata percorsa.
La personalità del Beato Bartolo Longo riempie un secolo. Per molti aspetti egli anticipa le caratteristiche del credente che vive l’attuale dopoconcilio. È infatti un laico impegnato nell’attività ecclesiale, a tempo pieno; laico come i suoi contemporanei B. Cantardo Ferrini e Giuseppe Moscati, o come Toniolo, Paganuzzi, Enrico Cenni, Rezzara; ma mentre questi coniugavano la via professionale con la testimonianza cristiana, Bartolo Longo è interamente dedito alla catechesi, alla promozione del Rosario e della pietà mariana, alla predicazione fatta attraverso la produzione letteraria e giornalistica.
Avvicinò le situazioni e gli uomini facili, ma anche quelli difficilissimi: si pensi alla redazione dei criminali e dei loro figli, che la scienza positivista condannava all’irrecuperabilità.
Si pensi al dialogo con anticlericali come Nicola Amore e Giovanni Bovio, che accettarono la sua persona e in alcuni casi collaborarono con lui.
Altro aspetto interessante e originale della sua testimonianza pubblica. In un’epoca in cui trionfa lo scetticismo e il materialismo, egli predica con la parola e con la penna la devozione mariana e i "miracoli" che quotidianamente si registrano attorno all’immagine pompeiana.
Don Bartolo fu in relazione con i personaggi più illustri del suo tempo: dai Papi Leone XIII e Pio XI, ai sovrani d’Italia e di molte altre nazioni. Uomini della cultura e della scienza dell’Europa e dell’America furono in relazione con lui. Le sue opere in soccorso dei sofferenti e degli orfani ebbero un respiro internazionale, al punto che l’Accademia di Norvegia aveva deciso di destinargli il Premio Nobel per la pace, che sarebbe venuto, se egli non fosse stato un cattolico apostolico romano, praticante e testimone.
Questi e molti altri aspetti della personalità del Beato Bartolo Longo, come pure le fonti e le caratteristiche del suo pensiero, saranno studiati in un Convegno Storico Internazionale, dedicato a "Bartolo Longo e il suo tempo". Il comitato scientifico è presieduto dal prof. Gabriele De Rosa, presidente del Centro Studi per la storia del Mezzogiorno; vice presidente è don Rosario Francesco Esposito, professore, negli Atenei Pontifici Romani.
Studiosi ecclesiastici e laici dei più illustri atenei italiani ed europei hanno assicurato i loro contributi, intesi a fare il punto su aspetti noti e su aspetti ancora poco noti o nulla conosciuti della vita e del pensiero del Beato Bartolo Longo. Anche studiosi di confessione religiose non cattoliche, si sono dichiarati disponibili per rendere omaggio all’illustre fondatore del Santuario di Pompei e delle Opere annesse; fra Meinhold, protestante, dell’Università di Magonza.
Le Università del Mezzogiorno, e in primo luogo la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, nelle sue sezioni di Capodimonte e di Posillipo, parteciperanno al Convegno con studi e ricerche di docenti già noti nelle varie discipline storiche e teologiche. Importanti centri di studi mariani hanno dato anch’essi la loro adesione, come la Pontificia Facoltà romana.
"Marianum" e la "Marian Library" dell’Università di Dayton (USA). Studiosi ecclesiastici e laici di varie Università italiane e straniere saranno anch’essi presenti ai lavori pompeiani, per illuminare, in base a documenti d’archivio, la personalità e il pensiero del Beato Bartolo Longo.
Alcuni ricercatori della regione nativa del Beato, offriranno i risultati dei loro studi sulle "radici" umane e culturali del loro illustre concittadino.
I contributi saranno redatti con metodi rigorosamente scientifici, e si articoleranno in relazioni e comunicazioni, previa intesa con i dirigenti del Comitato scientifico. Il tutto sarà pubblicato nei volumi degli ATTI, che costituiranno una fonte inesauribile di storia e di fede cristiana, ed offriranno una documentazione inappuntabile sulla presenza mariana nel mondo. Da Pompei essa s’irradia in tutti i continenti, alimentandovi la fede e la speranza cristiana.
