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Icona della Vergine di Pompei

Il Santuario > Vergine del SS. Rosario di Pompei

*50.mo Incoronazione della Vergine di Pompei da Paolo VI - 23 aprile 1965

E Papa Montini con “mani tremanti” incoronò la Vergine
Cinquant’anni fa il Quadro della Madonna di Pompei fu incoronato dal Beato Paolo VI. Era il 23 aprile 1965. Il ritorno a Pompei dell’Icona venerata, che da Napoli attraversò i comuni costieri, fu una vera festa di popolo. Ecco i ricordi di Mons. Pietro Caggiano, testimone diretto di quei giorni rimasti nella storia.
È sempre bello ed utile ricordare i compleanni o gli anniversari che, grazie a loro memoria, danno senso anche al futuro. Con piacere riferisco alcuni episodi ed informazioni sull’eccezionale evento riguardante la nostra Icona.
Era il 1965 ed ero sacerdote solo da tre anni, quando si rese necessario il restauro della venerata Immagine. È ben noto che le opere d’arte, ai fini di una buona e lunga conservazione, hanno bisogno di cura e ordinaria manutenzione. Il quadro della Madonna del Rosario fu donato a Bartolo Longo, fondatore del Santuario, nel novembre 1875. Non era in buone condizioni, d’altra parte era stato dipinto circa duecento anni prima ed aveva subito i contraccolpi di un trasporto malagevole durante le missioni popolari dei domenicani dell’Italia del Sud.
Quando l’avvocato Longo ricevette il Quadro da Suor Maria Concetta De Litala ebbe da esclamare: “Ohimè! Provai una stretta al cuore al primo vederlo. Era non solo una vecchia e logora tela, ma il viso della Madonna, meglio che di una Vergine benigna, tutta santità e grazia, pareva piuttosto quello di un donnone ruvido e rozzo. Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia!”. Giunto a Pompei, l’Immagine fu oggetto di una pulizia superficiale ed, in seguito, nel maggio 1879, di un restauro accurato ad opera del pittore Federico Maldarelli.
Nel corso degli anni si moltiplicarono i devoti, sia italiani sia stranieri, che donavano ex voto “per grazia ricevuta”. Oggetti d’ogni genere segno di devozione. Alcuni tra i più pregiati furono letteralmente appesi alla Tela, ma il loro peso indebolì o ruppe alcuni fili del tessuto, provocando la caduta di parte della pittura. L’umidità ed il calore del clima locale, invece, influirono nel deterioramento dei colori. Si giunse così al 1965 quando si rese assolutamente necessario un restauro radicale. L’Arcivescovo Aurelio Signora, allora Prelato di Pompei, scrisse a Papa Paolo VI implorando l’intervento di tecnici vaticani, che ne garantissero la qualità e la veloce esecuzione dei lavori. Si voleva così evitare la lunga assenza dell’Icona durante le visite dei fedeli. Ne seguì un’operazione molto delicata per il valore religioso e storico del Dipinto. Le tre fasi essenziali si svolsero alla presenza di Don Mario Pinzuti, monaco olivetano, direttore dell’Istituto di Restauro Vaticano. Furono rimossi “i preziosi” catalogandoli uno ad uno: un adeguato servizio fotografico documentò la condizione del Quadro prima e dopo i lavori. Seguì l’imballaggio ed il trasporto in Vaticano sotto scorta ed, infine, dal 19 febbraio al 20 aprile, fu realizzato il restauro tecnico. Mi impressionò l’attenzione e devozione di coloro che partecipavano, con le più disparate mansioni, all’esecuzione del progetto per il migliore risultato. Il direttore chiuse così la relazione: “Dopo tale ritocco la venerata Immagine; riacquistato il primitivo aspetto, è tornata alla sua bellezza artistica, senza nulla perdere della tradizione devozionale acquisita”.
Questo fu il terzo restauro, effettuato a 90 anni dall’arrivo della Tela a Pompei. Va ricordato che nel 2012, per iniziativa dell’Arcivescovo Carlo Liberati, l’Immagine è stata mirabilmente restaurata nei laboratori dei Musei Vaticani.
Sin dall’origine, nel Quadro, la nostra Madonna e Gesù hanno sul capo le rispettive corone d’oro, simbolo della regalità spirituale. Dopo il restauro sembrò naturale la sostituzione delle antiche corone con altre nuove, più adeguate alla sobria presentazione dell’Icona, avendo rimossi la maggior parte dei gioielli. Papa Paolo VI, che aveva approvato e facilitato il restauro e si era costantemente informato sul suo evolversi, volle vedere le corone prima di compiere il rito dell’incoronazione. Fu per me un’esperienza indimenticabile aver partecipato alla loro custodia nel corso dei vari trasporti.
La sera del 21 Aprile il Quadro fu collocato nella Basilica di San Pietro sul trono preparato per la speciale occasione. Seguirono due giorni d’intensa venerazione da parte di migliaia di romani e di pellegrini provenienti dalla Campania. Il 23, alla presenza di cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, il Santo Padre celebrò la Santa Messa ed il solenne rito dell’Incoronazione. Mi piace citare alcuni passi dell’elevata e calorosa omelia: “Avremo un cenno, che ci sembra doveroso per riconoscenza e per ammirazione, alla memoria del Servo di Dio Bartolo Longo, a cui Pompei deve il suo Santuario, le opere che lo circondano e l’immenso alone di pietà mariana che ne rende famoso nella Chiesa e nel mondo il nome benedetto (…) Né possiamo dimenticare il giorno lontano, nell’Aprile del 1907, quando Noi fanciullo, con i Nostri piissimi Familiari, visitammo per la prima volta il Santuario di Pompei e pregammo davanti alla sacra Immagine, che ora abbiamo il gaudio di vedere e di venerare davanti a Noi.
E Ci commuove il fatto, che ora devotamente compiremo, il dovere Noi stessi, con mani tremanti, rimettere sulle sacre effigie di Gesù e di Maria, le preziose corone, che la vostra pietà e la vostra generosità, servite da arte squisita, vogliono espressione simbolica del sommo onore dovuto a Cristo, e per suo riflesso alla sua santissima Madre, (…) Come il restauro di questo Quadro mette in limpida evidenza le sembianze della Vergine, così il restauro della nozione che noi abbiamo di Maria ci deve portare ad una più nitida, più vera, più profonda conoscenza di Lei, (…) quale la recente parola del Concilio Ecumenico ci ha sapientemente riassunta”.
Alle ore 14 si partì dal sagrato della Basilica di San Pietro ed alle 15, sotto una “benedetta pioggerellina”, si giunse all’Ospedale San Giovanni dove gli ammalati, a nome di tutti i sofferenti dell’Urbe, diedero il saluto all’Immagine diretta alla Cattedrale di Napoli, dove si vegliò in preghiera e canti tutta la notte. Il 24, nel primo pomeriggio, si avviò il “ritorno a casa” attraversando, come avvenne per la prima volta il 13 Novembre 1875, le vie della città costiere. Dovunque una folla incalcolabile, orante ed osannante, salutava l’Icona su di un carro addobbato a festa con fiori e drappi di velluto e seta.
I pompieri diedero il benvenuto alla Madre con le tradizionali luminarie e i fuochi d’artificio, che squarciarono l’oscurità della notte. All’epoca non mancavano alcune voci, che mal interpretando il Concilio Vaticano II, consigliarono di non eccedere nell’entusiasmo della devozione mariana per “non interferire con il nascente Ecumenismo”.
Ma la Madre attrasse i suoi figli: furono tremila le persone che parteciparono all’incoronazione per mano di Paolo VI e che “riaccompagnarono” il Quadro a Pompei.
Questo trionfo terreno mi fa pensare ad alcune parole di Bartolo Longo, a commento del quinto mistero della Gloria: “O Regina bellissima, io non pretendo di vederti in terra, ma voglio venire a vederti in Paradiso; e Tu me l’hai da ottenere (…). Ma Tu trionfa finalmente di questa anima a te dedicata, e come tua serva fedeli la proteggi, la difendi dagli assalti de’ suoi nemici, la copri sotto il tuo bel manto, ne rendo felice la morte e beata l’eternità. Così spero, e così sia”.
(Autore: Pietro Caggiano)
*Paolo VI, il Papa che incoronò Maria
È il 23 aprile 1965 quando Papa Paolo VI presiedette, nella Basilica di San Pietro, la Messa per l’incoronazione dell’effigie della Madonna di Pompei: Il 19 febbraio precedente, era giunto, all’Istituto di restauro del Vaticano, il Quadro della Vergine, da cui i devoti si erano “staccati” non senza dispiacere. Ma il tempo aveva inferto alla tela le sue inevitabili ferite e quel viaggio era indispensabile a porvi rimedio.
Il Santo Padre tenne, in quella storica celebrazione, cui partecipò un numero straordinario di fedeli, provenienti non solo dalla Campania e guidati dall’allora Arcivescovo Prelato, Monsignor Aurelio Signora, un’omelia meravigliosa, intrisa della profonda cultura fi Papa Montini. Parole non prive di afflato poetico. “Ci commuove il fatto, che ora devotamente compiremo, - disse nel “plurale maiestatis” dell’epoca – di dovere noi stessi, con mani tremanti, rimettere sulle sacre effigie di Gesù e di Maria, le preziose corone, che la vostra pietà e la vostra generosità, servite da arte squisita, vogliono espressione simbolica del sommo onore dovuto a Cristo, e per suo riflesso alla sua santissima Madre”.
Un Papa, il vicario di Cristo sulla terra, che, rispetto alla Madonna, ha “mani tremanti” d’emozione. Ma il ritorno alla bellezza dell’opera d’arte doveva portare ad un’ancor più profonda conoscenza e devozione per la Madonna. “Come il restauro di questo quadro mette in limpida evidenza le sembianze della Vergine, così il restauro della nozione che noi abbiamo di Maria ci deve portare ad una più nitida, più vera, più profonda conoscenza di lei, quale la sacra Scrittura, la Tradizione, la dottrina dei santi e dei Maestri della Chiesa ci hanno delicatamente delineata”.
Nel suo discorso, Paolo VI ricordò anche la figura del fondatore, il Servo di Dio Bartolo Longo (che in seguito sarà beatificato da San Giovanni Paolo II il 26 ottobre 1980) e tornò con la memoria ad una sua esperienza personale.
Nell’aprile del 1907, quando aveva appena nove anni, aveva infatti visitato la Basilica della Beata Vergine con i suoi familiari, insieme ai quali aveva pregato dinanzi al trono di Maria. Quel Quadro sarà riportato a Pompei in processione, attraversando, tra ali di folla, alcuni quartieri di Napoli ed altre città della Campania: San Giovanni a Teduccio, Portici, Torre del Greco, Torre Annunziata. “Il Rosario e la Nuova Pompei”, il periodico del Santuario, parlerà di “festa di paradiso”. È anche per questo che l’annuncio della canonizzazione di Paolo VI, resa nota da Papa Francesco durante il concistoro del 19 maggio scorso, è stata accolta con gioia dai devoti della Madonna di Pompei.
(Autore: Giuseppe Pecorelli)