Le intuizioni educative di pari passo con la fede religiosa
Il primo tratto della strada intrapresa sulla via della rinascita alla fede e alla esistenza sociale era stato percorso da Bartolo Longo, quando i contadini della Valle trasportarono a spalle le prime pietre per la edificazione della Chiesa dedicata alla Vergine del Rosario; il resto del cammino, tuttavia, non viene compiuto dal futuro Beato di Pompei soltanto in direzione religiosa, come molti possono aver creduto o credono ancora. Nel cristiano, nell’uomo di fede è, piuttosto, presente il giurista, seguace della scuola classica del Diritto penale italiano, lo studioso di antropologia e di sociologia, il pedagogista, in una personalità culturalmente complessa e poliedrica negli interessi e negli intendimenti.
Bartolo Longo combattendo il positivismo, considerando nella loro inconsistenza spirituale e giuridica le teorie antropologiche criminali correnti nel suo tempo, che negano il libero arbitrio e la responsabilità morale dell’uomo, giunge a delle intuizioni educative originali; che si sostanziano al messaggio evangelico nella sua semplicità di prima maniera, che si inseriscono nel movimento spiritualista tedesco e risorgimentale.
Abbiamo detto intuizioni, perché nell’affrontare i fini ed i metodi dell’intervento Bartolo Longo non si rivolge al Tribunale, ma chiama in causa l’educatore e va alla ricerca di una impostazione pedagogica che, rispettosa della natura come espressione del divino, consideri l’uomo nella sua duttile fertilità di continuare e di perfezionatore della creazione stessa, attraverso l’attività e la fede.
“Raccogliere gli orfani, scriveva Bartolo Longo, liberarli dai loro patimenti e dalle loro miserie, educarli alla Religione ed all’arte, all’amore del lavoro e alla osservanza delle leggi, alla coscienza dei propri doveri. Era questo il nostro intento: stabilire nella valle di Pompei un vivaio di sana educazione, da far diventare onesti e laboriosi elementi del vivere civile quegli stessi che, lasciati in balìa delle povertà e del bisogno, avrebbero costituito una permanente minaccia e un pericolo continuo per la pubblica moralità…”.
Il fine che Bartolo Longo intendeva conseguire era quello di “ottenere il ravvedimento e la rigenerazione dei padri, salvando i figli”. Una felice e scientifica intuizione questa della interdipendenza che si stabilisce nel rapporto educativo fra coloro che vengono educati e si educano e le persone ad essi legati dal sangue.
I primi ragazzi accolti furono seguiti nelle loro manifestazioni, osservati sistematicamente, sottoposti anche a controlli medici, furono sostenuti a livello umano in tutte le forme possibili (comprensione, amore, esempio, apertura agli altri fuori dell’istituto, lavoro svolto in comune e così via) per promuoverne le tendenze positive più evidenti e caratterizzanti. I fattori metodologici della pedagogia Longhiana sono evidenti e si muovono sulla scia del “ora et labora” di San Benedetto o, meglio de “il lavorare è la stessa cosa che pregare” di San Tommaso D’Aquino.
Si evidenziano in tal senso le motivazioni psicologiche dell’educazione, alle quali si affiancano gli elementi ambientali, che Bartolo Longo presenterà in concreto nelle opere sociali. Nella loro impostazione si tiene conto di due aspetti indispensabili dello sviluppo della personalità: uno di questi fattori è l’ambiente in sé e per sé, che deve essere sereno e rasserenante, laborioso ed attivo, ricreativo e riflessivo, gradevole alla vista. L’altro elemento sta nella esigenza di adeguarsi di continuo e dinamicamente alla situazione dell’educazione, tenendo conto del ruolo che assolve, nella fattispecie, l’esempio non solo degli adulti quanto quello dei coetanei nell’atmosfera operante della scuola.