*100^ dell'Incoronazione della Vergine del Rosario - 07.05.1987

Un secolo di devozione mariana

La Meravigliosa storia di una città dove tutti sono concittadini
Autorità civili, militari, religiose e migliaia di fedeli hanno partecipato alle celebrazioni centenarie
La visita del Segretario di Stato al Comune di Pompei

Maggio 1987: la città di Pompei riceve il Cardinale Agostino Casaroli, inviato da Papa Giovanni II, come suo Legato, per il Centenario dell’Incoronazione della Vergine del Rosario, in risposta all’invito ricevuto, di persona, dal Prelato Mons. Domenico Vacchiano. Nel maggio del 1887, la nascente Pompei accoglieva il Cardinale Raffaele Monaco La Valletta. Il Legato che Leone XIII inviava nella Valle di Pompei, rispondendo così all’invito rivoltogli dall’Avv. Bartolo Longo e dalla Contessa De Fusco, durante l’udienza ad essi accordata il 14 aprile di quello stesso anno.
Gli eventi si rincorrono e nella sostanza esprimono il percorso della città nel suo nascere, nel suo divenire, nel suo rimanete legata all’antica e nel suo proiettarsi nel futuro. Così, il 7 maggio, il Legato del Pontefice, Segretario di Stato, Card. Casaroli è stato ufficialmente ricevuto dal Sindaco nella sala consiliare di Palazzo De Fusco, accompagnato Domenico Vacchiano, Vescovo-Prelato di Pompei, dal Nunzio Apostolico in Italia S. E. Luigi Poggi e dal Vescovo Mons. Zama.
All’autorevole ospite il Sindaco Marchetti ha rivolto l’indirizzo di saluto, a nome della città, "onorata – ha detto testualmente – dalla significativa presenza del rappresentante del Pontefice nella terra di Maria. Pompei riceve nella Sua persona il Papa e le Sue stesse intenzioni, avvertendo tutto l’impegno e la responsabilità che le derivano nei confronti del mondo, sul piano del cattolicesimo, su quello della cultura e del tessuto civile: esempio, onestà, cristianesimo si coniugano qui nel nome del Rosario, hanno come risposta la carità sociale e la preghiera". I pellegrini, i visitatori, i turisti, chiamiamoli pure come vogliamo, continuano a giungere da ogni dove, sono delle zone limitrofe e di ogni latitudine: il loro numero, indipendentemente dalle stime statistiche, si può evincere dalle particole, che i sacerdoti dispensano durante le celebrazioni eucaristiche: quest’anno ne sono state distribuite 4 milioni.
Un secolo di storia
Cento anni or sono la folla era diversa: c’erano gli indigeni, i fedeli dei paesi vicini, l’aristocrazia napoletana, i rosarianti che si spostavano dalle diverse città d’Italia, dall’Europa. Erano persone che vivevano i problemi e la fede del loro tempo e avvertivano l’esigenza di pregare. È quello che accade anche adesso, in un mondo nel quale il progresso ed il pluralismo delle idee sono la caratteristica più evidente.
"Se per sommo beneficio di Dio Onnipotente… la sacra Immagine della Vergine di Pompei, venne incoronata, a nome del Romano Pontefice, da un suo Legato, anche oggi, con lo stesso ardore e con la stessa devozione vogliamo anche noi, che ne siamo i Successori, non solo ricordare il fatto, ma espressamente vogliamo siano oggetto di speciale celebrazione, sia il titolo sia anche il luogo e ciò diciamo, perché vengano esaltati insieme alla Vergine di Pompei il santo Rosario e il suo glorioso Santuario… Proprio per questo abbiamo pensato a Te, Venerabile Fratello, ad essere il nostro Personale Legato, nel presiedere alle solenni celebrazioni che, in occasione della Supplica del prossimo 8 maggio il Santuario suole organizzare… Sia una celebrazione che ricordi e ravvivi quel primitivo fervore che, auspice il Beato Bartolo Longo, segnò l’inizio della sua opera caritativa e sollievo e istruzione degli orfani…".
Con questo messaggio personale Giovanni Paolo II ha affidato al Cardinale Casaroli l’incarico di essere a Pompei: è lo stesso Pontefice che ha pubblicato l’Enciclica "Maria Madre del Redentore", che ha proclamato Beato Bartolo Longo; è quel Pontefice che, avverando la profezia di Don Bartolo, è venuto a visitare il Santuario Mariano affacciandosi dal balcone della Basilica, benedicendo i presenti, i lontani, i giovani delle Opere sociali, i sofferenti, accorsi per vederlo. Il messaggio porta la data del 13 aprile 1987 e, straordinariamente, ci riporta al 14 aprile del 1887, quando Leone XIII, ricevendo Bartolo Longo, gli annunciava che sarebbe stato presente a Pompei per l’incoronazione di Maria nella persona del Cardinale La Valletta.