Bartolo Longo rivaluta la professionalità del lavoro, Bartolo Longo si affida al metodo Lasalliano, che è partecipativo, Bartolo Longo pensa a Don Bosco e crede nella prevenzione, nella vita comunitaria, dove il raccoglimento non è tempo formale, ma tempo che invita alla religiosità nelle azioni e nei pensieri; guarda, infine, alla volontà, come fattore capace di intervenire sulla sequenza degli avvenimenti riuscendo a trasformare la materia su cui interviene.
Dinanzi a questi presupposti, tradotti nella concretezza dell’educazione, si può parlare di sperimentazione; nella quale offrono il loro contributo e il loro chiarimento le lettere che Bartolo Longo riceveva, scritte nelle carceri dei genitori di questi ragazzi accolti nelle opere.
Questi scritti aprono il lettore a riflessioni, che offrono non soltanto materia allo studioso, ma aiutano chiunque a comprendere certi aspetti dell’educazione passati inosservati a genitori, ad educatori.
(Autore: Luigi Leone da: il Rosario e la nuova Pompei - Maggio 1981)
*Scuola come ambiente educativo e di apprendimento
Una geniale intuizione pedagogica
Le Scuole fondate da B. Longo anticipano di quasi un secolo questo nuovo concetto presente nei Programmi per la Scuola Elementare
La definizione di scuola come "ambiente educativo e di apprendimento", testualmente indicata nella premessa generale dei Programmi per la Scuola elementare, pubblicati con D.P.R. 12 febbraio 1985, n° 104, che entreranno in vigore con l’anno scolastico 1987-1988, non figura fra i diversi significati lessico-semantici dati alla parola scuola, i quali si riagganciano ancora soltanto al significato tradizionale del termine stesso.
L’affermazione data in apertura, infatti, è frutto di una serie di riflessioni sistematiche, emerse dalla esperienza vissuta sul piano della didattica attivo-funzionale; per la quale l’istituzione scolastica è oggi considerata una delle sedi dove ci si educa, si apprende, si ricercano princìpi, si verificano contenuti, si valorizzano le attitudini, si sostengono le medesime, dove, cioè, gli utenti e tutti coloro che con essi hanno rapporti diretti e/o indiretti, individuali e/o sociali, vivono l’esperienza specifica dell’alfabetizzazione culturale seguendo nella sua interdipendenza il rapporto fra istruzione ed educazione.
In tale ottica i giovani, nelle diverse fasi dell’età evolutiva, in rapporto alle diverse situazioni ambientali e familiari, affrontano l’apprendimento scolastico in un contesto intenzionalmente predisposto perché possano esprimere il proprio potenziale educativo, motivati dalla partecipazione, guidati alla conquista di nuove certezze, alla ricerca di risposte ai loro continui perché sulla realtà, sui problemi dell’esistenza, sugli aspetti e sui contenuti della scienza, sui valori che sottendono il fluire stesso della vita.
Da questa premessa partono le riflessioni che seguono, le quali intendono vedere se e fino a qual punto le Scuole create da Bartolo Longo e ancora oggi vive ed operanti nell’ambito delle istituzioni sociali da Lui stesso volute, possano essere considerate, nella loro dinamica metodologico-didattica ed educativo-culturale, alla luce di questo concetto nuovo di Scuola, nella quale l’alunno si educa apprendendo ed apprende educandosi.
Un brevissimo cenno storico alle motivazioni che condussero Bartolo Longo ad istituire Asili e Scuole elementari e professionali nella nascente cittadina mariana, ci dice come essa scaturivano dalla esigenza di offrire ai giovani della popolazione indigena la scuola come mezzo di crescita e di risanamento sul piano dell’educazione e della cultura, per sopperire e colmare certe situazioni educative dell’ambiente di vita che, consolidandosi nell’età evolutiva, avrebbero creato esiti negativi compromettenti per il futuro esistenziale della persona.
Bartolo Longo, pertanto, si distacca, anzi si contrappone a qualsiasi concetto innatista della personalità e dell’educazione e convinto dell’importanza che assumono gli interventi precoci adatti in ambiente adatto sui potenziali educativi del soggetto da educare e sugli stessi educatori, pensa ai primi Asili e alle prime scuole del leggere, scrivere e far di conto, alle prime sedi per avviare i giovani all’esercizio di una professione o di un lavoro.
A sostenere le sue intenzioni pedagogiche Bartolo Longo chiama i figli di San Giovanni Battista de La Salle, anticipando, in tal modo, teoria e pratica di una scuola, nella quale l’azione della crescita etico-sociale e culturale dell’uomo passa lungo due assi formativi che si intersecano continuamente nel vivere stesso l’atto educativo intenzionale, costituiti dall’azione dell’educare e da quella dell’istruire, in forma attiva e riflessiva: educare-educarsi, istruire-istruirsi.
I termini longhiani non sono identici, ma la sostanza dell’intervento organizzato a Pompei è quella avanzata nel documento dei nuovi Programmi, con la differenza che si tratta di un discorso avviato ai primi decenni del secolo. La scuola viene a Pompei predisposta perché l’alunno viva gli aspetti dell’educazione (comportamenti, scelte, atteggiamenti affettivi, civili, ecc.) in uno con quelli delle specifiche conoscenze disciplinari, attraverso la metodologia del rendersi conto, del vedere il come e il perché del dato normativo, con atteggiamenti di curiosità, di collaborazione.
Bartolo Longo avanza l’ipotesi di una scuola che, tenendo conto dell’orizzonte di esperienze e di interessi del fanciullo (i giovani accolti a Pompei presentavano una loro situazione affettiva o sociale molto particolare ed esigente rispetto alla scelta pedagogica intenzionale); dovendo promuovere l’acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio e il primo stadio di padronanza dei concetti, delle abilità e dei modi di ricerca essenziali per capire il mondo circostante nelle sue diverse eccezioni e divenire capaci di vivere al suo interno. La scuola, cioè, come "tirocinio" del pensiero, dell’azione, dello sviluppo fisico, della maturazione estetico-religiosa, civile.
Da questo tipo di scuola deriva una trasformazione organizzativa, che si può evincere ove si riprendano gli atti esistenti nelle scuole create da Bartolo Longo; ci troveremmo di fronte ad una giornata scolastica nella quale i momenti dell’intervento diretto si alternano alle espressioni dei linguaggi dell’anima, del corpo, dell’arte, della stessa comunità. C’è il momento della cosiddetta lezione frontale, alla quale seguono i momenti di riflessione e di esecuzione individuale e di gruppo, del confronto con lo stesso educatore, presente al di là delle ristrette mura della classe, in un’atmosfera colloquiale fra educatori ed alunni, personale addetto alla vigilanza.
I giovani studiano, si organizzano nelle attività ludico-sportive, nelle attività di animazione, negli apprendimenti complementari alle discipline di studio, musicali, pittoriche, manipolativo-costruttive.
La generalizzata conoscenza della musica, le esercitazioni sportive estese a tutti, con momenti di confronto e di saggi pubblici ricorrenti, la formazione di una vera e propria Banda musicale, e iniziative di gruppo (ne è un esempio il Presepe a misura d’uomo nell’Istituto maschile Bartolo Longo) costituiscono gli aspetti essenziali e significativi di quell’ambiente educativo e di apprendimento codificato dal legislatore; mentre le prime iniziative si vanno allargando e gli impegni sportivi dei giovani interni di ambedue e sessi si rivolgono a sport come il tennis, la pallacanestro, il pattinaggio artistico.
(Autore: Luigi Leone – da: Il Rosario e la Nuova Pompei di Marzo-Aprile 1987)