La partecipazione dei pellegrini
Per questo la Supplica di quest’anno centenario ha assunto un significato particolare, anche se nulla è stato toccato nel susseguirsi della celebrazione: nelle ore dell’antivigilia, infatti, prima della discesa del quadro, la città si è andata via via popolando soprattutto da parte dei gruppi di fedeli che giungevano a piedi, recitando il Rosario, intercalando i quindici misteri con canti rivolti alla Vergine. Uno spettacolo antico e nuovo, presente anche ora che esiste la possibilità di raggiungere la città più comodante, con mezzi motorizzati pubblici o privati.
Dinanzi al quadro sfilato, si soffermano, pregano persone di ogni ceto e di ogni età durante il giorno, durante la notte: rivive in questo andirivieni lo stesso tipo di risposta che Bartolo Longo ricevette in occasione della incoronazione della Vergine, per un’ora di guardia. Era una guardia d’onore, che doveva compiersi con la recita delle quindici poste del Rosario: "Per tal modo, egli scriveva, in tutta la vigilia del gran trionfo di Maria, questa Cappella sarà trasformata in un Paradiso…".
L’appello viene idealmente accolto ad allora, anche in pieno secolo ventesimo, nell’era del computer e delle conquiste stellari. Esso viene espresso nel raccoglimento, nella devozione, nella commozione, nello stupore dell’essere in tanti, nella fede e nella pietà, mentre si attende il giorno dopo; quando le stesse persone si sono ritrovate, il Cardinale Agostino Casaroli, il Nunzio Apostolico per l’Italia S. E. Luigi Poggi, il Vescovo Vacchiano, il Vescovo di Castellammare di Stabia, il clero, le orfanelle, gli orfani delle Opere, tutti insieme, la notte fra il 7 e l’8 maggio, davanti a Maria.

L’Omelia del Cardinale Casaroli
E si giunge alla concelebrazione eucaristica nella legittima attesa dell’omelia e della recita della Supplica.
L’Omelia viene pronunciata dal Legato Pontificio: dal racconto "incantevole" del Vangelo secondo Luca, il Presule ci ha condotto a Nazareth "il borgo sonnacchioso", dove la gente badava alle proprie faccende "nasceva, moriva, soffriva, si allietava". Qui, a Nazareth, nella "pienezza del tempo" sarebbe giunto il Messaggero a visitare la Vergine "che aveva trovato grazia presso Dio", alla quale avrebbe annunciato la misteriosa quanto sublime maternità. "Eccomi", avrebbe risposto Maria, e pronunciando questo "fiat" avrebbe dato inizio al mistero della Redenzione, di un altro "fiat" altrettanto provvidenziale, nella gioia, come nel dolore, nella morte e nella resurrezione.
"Col Rosario nella mano, Bartolo Longo – ha detto il Cardinale Casaroli -, risvegliò le coscienze dei contadini della Valle, oppressi dalla miseria… trasformò in una terra di risurrezione e di vita una terra di morti… Anche per noi Cristo, e con Lui la sua Madre, restano al centro della storia umana, e della nostra…
Se questo tempio è grandioso monumento di fede intrepida, le Opere che lo circondano sono frutto dell’amore, che della fede è il fiore più bello. Una corona alla vergine, esse sono, non meno preziosa – certo – di quello che, cento anni fa, esattamente, un altro Legato del Pontefice Romano, il Card. Monaco La Valletta, posava sul capo dell’Effige della Madre del Salvatore e del suo Figlio divino. Oggi noi commemoriamo solennemente quell’evento… e ripetiamo, rivolti a Maria: e tu copri con il manto della tua onnipotenza supplichevole la chiesa…; il Papa che è presente qui, oggi, davanti alla tua effige venerata, nell’umile persona del suo Legato; il mondo e l’Italia…".

Da ogni parte, ma concittadini della stessa città
Tutto questo è esplicito ed implicito nella Pompei Mariana: preghiera e carità, un connubio molto prezioso, che assume in sé il senso della giustizia e la regalità dell’amore, che esprime "un secolo di devozione, un secolo di prodigi". E, infatti, tenendo conto di questo connubio fra civiltà, carità e giustizia che tutta la città vive gli eventi della religione e della religiosità sul piano civile: il popolo di Pompei ha mostrato la sua riconoscenza al Legato Pontificio, non solo, ma ha espresso anche il voto di mantenersi degno del Fondatore della città, creando un clima umano e cristiano, dove le diverse civiltà trovano possibilità di coesistenza e di progresso. Si tratta di procedere all’unisono, nei contenuti operativi, con "l’estensione geografica nella quale il popolo cristiano con fede e devozione cerca vivamente di aprire il cuore per un incontro con la Madre di Dio"; si tratta di ripetere il grazie delle nuove generazioni a Bartolo Longo ed a quanti gli furono accanto nella costruzione spirituale e materiale di Pompei; si tratta di rendere omaggio ai Pontefici che da allora continuano a guardare con occhio attento al Santuario; si tratta di riconoscere alle autorità civili il senso di responsabilità che hanno verso questo aspetto della città; si tratta, ancora di essere tutti coinvolti, ed attivamente, in un disegno provvidenziale vissuto quotidianamente, nella assiduità miracolosa dell’amore verso il prossimo.
Il momento della recita della Supplica rientra in questo grande disegno: esso coinvolge il residente abituale, l’uomo della strada, il visitatore italiano e straniero, dal tedesco al giapponese, all’americano e richiama, contemporaneamente, come è accaduto quest’anno, personalità della cultura, della politica, come il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, On. Antonio Gava, il Prefetto di Napoli, Dott. Agatino Neri, il Sen. Francesco Patriarca, l’On. Carmine Mensorio, e altri ancora, che si mischiano fra la folla e non si distinguono più, nel nome della Vergine del Rosario e del Santuario.

(Da: Il Rosario e la Nuova Pompei di luglio e agosto 1987 – Autore: Luigi Leone)

*144.mo Anniversario dell'arrivo del Quadro a Pompei

Come un fiume in piena, decine di migliaia di fedeli, giunti da ogni dove, hanno sfilato ininterrottamente per diciotto ore davanti al Quadro della Vergine del Santo Rosario di Pompei che, oggi, 13 novembre 2019, in occasione dell’anniversario del suo arrivo a Pompei (13 novembre 1875), viene posto alla venerazione diretta del popolo di Dio.
Fin dalla prime luci dell’alba, giovani, famiglie, religiose e religiosi, hanno attraversato il percorso che li conduceva all’incontro con la Madre. Gli anziani, i malati e le persone diversamente abili, assistiti dalla associazioni di volontariato: Ospitalità di Pompei, Associazione Nazionale Carabinieri, CISOM (Corpo Italiano Soccorso Ordine di Malta), Associazione di Medici “San Giuseppe Moscati”, Pompei Tourist Tutors, Croce Rossa e Croce del Sud, hanno usufruito del percorso alternativo, più veloce, usato anche dagli alunni delle scuole.
La giornata celebrativa è cominciata alle ore 6.00 con la recita del “Buongiorno a Maria”. Le Sante Messe sono state celebrate, a partire dalle ore 7.00, nel Piazzale Beato Giovanni XXIII, dove, alle 10.30, il Vicario Generale, Mons. Giuseppe Adamo, ha presieduto una solenne Concelebrazione Eucaristica, al termine della quale è partita una processione verso la Basilica, conclusa alle 12.00, con la recita della Supplica.
Nel corso della mattinata, in momenti diversi, sono stati recitati i misteri del Santo Rosario ed è stata rievocata la venuta del Quadro a Pompei. La Pastorale Giovanile e la Pastorale Vocazionale hanno animato due momenti di preghiera, alle 11.00 e alle 12.30. Nel pomeriggio, anche laici, associazioni e movimenti hanno animato diversi momenti di preghiera e di catechesi.
Solo a tarda notte, dopo che tutti i fedeli hanno potuto accostarsi alla Vergine, il “Saluto a Maria” ha concluso la lunga giornata, resa possibile grazie all’instancabile impegno di sacrestani, impiegati del Rettorato e personale tecnico.
La venerata Icona presenta l’immagine della Madonna in trono con Gesù in braccio; ai suoi piedi, san Domenico e santa Caterina da Siena. La Vergine reca nella mano sinistra la corona del Rosario che porge a santa Caterina, mentre Gesù, poggiato sulla sua gamba destra, la porge a san Domenico. Fu data a Bartolo Longo da Suor Maria Concetta De Litala, del Convento del Rosariello a Porta Medina di Napoli. La religiosa l’aveva avuta in custodia da padre Alberto Radente, confessore del Beato.
Per trasportarla a Pompei, il Longo l’affidò al carrettiere Angelo Tortora che, avvoltala in un lenzuolo, l’appoggiò su di un carro di letame. Il quadro, però, necessitava di un restauro e fu posto alla venerazione dei fedeli soltanto il 13 febbraio 1876. Nello stesso giorno, a Napoli, avvenne il primo miracolo per intercessione della Madonna di Pompei: la dodicenne Clorinda Lucarelli, giudicata inguaribile dall’illustre prof. Antonio Cardarelli, guarì perfettamente da terribili convulsioni epilettiche. Da allora centinaia di migliaia di miracoli, grazie ed eventi prodigiosi sono avvenuti, in tutto il mondo, per intercessione della Madonna di Pompei, amata e venerata come una Madre da grandi e piccoli, a tutte le latitudini.

*Iconografia e Interpretazione
La miracolosa "Icona" della Vergine del Rosario di Pompei

Le icone mariane dalle molteplici fisionomie hanno affollato i secoli; tutte, però, risalgono alle icone non dipinte ma descritte che sono distribuite nelle pagine bibliche.
Sono questi ritratti più somiglianti, a cui l’arte ha sempre attinto, a cui soprattutto la spiritualità cristiana ha fatto riferimento perché, come diceva l’Areopagita, il volto di Maria "si riflette continuamente nello specchio dell’anima".
Nella maestosa Basilica e Santuario mariano di Pompei troneggia come pala d’altare la venerata e miracolosa Icona della Vergine del Rosario, che richiama un numero incalcolabile di pellegrini e devoti.
Nel 1965 su committenza di Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Aurelio Signora, delegato
Pontificio della Basilica di Pompei fu disposto il restauro del venerato quadro gravemente deteriorato.
L’Istituto di Restauro Scientifico dei Benedettini Olivetani, diretto da Don Mario Pinzuti, eseguì i delicati lavori di pulitura, di integrazione e ripristino del colore e di riparazione degli oltre trecento buchi, che erano stati praticati sulla tela per fissare i preziosi donati dai benefattori.
Il quadro aveva una superficie di cm. 135x92 e rivelò negli strati inferiori del colore la presenza di un antico quadro del seicento, la cui mestica era ascrivibile alle botteghe napoletane tra la seconda metà del ‘600 e i primi del ‘700. Probabilmente l’anonimo autore dell’immagine trasportata da Don Bartolo in Pompei riutilizzò una vecchia tela su cui un pittore della scuola di Luca Giordano aveva già dipinto una Madonna col Bambino.
Quale messaggio teologico e spirituale proviene dall’Icona? Proviamo ad analizzare le caratteristiche iconografiche e a darne un’interpretazione teologica.
La geometria dell’Icona presenta alcune simmetrie inequivocabili che le conferiscono armonia e bellezza. Nella parte alta del quadro è possibile tracciare un triangolo isoscele, che ha il vertice superiore all’apice del capo della Vergine e i vertici della base all’apice dei capi dei santi devoti del Rosario.
Il lato sinistro del triangolo è tangente anche al capo del Bambino per cui le tre teste (Maria, Bambino e San Domenico) risultano perfettamente allineate.
Nella parte bassa dell’Icona la simmetria è costruita sul trapezio equilatero rovesciato, che ha come base maggiore il segmento che unisce i punti di tangenza del capo dei santi devoti, come lati obliqui i segmenti che corrono lungo l’abito dei santi e come base minore il segmento che passa
tangenzialmente alla base del trono della Vergine.
Sicché l’Icona è geometricamente descritta dalla giustapposizione di un triangolo isoscele e un trapezio equilatero rovesciato (cfr. figura).
La luce proviene da sinistra e la linea d’orizzonte passa esattamente all’altezza della congiunzione tra il triangolo e il trapezio rovesciato. Il punto di vista dell’orante è al centro geometrico dell’Icona.
Da qui l’orante inizia il suo percorso visivo andando ai volti dei santi, che rinviano entrambi alla coppia Maria-Bambino (inscritta nella corona di dodici stelle), che a sua volta rinvia nuovamente all’orante.
Il circuito della narrazione visiva, pertanto, avvolge l’orante e lo dispone alla contemplazione dell’Icona, attraendolo con la sua simmetria geometrica e soggiogandolo col gioco degli sguardi.

(Autore: Nicola Di Bianco)

*Il Diadema di Brillanti sul capo della Vergine

La breve storia
Come notammo nel passato nel passato quaderno di Febbraio, un diadema di brillanti è già pronto per incoronare il capo della Nostra regina di Pompei; ed è un diadema non meno prezioso per la qualità dei brillanti lucidissimi, che per l’origine e la provenienza di essi, poiché ogni brillante attesta una grazia. Questo diadema, che è formato da più che settecento preziosissime pietre e brillanti, e smeraldi e zaffiri, è il più inattaccabile attestato, è una storia parlante di circa trecento miracoli operati dalla nostra SS. vergine. Esso sarà imposto sul capo di Lei nel mattino dell’8 maggio dalle mani di un Cardinale, che è stato già invitato gerarchicamente dal nostro Vescovo di Nola, dopo che il diadema medesimo sarà benedetto dalle mani del Papa.
Questo preziosissimo serto, lavorato in Napoli, ha il pregio speciale di far spiccare cinque stelle lucidissime di brillanti, quasi fossero staccate dalla corona, formanti come un’iride incantevole sul capo della Vergine. E ciascuna delle cinque stelle è formata da sette raggi che si dipartono ro luminoso di un limpido solitario. Il distacco, che artisticamente diparte l’aureola delle cinque stelle dal semicerchio, è prodotto da un solo brillante di notevolissima grandezza, che sta come solitario centro di luce.
Questo grande solitario insieme con trenta gemme fu donato alla Vergine di Pompei da una Innominata, il cui sposo ricevette la grazia della vista.
Fra tanta dovizia di donativi, nel cerchietto della base rifulgono quattro finissimi smeraldi, e farà a ciascuno meraviglia sapere che essi sono stati un dono di due fratelli Ebrei! ... Ora staremo a vedere se Maria, figlia di Ioachim e di Anna, loro concittadina ebrea, si riterrà il dono dai propri connazionali senza guarigione! …
La Corona delle dodici stelle sul capo della Vergine di Pompei
L’Evangelista S. Giovanni nell’isola di Patmos contemplò estatico una gran Donna, ammantata di sole, la luna sotto i piedi, e sul suo capo una corona di dodici stelle: Et in capite ejus corona tellarum duodecim. Questa Donna ad opinione dei sacri espositori è Maria.
La divina visione inspirò a noi l’idea non solo di incoronare la vergine di Valle di Pompei con un diadema di brillanti, ma ancora di cingere il suo capo di un’aureola similmente brillante di dodici incidissime stelle. Non si tosto annunziammo nel passato numero il nostro pensiero, che già da ogni parte ci perveniamo donativi di preziose offerte.
Abbiamo pertanto stabilito che tutti i brillanti, donati dai pii oblatori, non debbano vendersi per sovvenire alle spese del Santuario, ma essere conservati, con maggiore soddisfazione degli oblatori medesimi, per formarne le dodici stelle, poiché facendo a fidanza con la potenza di Maria, siamo in fermissima persuasione che le Sue grazie ed i Suoi prodigi varranno a raccogliere dalla carità dei benefattori tutto quello che serve per compire il suo Tempio con una forma ed un apparato conveniente al Suo trono celeste. Quanto all’aureola delle dodici stelle, siamo più che sicuri che la Madonna benedirà questo nostro concetto, ed Ella medesima incoronerà la sua fronte degli attestati delle sue stesse grazie. Così anche la più lontana posterità recandosi qui a Valle di Pompei per visitare il Tempio del Rosario e rimirando un quadro affumicato, che non costà più di tre lire, e che fece la sua entrata in Pompei sopra un carro di letame, e che fu poi adorno di tante preziose gemme, non avrà bisogno di altra autentica per essere certa della infinita abbondanza di prodigi, che piovvero sui fedeli da quell’altare sacro alla SS. Vergine del Rosario, perché quel diadema e quell’aureola ne faranno la più splendida e la più solenne testimonianza.
Ed ecco che i nostri fratelli hanno gradito il nostro pensiero, e sono stati solleciti già i primi a corrispondere a così santa ispirazione.
Valle di Pompei -  Una spilla di brillanti per le 12 stelle, con la luce delle tue stelle, guida, o Maria, l’ultimo dei tuoi devoti e la famiglia sua, perché possa goderti in Paradiso.
(Da: il Rosario e la Nuova Pompei 1887)

*Il Quadro Prodigioso della Madonna

Il quadro prodigioso rappresenta la Vergine del Rosario con in braccio il Bambino ed ai lati San Domenico e Santa Caterina da Siena.
Fu acquistato lacero e corroso presso un rigattiere per 8 carlini da padre Alberto Maria Radente, che costretto ad abbandonare il convento di S. Domenico Maggiore in Napoli, a causa della soppressione degli ordini religiosi decretata dal governo anticlericale, lo affidò nel 1865 a suor Maria Concetta De Litala del Conservatorio del Rosariello a Porta Medina. Il quadro fu donato da Padre Alberto Radente a Bartolo Longo, che lo affidò per il trasporto a Valle di Pompei ad un carrettiere di nome Angelo Tortora (il solo che faceva i viaggi da Napoli a Valle), il quale doveva tornare a casa col suo carico di letame, prelevato dalle stalle dei signori di Napoli per venderlo ai contadini per la concimazione dei terreni. Il quadro giunse a Pompei il giorno 13 novembre 1875; fu ritoccato dal pittore Guglielmo Galella e, successivamente, restaurato dal pittore Federico Maldarelli nell’agosto del 1879. Si dovette ricorrere alla sostituzione di un pezzo di tela logora, operazione affidata al prof. Francesco Chiariello, noto artista napoletano.
Il dipinto, olio su tela, è alto cm. 120 e largo cm. 100.
È racchiuso in una cornice di bronzo dorato con attorno i 15 misteri del Rosario, dipinti da V. Paliotti.
Destinato alla venerazione dei pochi contadini in una cadente chiesuola di campagna, divenne famoso per miracoli e grazie elargite dalla Vergine del Rosario.
È all’origine del Santuario, degli istituti di carità e della nuova città di Pompei.
La devozione popolare aveva portato gradualmente all’arricchimento dell’Immagine con doni in oro e pietre preziose. A cominciare dalla contessa de Fusco, che, per prima, donò i suoi orecchini.
Più di mille grossi brillanti componevano i due diademi della Madonna e del Bambino. Pure di brillanti erano le dodici stelle, la goliera (il collier) con la parola ROSARIO e il motto AVE MARIA alla base ed il sandalo che ricopriva il piede della Madonna.
Moltissime gemme, tra cui quattro smeraldi donati da due ebrei, erano sparsi sul manto.
Nel 1965 fu nuovamente restaurato nell’istituto restauro dei Benedettini Olivetani della Città del Vaticano. Prima del ritorno a Pompei, il 23 aprile 1965, l’Immagine fu incoronata nella Basilica di S. Pietro dal Papa Paolo VI con due diademi di brillanti offerti negli ultimi dai fedeli.
Il quadro viene portato in processione generalmente ogni 25 anni, o in particolari occasioni.
Al termine delle funzioni serali, una serranda d’acciaio, lo chiude in una specie di cassaforte blindata.
Giorno e notte gli ardono davanti 15 lampade e 26 candele. Le quindici lampade sono d’argento, a forma di rose, e furono offerte dal comm. Claudio Zagari di Napoli nel 1887.
Al Santuario giungono ogni anno milioni di visitatori, specialmente nei mesi di maggio ed ottobre.

                             

L’8 maggio e la prima domenica di ottobre, alle ore 12.00, si recita in tutto il mondo la  SUPPLICA scritta dal Beato nel 1883 e recitata per la prima volta il 14 ottobre dello stesso anno. Da quella data il testo ha subito alcuni perfezionamenti apportati per prima dallo stesso Bartolo Longo, gli altri approvati dalla Conferenza Episcopale Italiana (1966), ma tutti finalizzati a renderla ardente e commossa preghiera, come la definì Giovanni Paolo II in una sua    lettera inviata in occasione del centenario della Supplica. A recitarla in contemporanea sono quasi tutte le comunità cattoliche del mondo e rappresenta, per la partecipazione corale alla preghiera, un vero inno all’unione ed alla pace. Il Beato usava chiamarla l’ora del mondo.
*Il gran Quadro del Maldarelli
La gran tela del Maldarelli, che si vedrà collocata al gran cappellone a sinistra del Santuario, descrive l’origine storica di questo Tempio. È la Madonna, che mostra il Rosario come segnale delle sue vittorie, e dice al mondo, come un giorno vide Costantino scritto in cielo: In hoc signo vinces. Questo è l’eccelso e glorioso segno che vale a resuscitare da morte a vita: con questo segno le anime morte alla grazia risuscitano a vita nuova. Con il Rosario risorge la morta Pompei. E nel basso del dipinto si vedono di lontano le rovine di Pompei ed accanto sorto il Santuario del Rosario.
Ma il Santuario non è sorto da sé. Cielo e terra, uomini ed Angeli, santi e peccatori, tutti han posto mano, chi con le preghiere, chi con l’intercessione, chi con le offerte, chi con la carità, a far risorgere l’antica città, che attinge nuova vita e nuova civiltà dal tempio sacro alla Vergine Maria.
E quindici angeli, bellissimi, che diresti diafani, quanti sono appunto i misteri del Rosario, supplicano la Regina delle Vittorie a condiscendere benigna alle preci che le rivolgono i Santi, quei Santi che furono in terra propagatori del suo Rosario; ed accogliere ancora le suppliche dei moderni pompeiani, che gemono aspettando l’aiuto del Cielo.
E giù, nel basso della tela, si vedono gli intercessori in primo luogo, i Santi, tra cui a capo è S. Domenico, il grande istitutore del Rosario. Ed a lui rivolge segnatamente la benedizione il Bambino che è in grembo alla vergine sua madre. E poi occupa il posto d’onore il Papa del Rosario, S. Pio V, il debellatore dei Turchi a Lepanto. Ed al lato di S. Domenico si scorge S. Francesco di Assisi, il gran Padre dei Frati Minori e delle riforme. Che hanno sparso in tutto il mondo la devozione alle mistiche rose di Maria. E poi S. Alfonso Maria de Liguori, il grande Apostolo del Rosario nel secolo decimottavo in questi luoghi. Ed alla dritta, accanto al Pontefice, S. Francesco Saverio, il grande taumaturgo del Rosario nelle Indie; e più in fondo S. Camillo de Lellis e S. Filippo Neri, apostoli del Rosario in Roma.
Ma innanzi a tutti è la Maestra del Terz’Ordine, è la cara nostra protettrice, S. Caterina da Siena, la quale presenta alla Madonna la prima delle nostre orfanelle raccolte all’ombra del suo Santuario. E l’orfanella è vestita nella foggia che noi abbiamo scelto per abito e uniforme alle nostre bambine pompeiane.
Nel mezzo è un gruppo di pompeiani. Si vede una contadina agiata pregar la Madonna che le piaccia al fine fare apparire la sua benedizione su queste piagge.  Ed un’altra giovane contadina, che vede spuntare in cielo tanto chiarore di luce, di grazia e di misericordia sulla sua sconsolata terra natale, prostesa boccone, adora e benedice. La povertà e l’abbandono in cui erano questi poveri contadini vie rappresentato da un vecchio languido ed estenuato, che chiede mercé, in quella che vien sorretto da una giovane contadina, che nulla può fargli di benefizio fuor che quell’atto pietoso.
Ma lo sguardo nostro è ritornato fisso su quei quindici angeli, e non sa distaccarsene. Dolce color d’orientale zaffiro forma il manto di uno di essi là dove fa contrasto un altro manto fiammante del colore dei rubini ed un altro di oro incandescente. Uno di essi, il primo a destra, porge alla sua Regina una corona di vari fiori freschissimi e belli, rose, gigli ed erbette odorifere, rappresentanti le diverse offerte e le pie oblazioni che hanno versato i fedeli per edificare il Santuario alla regina delle Vittorie in Pompei: le quali offerte, raccolte dagli angeli, si tramutano nelle loro mani in altrettanti aromatici fiori, onde s’intesse una vaga corona alla regina delle rose eterne.
Del valore artistico del quadro nulla diremo. Chiunque ha vero amore di religione, di arte, di nazionalità, di progresso, venga a Valle di Pompei, e giudicherà.

*La Goliera di brillanti sul petto della Vergine di Pompei

Oltre ad incoronare di prezioso diadema l’augusta fronte della Regina delle Vittorie, pensammo di adornarla di una goliera anche di rari brillanti, tutti doni ricevuti per altrettante grazie largite dalla nostra Regina del Rosario.

Essa è sostenuta da due farfallette, che, posate ove il collo si aggiunge agli omeri, la fanno poggiare con semplicità ed armonia sul petto della prodigiosa Vergine, . Una rete parimenti di brillanti legati in oro con regolare simmetria finisce nella dolce e soavissima parola Rosario, che a prima vista si presenta allo sguardo devoto del pellegrino.
Quella rete misteriosa, che per noi forma uno dei più bei simboli della Misericordia di Maria per chiamare le genti di tutte le nazioni nella sua Valle, ti significa in verità che quella Vergine benedetta da questo luogo solitario e deserto ha sparso per tutto il mondo una rete amorosa con i tesori delle sue grazie e dei suoi prodigi, per stringere in un sol nodo di amore i cuori dei suoi figli sotto la pacifica insegna del suo Rosario.
Quelle rare farfallette di brillanti sono un dono di un Deputato al Parlamento, del Barone Compagna: attestato perenne della sua gratitudine verso Maria per ottenute grazie.
Quei preziosi brillanti, non altrimenti che quelli della corona, sono stati offerti da persone che hanno sentito il debito di renderle grazie per i ricevuti favori.
Questa goliera così composta fu tenuta fra le mani dal Sommo Pontefice Leone XIII anche il 6 aprile 1887, e fu da lui teneramente benedetta.
(Autore: Bartolo Longo)

*L'Icona del popolo di Dio in cammino

Una breve e intensa suggestione, carica di stupore e tenerezza, ci riconduce al significato originario dell’umile ingresso dell’immagine della Madonna del Rosario a Valle di Pompei.
Descrivere brevemente la spiritualità mariana del Beato Bartolo Longo è un’assurda pretesa.
Per la presente riflessione preferisco partire da una icona “dipinta” dallo Spirito di Dio e consegnata all’umanità per suscitare specialmente nel cuore dei “piccoli” lo stupore e la tenerezza.
Siamo nel lontano e vicino 1875.
L’avvocato Bartolo Longo viene fuori da una profonda crisi spirituale, nella quale matura il progetto di unire all’amore del Signore la carità per coloro che nella società sono ai margini di ogni considerazione: i piccoli “poveri e abbandonati”.
Quell’anno a Napoli, “don” Bartolo trova l’immagine della Madre del Signore da collocare al centro della città della carità che lui stava edificando.
E finalmente, l’immagine di Maria giunge a Pompei. Quel viaggio della Vergine sul carretto carico di letame, è l’icona del Popolo di Dio in cammino.
Madre dolcissima di Pompei, con un pizzico di fantasia vado indietro negli anni e precisamente nel 1875, quando giungesti a Pompei condotta su un carretto carico di letame utile per concimare quella terra nella quale oggi vedi fiorire non solo fiori, ma case e opere dove nel nome del tuo Figlio si offre la carezza del perdono e il cibo che non perisce. Ma soprattutto mi piace farti sapere che in quelle opere ci sono i sorrisi e le lacrime, le speranze e i sogni di piccoli e adolescenti che oltre ad avere avuto il dono della vita chiedono a Te e a noi di essere messi “in luce”.
Scusami se non riesco a mantenere il filo del discorso, ma sai, tra l’importanza del racconto e quello di raccomandarci prevale sempre l’urgenza del bisogno della tua tenerezza. Ma torniamo a quel viaggio paradossale… Tu, la regina del Cielo, la Madre del Signore vieni condotta e “confusa” con quel letame da tutti disprezzato, ma comunque necessario per la fecondità della terra.
Cara Mamma, pensandoti su quel carretto non posso dimenticare il tuo figlio prediletto Bartolo Longo. Mi sembra di vedervi. Tu sballottata sul carro e lui, a Pompei ad attendere il tuo ingresso così poco trionfale.
Un viaggio strano secondo le categorie umane. Se tu fossi stata una regina di questo mondo e di quest’epoca saresti stata accolta dalla stampa mondiale, pronta a registrare ogni istante del tuo arrivo. Ma la tua corona non ha nulla a che vedere con le corone di questo mondo, le quali sono quasi sempre costruite da logiche lontane dai valori per i quali Tuo Figlio Gesù ha dato la vita.
Nella scena del tuo arrivo a Pompei, vedo invece rappresentata la nostra vita, specialmente quando siamo lontani da tuo figlio e quando grazie alla tua intercessione torniamo tra le “vostre” braccia.
Su quel carretto il letame ci ricorda la precarietà e la povertà. Dice bene il noto filosofo Jean Guitton, che la Chiesa è come un nido, nel senso che, pur essendo impastata di sterco e di paglia, conserva la vita.
Ebbene, su quel carro era prefigurata la nostra vita, quella della Chiesa, ma soprattutto ciò sarebbe stato il frutto di quella vita “conservata”: il fiore della carità.
In questa icona del tuo viaggio, vedo un altro elemento importante per dipingere la Grazia di Dio: l’invocazione di “don” Bartolo. Egli sbattuto dalle tante “parole strane” che aveva ascoltato e proferite nella sua vita, ora finalmente con la forza della vera Parola sa riconoscere nella tua venuta il segno di Dio che si fa carne per la nostra salvezza. E comprende che il tuo arrivo non coincide che lo sfarzo retorico e inutile che noi riserviamo ai potenti della terra, bensì con il grembo verginale di un’umile fanciulla di Nazareth.
L’invocazione di “don” Bartolo corrisponde con il tuo mistero. Lui alla tua scuola ha compreso che prima di essere annunciatori dobbiamo essere Annunciati.
Infine, c’è un altro elemento nel segno della tua venuta a Pompei. Penso al carretto, come l’espressione della carità. Condurti a Pompei è nella metafora di questo viaggio, la carità che Dio ha fatto a noi nel darci attraverso il tuo sì nostro Signore Gesù cristo. Quel carretto sei stata Tu, quel carretto siamo noi quando a Pompei e in tutti gli angoli della terra ci facciamo carico del viaggio nella vita di ogni creatura specialmente se è piccola e indifesa.
Vergine del Rosario, buon viaggio.
Continua ad attraversare le nostre vie condotta dai carretti delle antiche e nuove povertà. Suscita nell’umanità il desiderio di scrutare nei segni della semplicità e nel volto dei piccoli il tuo passaggio. Solo così, chinati davanti a te umile e povera, saremo capaci di ricordare ciò che Dio ha operato in te, con te e per te: “abbassa i potenti dai troni e innalza gli umili”. Amen.
(Autore: Tonino Palmese)

*L'ispirazione del Beato e la contemplazione del Quadro

Nel libro “Nel silenzio il sussurro di una voce. L’itinerario spirituale di Bartolo Longo”, presentato il 16 settembre a Pompei, don Salvatore Sorrentino mette in evidenza la connessione tra l’ispirazione interiore che Longo accolse nel 1872 e la visionecontemplazione del Quadro della Madonna del Rosario.
Le due fonti della bellezza La tradizione della spiritualità cristiana russa (che rientra nell’orizzonte più grande dell’Oriente cristiano), la cui peculiarità è la bellezza, come luogo in cui s’incontrano i grandi temi del cristianesimo (la verità, il dogma di fede, la vita cristiana, la salvezza), al di là della visione-ascolto, collegata rispettivamente al binomio signum-verbum, tipica della liturgia della Chiesa, mette in evidenza che la via pulchritudinis, che comunica la presenza santificatrice di Dio, passa anche attraverso il binomio «visione-contemplazione» iconografica.
Bartolo Longo si abbevererà a queste due fonti della bellezza come «spazio» dell’epifania di Dio: la liturgia della Chiesa e la visione-contemplazione del «Quadro-icona» della Madonna di Pompei. D’altra parte, l’esperienza mistico-mariana di contrada Arpaia (la locutio interior del 1872: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario») chiama in causa la contemplazione del mistero del Verbo incarnato, che si dispiega in tutti i misteri della vita di Cristo, attraverso lo sguardo estatico di Maria.
Il Quadro della Madonna del Rosario Pertanto, possiamo affermare che l’Immagine della Madonna di Pompei rappresenta, con tutto il suo vissuto, il complemento «iconico» (a cui è associata la visione-contemplazione) della locuzione interiore.
Al centro dell’opera, infatti, campeggia la Vergine con il Bambino Gesù, binomio che racconta in un solo istante il mistero dell’Incarnazione redentrice. Come sappiamo il Quadro della Madonna di Pompei giunse provvidenzialmente nelle mani di Bartolo Longo attraverso suor Maria Concetta De Litala, del Conservatorio del Rosario a Porta Medina, a Napoli.
Bartolo Longo aveva bisogno di un Quadro della Madonna del Rosario «per istabilire a consuetudine di questo popolo la recita comune della Corona, e per fare guadagnare le sante Indulgenze della Confraternita del Rosario» (Storia del Santuario di Pompei; SSP). Il Quadro fece il suo ingresso a Valle di Pompei, su un carro di letame, il 13 novembre 1875, sul finire di una sacra missione cittadina organizzata dal Beato. Il brutto Quadro aveva bisogno di un restauro urgente. Il primo restauratore fu Guglielmo Galella, che riconsegnerà il Quadro restaurato verso la fine di gennaio del 1876.
I risultati dell’intervento non furono soddisfacenti per Bartolo Longo, il quale, nel 1879, affidò il Quadro al pittore Federico Maldarelli per un nuovo restauro, da cui ottenne un esito migliore. Un evento straordinario si verificò allorquando il Quadro fu trasferito dalla parrocchia del SS. Salvatore in una cappella nuova a sinistra del Santuario, dedicata a Santa Caterina.
Evento che si può definire come «l’apice dell’esperienza mistico-estetica» di Bartolo Longo. Infatti, Longo afferma che da quel giorno «cominciò nella fisionomia della Celeste Regina a ravvisarsi una bellezza, una maestà ed una confidenziale dolcezza, che non si ravvisavano innanzi» (SSP).
Dopo questo fatto, secondo le testimonianze raccolte dal Beato, l’Immagine, pur non essendo attraente per la sua bellezza artistica, reca in sé qualche cosa che attira ad ammirarla «per una forza arcana che s’impone, e trae, quasi senza volerlo, ad inchinarsi a pregare» (SSP). «Sì - afferma don Bartolo -: dinanzi a questa benedetta Immagine, si sente nell’animo la ferma speranza che la preghiera debba essere esaudita, e si prova tale ineffabile dolcezza, che, non gustata, non s’intende mai» (SSP). Il vescovo e teologo Domenico Sorrentino, in poche battute, ripercorre il travagliato percorso dei restauri del Quadro pompeiano, collocando l’esperienza mistico-estetica del Beato nell’orizzonte della teologia della bellezza: «Abbiamo in partenza un Quadro poverissimo, inviato a Pompei attraverso lo strano quanto umiliante trasporto di un carro di letame! Su questo Quadro esercitarono successivamente la loro mano diversi artisti, che non sembrano aver lasciato il loro nome alla storia dell’arte.
Ma chi “lavorava” veramente quel Quadro, pretendendo che esso esprimesse pienamente i caratteri del mistero progressivamente intuito, era il convertito-missionario Bartolo Longo. Con il suo desiderio, la sua insistenza, le sue indicazioni, egli si faceva in qualche modo voce dello Spirito per pittori e restauratori, e si arrese solo quando quell’Icona assunse la sua forma definitiva, quasi secondo un modello ideale, intuito, se non contemplato.
Alla fine ne fu talmente felice, da gridare al “miracolo”. Sì, l’esperienza mistico-estetica di Bartolo Longo, nella vicenda dell’Icona di Pompei, sta proprio nell’orizzonte della teologia della bellezza. È un aspetto da non sottovalutare per cogliere il carisma di Pompei» (Da Bartolo Longo a noi: il «carisma» della Chiesa di Pompei).
Ebbene, a sostegno dell’autenticità dell’esperienza mistico-estetica di Bartolo Longo vi è ciò che abbiamo definito come l’apice di questa esperienza: la trasformazione acheropita (χειϱοποίητος), che significa «non fatto da mano umana», del Volto della Vergine. Dio, sotto gli occhi di Bartolo Longo, «ri-tocca», per così dire, di propria mano il volto di Maria, arricchendo il Quadro di un plus-valore tale da conferirgli i connotati della unicità: è la firma di Dio a completamento dell’opera. L’importanza dell’Icona per i mistici Qual è l’importanza dell’Icona nella vita dei mistici?
Secondo il santo abate Teodoro Studita, «l’immagine dipinta è per noi una luce santa, un memoriale salutare che ci mostra Cristo nella nascita, nel battesimo, che compie miracoli, sulla croce, nel sepolcro, risorto e ascendente al cielo. In tutto ciò noi non veniamo ingannati, come se tutto questo non fosse accaduto. La visione infatti viene in aiuto alla meditazione spirituale cosicché, mediante le due, la nostra fede nel mistero della salvezza viene rafforzata» (Refutatio). Per cui, C. Schönborn può affermare che «l’immagine non è una concessione per i “deboli”. Essa è radicata nella natura dell’uomo che la Parola eterna ha assunto per sempre facendosi uomo.
Per questo la contemplazione non esclude la visione» (L’icona di Cristo. Fondamenti teologici). Il teologo V. Borg Gusman afferma: «Secondo l’esperienza secolare della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, l’esperienza spirituale che si avvale delle icone può trasformarsi in sorgente di santità e di mistica comunione con il Dio di Gesù Cristo. Essa, infatti, si ritrova nell’esperienza dei mistici.
Ai suoi vertici tale esperienza trascende verso l’indescrivibile e l’ineffabile, postula una radicale metamorfosi dell’essere umano, la sua deificazione». E ancora: «La meditazione e la contemplazione trovano nell’immagine un supporto importante perché fissano lo spirito su di essa, lo rinviano e lo concentrano sulla realtà simboleggiata. L’immagine sacra può permettere anche una comunione orante, non sostanziale, ma mistica, con il divino. Come simbolo, l’immagine [...] implica la riunione di due metà: simbolo e simbolizzato. Nel nostro caso le due metà sono l’uomo e Dio, e la loro comunione o riunione viene operata dall’immagine nella preghiera» (Dizionario di Mistica).
Queste affermazioni le troviamo concretizzate nel vissuto spirituale di Bartolo Longo. Ci sono, infatti, tante testimonianze che dipingono il Beato, ormai verso la fine della sua vita, come immerso nella preghiera passiva del Rosario (per cui si può parlare di una mistica del Rosario) posto davanti all’Immagine della Madonna di Pompei.
L’esperienza mistico-estetica che abbiamo raccontato è, pertanto, interpretabile come la «traduzione iconica» dell’esperienza mistica di località Arpaia. Tutto il cammino di «marianizzazione» e quindi di «cristificazione» del Beato Bartolo Longo è segnato, infatti, dalla mediazione simbolico-spirituale dell’Immagine della Madonna del Rosario di Pompei
(Autore: Salvatore Sorrentino)

*Origine del Quadro della Madonna del Rosario di Pompei

Originariamente il quadro della Madonna del Rosario di Pompei era stato acquistato dal P. Alberto Radente, domenicano. Ma, in seguito alla soppressione degli Ordini religiosi nel 1865, era stato affidato a una terziaria domenicana, Sr. Maria Concetta Dell’Itala. Bartolo Longo, che cercava un’immagine della Madonna del Rosario per la pubblica venerazione, fu indirizzato dal P. Radente al domicilio della Suora.
Il Quadro era in uno stato pietoso, ma per le insistenze della suora, fu portato via per Pompei. Era il 13 novembre 1875, data storica per il famoso Santuario. Nel 1965, essendo urgente provvedere al restauro accurato per la conservazione del prezioso Dipinto, Paolo VI ne autorizzò il trasferimento a Roma presso l’Istituto del Restauro dei Padri Benedettini Olivetani.
Il risultato del lavoro fu sorprendente. Con solenne rito il Papa incoronò in San Pietro la venerata Immagine il 23 aprile 1965… I critici l’attribuiscono alla scuola di Luca Giordano.
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